Addio alle aree interne: parte un abruzzese su tre

La situazione nella nostra regione: «Aumenta il numero di residenti sulla costa» Il caso limite è Villa Santa Lucia degli Abruzzi (L’Aquila) con un calo del 92%


L’Abruzzo ha oggi grosso modo la stessa popolazione del 1951: 1,28 milioni di persone. «Ma si tratta di una stabilità solo apparente, in 70 anni, nei comuni periferici e ultra-periferici la popolazione si è ridotta di un terzo, mentre i residenti sono aumentati sulla costa», è la rilevazione di Abruzzo Openpolis, progetto di Fondazione Openpolis, Etipublica, Fondazione Hubruzzo, Gran Sasso Science Institute e StartingUp.

«Il numero di abitanti è cambiato nel corso dei decenni», viene sottolineato nello studio, «e infatti è passato da 1,28 milioni del dopoguerra a 1,17 milioni agli inizi degli anni ’70, con una diminuzione di quasi il 9% in appena un ventennio caratterizzato dal boom economico, la crescita dell’industrializzazione e l’abbandono dell’agricoltura. Negli anni successivi si è registrato invece il trend opposto. I residenti sono tornati sopra la soglia di 1,2 milioni nel 1981, raggiungendo quasi 1,25 milioni nel 1991 e arrivando a 1,3 milioni nel 2011. Nell’ultimo decennio, la tendenza ha nuovamente cambiato segno. Nel 2020 i residenti nella regione sono tornati 1,28 milioni, con un aumento dello 0,3% rispetto a 70 anni prima».

Ancora più interessante dettagliare queste tendenze. Dal 1951 al 2020 la provincia di Pescara ha visto un aumento dei residenti del 30,9%, quella di Teramo del 10,7%.
Al contrario, le province di L’Aquila e Chieti hanno registrato un calo rispettivamente del 20% e del 6,2%. Secondo l’analisi, sono soprattutto le aree montane e interne della regione ad aver visto una maggiore contrazione degli abitanti. Nei comuni periferici e ultra-periferici della regione la popolazione è diminuita del 31,4% dal 1951. Appartengono alle aree interne tutti i comuni dove lo spopolamento è stato più vistoso. Villa Santa Lucia degli Abruzzi (L’Aquila) è passata da 1.251 residenti nel 1951 a 92 nel 2020, con un calo del 92,6%. Il paese si trova ai piedi della parete sud del Gran Sasso, e conta anche una frazione, oltre che il centro principale. Altri 32 comuni hanno registrato cali superiori all’80%. In 70 anni, nei comuni periferici e ultra-periferici la popolazione si è ridotta di un terzo. In 70 anni, gli abitanti di Montesilvano sono aumentati di 7 volte, passando da 7mila a 50mila.

Come invertire la tendenza allo spopolamento dei territori più tradizionalmente rurali e periferici? Le possibili soluzioni sono molteplici e complesse, come il problema dello spopolamento. L’unica certezza è la necessità e l’urgenza di politiche pubbliche decise e coraggiose.

Un’analisi della situazione arriva da Alessandra Faggian, Giulia Urso e Fabiano Compagnucci, ricercatori del Gran Sasso Science Institute dell’Aquila.

All’interno dell’istituto è presente tra gli altri un dipartimento di scienze regionali e geografia economica, diretto proprio da Alessandra Faggian, all’interno del quale vengono studiate anche le aree interne italiane e il fenomeno dello spopolamento.

Occorre innanzitutto differenziare le dinamiche anche interne delle aree periferiche. È interessante rilevare, infatti, come alcuni centri dei comuni interni e montani abbiano mantenuto le loro strutture sociali e in certi casi anche economiche, rispetto alle frazioni e alle case sparse degli stessi territori.

«Anche all’interno delle aree periferiche», affermano i ricercatori del gruppo diretto da Faggian, che è anche la direttrice dell’area Social sciences del Gssi, «vi sono comuni che svolgono il ruolo di centri. Nonostante una scala inferiore rispetto ai principali centri regionali, questi comuni riescono comunque ad organizzare il territorio circostante, fornendo alcuni tipi di servizi pubblici e privati o opportunità occupazionali a scala sovralocale. Questi insiemi di comuni dovrebbero costituire l’unità spaziale su cui calibrare le politiche di coesione». E qui si arriva al punto: l’importanza dell’intermunicipalità, ossia della costruzione organica di pianificazione delle politiche e di relazioni tra comuni periferici, ma anche tra le stesse aree interne e le zone più urbane.

Da questi concetti si può partire per la pianificazione di politiche pubbliche funzionali per la lotta allo spopolamento. Da un radicale rafforzamento dei servizi essenziali per la popolazione, allo sviluppo turistico o produttivo, fino alle politiche per la genitorialità e per una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Fonte: Il Centro

 

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L’Aquila ha perso mille abitanti, in provincia calo di 15mila persone

Il capoluogo regionale regge l’urto dello spopolamento delle aree interne unito ai disagi post-sisma. Tra i paesi montani in difficoltà Villa Santa Lucia e Fontecchio. Bene Villa Sant’Angelo, Pizzoli e Scoppito


 

Mentre la provincia dell’Aquila è quella che decresce di più, come popolazione, rispetto alle altre aree abruzzesi, tra i capoluoghi L’Aquila è quello con una minor emorragia di abitanti. A rivelarlo è uno studio dell’analista economico Aldo Ronci sui dati Istat dell’andamento demografico della regione tra il 2013 e il 2020, messo a disposizione di Abruzzo Sviluppo.

L’ABRUZZO PERDE ABITANTI
I numeri parlano chiaro. “L’Abruzzo in sette anni perde 48.906 abitanti e decresce del 3,68% con un’intensità pari al doppio di quella dell’Italia che è stata dell’1,84%” è spiegato nel rapporto. “Perde cioè gli stessi abitanti di una città come Chieti”.

LA PROVINCIA
In valori percentuali, la popolazione decresce di più in provincia dell’Aquila ( 4,85%) passando da 305.639 abitanti nel 2013 a 290.811 nel 2020, con una variazione del 4,85%. Dato allarmante se si fa riferimento al trend di decrescita della popolazione nazionale (1,84%).

IL CASO L’AQUILA
Si discosta da questo dato il capoluogo abruzzese, dove la popolazione è scesa dell’1,58% (decremento inferiore rispetto alla media nazionale) passando dai 70.464 abitanti del 2013 ai 69.349 del 2020, con una variazione di 1.115 abitanti in meno.

CHI VA VIA
“La decrescita più allarmante è quella dovuta all’emigrazione dei giovani (15-31 anni)”, secondo Ronci, “che ha visto andar via, in Abruzzo, 26.567 giovani con una flessione dell’11,12% valore quest’ultimo pari a due volte e mezzo quello italiano: 4,53%”. A questa fascia d’età si aggiunge anche un calo di quella 32-48 anni che ha perso 49.141 unità (14,80%) ma che comunque ha subìto quasi lo stesso decremento percentuale dell’Italia (14,18%).

REALTÀ IN CRESCITA
In questo quadro non proprio rassicurante, viene registrata anche una crescita importante di alcuni Comuni dell’Aquilano. Tra questi spicca Villa Sant’Angelo, che passa da 438 a 474 abitanti, con una variazione dell’8,22%. Anche Scoppito passa da 3.626 a 3.802 abitanti, con un incremento di 176 persone pari al 4,85% della popolazione. Al 10º posto nella classifica abruzzese c’è San Demetrio ne’ Vestini che nel 2013 contava 1.813 residenti, mentre nel 2020 ne conta 1.880, con un aumento del 3,7%, cioè di 67 abitanti. Buon posizionamento anche per Pizzoli, al 12º posto, che passa da 4.125 abitanti a 4.259, con una variazione di 134 persone, pari al 3,25% della popolazione.

MAGLIE NERE
Nella graduatoria regionale, tra i comuni che hanno subìto il più alto decremento (quelli con una flessione superiore al 20%), si assegna la maglia nera a Villa Santa Lucia degli Abruzzi, che perde il 29,77% della popolazione (39 abitanti) dei 131 che contava nel 2013; al penultimo posto Fontecchio, passato da 404 abitanti a 293, con una flessione del 27,48% pari a 111 abitanti. Anche Castelvecchio Calvisio viene ritenuto comune “in via di estinzione” con i suoi 128 abitanti sui 161 del 2013 e una flessione del 20,5%. In difficoltà Campotosto che passa da 582 abitanti nel 2013 a 464 nel 2020 con una perdita del 20,27% pari a 118 abitanti.

COMUNI MONTANI
Secondo lo studio, la vera emergenza è rappresentata proprio dai comuni montani, che a dicembre 2020, erano 186 e contavano una popolazione di 273.828 abitanti. Questi hanno subìto, in 7 anni, un decremento di 28.796 unità.

 

Fonte: www.ilcentro.it

 




CGIL: allarme spopolamento per la Provincia dell’Aquila

Continuo ed inesorabile è il crollo demografico nella nostra provincia; infatti dai dati Istat relativi al 31 dicembre 2019, risulta una perdita netta di residenti pari a 2537 cittadini e cittadine rispetto all’inizio dell’anno, con una incidenza dello 0,85%, oltre il doppio se lo confrontiamo con il dato percentuale che interessa l’intero paese e che si attesta allo 0,4%. Se lo compariamo con il dato certificato al 31 dicembre 2014 risulta una perdita di residenti pari a 8393 cittadini e cittadine, pari al 2,75% di residenti in meno.

A fare il punto sono Francesco Marrelli, Segretario Generale CGIL della Provincia dell’Aquila, Miriam Del Biondo, Segretaria Generale FLC CGIL ed Anthony Pasqualone, Segretario Generale FP CGIL.

Partendo da una analisi delle nascite, spiegano, “abbiamo avuto una riduzione del 21% in 5 anni, infatti il dato al 2015 era pari a 2376 nascite di bambini e bambine che si riduce a 1877 nel 2019; se lo confrontiamo con l’anno 2018 abbiamo una riduzione percentuale pari al 9,1%, il doppio della diminuzione rilevata su tutto il territorio nazionale che si attesta al 4,5%. Il saldo naturale subisce un ulteriore peggioramento passando da -1155 cittadine e cittadini del 31.12.2014 a -1678 cittadine e cittadine del 31.12.2019″.

Ad aggravare ulteriormente la situazione è una preoccupante inversione di tendenza che vede un graduale abbandono del territorio anche da parte di cittadini stranieri; “dopo cinque anni in cui abbiamo riscontrato un saldo sempre crescente di residenti stranieri nella nostra provincia, nel 2019 – per la prima volta – il saldo tra inizio e fine anno vede un segno negativo pari a -362 residenti stranieri. Aumenta contestualmente la migrazione verso l’estero con un incremento del 21,45% nel rapporto tra il 2018 con 2019″.

A pagare maggiormente questa tendenza sono le aree montane più marginali e svantaggiate, “quelle che continuano a vivere una mancanza di servizi essenziali – sottolineano Marrelli, Del Biondo e Pasqualone – quali il trasporto pubblico locale, la restrizione dei servizi sanitari, la difficoltà per l’accesso alla scuola, i continui disagi per i servizi postali. Incide negativamente nelle scelte delle persone anche una continua contrazione dell’occupazione che costringe molti alla migrazione verso altri territori, sia fuori che dentro regione”.

Per il prossimo futuro dobbiamo invertire il paradigma sulle aree interne che dovranno assumere una nuova connotazione e la cui narrazione, che le ha sempre considerate svantaggiate, geograficamente, economicamente e socialmente, dovrà essere quella della potenzialità “caratterizzata sui punti di forza quali l’agroalimentare, la cultura, il turismo, la biodiversità e la migliore qualità della vita in generale. Per le comunità che abitano queste aree, la salute rappresenta un servizio fondamentale che, laddove assente, spinge la popolazione a migrare. Le dinamiche dell’invecchiamento e l’evoluzione dei bisogni prodotti dalla crescente frequenza di patologie croniche sono fenomeni che interessano principalmente i territori con forte spopolamento e che, pertanto, richiedono un ripensamento dei servizi sanitari sempre più orientati verso la presa in carico del paziente. Per questa ragione abbiamo la necessità di un vero progetto di sanità di prossimità che possa rifondare un patto fiduciario tra il sistema di welfare e le comunità locali che dovranno essere coinvolte nelle scelte strategiche delle funzioni sanitarie”.

Per la CGIL assume sempre maggiore rilevanza l’integrazione, concetto che dovrà rappresentare uno degli obiettivi fondamentali delle future innovazioni organizzative del sistema sanitario, “che vuol dire – spiegano Marrelli, Del Biondo e Pasqualone – integrazione tra servizi sanitari e socio sanitari, anche mediante il trasferimento dell’offerta sanitaria dall’ospedale al territorio e al domicilio del paziente, tramite la piena complementarietà delle funzioni. E’ dentro questa visione che la costituzione della Casa della Salute può assumere le importanti funzioni di realizzare una nuova identità di comunità efficace e partecipativa, finalizzata a rendere concreti i diritti di cittadinanza, facilitare il principio di solidarietà ed integrare le risorse del territorio”.

La Casa della Salute, rappresenta una struttura pubblica dove trovano allocazione i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie. “Un centro al servizio dei cittadini per l’accesso alle cure primarie – ivi compresi gli ambulatori di Medicina Generale e Specialistica ambulatoriale – e sociali. Un luogo in cui si concretizzi non solo l’accoglienza e l’orientamento ai servizi, ma soprattutto la continuità dell’assistenza, la gestione delle patologie croniche ed il completamento dei principali percorsi diagnostici che non necessitano di ricorso all’ospedale. Una struttura che si adatta alle caratteristiche epidemiologiche della popolazione del territorio e non il contrario”.

Perseguire il concetto della buona qualità della vita, vuol significare avviare un processo di rinnovamento dei borghi con una progettualità volta a ricomporre il territorio, “restituendo identità ai luoghi e senso di appartenenza a chi li abita e li frequenta. La praticabilità e la lontananza dei territori periferici dagli insediamenti abitativi dei centri urbani maggiori fanno discendere l’accessibilità ai servizi di cittadinanza. Affinché la distanza non si tramuti in marginalità è necessario rendere accessibili i territori, migliorando i servizi di trasporto ed il collegamento dalle aree e nelle aree. Tempi e modi si devono coniugare con celerità e accessibilità. Bisogna rafforzare e ripensare l’offerta dei servizi di trasporto nelle aree interne per migliore la mobilità delle persone avvicinando le esigenze di cittadini e cittadine al raggiungimento in poco tempo dei servizi disponibili nei centri urbani, valutando attentamente i fabbisogni e la domanda di spostamento, riqualificando e potenziando la dotazione infrastrutturale”.

Dalla rete dei servizi che nasce e trova sostegno nella progettazione inclusiva del territorio, dipende anche la sorte delle piccole scuole che lo presidiano rendendo più facile per le comunità la permanenza nei piccoli centri. “Nella nostra provincia le poche scuole delle aree più interne che ancora resistono sono a forte rischio di chiusura anche a causa dei parametri del D.M.81 che stabilisce rapporti numerici non adeguati alla demografia delle zone soggette a spopolamento. Chiediamo da anni alla politica di rappresentare la necessità della revisione dei parametri che permetterebbe la sopravvivenza delle piccole scuole e dei paesi su cui insistono. Siamo favorevoli a forme di razionalizzazione, ma mantenendo il presidio scolastico all’interno di un sistema integrato di servizi che può contribuire a ribaltare il paradigma delle aree interne e a spingere le persone non solo a restare, ma anche a trasferirvisi per una migliore qualità della vita. Le aree interne vanno rese accattivanti. Occorre, perciò, un nuovo protagonismo della politica e delle istituzioni, serve comprendere i problemi e ricercarne le soluzioni, eliminando dalla dialettica una inutile e dannosa retorica. Occorre un progetto che superi la condizione di solitudine di cittadini e cittadine che vivono nelle aree interne e che riconsegni alle comunità locali la possibilità di discutere e costruire il loro futuro”.

 

Fonte: www.news-town.it




CGIL AQ: preoccupanti i dati sullo spopolamento in Provincia

Se i dati pubblicati dall’Istat sulla diminuzione della popolazione nel nostro Paese sono sconfortanti, quelli relativi alla sola provincia dell’Aquila assumono una connotazione che dovrebbe preoccupare, e non poco, la politica, chiamata ad intervenire rapidamente per invertire la tendenza.

A denunciarlo è il segretario generale della Cgil, Francesco Marrelli, che sottolinea come, in soli 9 mesi del 2019 (periodo gennaio-settembre), la nostra provincia abbia perso 2158 residenti rispetto al 1° gennaio 2019, “di cui 1265 dovuti al saldo naturale morti-nascite e 893 al saldo migratorio verso altri territori. Di questi ultimi, il 60% sono uomini e il 40% donne”.

Con un indice percentuale di incidenza rispetto alla popolazione dello 0,7% in meno rispetto all’anno precedente (quello relativo alla popolazione dell’intero Paese si attesta a un indice percentuale pari allo 0,19%), l’Abruzzo si attesta allo 0,46% “con una diminuzione complessiva di popolazione regionale pari a 6072 residenti, di cui 4753 per saldo naturale e 1319 per saldo migratorio. Non v’è chi non veda come la tendenza alla diminuzione di residenti per la provincia dell’Aquila è circa quattro volte maggiore di quella riferita all’intero paese, di quasi il doppio se ci riferiamo invece alla regione Abruzzo.

Se da una parte incide pesantemente il saldo naturale, aggiunge Marrelli, “dall’altra continua inesorabile una tendenza allo spopolamento dei nostri territori. La mancanza di lavoro e la precarietà per le nuove occupazioni stanno generando insicurezza e timore per il futuro. I nostri territori rischiano di diventare sempre più fragili con una fascia di povertà in costante aumento. Tale condizione viene riscontrata anche dalla popolazione che beneficia del reddito di cittadinanza.

In effetti, se si rapporta il numero di domande alla popolazione residente, è la provincia dell’Aquila quella che ha la più alta incidenza di popolazione coinvolta con il 3,77% del totale, a fronte del 2,87% di Chieti, del 3,76% di Pescara e del 2,86% di Teramo, per un totale pari ad 1,61% dei nuclei familiari residenti sul territorio contro l’1,22% di Chieti, l’1,57% di Pescara e l’1,20% di Teramo“.



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La nostra provincia evidenzia dunque un arretramento strutturale del quadro economico.

“Dopo anni di mancata crescita e di crisi, molte famiglie beneficiano del reddito di cittadinanza come unica possibilità di sussistenza e di recupero potenziale di una condizione lavorativa che, in molti casi, è venuta meno alla fine del percorso di protezione degli ammortizzatori sociali a seguito della riforma del 2015 che ne ha ridotto fortemente la disponibilità nell’utilizzo, ovvero non si è mai definita a causa di un lungo periodo di inoccupazione per la mancanza di opportunità concrete di lavoro“, prosegue Marelli.

Allo stesso modo “sta incidendo sulla scelta di trasferire la propria residenza la riduzione di servizi quali trasporti, sanità, scuola e infrastrutture, a cui si aggiungono servizi bancari e postali. Lo spopolamento, tuttavia, si può combattere solo rompendo la dinamica dell’isolamento progressivo delle zone meno densamente abitate o più lontane dai grandi agglomerati urbani, ma c’è bisogno di idee nuove e dell’impegno di tutte le forze di rappresentanza economiche e sociali. Il nostro è un territorio di grandi potenzialità, che vanno tuttavia messe a valore attraverso percorsi di crescita condivisa. Le ragioni dello sviluppo passano necessariamente attraverso la cura e la valorizzazione delle specificità locali”.

Per questo motivo la CGIL immagina l’avvio di una nuova stagione di confronto politico, che ponga al centro le possibilità legate ai finanziamenti europei e la possibilità che la nostra provincia possa proporsi come un laboratorio d’iniziativa, dove sperimentare i temi dello sviluppo sostenibile, dell’inclusione sociale e dell’innovazione tecnologica, che sono l’asse portante della programmazione comunitaria che va dal 2021 al 2027.

“A nostro avviso – conclude Marelli – occorre stringere un patto politico locale fra le parti ed aprire nuova fase, in grado di sostenere le iniziative imprenditoriali più innovative, per dare ai nostri giovani delle ipotesi di futuro, senza per questo svendere il nostro patrimonio ambientale o chiudere le porte ad ogni ipotesi di sviluppo. Non abbiamo alternative di tipo conservativo, che possano evitarci ciò che sta accadendo. Il tempo è scaduto: adesso bisogna reagire“.

Fonte: www.news-town.it

 

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CGIL L’Aquila: situazione critica in Provincia

Esportazioni a picco (specie nei settori a valore aggiunto), saldi “demografici” delle imprese negativi, boom della disoccupazione giovanile, un’emigrazione solo parzialmente compensata dai nuovi arrivi di cittadini stranieri.

E’ un quadro a dir poco preoccupante quello dipinto dagli indicatori economici della provincia dell’Aquila forniti dalla Cgil, illustrati in conferenza stampa dal segretario provinciale della Camera del Lavoro Francesco Marrelli e da Luigi Antonetti, segretario provinciale Filcams.

Sono cifre che disegnano uno scenario di crisi profonda del territorio, per fronteggiare il quale il sindacato chiede l’immediata attivazione, da parte della Regione Abruzzo, di un tavolo istituzionale per disegnare una nuova strategia per il futuro della aree interne.

Gli indici economici della provincia dell’Aquila descrivono una situazione di criticità e di fragilità dell’intero territorio” afferma Marrelli “Anche i settori trainanti, che vedevano una condizione anticiclica durante la crisi economica, hanno subito negli anni forti rallentamenti. Infatti se partiamo dal dato delle esportazioni, il cui valore era pari a 996.939.306 euro nel 2008, dobbiamo registrare una drastica diminuzione fino ai 603.233.103 euro nel 2018, con una riduzione del 39,5%. Nello specifico, per quanto concerne i settori trainanti, quali ad esempio sostanze e prodotti chimici; articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici; computer, apparecchi elettronici e ottici; apparecchi elettrici; mezzi di trasporto; attività professionali, scientifiche e tecniche; attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, il dato risulta ancora più allarmante passando da un valore del 2008 di 690.271.507 euro ai 426.795.197 euro del 2018, con una riduzione pari al 38,17%”.

Sul fronte delle imprese inoltre” continua Marrelli “si riscontra una preoccupante inversione di tendenza tra iscrizioni e cessazioni dal 2014 in poi. Infatti fino quell’anno le iscrizioni al registro delle imprese risultavano maggiori rispetto alle cessazioni. Nell’anno 2009 risultavano 1918 iscrizioni contro 1473 cancellazioni, con un andamento che è rimasto simile fino al 2013; nel 2014 tuttavia, l’anno in cui questa tendenza ha subito una drastica inversione, ci sono state 1715 cancellazioni contro 1567 iscrizioni, e tale andamento si è protratto fino al 2017 con 1614 cancellazioni rispetto a 1478 iscrizioni di nuove imprese. Dal 2014 al 2018, in conclusione, siamo passati da 26.690 attività iscritte del 2014 a 26.358 del 2018”.

Le cose non fanno meglio sul fronte occupazionale:Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), che si attestava nel 2008 al 25,5%, è balzato nel 2018 al 31,1%. A ciò si aggiunga che il tasso di disoccupazione riferito a tutte le persone con oltre 15 anni è passato dall’8,3% del 2008 al 9,8 % del 2018. Tra l’altro la popolazione lavorativa ha subito in dieci anni un invecchiamento esponenziale passando dal 31,3% degli occupati tra gli over 54 (le persone occupate dai 55 ai 64 anni) del 2008 al 57,9 del 2018. L’unico indice che subisce una crescita nel periodo 2008-2018 è quello riferito agli addetti delle società cooperative, conseguenza anche di esternalizzazioni si servivi pubblici o utilizzo di detta tipologia di società negli appalti, che passa dal 3,5% del 2008 al 4,3% del 2018”.

La provincia dell’Aquila” osserva Marrelli “già prima del sisma aveva subito pesantemente le conseguenze della crisi economica, laddove dai 124.000 occupati del 2007 si era passati ai 117.000 del 2008. Successivamente, dopo il terremoto, il numero di occupati in provincia è sceso al picco minimo di 107.000 al 31 dicembre 2014, con calo complessivo di 17.000 posti di lavoro. Oggi infine, secondo i dati Istat, stimiamo che il nostro territorio ha perso a partire dal 2007 circa 10.000 occupati (al 2018 risultavano circa 114.000 lavoratori) con un recupero parziale ma ancora lontano da un’effettiva ripresa occupazionale”.

La nostra dunque” nota il segretario provinciale della Cgil “è una provincia che vive una grave condizione di spopolamento delle aree montane dovuta alla scarsità di lavoro e di servizi offerti alla collettività. Si stimano, sempre secondo dati Istat riferibili al decennio 2009-2019, circa 10.200 residenti in meno in tutta la provincia, e nel solo triennio 1° gennaio 2016-1° gennaio 2019 un delta negativo di meno 4208 residenti. Tutto ciò è dovuto anche a un saldo naturale tra mortalità e natalità costantemente in negativo, ma ciò che dovrebbe maggiormente preoccupare la politica e le istituzioni sono i saldi migratori dei capoluoghi di provincia per trasferimento di residenza intraprovinciale ed interprovinciale”.

Nel periodo analizzato 2012-2017 si riscontra che l’andamento dei trasferimenti verso province della stessa regione è costantemente in negativo ed è così caratterizzato:

  • 2012 saldo -275,
  • 2013 saldo -99,
  • 2014 saldo -106,
  • 2015 saldo -192,
  • 2016 saldo -130,
  • 2017 saldo -69,

per un saldo totale di -871.

Tale andamento negativo riguarda ancor più i trasferimenti in province di altre regioni:

  • 2012 saldo -201,
  • 2013 saldo -85,
  • 2014 saldo -137,
  • 2015 saldo -258,
  • 2016 saldo -178,
  • 2017 saldo -293

per un saldo totale di -1.152.

Si tenga presente che se il dato sullo spopolamento non assume ad oggi un carattere di assoluta drammaticità è per il saldo positivo dei trasferimenti dall’estero che continua, nonostante tutto, ad avere andamenti positivi. Infatti dal 2012 al 2017 risulta un incremento di trasferimenti dall’estero verso la nostra provincia come di seguito ripartiti:

  • 2012 +243,
  • 2013 +220,
  • 2014 +182,
  • 2015 +172,
  • 2016 +303,
  • 2017 +452,

per un totale di 1.772 nuove iscrizioni dall’estero”.

Ricordiamo infine” continua Marrelli “che tutte le problematiche che abbiamo trattato riguardano il nostro territorio provinciale, che per estensione rappresenta il 50 % dell’intera superficie regionale e gran parte delle aree interne dell’Abruzzo. Da anni la Cgil dell’Aquila sollecita la necessità e l’urgenza di definire una vera e propria “Strategia per le Aree Interne dell’Abruzzo, una strategia che affrontando i nodi degli investimenti per l’occupazione, per i servizi e per le infrastrutture, che inverta una tendenza ormai decennale di uno spopolamento continuo e inesorabile”.

Le aree interne conclude Marrelli “devono rappresentare un potenziale motore di sviluppo per l’intero territorio regionale, non solo per le ricchezze ambientali che offrono ma soprattutto per le capacità e la storia delle comunità che stabilmente vi risiedono. Per tale ragione bisogna immediatamente avviare un tavolo di confronto con la Regione Abruzzo che tenga presente le priorità da affrontare come lo sviluppo industriale e gli investimenti per i settori produttivi, la tutela e la conservazione ambientale e la messa in sicurezza del territorio attraverso una seria politica di interventi di prevenzione contro le calamità naturali, l’implementazione dei servizi essenziali e indispensabili”.

 

Fonte: www.newstown.it