E adesso… Credito Cooperativo!

E’ trascorso oramai un anno dal rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Credito Cooperativo, un anno che ha visto l’avvio operativo dei due Gruppi Bancari Cooperativi nazionali e, per le Casse Rurali della provincia autonoma di Bolzano, l’inizio del percorso di realizzazione degli IPS che si sta concludendo in questi giorni.
Ma sicuramente, ad oggi ed ancora per qualche tempo, non si appalesano tutti gli effetti, da più parti auspicati o temuti, che la Riforma porta con sé.

In questo stesso periodo, le rilevanti riorganizzazioni dettate da una indispensabile revisione dei modelli organizzativi e dai nuovi adempimenti normativi imposti dai regolatori, incluse le numerose fusioni intervenute e tutt’ora in corso, hanno impegnato e coinvolto tutti i livelli dell’intero sistema: da Federcasse e le Federazioni locali (che pure, nella loro necessaria funzione associativa, hanno dovuto adeguarsi al proprio interno rispetto al nuovo modello della cooperazione di credito ), ai neo-costituiti Gruppi Bancari Cooperativi, alle singole banche ed aziende del sistema, fino alle Organizzazioni Sindacali, in rappresentanza di tutti i lavoratori. Infatti, la nuova complessità del confronto sindacale nel Credito Cooperativo, ha anche fatto ravvisare la necessità di rivisitare le regole e le modalità delle relazioni industriali ai diversi livelli. Rivisitazione questa che nel prossimo rinnovo contrattuale dovrà ancora trovare ulteriore adeguamento con tutte le previsioni e procedure di legge e contrattuali, per rendere effettivo il coinvolgimento e la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come abbiamo sempre sostenuto, il rinnovo del CCNL del 9 gennaio 2019, così come la relativa definizione del Testo Coordinato sottoscritto in data 19 dicembre 2020, sono di sicura importanza, oltre che per i lavoratori direttamente interessati, anche per la riaffermazione della specificità e del ruolo che la Cooperazione di Credito svolge nel sistema economico dell’intero Paese. Ora abbiamo l’obbligo di non vanificare il lavoro fin qui svolto, il tempo a disposizione non è infinito. Occorre quindi procedere celermente alla modifica del Regolamento del Fondo di Sostegno al Reddito di categoria, strumento unico, universale e pienamente solidale, oggi più che in passato indispensabile per la salvaguardia della tutela occupazionale e del reddito, anche attraverso il finanziamento della formazione continua, che dovrà essere strategica, qualificata ed esigibile.

In ciascuna azienda, in ogni territorio, in ciascun Gruppo Bancario Cooperativo, nell’intero sistema del Credito Cooperativo, come Fisac CGIL siamo e saremo impegnati per il raggiungimento di una completa ed effettiva applicazione delle norme contrattuali a tutela della occupazione, del reddito, dello sviluppo professionale, della dignità, della qualità della vita delle lavoratrici e dei lavoratori.

Coesione, solidarietà e armonizzazione delle previsioni contrattuali vanno praticati ed esatti subito, per arrivare in brevissimo tempo a trattamenti omogenei all’interno di una contrattazione di secondo livello di Gruppo Bancario Cooperativo, ed allontanare definitivamente ogni possibilità di deregolamentazioni contrattuali, da qualsivoglia parte proposte e quali che siano le motivazioni che si adducono.

Oggi più che mai, per consapevolezza e responsabilità che da sempre accompagnano lo svolgimento del nostro lavoro, come Fisac CGIL siamo convinti che solo attraverso il coinvolgimento attivo delle lavoratrici e dei lavoratori si possano affermare le specificità e le peculiarità del Credito Cooperativo. Nessuno pensi che biodiversità bancaria, proporzionalità regolatoria, localismo e tutti i valori rivendicati dalla Cooperazione di Credito, siano praticabili a discapito delle lavoratrici e dei lavoratori e senza il loro fattivo contributo nelle fasi di pianificazione oltre che di realizzazione.

Anche per questo rinnoviamo a Federcasse la richiesta, già avanzata unitariamente con le altre Organizzazioni Sindacali, di una immediata attivazione dell’Osservatorio Nazionale affinché si possano acquisire tutte le necessarie informazioni per sviluppare gli opportuni approfondimenti rispetto ai diversi temi che interessano il sistema del Credito Cooperativo.

Poi, non appena conclusa la trattativa già avviata per il rinnovo del CCNL dei Dirigenti, saremo da subito impegnati con la predisposizione e presentazione della piattaforma di rinnovo del CCNL dei Quadri Direttivi e delle Aree Professionali. Una piattaforma che insieme alla rivendicazione salariale ed alla buona occupazione, avrà quali temi centrali quelli della coesione, della partecipazione, della solidarietà intergenerazionale, delle tutele e dei diritti, della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, della formazione strategica e certificata per lo sviluppo professionale e di carriera. A tale riguardo il prossimo rinnovo contrattuale dovrà, anche con riferimento alla sfida di innovazione, che la così detta “digitalizzazione” sembrerebbe imporre nel settore del credito, riaffermare la sua specificità per dare un contributo per la tenuta del sistema di Credito Cooperativo nel nostro Paese.

Questa specificità contrattuale avrà ragione di essere solo se la Cooperazione di Credito saprà coniugare all’innovazione tecnologica e di prodotto, alla razionalizzazione dei processi produttivi e distributivi, alle necessarie economie di scala, la sua originaria “missione cooperativa”, costituzionalmente garantita, la prossimità ed il presidio del territorio, la bancabilità del maggior numero possibile di soggetti, anche quelli oggi esclusi e continuare la propria azione a supporto dell’economia reale del nostro Paese. Sapendo che questa sfida, difficile ma non impossibile, si può affrontare solo e soltanto attraverso il coinvolgimento e la valorizzazione, in ogni fase ed in ogni ambito, delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo. Coinvolgimento questo, che si realizza quindi a nostro avviso attraverso un immediato rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Credito Cooperativo che consenta la gestione di questa fase e non solo delle eventuali ricadute che già oggi taluni paventano.

Il rinnovo del CCNL è, dunque, per la FISAC CGIL la priorità!

Roma lì 14 gennaio 2020

Coordinamento Nazionale Credito Cooperativo Fisac/CGIL



Il ruolo delle banche nella Provincia dell’Aquila

La prenderò un po’ alla larga, partendo dal Medioevo; è quello il periodo in cui nascono le prime banche.

Proviamo ad immaginare la situazione preesistente.
Da una parte c’era il mercante con i suoi sacchetti pieni di monete d’oro, che venivano rinchiusi in un forziere e giacevano lì.
Dall’altra il giovane, dotato magari di grandi capacità, che avrebbe voluto aprire una piccola bottega artigiana ma, non disponendo della modesta somma necessaria per avviare l’attività, restava condannato ad una vita di miseria. In queste condizioni il ciclo economico era totalmente bloccato.
L’idea fu quella di creare un soggetto che facesse da intermediario: raccoglieva gli incassi del mercante, impegnandosi alla restituzione e al pagamento di un interesse, e concedeva in prestito al giovane artigiano la somma di cui aveva bisogno.
Una funzione indispensabile, che però al giorno d’oggi le banche hanno sempre meno voglia di svolgere.

Proviamo a capire i motivi.

Pensiamo alla concessione di un mutuo. L’istruttoria richiede diverse ore di lavoro; la somma prestata rientrerà in almeno 20 anni, con un guadagno del 2%, ammesso che il debitore riesca ad onorare l’impegno.
E’ molto più semplice vendere una polizza assicurativa: un quarto d’ora di lavoro, incasso immediato della commissione, nessun bisogno di rischiare il proprio patrimonio.

In questo senso le normative europee non sono di grande aiuto.
Le banche oggi sono sottoposte a vincoli molto rigidi per la concessione del credito. Il più importante è di natura patrimoniale: gli Istituti di credito sono tenuti a rispettare il coefficiente di solvibilità, cioè la quantità minima di capitale necessaria per svolgere attività creditizia.
Per dirla in parole semplici: si tratta di un rapporto che ha al numeratore il patrimonio della banca e al denominatore il totale degli impieghi, ponderati a seconda della loro rischiosità. Questo significa che un prestito fatto ad un debitore in difficoltà pesa in modo maggiore rispetto ad un prestito con un andamento regolare.
È una norma studiata per impedire il default delle aziende di credito, ma che di fatto ha avuto l’effetto di estromettere dal mercato le piccole banche, che non riescono a raggiungere il livello di patrimonializzazione necessario

Nel futuro degli istituti di credito dovremo aspettarci la progressiva scomparsa anche delle banche di dimensioni medie, con l’attività creditizia concentrata tra pochi grandi Istituti, e lo spostamento sempre maggiore verso il comparto assicurativo.

Non è un caso se non esistono più banche con sede in Abruzzo, fatte salve alcune piccole BCC alle quali finora le rigide normative europee non si applicavano. La situazione cambierà a breve, visto che con la riforma le BCC sono confluite obbligatoriamente all’interno di 2 Holding: in sostanza le attuali Banche di Credito Cooperativo rischiano di diventare filiali di grandi banche, soggette alle stesse regole ed ai medesimi vincoli degli altri istituti di credito, perdendo la loro tipicità. Per scongiurare questa eventualità, l’auspicio è che siano introdotti criteri di progressività per differenziare gli obblighi organizzativi e di vigilanza a carico dei singoli istituti in base alle loro dimensioni

Altro pesante adempimento a carico delle banche è rappresentato dagli accantonamenti a copertura dei crediti, il cui ammontare va peraltro a decurtare il patrimonio considerato ai fini del calcolo del coefficiente di solvibilità. Per ogni euro prestato le Banche devono accantonare una somma per garantirsi dal rischio di insolvenza, il cui ammontare varia dallo 0,50% per i crediti più sani, fino ad arrivare alla copertura integrale per quelli più difficili da recuperare.
Le ultime normative, da poco entrate in vigore, imporranno nuovi obblighi ed investimenti: le Banche saranno tenute ad ulteriori accantonamenti, arrivando progressivamente alla copertura integrale di tutti i crediti deteriorati.

In questa situazione le Banche si trovano pressoché costrette a svendere i crediti problematici, i cosidetti Non Performing Loans (e a volte assieme ai crediti vengono svenduti anche i lavoratori addetti alle attività di recupero), pur di liberare capitale e poter continuare ad operare. La percentuale stimata di recupero di un credito a sofferenza è intorno al 30%: i prezzi di vendita sono di molto inferiori.
Decisive, in questo senso, furono le scelte fatte in occasione della risoluzione delle 4 banche liquidate nel 2015. In quell’occasione si stabilì di valutare gli NPL al 17% del valore nominale, di fatto fissando quello da allora è stato considerato il loro valore di mercato. Di recente abbiamo visto vendere gli NPL anche al 10%, tanto era forte la necessità di liberare capitale: un enorme affare per chi compra, un danno pesante per le prospettive di redditività di chi vende.

Faccio un piccolo riepilogo: nel valutare una richiesta di credito una banca sa di rischiare, nel caso il debitore non riesca ad adempiere puntualmente, di dover destinare a quel prestito una somma doppia di quella effettivamente concessa, quindi con un minor introito in termini d’interessi. Inoltre, quel maggiore accantonamento comporterà un peggioramento del coefficiente di solvibilità, con l’eventualità di dover cedere quel credito ad un prezzo irrisorio.
In queste condizioni non sorprende il fatto che una banca non se la senta di scommettere su una nuova attività e finanziare un progetto di start-up. Per assurdo, il piccolo artigiano medievale che avevo inizialmente citato come esempio aveva maggiori possibilità di essere finanziato. E su questo qualche riflessione dovremmo farla.

Veniamo al nostro territorio.
Nel settore bancario l’occupazione è in forte calo. Tra il 2010 ed il 2018 il numero degli addetti è sceso mediamente dell’1,6% annuo a livello nazionale.

In provincia dell’Aquila la perdita di posti di lavoro viaggia ad un ritmo più che doppio rispetto alla media nazionale: nel periodo evidenziato (ho scelto di partire dal 2010 in quanto andare più indietro sarebbe stato poco significativo alla luce del sisma del 2009) l’occupazione bancaria cala del 3,3% annuo, segno di un progressivo disimpegno da parte dei grandi istituti rispetto al nostro territorio. Stiamo parlando di oltre 320 posti di lavoro persi.

Più o meno di pari passo procede la chiusura delle filiali: nel periodo interessato, in Provincia ne sono state chiuse 62 su un totale di 314.
Fra le tante considerazioni possibili, mi limito a farne una: in un territorio come il nostro la scelta di chiudere “la banca” in un centro montano diventa un ulteriore incentivo allo spopolamento.

A corollario di tutto ciò che ho detto finora, vediamo i dati sugli affidamenti alle imprese, che nel periodo esaminato evidenziano un calo complessivo superiore al 24%. Le piccole imprese sono le più penalizzate, con una riduzione di circa il 28%.

Di fatto si innesca un circolo vizioso: in un territorio in cui il numero di aziende attive diminuisce si riduce il credito alle imprese, ma la riduzione del credito alle imprese riduce il numero di aziende attive.

Ultimo dato. La provincia dell’Aquila è una provincia virtuosa per quanto riguarda la capacità di risparmio. La media di depositi pro-capite ammonta a € 20.946, appena al disotto della media nazionale ma al terzo posto in tutto il centro-sud dopo Roma e Avellino.
Questo dato è importante, perché ci permette di affermare che nel nostro territorio le banche prendono più di quello che danno: sono interessate a raccogliere soldi, ma non sono altrettanto interessate a ricambiare, vista la scarsa attenzione all’occupazione ed al sostegno alle imprese.

Avviandomi alla conclusione del mio intervento, consentitemi alcune riflessioni da rappresentante CGIL.

C’è un fatto evidente: gli istituti di credito si stanno allontanando da famiglie ed imprese, sia fisicamente con la riduzione degli sportelli, sia organizzativamente attraverso la progressiva eliminazione dei rapporti interpersonali e la loro sostituzione con algoritmi.
Ricordiamoci che ridurre le filiali significa tagliare fuori – non solo dal credito ma dai servizi bancari in genere – intere fasce di popolazione che per età, cultura e barriere linguistiche (pensiamo ai tanti residenti che provengono da altri Paesi), difficilmente possono usufruire a pieno di banche digitalizzate.

Investire nel territorio dovrebbe essere un dovere di ogni imprenditore: non per beneficenza, ma perché è impensabile che un’azienda possa prosperare se il contesto in cui opera si impoverisce. D’altro canto, investire in un territorio comporta la voglia di scommettere, di rischiare, di aspettare anni per raccogliere i frutti.
Tutto questo appare difficile nella società attuale, in cui la logica che si va affermando è quella del “Prima noi!” : “America first”, “Prima gli Italiani”, “Prima le regioni più ricche”, “Prima Pescara”, “Prima L’Aquila” e così via. Un mondo che non conosce più il concetto di collettività o di interesse comune.
Per quanto riguarda le Banche il motto è “Prima gli azionisti”. I manager devono portare risultati immediati, quindi non c’è tempo né voglia di investire sul futuro. Bisogna fare utili consistenti qui e ora, utili dei quali non beneficieranno i lavoratori che hanno contribuito a produrli, sempre più considerati come una spesa da tagliare, ma esclusivamente il capitale, che nelle nuove tecnologie sta vedendo realizzarsi il sogno di riprodursi autonomamente, senza la necessità di condividere i frutti.

Dovremmo interrogarci sulle conseguenze politiche e sociali di queste scelte. Si dice spesso che non ci si può opporre alle leggi dell’economia, e chi pensa di farlo è antico.

Provo a rispondere con le parole di Franklin Roosevelt, presidente che ebbe il merito di portare gli Stati Uniti fuori dalla grande depressione degli anni ’30:

Dobbiamo comprendere che le leggi economiche non sono fatte dalla natura. Sono fatte da esseri umani.”

 

Intervento di Luca Copersini, Segretario Provinciale Fisac/Cgil L’Aquila, al convegno    “L’Aquila e l’Abruzzo dentro l’Euro. Il ruolo della moneta unica e dei Trattati nella crisi economica e sociale della regione”,    svoltosi l’8 giugno 2019.




La storia infinita della riforma delle BCC

Se l’ennesimo tentativo di revisione della Riforma del Credito Cooperativo, che sembrerebbe realizzarsi attraverso gli emendamenti presentati nei giorni scorsi al disegno di legge fiscale in Senato accompagnati da dichiarazioni ed interpretazioni contraddittorie, che darebbero per scontata la non obbligatorietà per le Banche di Credito Cooperativo di aderire ad un Gruppo Bancario Cooperativo, dovesse davvero vedere concretizzata questa ipotesi, le conseguenze per l’intero Sistema del Credito Cooperativo potrebbero andare in netta contraddizione con gli intenti di chi propone gli emendamenti stessi.

Se davvero l’obiettivo fosse quello di preservare e rafforzare la mutualità ed il localismo delle Banche di Credito Cooperativo, sarebbe comprensibile la realizzazione di interventi utili al miglioramento della Riforma, ma non certo lo stravolgimento della stessa.

Vale la pena ricordare che la Riforma del Credito Cooperativo, avviata dagli inizi del 2015, ha visto la partecipazione di tutte le Parti Sociali interessate (tra cui le Organizzazioni Sindacali in audizione Parlamentare) ed in particolare quella della componente associativa del Sistema.

La partecipazione ed il contributo attivo di Federcasse sono stati così rilevanti al punto che la stessa Federcasse ha definito la Riforma come “Auto-Riforma”.  Ciò nonostante, a nostro avviso, una delle criticità della Riforma è proprio il mancato riconoscimento del ruolo istituzionale della componente associativa, che pure ha da sempre garantito la coesione e le peculiarità della Cooperazione di Credito.

Ora, vista la fase già avanzata del processo di costituzione ed avvio dei GBC, con i conseguenti investimenti che ne sono derivati e, considerato che l’avvio della Riforma è comunque tardivo rispetto a criticità già in atto, non è tempo di azioni che inibiscano il raggiungimento della necessitata stabilità e competitività dell’intero Sistema del Credito Cooperativo.

L’attuazione degli “Institutional Protection Schemes” (IPS), proposta oggi negli emendamenti, giunge anch’essa tardivamente; infatti il Credito Cooperativo già dal 2005 aveva immaginato di dotarsi, in maniera autonoma, di un simile strumento (Fondo di Garanzia Istituzionale) che però non si è mai completamente concretizzato, come pure ha riscontrato difficoltà attuative il Fondo di Garanzia Temporaneo previsto dalla riforma originaria.

Nell’attuale Riforma il sistema di garanzie incrociate previsto all’interno del Gruppo Bancario Cooperativo e gli obblighi in capo alla capogruppo riguardo la vigilanza prudenziale sulle banche aderenti, nel rispetto obbligatorio dei principi mutualistici, solidaristici e sussidiari propri del Credito Cooperativo, realizzano comunque adeguate garanzie.

Se davvero ad ispirare gli emendamenti presentati c’è la volontà di consentire alle Banche di Credito Cooperativo di continuare ad assistere le piccole e medie imprese, ditte individuali e famiglie, che sono l’asse portante dell’economia italiana, allora importante sarebbe che le attività del Governo e del Parlamento Italiano interessassero il Parlamento Europeo e la BCE al fine di mitigare gli effetti della normativa europea del “comprehensive assessment” rispetto all’attività delle Banche di Credito Cooperativo italiane e più in generale per la realizzazione del principio di proporzionalità in tutta la regolamentazione bancaria.

In tale contesto di assoluta indeterminatezza riteniamo indispensabile che si recuperino a tutti i livelli adeguate consapevolezze e certezze per costruire insieme il futuro possibile della cooperazione di credito nel nostro paese, valorizzandone le peculiarità e rafforzando l’originaria natura.

Uno degli elementi necessari perché ciò avvenga è il corretto coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori della categoria, intanto attraverso l’immediato rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.

Roma lì 15 novembre 2018

 

Il Coordinamento Nazionale FISAC CGIL Credito Cooperativo




BCC: attuazione della riforma e rinnovo del CCNL

Il futuro del Credito Cooperativo e della sua biodiversità

Sono trascorsi circa quattro anni dal primo tentativo del legislatore di riformare il Credito Cooperativo e dall’ultimo sciopero della categoria per rivendicare il rinnovo dei patti di lavoro.

Nel gennaio del 2015 il Governo, con un decreto legislativo, tracciava le linee programmatiche dell’intervento di riforma del TUB per il Credito Cooperativo che poi si sarebbe trasformato nel percorso di “autoriforma” completatosi con la Legge 8 aprile 2016 n. 49.

Nel marzo del 2015 le lavoratrici ed i lavoratori incrociavano le braccia in quello che era lo sciopero della consapevolezza: riappropriarsi di Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (dai quali Federcasse in maniera unilaterale aveva dato il recesso) e salvaguardare la specificità della cooperazione di credito ed il valore della democrazia economica.

Oggi, nonostante le dichiarazioni datoriali di soddisfazione per gli esiti della riforma del 2016, e nonostante le nostre continue sollecitazioni, constatiamo che nulla sembrerebbe essere cambiato:
riforma e contratto restano al palo!

L’incapacità, nei fatti, di fare sintesi tra le diverse componenti di questo sistema, unita al perseguimento, poco lungimirante, di evocate “autonomie” ha determinato una riforma arrivata tardi, disegnata da altri, che ancora oggi non si concretizza e resta in balia dei diversi governi che si succedono e delle diverse sollecitazioni che ad essi pervengono.
E’ auspicabile rivedere alcuni aspetti riguardanti ad esempio le regole del patto di coesione, il ruolo della parte associativa, così come i criteri di progressività e proporzionalità della valutazione del rischio in ciascuna BCC per affermare un modello bancario vicino al territorio e aderente alle sue esigenze, sarebbe invece dannoso, a questo punto, allungare eccessivamente i tempi di avvio della riforma.

Come FISAC CGIL abbiamo cercato di affrontare con grande senso di responsabilità il travagliato periodo di definizione della riforma e l’applicazione della nuova normativa europea (BAIL IN) in materia di fallimenti delle banche, comprese le BCC, incalzando continuamente Federcasse per un rinnovo necessario e non più rinviabile dei patti di lavoro e di adeguamento delle norme dell’ammortizzatore di settore.

In ciascuna azienda ed in ogni territorio, dove si sono verificate situazioni di crisi la FISAC CGIL ha sempre ricercato, coerentemente e senza speculazioni, le soluzioni previste dalla contrattazione nazionale e dalla legge, a difesa dell’occupazione e del reddito, evitando processi di mobilità territoriali e soprattutto difendendo la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.

Ancora oggi le criticità in molte aziende del Credito Cooperativo sono ben lontane dall’essere risolte ed il rinvio dell’attuazione della riforma rischia di aggravarle e di ritardarne la soluzione.

Avevamo proposto con forza, e siamo ancora convinti della sua utilità, l’apertura di un tavolo permanente di confronto fra le parti sociali che avesse come tema sia il percorso di riforma, che il rinnovo dei CCNL e la revisione del regolamento del Fondo di settore.
Invece la mancata informativa dei piani industriali da parte, prima di Federcasse e poi delle capogruppo, le ingiustificate dichiarazioni di fantasiosi numeri di esubero di lavoratori nella categoria, i tentativi di smantellare i contratti collettivi di categoria ed i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, hanno reso impossibile qualsiasi confronto utile al rinnovo dei contratti ed alla gestione condivisa ed omogenea delle criticità.

Rivendichiamo con forza quello che abbiamo sempre affermato:

“La riforma si fa con le lavoratrici ed i lavoratori del Credito Cooperativo NON contro di loro”

Riforma e Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, rilancio di relazioni industriali improntate alla partecipazione, alla responsabilità ed al fattivo confronto sono dunque oggi una priorità inderogabile.
E’ ora il momento di abbandonare qualsivoglia strumentalizzazione per affrontare finalmente:

  • la salvaguardia occupazionale;
  • la valorizzazione del lavoro, del reddito e dello sviluppo delle professionalità;
  • lo sviluppo del sistema Credito Cooperativo;
  • la salvaguardia di un modello di democrazia economica.

Ci aspettiamo che Federcasse riapra al più presto il confronto per il rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, insieme alla rivisitazione dell’ammortizzatore sociale di settore (Fondo di Sostegno al Reddito) che va reso rispondente alle esigenze della categoria, efficace ed effettivo, abbandonando qualsivoglia tentativo di trovare soluzioni originali che gravino sui lavoratori. Come pure è indispensabile affrontare e risolvere le ripercussioni che la riforma potrebbe implicare in tema di previdenza ed assistenza sanitaria integrative a carattere di solidarietà nazionale.

Non permetteremo che il mancato rinnovo dei CCNL fornisca alibi a chiunque. Ribadiamo che la contrattazione collettiva di categoria ha contribuito a tenere insieme fino ad oggi questo variegato ed originale sistema creditizio che, con tutti i suoi limiti, ha svolto e svolge ancora un ruolo importante a supporto dell’economia reale del nostro paese, con l’apporto indispensabile delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.

Se sarà necessario, insieme alle altre organizzazioni sindacali, valuteremo opportune iniziative di mobilitazione.

Roma luglio 2018

Il Coordinamento Nazionale FISAC CGIL Credito Cooperativo
Michele CERVONE – Fabrizio PETROLINI

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BCC, sulla riforma solo ritocchi

La riforma delle banche di credito cooperativo non sarà sospesa: subirà solo alcuni “ritocchi”, dando più tempo agli istituti per aderire ai gruppi bancari. Lo ha spiegato ieri in Senato, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Una decisione non in linea con Lega e M5S, che chiedevano di fermare l’iter con una moratoria ad ampio raggio. “Significa eliminare la riforma, ma non sembra che questa richiesta provenga dalla maggioranza del credito cooperativo”, ha tagliato corto il ministro, che punta a evitare interventi drastici per far poi pesare a Bruxelles il suo no al pacchetto sull’unione bancaria.

Nel 2016 il governo Renzi ha approvato la riforma che impone alle 300 e dispari Bcc di aderire a una capogruppo. Il testo è stato scritto da Bankitalia pensando che tutte le banche avrebbero aderito a Iccrea holding, braccio operativo della Federcasse, storico feudo romano che ha dettato legge nel sistema cooperativo. Molte Bcc, le più sane, hanno invece aderito alla trentina Cassa Centrale Banca, mentre quelle altoatesine hanno creato, grazie a un’apposita deroga (tornata utile per candidare Maria Elena Boschi a Bolzano) al gruppo provinciale Raiffeisen. Il guaio è che finiranno sotto la vigilanza della Banca centrale europea, le cui rigide regole sulla valutazione della clientela renderebbero complicata la vita a molti istituti. Per questo Lega e M5S hanno chiesto una moratoria, trovando favorevoli soprattutto le Bcc altoatesine (che rischiano anche loro di finire sotto la vigilanza della Bce).

Secondo Tria non si può più tornare indietro. Anche perché Francoforte e Bankitalia, per mettere pressione al governo hanno accolto nei giorni scorsi la candidatura delle tre capogruppo. Probabile invece che venga solo allungato – via decreto – il tempo a disposizione degli istituti per aderire ai gruppi. Nel mentre sarebbero possibili, secondo il ministro, almeno due modifiche: la prima è rivedere la soglia di capitale delle capogruppo in mano alle Bcc aderenti, fissato al 51% da Bankitalia, alzandolo al 60-70%, cifra inizialmente prevista ma fermata da Via Nazionale, preoccupata di rendere appetibili i gruppi agli investitori esteri; la seconda è alleggerire per le sole Bcc i nuovi requisiti professionali per gli amministratori delle banche previsti dalla direttiva Ue Crd IV, che però l’Italia non ha mai applicato visto che il Tesoro tiene chiuso nel cassetto il decreto attuativo da oltre due anni.

Nelle scorse settimane, Bankitalia ha ammesso che la vigilanza della Bce sarebbe un problema non da poco. Da mesi il sistema del credito cooperativo è scosso da tensioni interne: chi ha voluto la riforma oggi tentenna e viceversa. Il problema più urgente, però, è che diverse Bcc se la passano male. Secondo una mozione della Lega un terzo sono “ad alto rischio” e un quarto “mediamente a rischio”. Anche i sassi sanno che la spinta di Bankitalia alla riforma, più che da un progetto sistemico, nasce dalle tante situazioni di crisi lasciate incancrenire a lungo.

Secondo i dati di Via Nazionale, a dicembre 2017 il credito cooperativo vantava 22,6 miliardi di crediti deteriorati su 131 totali erogati alla clientela, il 17,2%, sopra la media del sistema bancario scesa al 14,1%, anche se i numeri sono in miglioramento. Il numero di Bcc si è notevolmente ridotto dalle quasi 400 di qualche anno fa. Si stima che entro un anno scenderà a poco più di 200. Solo Cassa Centrale Banca, per dire, dalle iniziali 115 Bcc aderenti è scesa a 95 e calerà entro l’anno a 90 per effetto delle fusioni messe in atto per salvare quelle in difficoltà. Iccrea affronta una situazione anche più complessa. Secondo i dati comunicati in un incontro di ottobre con Bankitalia e Bce, a giugno 2017 le circa 160 Bcc aderenti al suo gruppo avevano nel complesso 18 miliardi di crediti deteriorati, il 19,8% del totale, coperti con accantonamenti più bassi rispetto alla media del sistema cooperativo. I giudizi ispettivi di Bankitalia sul 2016 e il primo quadrimestre 2017 si sono chiusi nel 43,9% dei casi mettendo la banca nell’“Area di attenzione” (rischiano di essere commissariate dalla capogruppo) e nel 10% con esito “sfavorevole”, condizione che di norma porta alla richiesta di fondersi con un istituto più solido.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 18/7/2018

 

leggi anche:

https://www.fisaccgilaq.it/bcc/credito-cooperativo-pronti-ad-attuare-la-riforma.html

 

https://www.fisaccgilaq.it/bcc/bcc-la-riforma-deve-fermarsi-governo-pronto-al-decreto.html

 




Bcc, la riforma deve fermarsi. Governo pronto al decreto

Il governo punta a congelare la riforma delle banche di credito cooperativo (Bcc). Il ministro dell’Economia Giovanni Tria dovrebbe annunciare, forse già in settimana, una moratoria per l’applicazione della riforma renziana che, per quegli strani giri di potere delle riforme dettate d’urgenza, oggi non ha più padri. Chi l’ha voluta, la Banca d’Italia, frena; chi l’ha approvata, il Pd a trazione renziana, tace ma nei territori tifa per lo stop. L’obiettivo del governo è però più pragmatico: sottrarre i nuovi gruppi alla vigilanza della Bce. Andiamo con ordine.

A febbraio 2016 il governo Renzi ordina per decreto alle oltre 360 Bcc di aderire a una capogruppo visto che, denuncia Bankitalia, il credito cooperativo è afflitto da degenerazioni clientelari. Renzi acconsente, ma ritaglia una controversa deroga per chi non vuole confluire nel cappello unico (di cui approfitterà la Bcc di Cambiano cara a lui e Luca Lotti) e una pure per le Casse Raiffeisen in Trentino Alto Adige consentendo loro di farsi un gruppo provinciale (la cosa è piaciuta alla Südtiroler Volkspartei ed è tornata utile per candidare Boschi a Bolzano).

Il testo viene scritto a Via Nazionale pensando che tutte le Bcc si sarebbero fuse dentro Iccrea Holding, braccio operativo della Federcasse, storico feudo romano-democristiano che per anni ha tessuto indisturbata le degenerazioni che ora Bankitalia scopre. A sorpresa la Cassa Centrale Banca di Trento, punto di riferimento delle Raiffeisenkasse, si è candidata a fare un secondo gruppo, alternativo al colosso nazionale. Le Bcc più sane, temendo di finire stritolate nella spartizione romana, hanno scelto la secessione trentina. Oggi cira 160 Bcc sono con Iccrea; 90 con Ccb. Problema: viste le dimensioni, i due gruppi finiranno sotto la vigilanza della Banca centrale europea.

La cosa è a questo punto: ad aprile le due capogruppo hanno presentato la candidatura a Bankitalia e Bce, che hanno 120 giorni per decidere. In teoria c’è tempo fino a settembre, ma la vigilanza di Francoforte sembra voler accelerare. Il premier Giuseppe Conte si è detto favorevole a una revisione e la Lega ha presentato una mozione per chiedere la moratoria. A sorpresa, nei giorni scorsi il dg di Bankitalia, Salvatore Rossi, ha ammesso che il passaggio dei nuovi gruppi alla vigilanza di Francoforte sarebbe un problema: “È possibile che stia emergendo, in virtù dell’applicazione dei requisiti patrimoniali pensati per le banche ‘significant’, la circostanza che i costi della riforma così congegnata possano superare i benefici”. Ha corretto il tiro qualche giorno dopo: “Continuiamo a ritenere la riforma opportuna”.

La questione della vigilanza è in realtà più complessa dei requisiti patrimoniali. C’è il rischio che alle singole Bcc dei due gruppi (le bolzanine sono in teoria escluse) vengano applicate le rigide regole del Comprehensive Assessment, il meccanismo con cui la Bce verifica lo stato di salute delle grandi banche. Tra questi ci sono i sistemi di valutazione della clientela (rating) pensati per le grandi industrie, ma le Bcc finanziano prevalentemente artigiani, ditte individuali e micro-imprese: molte di loro, specie al Sud, sarebbero costrette ad abbandonare la clientela.

Per evitarlo il governo è di fronte a un bivio: tornare indietro o negoziare una deroga sistemica con la Bce (oggi riservata a singole banche). La prima strada è quella proposta da Lega e 5Stelle, che spingono per gli Ips (institutional protection schemes), sistemi di mutua protezione e garanzia tra banche associate usate dagli istituti locali tedeschi (Sparkassen e Volksbanken), che infatti sono fuori dalla vigilanza Bce. L’ipotesi Ips non è nuova ma per anni ha diviso il mondo delle Bcc. Oggi quelle più sane temono di dover pagare per quelle malandate (circa il 10% del totale, secondo Mediobanca). Per dare l’idea, il fondo di garanzia temporaneo previsto dalla riforma è stato bloccato dopo che era intervenuto per aiutare alcune banche da cui provengono i vertici di Iccrea Holding.

In questo caos succedono cose strane: chi era contrario alla riforma ora la difende e viceversa. Le Bcc bolzanine, le più tutelate, premono per lo stop visto che – risulta al Fatto – la Bce ha fatto intendere di considerare il gruppo provinciale ugualmente “significant”; Federcasse e Ccb si schierano invece per la prosecuzione.

Venerdì scorso l’associazione “Articolo 2” di San Casciano ha comprato un pagina sul Corriere per chiedere al governo di fermare la riforma. Tra i suoi fondatori – rivela il Gazzettino del Chianti – ci sono pure gli ex vertici di Chianti Banca vicini alla Federcasse toscana guidata da Matteo Spanò, amico d’infanzia di Matteo Renzi, che adesso non spende una parola per difendere la sua riforma.

 

Articolo di Carlo Di Foggia sul Fatto Quotidiano del 24/6/2018