Crolla il potere d’acquisto delle famiglie abruzzesi

Tra prima e dopo la pandemia il dato è sceso del 4,5%, in Italia un calo peggiore solo nel Veneziano Ogni cittadino ha perso 350 euro di reddito annuo, la provincia si conferma la più povera d’Abruzzo


Con la pandemia ogni cittadino dell’Aquilano ha perso in media 350 euro di reddito annuo, confermandosi non solo il più povero in Abruzzo ma risultando anche tra i più colpiti in Italia dalle conseguenze economiche del Covid. A scattare questa fotografia impietosa sull’impoverimento degli aquilani è il recente report sul 2021 realizzato dalle Camere di commercio, attraverso i dati e i calcoli del Centro studi Tagliacarne e di Unioncamere.

A pesare sono soprattutto gli effetti dei lockdown nelle aree più dipendenti dall’economia turistica e in particolare in quelle che vivono di turismo invernale e sciistico. Non a caso, la regione in cui il potere d’acquisto delle famiglie è calato maggiormente – nel rapporto tra reddito e prezzi dei prodotti – è la Valle d’Aosta (-3,9%), poi viene l’Abruzzo(-2,2%). È proprio l’Aquilano ad abbassare il dato regionale, con il suo crollo del 4,5% nelle risorse disponibili per le famiglie, dato che è secondo in assoluto a livello nazionale, dietro solo al Veneziano e a pari merito con il Riminese e il Fermano. Male anche Pescarese e Teramano, che sono subito dietro l’Aquilano. In Abruzzo soltanto le famiglie del Chietino hanno visto una crescita con la fine della fase più dura dell’emergenza sanitaria.

Il crollo del potere d’acquisto delle famiglie dell’Aquilano registrato nell’anno 2021 – quindi prima della fase acuto della crisi energetica – è dovuto soprattutto alla riduzione del reddito. Secondo l’analisi delle Camere di commercio, in provincia il reddito disponibile per ogni cittadino (numero che è la somma dei redditi da lavoro, da capitale/impresa, da prestazioni sociali e trasferimenti, al netto di imposte e contributi), è sceso da una media di 15mila euro a una di 14.650. Un reddito nettamente più basso rispetto a quello di tutti gli altri abruzzesi: un teramano guadagna in media 2.600 euro in più, un pescarese oltre tremila euro in più, un chietino quasi quattromila euro in più.


Fonte: Il Centro

 




Il 15 dicembre sciopero generale ultime 4 ore di lavoro

SCIOPERO PERCHE’
Una legge di Bilancio contro il lavoro, sbagliata e da cambiare


NOI CHIEDIAMO

  • di aumentare i salari detassando gli aumenti dei contratti nazionali, portando la decontribuzione al 5% per i salari fino a 35.000 euro per recuperare almeno una mensilità, e introducendo un meccanismo automatico di indicizzazione delle detrazioni all’inflazione (così detto recupero del drenaggio fiscale);
  • di conferire tutele a tutte le forme di lavoro, assegnando ai CCNL un valore generale, sancendo così anche un salario minimo e diritti normativi universali;
  • di eliminare le forme di lavoro precario per un unico contratto di inserimento al lavoro con contenuto formativo;
  • una riforma fiscale che rispetti il principio della progressività;
  • la tassazione degli extraprofitti che generi risorse per un contributo straordinario di solidarietà;
  • la rivalutazione delle pensioni;
  • risorse per il diritto all’istruzione, per la sanità che ha affrontato e sta affrontando gli effetti drammatici della pandemia;
  • di cancellare la Legge Fornero e introdurre: l’uscita flessibile dal lavoro a partire dai 62 anni, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e “povere”, il riconoscimento del lavoro di cura, il riconoscimento delle differenze di genere, l’uscita con 41 anni di contributi.

Per la CGIL, in coerenza con le piattaforme unitarie, sono necessarie:
riforme vere, ispirate dai criteri di solidarietà e giustizia sociale, fondate sulla qualità e la stabilità del lavoro, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e su nuove politiche industriali ed energetiche capaci di prospettare un futuro per il Paese, sulla trasformazione digitale e la riconversione verde, su uno stato sociale più forte e qualificato.

IL GOVERNO INVECE

  • proprio mentre l’inflazione sta mangiando il potere d’acquisto di retribuzioni e pensioni, premia gli evasori e, con la flat tax fino a 85.000 euro per il lavoro autonomo, rende ancora più ingiusto il sistema fiscale, sempre più scaricato sul lavoro dipendente, che a parità di reddito paga il triplo;
  • trasforma le tasse sugli extraprofitti frutto della speculazione sul caro energia in “contributo di solidarietà straordinario” e cambia platea e metodo di calcolo, riducendo gli 11 mld, attesi dalla tassazione di Draghi, a 2,6 mld;
  • aumenta la precarietà di giovani, donne, nel Mezzogiorno, allargando l’utilizzo dei voucher, che considerano il lavoro merce, senza diritti e senza tutele;
  • taglia le risorse a sanità e scuola, che pagano pesantemente il prezzo dell’inflazione;
  • colpevolizza e colpisce i più poveri, andando verso l’abolizione del reddito di cittadinanza;
  • non stanzia adeguate risorse per i rinnovi contrattuali pubblici e per il trasporto pubblico;
  • cambia il meccanismo di adeguamento delle pensioni all’inflazione e rende ancora più penalizzante e discriminante l’opzione donna; si peggiora la situazione attuale con quota 103 che prevede i due requisiti: 62 anni di età e 41 di contributi.

Ci mobilitiamo per una Legge di Bilancio più giusta per le persone, più utile per il Paese.

 

 

 

 




I dividendi crescono 20 volte più dei salari (e fanno salire i prezzi)

Giù il potere d’acquisto del lavoro, vince la rendita. In Europa pure la Bce dice: gli utili spingono l’inflazione


Casomai a qualcuno fosse venuto in mente che forse, magari, anche la rendita finanziaria stesse pagando la crisi dei prezzi, ecco no, non sta andando così.

Quelli che vedete sono dati elaborati dalla European Trade Union Confederation (Etuc), la confederazione dei sindacati europei, che mostra come i dividendi staccati nella sola Unione europea nel secondo trimestre 2022 siano cresciuti rispetto al 2021 a una velocità sette volte maggiore rispetto agli stipendi.

In Italia va pure peggio: le cedole per gli azionisti sono salite di uno spettacoloso 72,2%, venti volte più dei salari, previsti in aumento del 3,7% anno su anno, per una volta in linea con la media europea (3,8%). Ovviamente, visto che l’inflazione ormai flirta con la doppia cifra un po’ in tutto il continente, ne consegue che i salari stanno perdendo un’enormità di potere d’acquisto, chi estrae profitti dalle aziende quotate invece sta battendo la dinamica dei prezzi di tre volte almeno (e di otto volte e mezza in Italia).

Qualcuno potrebbe pensare: dati inaffidabili, sono i sindacati che ci marciano. Non è così, nel senso che l’inflazione e la dinamica salariale attesa sono dati ufficiali dell’Ue, l’analisi sui dividendi è ripresa dal “Global Dividend Index” del colosso angloamericano di asset management Janus Henderson, che certo non è contrario all’aumento dei dividendi. E che dice l’aggiornamento di agosto di questo Global Index? Che nel secondo trimestre 2022 le 1.200 aziende quotate più grandi al mondo hanno distribuito cedole per la bellezza di 544,8 miliardi di dollari, l’11,3% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno prima; che il 94% del campione ha aumentato o confermato i dividendi precedenti; che l’Europa è stata una delle chiavi di questo aumento globale col suo 28,7% di crescita; infine che sono stati non sorprendentemente i settori Oil&Gas, materie prime e finanziario a staccare gli assegni più grossi.

E l’Italia? “Più della metà del +72,2% dei dividendi italiani è venuta dal settore bancario”, scrive Janus Henderson, ma anche la Atlantia dei Benetton è tornata a “dividendi vicini ai livelli pre-pandemia”, per non parlare dell’Eni. Riassunto: “I dividendi italiani sono in corsa per un anno record” (nonostante il dollaro forte).

Può sembrare solo l’ennesima prova di un sistema basato su crescenti disuguaglianze, ma non è solo questo: nel folle periodo seguito alle riaperture post-Covid, i profitti delle aziende sono stati un fattore anche per la crescita globale dell’inflazione. Non è una teoria da pazzoidi, tanto che l’ha sostenuta la stessa Bce: “Molte aziende sono state in grado di espandere i propri profitti unitari in un contesto di eccesso di domanda globale nonostante l’aumento dei prezzi dell’energia” e “in media, i profitti hanno recentemente contribuito in modo chiave all’inflazione interna totale, al di sopra del loro contributo storico”, ha detto a fine maggio Isabel Schnabel, economista e membro tedesco del board della Banca centrale europea.

È ora di mettere fine a questa truffa”, è il commento dell’irlandese Esther Lynch, vicesegretaria dell’Etuc: “Ai lavoratori viene detto che non è il momento per un aumento di stipendio, intanto gli azionisti stappano champagne. È un doppio insulto perché le aziende che non riescono a dare ai lavoratori un dignitoso aumento salariale, e quindi li condannano a perdere potere d’acquisto, stanno anche facendo salire l’inflazione”. Una situazione semplicemente “inaccettabile”, dice il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri: “Quando più di un anno fa la Uil ha iniziato a chiedere la tassazione degli extraprofitti qualcuno ci ha insultato. Oggi è evidente a tutti che è questo uno dei principali strumenti per arginare la deriva economica e i danni sociali che siamo costretti a subire. Bisogna agire subito e con assoluta determinazione”.

Come forse è scontato, non tutti sono d’accordo. Ieri al meeting di Cernobbio il presidente di Intesa SanPaolo Gian Maria Gros-Pietro s’è detto invece preoccupato della “spirale prezzi-salari”, cioè che una eccessiva crescita degli stipendi possa far salire i prezzi in una sorta di circolo vizioso. Gli azionisti di Intesa hanno maturato 1,6 miliardi di dividendi solo nel primo semestre 2022.

 

Articolo di Marco Palombi su Il Fatto Quotidiano del 3 settembre 2022




Il donatore di lavoro

Non si trova più nessuno che abbia voglia di lavorare”.

Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase da parte di imprenditori, in gran parte del settore turistico e alberghiero (ma non solo), disperati perché, a loro dire, il nostro è un paese di fannulloni divanisti che preferiscono starsene a casa e godersi le faraoniche elargizioni del reddito di cittadinanza?

Come dar torto ai nostri imprenditori illuminati? Lavorare dev’essere considerato un privilegio, un’occasione per fare esperienza, per arricchire il curriculum. I soldi sono un aspetto secondario: anzi, guai a presentarsi ad un colloquio di lavoro chiedendo l’ammontare dello stipendio.

I tempi sono cambiati, ed è ora di cambiare anche il linguaggio, retaggio di tempi bui in cui si pensava che il lavoro desse dignità e consentisse di fare progetti per il futuro. Oggi non c’è più il datore di lavoro. Oggi bisogna parlare di Donatore di lavoro.

Il Donatore di lavoro è quello che permette di lavorare per 10 ore al giorno, offrendo magari la bellezza di 800 euro mensili. Ed ha ragione a prendersela con il reddito di cittadinanza: senza questo maledetto sussidio potrebbe offrirne 500.

Il Donatore di lavoro non si preoccupa della sicurezza dei suoi dipendenti: in fondo, quando lui ha cominciato a lavorare , le condizioni erano ben peggiori. E chi lavora per lui deve ringraziarlo anche per questo, visto che gli permette di essere sempre vigile e non annoiarsi. E se poi qualcuno si fa male la colpa non è mai del Donatore: è una tragica fatalità.

Il Donatore di lavoro sembra avido, ma in realtà a lui piace attenuare le sofferenze.
Per questo ha bisogno di gente che soffre, gente disperata, talmente disperata da accapigliarsi per contendersi le briciole che lui lascia cadere.
Per questo, ogni volta che elargisce lo stipendio va ringraziato. Perché lo stipendio non va visto come contropartita di una prestazione che ha portato il Donatore di lavoro a guadagnare 10 volte tanto. No, lo stipendio è un regalo che generosamente viene accordato, pur non essendo dovuto visto che lavorare per il Donatore di lavoro è un privilegio.
Per questo qualsiasi sussidio di povertà rappresenta il male assoluto. Perché riduce la disperazione, e porta le persone a pretendere. Persino di essere pagate in modo adeguato, magari arrivando a citare l’Art. 36 della Costituzione.
La Costituzione: roba vecchia, superata. Il Donatore di lavoro non può curarsi di questi residuati polverosi.

Potrebbe sembrare una logica contorta, ma evidentemente non è così se è vero che in tanti fanno a gara per raccontare che loro, da giovani, lavoravano per ore e magari venivano pagati con un gelato. Omettendo un piccolo dettaglio: loro avevano una famiglia che li manteneva, mentre la maggioranza di chi lavora dovrebbe mantenere la sua, di famiglia. Ma questi sono dettagli, dei quali il Donatore di lavoro non si può curare.

Ed anche il dimissionario Governo Draghi, “ Il Governo dei migliori”, ha dimostrato che questa era la strada da seguire. Non ha aumentato le retribuzioni, non ha previsto una soglia minima, non ha tutelato i diritti. Però, ogni tanto, ha fatto piovere dal cielo un bonus, magari 200 euro una tantum, frutto della generosità di chi comanda e che perciò dev’essere sempre ringraziato.

Nel mondo bancario la figura del Donatore di lavoro si ramifica in tanti sub-donatori. Donatori di ansia, di minacce, di pressioni, il tutto nel nome di un interesse superiore: i ricchissimi bonus da corrispondere ai Donatori.

E anche loro, da bravi Donatori, si aspettano di essere ringraziati. Però non ringraziano mai: anzi chi ieri ha dato un aiuto prezioso, domani può trovarsi demansionato o trasferito perché la sua banca ha deciso di risparmiare chiudendo la sua filiale.
Ogni anno i Donatori sono pronti a ricominciare, facendo dono di vessazioni quotidiane ai sottoposti. Che vedono immediatamente cancellato quanto di buono avevano realizzato l’anno prima.

E in fondo è giusto così: garantire un ricco premio al proprio Donatore è un privilegio. E guai a dimenticarsi di ringraziare.

 

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Riscossione: siglata l’ipotesi di rinnovo del CCNL

COMUNICATO STAMPA

La Fisac Cgil del Settore della Riscossione, unitamente alle altre sigle sindacali, ha sottoscritto in tarda nottata, e a valle di una trattativa complessa che si è sviluppata in un contesto articolato, le ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto Nazionale di lavoro della Riscossione e del Contratto Integrativo aziendale di Agenzia delle Entrate -Riscossione, per il triennio 2022-2024.

Gli accordi sottoscritti si rivolgono ad una platea di circa 8000 lavoratrici e lavoratori che svolgono nel nostro Paese un ruolo fondamentale di presidio contro l’evasione fiscale e a difesa dei cittadini onesti che adempiono puntualmente ai loro doveri nei confronti del fisco e che, per quella via, rendono possibili l’erogazione di servizi fondamentali, quali ad esempio la sanità pubblica e l’istruzione, la cui necessità sempre più risulta evidente in questo periodo di crisi economica, sociale e politica del Paese.

Gli aumenti economici complessivamente raggiunti, affermano Simona Ponzano -Coordinatrice Nazionale del Settore e Giacomo Sturniolo- Segretario Nazionale Fisac Cgil – consentono di raggiungere l’obiettivo dell’adeguamento economico delle retribuzioni e di ottenere il giusto riconoscimento per lavoratori di un Settore così strategico.

  • Il nuovo Ccnl stabilisce, come punti salienti, un incremento dei minimi tabellari di circa 165 euro per la figura del capo ufficio (diviso in tre tranche del valore di 55,28 euro con decorrenza 1 gennaio 2022);
  • il riconoscimento degli arretrati a partire da quella data, oltre all’ incremento dell’indennità di cassa dagli attuali 126,62 a 134,72 euro nei capoluoghi di provincia e dagli attuali 94,95 a 101,02 euro per gli altri centri;
  • definisce inoltre le linee guida di settore in materia di smart working.

Per quanto riguarda il contratto integrativo aziendale, invece, tra i punti principali, sono state confermate le tabelle per il premio di produttività per il triennio di valenza contrattuale.

Infine, polizza sanitaria prorogata sino al 31 gennaio 2024.

Ora, le ipotesi sottoscritte saranno sottoposte all’approvazione delle assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori.

Tabella Retributiva

Livello Vecchio Aumento +6,4% Da 1/01/2022 Da 1/01/2023 Da 1/01/2024 Nuovo a regime
QD4 4.153,44 265,82 88,61 88,61 88,61 4.419,26
QD3 3.518,24 225,17 75,06 75,06 75,06 3.743,41
QD2 3.140,66 201,00 67,00 67,00 67,00 3.341,66
QD1 2.954,54 189,09 63,03 63,03 63,03 3.143,63
3A4 2.591,05 165,83 55,28 55,28 55,28 2.756,88
3A3 2.410,20 154,25 51,42 51,42 51,42 2.564,45
3A2 2.274,36 145,56 48,52 48,52 48,52 2.419,92
3A1 2.156,12 137,99 46,00 46,00 46,00 2.294,11
2A3 2.025,55 129,64 43,21 43,21 43,21 2.155,19
2A2 1.947,58 124,65 41,55 41,55 41,55 2.072,23
2A1 1.894,98 121,28 40,43 40,43 40,43 2.016,26
LU 1.764,42 112,92 37,64 37,64 37,64 1.877,34



Landini: “Il nostro progetto per l’Italia”

Il segretario generale dal palco di piazza del Popolo alla manifestazione Cgil “Pace, lavoro, giustizia sociale e democrazia camminano insieme” (tanta Cgil Toscana presente da tutte le province): “Vogliamo scrivere la nostra Legge di bilancio e proporla al governo e alle forze politiche. C’è un’emergenza sociale in atto, e l’unico modo per risolverla è aumentare i salari, combattere la precarietà ed eliminare le disuguaglianze”


“Noi non ci fermeremo qui, perché questo Paese lo vogliamo cambiare per davvero”. Con queste parole, Maurizio Landini ha concluso il suo intervento da piazza del Popolo a Roma, durante manifestazione Cgil “Pace, lavoro, giustizia sociale e democrazia camminano insieme” (è intervenuto anche Stefano Massini con un monologo sulla sicurezza sul lavoro). “Vogliamo scrivere la nostra Legge di bilancio, da presentare al governo – ha detto -. Lo proporremo anche alla Cisl e alla Uil, perché se ci chiamano a novembre quando i giochi sono già fatti, com’è già successo negli ultimi due anni, saremo tagliati fuori. Invece, noi vogliamo confrontarci prima che vengano prese le decisioni. Prima della promulgazione della finanziaria dobbiamo dare una nuova dimostrazione di forza e di contenuti. Per questo ci ritroveremo di nuovo nelle piazze d’Italia per avanzare le nostre proposte. E se non ci ascolteranno, metteremo in campo tutto ciò che è necessario per farci ascoltare”.
Davanti a una piazza stracolma nonostante il caldo, Landini ha snocciolato tutti i temi al centro dell’iniziativa che conclude un percorso di oltre 200 assemblee in tutta Italia: lavoro, precarietà, contratti e aumento dei salari; ma anche rappresentanza, salute e sicurezza, diritto alla formazione , giustizia sociale e pace. “Non è stata fatta una vera riforma fiscale in questo Paese, perché il governo non ha accettato di dare di più a chi prende meno – ha detto -. Ma oggi non ce nessuno in Italia che non riconosca che la gente non arriva alla fine del mese, perché i salari sono bassi. Lo diciamo da tempo e lo ripetiamo di nuovo qui: c’è un’emergenza sociale, e bisogna intervenire adesso non domani. Benissimo aver portato a casa i primi 200 euro a luglio, ma noi uno abbiamo bisogno di interventi una tantum, di 200 euro tutti i mesi, per poter vivere con dignità. L’unico modo per risolvere il problema dei salari è aumentarli, non c’è altra soluzione”. Per il segretario Cgil, quindi, la questione fiscale è “centrale”. Ma una legge delega “ancora non c’è”. Se valgono le anticipazioni dei giornali, però, quella che il governo sta elaborando “non va bene. La devono ridiscutere perché non combatte l’evasione fiscale, non riduce la tassazione a chi prende meno, non porta alla progressività”.

Un altro passaggio del suo discorso Landini lo ha speso sulla precarietà dilagante nel lavoro: “Quando ci sono persone che pur facendo lo stesso mestiere nello stesso luogo non hanno gli stessi diritti e non hanno le stesse tutele, c’è un problema che riguarda tutti. Anche noi e i nostri comportamenti. Dobbiamo batterci perché vengano assicurati i diritti a tutti i lavoratori. Quindi, visto che questo è l’anno del nostro congresso, scriveremo alle forze politiche le nostre proposte e chiederemo di incontrarli e dire loro concretamente cosa devono fare. Perché per cambiare la precarietà bisogna cambiare le leggi folli che sono state fatte in questi anni. Con risposte negative avrà inizio la nostra mobilitazione”. La Cgil è pronta a battersi anche contro la perdita dei diritti nei subappalti, che porta “sfruttamento, schiavismo e morti sul lavoro”.
Non meno importanti i passaggi del discorso di Landini su sanità, scuola e pensioni: “Se si fanno investimenti per nuovi ospedali, sul territorio per le case di comunità, per i servizi socio assistenziali a noi va benissimo – ha detto -. Ma c’è bisogno di farne molti di più anche perché noi abbiamo un paese dove attraverso una riforma sbagliata della costituzione abbiamo una sanità diversa a seconda della regione. Quindi c’è da cambiare molto senza spendere fondi pubblici per darli in gestione ai privati. Questo per noi non è accettabile”. E lo stesso vale per la scuola e la formazione permanente, soprattutto oggi, con la pandemia che ci ha insegnato quanto la tecnologia possa migliorare la nostra vita, ma anche le disuguaglianze tra le persone. Le battaglie che la Cgil porta avanti, quindi, sono di tutti: “Abbiamo messo assieme i delegati di tutte le categorie con i pensionati e gli studenti. Per discutere di lavoro e pensioni, infatti dobbiamo stare insieme, perché dobbiamo elaborare un nuovo modello sociale che sia in grado di rispondere a bisogni e alle esigenze di tutti. È questo il frutto della confederalità che ci contraddistingue come sindacato”.
Infine un pensiero sula guerra in Ucraina: “Sono passati ormai più di 100 giorni dall’inizio dell’invasione russa. Oggi la guerra è diventata la quarta o quinta notizia in ordine di importanza sulle testate. Ma i bombardamenti continuano e le persone continuano a morire. Allora penso che mai come adesso dobbiamo dire, con ancora più forza, che quella guerra va fermata. E che la pace la si pratica non aumentando il riarmo, ma con più diritti e più democrazia. Anche su questo non ci fermeremo nell’affermare che dobbiamo abolire la guerra come strumento di soluzione dei rapporti tra le persone e gli Stati”.

Rivedi la diretta:




CCNL ANIA: anche Unipol al tavolo negoziale

3 - Fisac Cgil

Nella giornata di lunedì 6 giugno, a Milano, le Segreterie Nazionali scriventi hanno incontrato ANIA per una replica complessiva dell’associazione datoriale sui contenuti della piattaforma di rinnovo CCNL illustrata dal Sindacato nel precedente incontro.

In apertura ANIA ha ufficializzato la presenza del Gruppo Unipol al tavolo negoziale.

Le Segreterie Nazionali, a tale proposito, hanno espresso valutazione positiva in quanto ciò, in uno scenario generale del sistema Paese particolarmente complesso e incerto, va nella direzione indicata dalla piattaforma di rafforzare la centralità e le prospettive del CCNL ANIA nel settore assicurativo e perché, auspicabilmente, può rappresentare un viatico per un rientro del Gruppo Unipol nell’associazione stessa, dalla quale era uscito nel 2016.

Rispetto alla piattaforma sindacale, ANIA, dopo le considerazioni sullo scenario generale, ha dichiarato che accanto ai pilastri individuati in piattaforma si aggiunge un tema fondamentale, legato al Fondo di solidarietà, in senso estensivo anche per la possibilità di creare il FOC (Fondo per l’occupazione giovanile). Altro tema individuato da ANIA è quello legato ad una necessaria riforma degli inquadramenti, in senso orizzontale e legati alle competenze più che alle mansioni.

Sui singoli pilastri della piattaforma sindacale Ania ha espresso le seguenti considerazioni:

Area contrattuale

Ania condivide la necessità di scongiurare potenziali dumping contrattuali, di consolidare l’area contrattuale e immagina di ricomprendere in un’unica sezione quelle attività che contribuiscono al business assicurativo e che richiedono meno ingessatura e più flessibilità.

Innovazione tecnologica

Ania condivide l’impostazione della piattaforma e non pone preclusioni a discutere sui temi della contrattazione di anticipo, formazione, sperimentazione oraria legata al lavoro agile.

Diritti sociali e civili

Ania è disponibile sui temi posti in piattaforma, vedi ampliamento sfera della Commissione Pari Opportunità, genitorialità, inclusione, disabilità, salute e sicurezza.

Parte economica

Richiesta in piattaforma significativa ma presto per una valutazione, legata anche ad uno scenario in evoluzione.

Altri titoli introdotti da Ania, su cui fare poi valutazioni, sono: Malattia/comporto, permessi sindacali, contratti a tempo determinato e causali aggiuntive per l’utilizzo (consentite dalla normativa).

Al termine dell’incontro le Segreterie Nazionali scriventi hanno registrato l’assunzione da parte di ANIA dello spirito e gli obiettivi della piattaforma, un clima complessivamente costruttivo la volontà concreta di procedere ad un negoziato serrato.

Le Segreterie Nazionali hanno infine convenuto che per governare il lavoro che cambia nel nuovo mondo della digitalizzazione nessuno ha intenzione di sottrarsi dall’affrontare temi come il Fondo di solidarietà, su cui già era in cantiere un lavoro di manutenzione in direzione di un ampliamento, e come gli inquadramenti, già posto nello scorso rinnovo e su cui doveva lavorare una commissione paritetica finalizzata ad una revisione degli stessi.

Le prossime due sessioni di incontri si terranno nei giorni:

  • 20 e 21 giugno sui temi dell’area contrattuale e inquadramenti;
  • 12 e 13 luglio sui temi dei diritti sociali/civili e fondo di solidarietà.

Vi terremo costantemente aggiornati e coinvolti sugli sviluppi.




Turni di 20 ore e zero riposi: le testimonianze dei ‘fannulloni’

Camerieri, cuochi , & c. Si continua a parlare dei lavoratori introvabili perché troppo sussidiati, ma centinai di episodi di ordinario sfruttamento raccontano tutt’altro.


“Sono un cuoco e, ancora oggi stento a crederci, ma l’anno scorso ho fatto un turno da venti ore. Venti ore senza pausa e senza mangiare, in un hotel di lusso in una delle località più rinomate e visitate della Campania”.

Questa storia l’ha raccolta un’associazione che riunisce i lavoratori stagionali del turismo e si chiama “Oltre la Piazza”. Stona un po’con l’allarme lanciato in questi giorni da albergatori e ristoratori che dicono di non trovare lavoratori. L’associazione ha fatto una cosa semplice: ha chiesto ai suoi iscritti di raccontare le loro esperienze.
La mail è esplosa: in poco tempo sono arrivate centinaia di testimonianze, tra commenti sui social e lettere che riguardano un metodo di lavoro strutturale, attivo 365 giorni all’anno, che con la pandemia è peggiorato.

Sono sconcertato per queste diffamazioni diffuse dai media e dai proprietari di alberghi e ristoranti”, dice il cuoco, che sottolinea come spesso finanche l’orario di lavoro sia una categoria dello spirito. “Se un gruppo di clienti vuole sedersi a Mezzanotte – sostiene un cameriere con dieci anni di esperienza – sono pochi i titolari che rifiutano di riaprire la cucina. E noi siamo costretti a rimetterci all’opera. Piccolo dettaglio: senza straordinari.”


Part time è come si scrive ma si legge “più che tempo pieno”

In base ai racconti, il metodo consolidato per aggirare le regole è una sorta di lavoro grigio: “sul contratto è scritto ‘part time’ ma le ore effettive sono ben oltre quelle di un tempo pieno – spiega un lavoratore . I più fortunati prendono un’integrazione della paga fuori busta, in contanti”. Altri invece devono addirittura accontentarsi di lavorare il triplo per mezzo stipendio. Vale sia nei periodi di bassa stagione, quando il grosso del lavoro si concentra nel weekend, sia – amplificato – durante il picco estivo, quando sparisce il giorno di riposo.
Ho lavorato in un ristorante, facevo sia il pranzo sia la cena con un’ora e mezza di stacco tra i due turni”, dice una cameriera che svolge questo mestiere da 13 anni. Quattordici ore al giorno in servizio, “con un contratto part-time firmato un mese dopo aver iniziato”. Solo mezza giornata libera ogni settimana per 950 euro al mese, nessun trattamento di fine rapporto e sistemazione in un seminterrato con altre nove persone.
Un’altra ragazza ha inviato la sua candidatura per una rosticceria. Proposta, otto ore al giorno per 500 euro al mese: “Ecco perché ho rifiutato, pur non ricevendo alcun sussidio”. E ancora, a un’aspirante receptionist è stato prospettato un contratto da tre giorni settimanali per farne in realtà sei e con turni da otto ore per 800 euro.

 

Il nero. Il ricatto fuori busta e le spese a carico

Al cuoco di un albergo siciliano è stato chiesto di lavorare su tre turni: colazione, pranzo e cena con un’oretta scarsa di pausa tra uno e l’altro. In pratica è stato costretto a passare le intere giornate al lavoro.
Sempre nell’Isola, per una 50enne addetta alla lavanderia di un hotel è stato previsto il turno serale che finiva alle 2 e quello della mattina successiva che iniziava alle 5, dopo sole tre ore di ‘sonno’.
Talvolta, poi, il “fuori-busta” è un ricatto: lo sa un manutentore che dice di aver preso 800 euro come parte “regolare”, mentre 200 euro aggiuntivi arrivavano solo se accettava turni extra. Quando poi si parla di zone turistiche, spesso ci si riferisce a luoghi non facilmente raggiungibili. Le spese per gli spostamenti, però, non sempre vengono rimborsate. È l’esempio di un tuttofare di una struttura alberghiera che è all’opera per nove ore al giorno, il suo contratto ne riporta solo quattro e lo stipendio si aggira sui 900 euro. Ma ne spende 100 per prendere l’aliscafo. Non forniscono neanche i pasti: per alberghi e ristoranti non dovrebbe essere difficile garantire un pranzo o una cena decente a fine turno. E invece…
Lavoravo in un lido – racconta un soccorritoree in pausa pranzo concedevano solo un’agevolazione sui prezzi del ristorante gestito dalla moglie del titolare. Con 6 euro ci davano un piatto, una bevanda e un caffè”. Ancora. “Mia figlia ha lavorato per 4 euro l’ora come barista a Chivasso – ricorda una mamma – e per cena le davano le brioches avanzate dalla colazione, da mangiare in piedi nei buchi di servizio.”

 

Sostegni? I furbetti spesso sono proprio i titolari

Tra le segnalazioni abbiamo anche furbetti degli ammortizzatori sociali che mettono i dipendenti in cassa integrazione ma poi li fanno lavorare regolarmente, scaricando sul pubblico i costi dei loro stipendi.
Sono impiegato in un hotel al centro di Roma – spiega un cameriere di cateringe oggi sono totalmente in cassa integrazione, ma vado a lavorare ogni giorno dalle 5 del mattino per 7 ore, senza giorno di riposo. Ho provato a chiedere anche qualcosa in più al titolare, ma me lo ha negato”. Ci sono poi iniziative padronali che spiccano per originalità, come quella di un titolare che riservava le mance a sua figlia e sua nuora, escludendo gli altri. O che a fine mese regalava un pacco di sigarette ai dipendenti più apprezzati dai clienti.

 

La narrazione: “Tutti pigri” Ignoranza o malafede?

Sebbene finora abbia avuto un decimo della risonanza ottenuta dalle imprese, adesso un “esercito” di camerieri, chef, bagnini, addetti alle pulizie di bar, pub, pizzerie e stabilimenti balneari sta cercando di far capire che cosa significhi lavorare nelle strutture turistiche: orari improponibili, paghe misere, irregolarità che diventano norma, abusi da parte dei titolari, diritti scambiati per favori, sistemazioni fatiscenti. Ancora di più negli ultimi due anni, con i datori che provano a recuperare le perdite generate dalla pandemia con condizioni ancora più mortificanti.
Eppure, la narrazione resta la stessa: il problema sono i giovani fannulloni e i troppi sussidi, dal Reddito di cittadinanza ai bonus elargiti per l’emergenza Covid. Ricostruzione che ora piace pure a “sinistra“: è stato il segretario del Partito democratico Enrico Letta a dire, giovedì a Porta a Porta, che “in questo momento ci sono stati molti sostegni e ristori” che ha “l’impressione che ci sia una tendenza a non rendersi conto che bisogna uscire dalla logica del ristoro e mettersi in azione”, per poi aggiungere che “si preferisce prendere il Reddito di cittadinanza e lavorare a nero, è una cosa insopportabile”. Nemmeno il dubbio che i contratti irregolari possano essere imposti dagli imprenditori – da secoli i contraenti forti del mercato del lavoro – per risparmiare su stipendi, assicurazioni e contributi. Né sembra sospettare che l’alta incidenza della povertà – quindi le numerose richieste di sussidi – possano essere conseguenza di un’economia basata su impieghi sotto-pagati.

 

I dati parlano chiaro: se le paghe fossero regolari…

Le paghe indecenti proposte si avvicinano infatti spesso ai 450 euro al mese, l’importo medio percepito da un single con il Reddito di cittadinanza. Applicando le regole, un cameriere inquadrato nel livello più basso, senza straordinari, dovrebbe invece guadagnare quasi il triplo di quella cifra, più il trattamento di fine rapporto alla scadenza del contratto, con un assegno di disoccupazione (la Naspi) pari al 75% dello stipendio e di durata pari alla metà del periodo lavorativo. Basterebbero quindi pochi mesi all’opera (o poche ore settimanali per tutto l’anno) per portare a casa introiti di gran lunga superiori ai sussidi. Questo, però, richiederebbe che i datori facessero ogni cosa in regola. E invece è una circostanza presa in considerazione solo dal 26% delle aziende di alloggio e ristorazione visitate dall’Ispettorato del Lavoro nel 2020.

 

Articolo di Roberto Rotunno sul Fatto Quotidiano del 5/6/2021




Dobbiamo ringraziare l’Azienda che ci paga lo stipendio

Spesso ci sentiamo rivolgere questa frase dai nostri superiori, magari in una delle sue varianti se possibile ancor più sgradevoli:

Questo mese non hai raggiunto gli obiettivi commerciali: eppure il 27 lo stipendio lo hai preso.

Oggi non hai venduto neanche un prodotto: lo stipendio lo hai rubato.

Eccetera, eccetera, eccetera.

Ha ragione chi ci apostrofa in questo modo? Lo stipendio è un’elargizione per la quale dobbiamo dire “Grazie”? Dobbiamo vergognarci se lo riceviamo pur non avendo raggiunto il “punteggio” che ci si aspettava da noi?

Proviamo ad esaminare la questione da diversi punti di vista.

 

Perché è una frase offensiva

Proviamo a pensare a quello che succede quando compriamo un paio di scarpe. Una volta scelto il modello che ci piace, se riteniamo che il prezzo sia adeguato poniamo in essere uno scambio: noi tiriamo fuori i soldi, il commerciante ci consegna le scarpe.
Se per le scarpe abbiamo pagato “il giusto”, nessuno deve sentirsi debitore e lo scambio si conclude con reciproca soddisfazione.

Quando si parla di prestazione lavorativa, pur con enormi differenze (il lavoro non può mai essere considerato alla stregua di una merce), siamo comunque alle prese con uno scambio. Il lavoratore offre la sua opera, producendo servizi che l’azienda vende al pubblico; in cambio riceve un compenso, che dovrebbe essere adeguato. Sul tema del giusto compenso torneremo più avanti.

Nelle imprese bancarie, in particolare, ciò che viene venduto non sono beni materiali ma servizi: anche quando vendiamo una carta di credito in realtà quello che stiamo dando al cliente non è il pezzo di plastica ma la possibilità di effettuare pagamenti. In definitiva, ciò che l’Azienda vende è il nostro lavoro.
Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che, senza adeguate azioni commerciali e senza la spinta alle vendite, le Aziende bancarie non produrrebbero utili e quindi non potrebbero pagarci lo stipendio. Poi però è arrivato il lockdown, con la sospensione delle “indispensabili” campagne commerciali, e abbiamo scoperto che non solo le Banche riuscivano a tirare avanti lo stesso, ma producevano comunque utili, in qualche caso toccando livelli record.

Morale della favola: anche senza la spinta delle campagne commerciali il nostro lavoro produce una quantità di ricchezza di gran lunga superiore a quella che le Aziende ci retrocedono sotto forma di retribuzioni.

E torniamo alla frase che dà il titolo all’articolo.

Si ringrazia quando si riceve un regalo. Il nipotino ringrazia la nonna che gli regala i 50€ a Natale.
Lo stipendio non è un regalo. E’ un investimento che le aziende fanno sui lavoratori, ricevendo indietro guadagni molto superiori a ciò che hanno riconosciuto loro.
Quando siamo consapevoli di aver lavorato con impegno e fatto il nostro dovere fino in fondo, sappiamo cosa pensare di chi vuol farci credere che gli emolumenti siano un gentile omaggio per il quale dobbiamo essere grati: ci sta insultando!

Nel caso le Aziende ritenessero di avere a che fare con singoli soggetti negligenti e dallo scarso rendimento – legato non alla carenza di risultati ma alla mancanza di impegno – avrebbero tutte i mezzi per agire, arrivando nei casi più gravi a sanzionare gli interessati.
Proprio per questo l’insulto generalizzato rivolto a tutti, anche a coloro che davvero ce la mettono tutta ogni giorno – e sono la grande maggioranza – diventa una dimostrazione di inadeguatezza dei capi.

 

La retribuzione adeguata: cosa dicono le normative

Esaminiamo in modo più approfondito la questione. E’ giusto affermare che per meritarsi lo stipendio si debbano necessariamente raggiungere degli obiettivi commerciali?
A questa domanda risponde in maniera chiarissima l’Art. 36 della Costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Quindi il lavoratore dipendente deve essere pagato in relazione al lavoro che svolge, ma non ha obbligo di risultato (la norma non fa alcun riferimento, ad esempio, al numero di polizze vendute…).

Tradotto in termini pratici: un cassiere che in un giorno si sciroppa un numero notevole di operazioni di sportello, senza trovare il tempo per proporre prodotti, può affermare a pieno diritto di essersi guadagnato del tutto lo stipendio, pur non avendo effettuato vendite. Tra l’altro, come abbiamo visto durante il Covid, la sua operatività ordinaria frutta comunque guadagni importanti all’Azienda.

Da notare come la Costituzione sancisca un principio che dovrebbe essere scontato, ma che non lo è affatto: chi lavora deve guadagnare quanto basta per vivere e mantenere la famiglia. E’ un concetto che, soprattutto in settori diversi da quello bancario, sembra non essere così chiaro, viste le retribuzioni misere delle quali in tanti sono costretti ad accontentarsi.

Come si fa a stabilire qual è la retribuzione adeguata? Di norma viene determinata dalla contrattazione tra le parti. Nel nostro, come in tanti altri settori, sono i rappresentanti di Aziende e Lavoratori ad incontrarsi per trovare un punto di equilibrio.
Le retribuzioni di bancari, esattori e dipendenti della Banca d’Italia sono fissate da tabelle allegate ai relativi CCNL e non dipendono in alcun modo dagli obiettivi commerciali. Eventuali premi legati ai budget sono quindi da considerare come qualcosa in più, ma nessuno rischia di venir pagato di meno se non raggiunge obiettivi sempre più sfidanti (cioè, tradotto in linguaggio comprensibile, irraggiungibili).

Una piccola riflessione, in tal senso, va fatta in merito all’importanza delle Organizzazioni Sindacali: proviamo ad immaginare quanto sarebbero sproporzionati i rapporti di forza se ognuno di noi dovesse contrattare singolarmente la propria retribuzione. E’ bene ricordarsene ogni qualvolta ci viene detto che i Sindacati sono un qualcosa di vecchio e che ormai non dovrebbero più esistere.

 

Come faccio a sapere se mi pagano in modo adeguato?

La questione è estremamente controversa, ed è un problema al quale si cerca di trovare una soluzione ormai da tanto tempo.

Nella seconda metà dell’800 un filosofo ed economista tedesco fu autore di una pubblicazione che ebbe un discreto successo (*), in gran parte basata sul problematico rapporto tra lavoratori dipendenti e datori di lavoro.

La tesi dell’autore dell’opera era questa.
Chi lavora produce ricchezza, e per questo viene pagato dall’imprenditore; però la quantità di ricchezza prodotta attraverso il lavoro è maggiore di quella per la quale il lavoratore viene pagato. In alcuni casi è molto maggiore. Tutto il surplus di ricchezza viene di fatto prodotto dai dipendenti senza ricevere nulla in cambio: l’autore chiamò questa differenza sfruttamento.

Le trattative sindacali sono essenzialmente questo: la ricerca di un punto di equilibrio tra il desiderio – assolutamente legittimo – della Aziende, che puntano ad un guadagno giustificato dal capitale impiegato e messo a rischio, e i dipendenti che vogliono ricevere il legittimo riconoscimento, considerando che senza di loro quel guadagno non esisterebbe.

Proviamo a parlare con un collega prossimo al pensionamento: ci racconterà di aver vissuto un periodo nel quale il lavoro di banca era uno status symbol, nel quale le retribuzioni erano molto più alte della media e i bancari erano invidiati e ammirati. Col passare degli anni gli stipendi hanno perso molto del loro potere d’acquisto; nel frattempo i bilanci delle banche hanno fatto registrare utili anche molto significativi, con benefici che sono andati in gran parte agli Azionisti. Si può legittimamente affermare che l’equlibrio si è progressivamente spostato dai Lavoratori – ai quali le Aziende chiedono sempre di più e riconoscono sempre meno – alla proprietà.
Questo è il motivo per cui, in occasione dell’ultimo rinnovo del CCNL, l’obiettivo primario su cui puntavano i Sindacati era il recupero del potere d’acquisto: aver portato a casa un aumento medio di € 190 è un risultato significativo, da considerare solo un primo passo nella giusta direzione. Il fatto stesso che l’ABI abbia concesso l’aumento rappresenta un’implicita ammissione di quanto ci sia stato tolto in questi anni.

 

Ricapitolando 

Ora siamo in grado di rispondere con cognizione di causa a chi vuole farci credere che lo stipendio sia una specie di elemosina per la quale dobbiamo ringraziare.

Chi dice questo ci sta insultando, perché disconosce del tutto il valore nostro lavoro.
Dice una balla, perché i numeri dimostrano che chi lavora con impegno e serietà lo stipendio se lo guadagna ampiamente, anche quando non riesce a raggiungere obiettivi commerciali sempre più “sfidanti”.
Ma soprattutto capovolge una realtà nella quale, peraltro non solo nel nostro settore, la tendenza dell’economia è quella di ridurre il reddito ai lavoratori (anche scaricando interamente su di loro il costo di crisi generate da cattive gestioni) ed incrementare il loro sfruttamento da parte delle Aziende.

 

(*) P.S. Dimenticavo. Il Filosofo ed Economista tedesco si chiama Karl Marx e la pubblicazione di discreto successo è “Il Capitale”.




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