Seduzioni governative verso la “Supply Side Economics”?

John Fitzgerald Kennedy, in un messaggio all’ONU del 25 settembre 1961, nel periodo più caldo della guerra fredda, non ebbe paura di dire che “L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità”.

Lo stesso, nell’anno successivo, quando indusse l’industria siderurgica a ritrattare gli aumenti dei prezzi mentre il governo americano imponeva l’avvio di grandi iniziative pubbliche come le missioni spaziali, la guerra alla miseria ed i programmi assistenziali (medicare e medicaid), fece la seguente battuta poco edificante per il sistema economico degli USA: “tutti gli uomini di affari sono bastardi”.

Ora queste due affermazioni sembrano di grande attualità ed utilità in quanto ci portano a chiederci se è vero o non è vero che la guerra sia provocata dalla logica capitalistica del profitto a qualsiasi condizione e in qualunque modo.  Finita la guerra fredda, l’economia presenta una crescita economica lenta nel mondo industrializzato, unito alla stagnazione o addirittura alla flessione dei redditi della maggioranza dei lavoratori con una crescente disuguaglianza, segnale anche di una altra tendenza che rappresenterà anche essa un fattore scatenante della nuova crisi del capitalismo, ossia l’aumento insostenibile dell’indebitamento dei lavoratori medi.

Molti avevano riposto fiducia a fine secolo sulla nascita e sullo sviluppo dell’industria dell’high tech e della conseguente nuova economia di servizi, ma i fatti hanno dimostrato che anche su queste ha dominato l’ascesa del settore finanziario, con la sua prosperante supremazia sui settori dell’economia reale che producono beni e servizi e lavoro. Come soluzione l’America ha accantonato la ragione per lasciare spazio alla fede nella Supply Side Economics o economia delle offerte. Questa è divenuta la fede ufficiale della libera impresa abbracciata con entusiasmo dall’amministrazione Reagan. Infatti, gli economisti del supply side si erano impadroniti della politica fiscale USA sostenendo talaltro la singolare tesi che abbassare le imposte avrebbe stimolato (o incentivato, per usare il termine da essi amato e che oggi qualche nostro politico si pregia di utilizzare) l’economia ad un livello tale che un taglio colossale delle tasse (imposte dirette) avrebbe nientemeno determinato il pareggio di bilancio (ovviamente attuando anche forti riduzioni della spesa pubblica). In questa follia collettiva, spunta anche la figura populista dell’uomo d’affari, di un valoroso venuto su dal nulla, un vero eroe popolare del sistema della libera impresa in grado di aiutare tutti, comprese le minoranze etniche ispano-americane.

I fatti, ossia il forte aumento del deficit nazionale USA durante le amministrazioni Reagan e Bush, hanno smontato il caposaldo teorico della supply side economy, secondo cui riducendo fortemente le aliquote delle imposte sui redditi si stimolerebbe un conseguente aumento dei redditi e dei consumi al punto che, anche riducendo le tasse, il gettito fiscale sarebbe sufficiente a compensare tale riduzione. Quale che sia l’andamento della spesa pubblica, i tagli alle imposte da un lato possono forse stimolare la crescita dei redditi, ma dall’altro è certo che, aumentando i redditi disponibili, non si ottengano dei risultati soddisfacenti, in quanto i maggiori introiti vengono destinati dai lavoratori medio-alti sia alla spesa che al risparmio privato, e dai redditieri, nella nuova economia globale, principalmente per pagare l’importazione (di beni e servizi di pregio). A giustificazione di quanto detto è risultato che, durante la Presidenza Reagan, si è avuto un aumento del deficit pubblico e del disavanzo al bilancio commerciale (addirittura quadruplicato).

Ovviamente, questa politica, fornendo una scusa socialmente accettabile per ridurre le imposte, nel tranquillizzare le coscienze è divenuta un potente strumento per raccogliere consensi e finanziamenti per il partito repubblicano, in particolare tra le persone benestanti. Ora, possiamo dire che non sono in errore coloro che sostengono che la globalizzazione renda l’economia dell’offerta ancora più nociva per la collettività di quanto dimostri il suo recente passato perché il suo caposaldo, che si basa sulla tesi di imposte basse per stimolare l’aumento dei redditi e di conseguenza il gettito fiscale, è contraddetto dal semplice fatto che una percentuale considerevole del denaro non versata al fisco viene indirizzata sull’estero per l’acquisto di beni e servizi. Eppure sembra che, anche nei nostri giorni, il capitalismo nordamericano torni ad imporre ai paesi politicamente satelliti (deboli) questa azzardata politica economica. Infatti, su queste logiche siamo oramai bersagliati a casa nostra a livello mediatico dai partiti al governo, i quali rivendicano in continuità di avere effettuato il taglio delle tasse più importante degli ultimi decenni (vedi Ansa, il Sole 24 Ore, ecc.), arrivando a parlare di pizzo di stato e di condoni tombali, in una logica di meno tasse uguale più redditi per tutti.

Forse rammentare quanto accaduto nel recente passato in gran parte dei paesi dell’America Latina può essere illuminante.  L’Argentina, ad esempio, ha subito ripetute svolte reazionarie che hanno provocato violente tensioni sociali. Le dittature militari, instaurate con il supporto nordamericano, hanno seguito come obiettivo economico la riduzione drastica delle retribuzioni reali e una energica riduzione delle spese pubbliche, sia in termini di spese sociali, che di infrastrutture e promozione dello sviluppo industriale, in linea con la politica neoliberista ispirata alle teorie di Milton Friedman. Inoltre, sono stati progressivamente ridotti i dazi protettivi per facilitare le importazioni nordamericane, con conseguente flessione dell’industria manifatturiera e fallimento di un certo numero di imprese, il tutto per stremare un settore nel quale le masse operaie potevano ancora esercitare pressioni sulla classe dirigente. In sintesi, mentre da un lato si è prodotto il ristagno delle retribuzioni, la flessione dell’occupazione, l’arresto nello sviluppo dell’industria manifatturiera, dall’altro è stato dato un forte sostegno all’industria mineraria e all’agricoltura nelle mani del grande capitale, con un aumento dei redditi dei capitalisti e delle aziende familiari. Purtroppo sono diminuite le produzioni di beni di consumo popolare e sono aumentate quelle degli altri beni, in particolare dei beni di importazione.

In altre parole, la politica di sostituzione delle importazioni con produzione interne, che nel passato era stata seguita con successo, è stata soppiantata da una politica di sostituzione di certe produzioni interne con importazioni, e di conseguenza è cresciuto il deficit della bilancia commerciale. Questo deficit, per un certo periodo, è stato colmato da un afflusso netto di capitali che sono entrati nel paese, sia per la stabilità politica assicurata dalla dittatura, sia per gli alti guadagni attesi. Purtroppo, il forte spostamento del reddito nazionale a favore dei redditi capitalistici e contro i redditi da lavoro implica interessi crescenti e questo afflusso di capitali di debito ha comportato a mano a mano un enorme onere, sotto forma di un servizio del debito (per ammortamenti e interessi), che ha attivato una spirale che ha reso via via più critica la situazione economica del paese fino al fallimento. Non possiamo non ricordare che oggi tra i paesi con i più onerosi servizi del debito troviamo anche il nostro, il quale, nonostante il collocamento continuo dei titoli del tesoro, vive condizioni finanziarie difficili, poiché l’indebitamento con l’estero è principalmente la conseguenza di impieghi speculativi incentivati dagli alti interessi reali. E’ superfluo rammentare che la distinzione tra impieghi propriamente produttivi e impieghi speculativi è data semplicemente dal fatto che sono impieghi produttivi quelli che danno luogo ad un aumento del reddito nazionale, mentre sono investimenti speculativi quelli che in sé e per sé comportano solamente una redistribuzione del reddito a vantaggio di alcuni (capitalisti) e a danno di altri (la massa dei lavoratori consumatori), e non un suo accrescimento.

Morale della favola, la politica della riduzione delle tasse alle classi agiate (imposte dirette) e la tolleranza dell’evasione fiscale significa unicamente accettare di intraprendere un viaggio senza ritorno.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale
Fisac Chieti




Riduzione Cuneo Fiscale: le nuove indicazioni dell’INPS

Via libera dell’Inps all’applicazione della riduzione del cuneo fiscale previsto dal DL 3/2020 in sostituzione del cd. “bonus Renzi” sui trattamenti economici dei quali l’Istituto è il sostituto d’imposta. L’Istituto fornisce tutte le indicazioni utili del caso.


Riduzione Cuneo Fiscale: le nuove indicazioni dell’INPS arrivano con la Circolare numero 96/2020.

I chiarimenti riguardano gli effetti previsti dal DL 3/2020 convertito con legge 21/2020 riguardante proprio il taglio al cuneo fiscale.

Riduzione Cuneo Fiscale: i chiarimenti dell’INPS

I chiarimenti riguardano il meccanismo che il legislatore ha introdotto dal 1° luglio 2020, in luogo del bonus di 80 euro del Governo Renzi, a favore dei percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilati di importo non superiore a 28mila euro.

Si tratta di:

  • un trattamento integrativo del reddito di 100 euro mensili (600 euro nel 2020, 1200 annui dal 2021)
  • e una detrazione dall’imposta lorda di carattere temporaneo (dal 1° luglio al 31 dicembre 2020) pari a 600 euro in corrispondenza di un reddito complessivo di 28.000 euro che decresce linearmente fino ad azzerarsi al raggiungimento di un livello di reddito pari a 40.000 euro.

Soggetti beneficiari e soggetti esclusi

I beneficiari del trattamento integrativo e dell’ulteriore detrazione sono i soggetti che percepiscono le seguenti tipologie di reddito:

  • redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 49, comma 1 e comma 2, lett. b), del TUIR;
  • redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui al comma 1 dell’articolo 50, del TUIR appartenenti alle seguenti categorie:
    • compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative (lett. a);
    • indennità e compensi percepiti a carico di terzi dai lavoratori dipendenti per incarichi svolti in relazione a tale qualità (lett. b);
    • somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o addestramento professionale (lett. c);
    • redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (lett. c-bis);
    • remunerazioni dei sacerdoti (lett. d);
    • prestazioni pensionistiche di cui al D.lgs 21 aprile 1993, n. 124, comunque erogate (lett. h-bis);
    • compensi per lavori socialmente utili in conformità a specifiche disposizioni normative (lett. l).

Per espressa previsione normativa sono esclusi dai benefici fiscali in questione

  • i titolari dei redditi da pensione di cui all’articolo 49, comma 2, lett. a), del TUIR,
  • e i titolari di redditi assimilati a lavoro dipendente diversi da quelli richiamati dal decreto-legge in commento.
  • Sono altresì esclusi i titolari di redditi professionali e, in ogni caso, i redditi prodotti da titolari di partita IVA in forma autonoma o di impresa.

Soggetti incapienti

Infine l’articolo 128 del decreto-legge n. 34/2020 ha previsto, inoltre, che il credito di 80 euro del “Bonus Renzi” spettante fino al 30 giugno 2020 e il trattamento integrativo di 100 euro spettante a decorrere dal 1° luglio 2020 siano riconosciuti a favore dei soggetti cd. incapienticioè

  • di coloro che hanno un reddito di lavoro dipendente o assimilato non superiore a 8.174 euro lordi
  • e che abbiano percepito i trattamenti di integrazione salariale da COVID 19 (CIGO, ASO e CIGD) o fruito del congedo COVID 19.

A questo link il testo completo della Circolare.

 

Fonte: www.lentepubblica.it




Da luglio meno tasse per lavoratori e lavoratrici


E’ il risultato della lotta e della mobilitazione del sindacato. A partire da luglio 16 milioni di lavoratori avranno un taglio dell’Irpef.

  • Tutti coloro che già percepiscono il ‘bonus 80 euro’avranno diritto ad un ulteriore taglio delle tasse di 240 euro l’anno.
  • Chi percepisce tra i 24.600 e i 28.000 euro, avrà diritto ad un beneficio fino a 100 euro al mese.
  • Chi guadagna tra i 28.000 e i 35.000 euro avrà una detrazione di almeno 80 euro mensili.
  • Chi ha una retribuzione annua tra i 35.000 e i 40.000 euro potrà usufruire di una detrazione mensile che si abbassa gradualmente.
  • I lavoratori che guadagnano fino a 12.500 euro non pagheranno l’Irpef.

E’ un primo importante passo. Bisogna continuare a tagliare le tasse ai lavoratori e cominciare a tagliarle anche ai pensionati.

Il Governo ci convochi per discutere di una riforma fiscale equa e progressiva.

 

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