Solidarietà a Sadio Camara: restiamo umani

La Cgil della provincia dell’Aquila esprime solidarietà al giovane Sadio Camara, vittima di una brutale aggressione tra Sulmona e Pettorano sul Gizio ed ora ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Pescara.

Sadio è un difensore dei diritti dei migranti, un attivista per i diritti civili e sociali, sostenitore delle battaglie della Cgil e animatore di tante iniziative. Noto è il suo impegno nell’associazione Ubuntu Onlus.

Sono in corso le indagini per l’individuazione dei responsabili, ma tutto lascia intendere che la matrice sia razzista, in un contesto politico e sociale che, fomentando l’odio e la violenza, ha oltrepassato i limiti della convivenza civile e pacifica.

L’episodio, di una gravità inaccettabile, deve riportare alla luce ed in primo piano il tema dell’immigrazione nel nostro territorio; un tema da affrontare con razionalità, ma anche con umanità e solidarietà. Di ciò va assunta piena consapevolezza.

L’attuale momento storico deve considerare l’accoglienza come un valore assoluto, respingendo  ogni episodio di violenza  e xenofobia.

La Cgil annuncia nelle prossime ore iniziative pubbliche di mobilitazione, e chiederà un incontro con le istituzioni preposte (Prefettura e Questura), allo scopo di sensibilizzare la società civile ad una maggiore riflessione su quanto accaduto.

 

Comunicato stampa CGIL Provinciale L’Aquila




Lavoratrici CGIL aggredite a Modena da seguaci di Salvini

L’Italia del 2019 è il Paese in cui “la difesa è sempre legittima”, non ci sono più sbarchi di clandestini, e da qualche mese è entrato in vigore il Decreto Sicurezza.
Stando a tutto ciò che ci aveva raccontato il Ministro dell’Interno dovrebbe essere un Paese felice, nel quale non esiste più nessun motivo di incertezza o preoccupazione.

La realtà è molto diversa: in Italia, nel 2019, può succedere ad esempio che una bambina di 4 anni venga colpita da un proiettile mentre passeggia tranquilla con la nonna.
Può succedere questo insieme a tantissimi altri fatti orribili, perché il Ministro non ha fatto nulla per migliorare la sicurezza degli Italiani.
Eppure Salvini ha fatto tanto, pure troppo: ha stuzzicato per mesi i peggiori istinti della parte più becera della popolazione, creando un diffuso clima di odio che adesso comincia a dae i suoi frutti.

Quello che riportiamo è il racconto di un fatto gravissimo, avvenuto lo scorso 3 maggio dopo il comizio di Matteo Salvini a Modena. Un gruppo di salviniani si è avvicinato ad uno striscione esposto da ragazze del Nidil Cgil e le ha aggredite fisicamente. Qui la testimonianza di Claudio Riso della Cgil di Modena.

Al termine del comizio un gruppo di ragazzi che lavorano nel sistema modenese dell’accoglienza ha fatto un flash mob in piazza Matteotti.
Hanno aperto uno striscione, quello che vedete in foto.
Non hanno urlato, non hanno fischiato, non hanno offeso. Ma anche se avessero voluto farlo non ne avrebbero avuto il tempo: giusto pochi istanti e il signore che si intravede sulla destra della foto e un altro gruppo di militanti, leghisti o non so cos’altro, si sono avventati sulle ragazze che reggevano lo striscione, glielo hanno strappato di mano e, non contenti, hanno anche fatto volare qualche sberla.

Tutto in pochissimi istanti, poi un cordone della Digos ha evitato il peggio.

Quando il ministro dell’Interno parla di violenti beh, credo che debba farlo guardando in casa sua.
Ma in quella piazza non c’erano solo militanti leghisti: in pizza Matteotti oggi c’era la peggiore destra modenese. C’erano quelli che un tot di anni fa tentarono di aprire una sede di Forza Nuova in Rua Pioppa; ce n’era un altro che ricordo dai tempi dell’università, di Forza Nuova pure lui.
Insomma, quelli che allora se ne stavano in sordina, oggi sponsorizzano un leader del governo in carica, si sentono i padroni della piazza e danno man forte a quelli che vanno a menare un gruppo di ragazze che apre uno striscione.

Tutto bene? Ma neanche per un cazzo.
Perché se chi siede nelle istituzioni, se chi ricopre le più alte cariche dello Stato si accompagna, senza pudori e anzi con un certo orgoglio, a questa gente, forse la nostra democrazia non è poi così al sicuro.

 

Fonte: www.fortebraccionews

 

 




Il ministro con la divisa

Il ministro dell’Interno del mio Paese indossa la divisa. Non tutta insieme. Una giacca, un caschetto. Se la mette quando fa i comizi o le passeggiate tra la folla. Qualcuno per lui dice: “preparate i telefonini”.

Lui comunica attraverso la sua pagina Facebook. In quello spazio parla direttamente agli italiani e in molti lo seguono. Ha più di tre milioni e mezzo di follower. Un politico che comunica come il mio compagno di calcetto entra nella mia vita come se fosse un amico.

In una foto che ha postato recentemente lo si vede con una t-shirt nera con su stampata una scritta a caratteri enormi: “La difesa è sempre legittima”.
È un’altra delle sue tecniche di comunicazione. Si mette addosso una felpa o una maglietta con una scritta. Basta la foto. La scritta parla per lui. Quasi sempre è infilata sopra la camicia. Usata come una bandiera. Poi aggiunge tre righe di commento. Spesso c’è una faccina. Manda baci, saluti e chiede ai follower: “Che ne dite, amici?”.

Il giorno di Pasqua ha postato due immagini sbarazzine. In una si fa il selfie con un somaro: “Guardate chi ho incontrato!”. Nell’altra si ritrae con una montagna di polenta. Nelle stesse ore il suo responsabile della comunicazione ha postato una foto sorprendente per il giorno della Resurrezione di Cristo. Il ministro dell’Interno del mio paese è ritratto con un’arma da guerra e poche righe: “Siamo armati e dotati di elmetto!“.

Undici anni fa Umberto Bossi minacciò di scatenare i suoi uomini. “Abbiamo 300mila martiri – disse – i fucili sono sempre caldi”. In quel lontano aprile si chiuse il secondo governo Prodi, tornò Berlusconi e non scoppiò una guerra civile. Non credo che scoppi la prossima settimana. Ma in questi anni è cambiato il linguaggio, dei media e il nostro. Un linguaggio che non tutti sanno gestire e che per qualcuno può diventare un delicatissimo detonatore.

Poco più di un anno fa un italiano di 28 anni ha sparato a sei immigrati di origine sub-sahariana. È stato arrestato davanti al monumento dei caduti di Macerata mentre faceva il saluto romano e gridava “viva l’Italia” con il tricolore sulle spalle.

Anche il ministro dell’Interno del mio paese ha condannato quell’azione. Il ministro è un uomo saggio e peserà ogni parola per il bene del mio paese.

 

Articolo di Ascanio Celestini su “Il Manifesto” del 23 aprile 2019




Immigrazione: i numeri smentiscono le bugie sull’invasione

Insicurezza e razzismo in Italia si intrecciano sempre più colpevolmente, alimentate da percezioni irreali e dal ballificio xenofobo.

  1. L’Italia ospita circa 6 milioni di immigrati (Osservatorio sulle migrazioni, ultimo rapporto del 31 gennaio), 9 su 10 vi risiedono da più di cinque anni. La stragrande maggioranza ha il permesso di lavoro o è qui per ricongiungimento familiare: il 56% è di origine europea; il 35 arriva da Paesi dell’Ue; il 17 da Africa e Medio Oriente; il 14 dall’Asia; il 13 da Oceania e Americhe. Le cifre smantellano la teoria dell’invasione africana e musulmana.
  2. Le ragioni delle migrazioni sono note: guerre, siccità, dittature, miseria, speranza. Per la Commission on Migration and Health (sponsor la rivista Lancet), ogni 1% di migranti corrisponde al +2% del Pil. I migranti sono una risorsa. L’inopinata stretta sui permessi di soggiorno li trasforma in irregolari, quindi più ricattabili da mafie e da disonesti datori di lavoro.
  3. In percentuale, l’Italia ha meno immigrati di Estonia, Svezia, Croazia, Lituania, Lussemburgo, Austria, Spagna, Olanda, Germania, Francia, Belgio, Grecia, Malta e altre nazioni.
  4. La Svezia ha accolto il 135% (!) dei migranti rispetto alla quota prevista ma l’estrema destra fomenta odio e violenza contro “l’invasione straniera” (23,4 immigrati ogni mille abitanti, in Italia 2,4): nei fatti, resta un baluardo della solidarietà.

Ultima Grande Bugia: quella che i migranti ricevano più di quanto non contribuiscano. Smentita dai dati ministeriali.

 

Articolo di Leonardo Coen sul “Fatto Quotidiano del  7/2/2019




Le scarpette di Aliya

Si racconta che un giorno sia stato Ernest Hemingway a lanciare, per provocazione, una sfida: scrivere un romanzo in sole 6 parole. Scommetteva, Hemingway, che la brevità del testo non avrebbe sottratto nulla al pathos della narrazione, se le parole fossero state suggestive. Così scrisse un meraviglioso romanzo:

Baby shoes, for sale, never worn.
Scarpette da bambino, in vendita, mai indossate.

Un romanzo che si legge in pochi secondi ma che può evocare ore di narrazione, da percorrere con la mente. Dopo di lui tanti scrittori hanno voluto cimentarsi nell’impresa, anche con successo, chi per sfida, chi per diletto, chi per passione. Ci sono in rete moltissimi siti dedicati alle “six word stories”.

Può essere forte, in effetti, la tentazione di provare. Non solo per i motivi sopra citati, né perché tutti possano illudersi di essere scrittori all’altezza di Hemingway o di altri capaci narratori. Ma perché esistono storie che tutti conoscono benissimo e non necessitano di essere raccontate con minuzia. È sufficiente richiamarle. E per questo 6 parole bastano.

La piccola Aliya sta bene. Faitha, la sua mamma ventenne, l’ha messa al mondo appena scesa dal treno che l’ha portata via giovedì da Castelnuovo di Porto. Sola, senza compagno, né famiglia, né documenti sanitari. Sola con solo la sua bimba in grembo, figlia di un probabile episodio di violenza. Sola, vittima di un decreto che titola “sicurezza” mettendo a rischio la vita di una mamma e della sua bambina.

Accadde qui. Non si ripeta ancora.

A chi legge, il compito di sfogliare mentalmente il racconto della memoria.

Roma, 4 febbraio 2019

La Segreteria Nazionale
FISAC/CGIL Banca d’Italia

 

Fonte: Fisac Banca d’Italia




La giornata della memoria corta

A cosa serve la giornata della memoria, a parte riempire per qualche giorno tutte le bacheche dei social?

Ricordare non è un esercizio sterile. Serve a conoscere, ma soprattutto a riconoscere. A capire che quanto è successo può ripetersi, ed a coglierne i segnali appena si presentano.

Se pensiamo all’Olocausto il pensiero corre subito ai campi di sterminio, alle camere a gas. Ma quella fu solo la fine di un percorso partito molto tempo prima.
Era iniziato convincendo la gente che esistessero le razze, che il valore delle persone dipendesse dalle loro origini, dal loro nome.
Era iniziato da personaggi che sembravano dire cose giuste, che parlavano di difesa dei valori tradizionali, della religione, della patria, della famiglia. Che si opponevano alla contaminazione, perché se è vero che esistono le razze, e la nostra è la migliore, dobbiamo impedire che venga sostituita dagli altri.

Il passo successivo fu trasformare queste idee in leggi: leggi che tramutavano degli esseri umani, che fino ad allora avevano avuto una vita normale, in fantasmi che non potevano più lavorare, studiare, immaginare un futuro per loro e per la loro famiglia.

Uno dei punti più emblematici di questo cammino verso l’inferno fu la cacciata dei bambini dalle scuole: improvvisamente scoprirono di essere diversi, di non poter fare quello che facevano i loro compagni. E non sapevano che quello era il primo passo sulla strada che li avrebbe portati alle camere a gas.

Ecco perché, tra i tanti modi di celebrare questa giornata, abbiamo scelto di pubblicare una striscia di Stefano Disegni che ci costringe a fare i conti con la realtà: non solo può succedere di nuovo, ma sta già succedendo. La storia si è messa in moto nuovamente.

E nuovamente stiamo scegliendo di girarci dall’altra parte.

 

Leggi anche:

https://www.fisaccgilaq.it/lavoro-e-societa/fare-del-male-per-il-piacere-di-farlo-le-conseguenze-del-decreto-salvini.html




Fare del male per il piacere di farlo: le conseguenze del Decreto Salvini

Pubblichiamo il testo integrale dell’accorato comunicato stampa pubblicato dal Comune di Castelnovo di Porto in merito alla chiusura del C.A.R.A.

Abbiamo assistito per mesi a dichiarazioni del tutto sganciate dalla realtà, che servivano solo a guadagnare facile consenso sulla pelle dei più poveri: poi però irrompono i fatti, e i fatti parlano di un provvedimento che fa del male a tutti, indistintamente.

Immigrazione: in chiusura il C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto. Smantellata l’integrazione che funziona e soppressi 107 posti di lavoro senza concertazione

A poco più di un mese dalla conversione in legge del “Decreto Sicurezza”, il C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto, il secondo più grande d’Italia, è in via di chiusura. Da martedì 22 gennaio inizieranno infatti gli spostamenti di 300 rifugiati in tante regioni italiane, a cui si aggiungeranno le uscite obbligatorie dei titolari di protezione umanitaria, ormai senza più diritto all’integrazione prevista dalla seconda accoglienza.

In un colpo solo saranno spazzati via non solo anni di impegno e buon lavoro per un’accoglienza fatta di progetti educativi, inserimento scolastico, corsi ricreativi, iscrizioni alle associazioni sportive del territorio, collaborazioni volontarie e lavori socialmente utili, portata avanti dal Comune insieme alla Prefettura di Roma, ma andranno persi anche 107 posti di lavoro dei dipendenti del gestore del Centro.

Uno dei primi atti da parte di questa nuova amministrazione comunale, infatti, dopo il grande caos di Mafia Capitale, è stata proprio la sottoscrizione di un protocollo d’intesa con la Prefettura di Roma per la realizzazione di progetti culturali e di volontariato (museo di arte e mestieri, rassegne fotografiche, corsi di teatro), ma soprattutto per l’inserimento scolastico dei bambini, che da domani saranno costretti a lasciare aula, maestre e compagni senza sapere dove andranno e cosa li aspetta.

Insomma a Castelnuovo esiste, o meglio “esisteva”, una gestione positiva del fenomeno dell’immigrazione che non ha mai dimenticato l’aspetto della sicurezza, requisito necessario per favorire l’integrazione stessa grazie ad una efficace collaborazione con il Comando dei Carabinieri di Bracciano. Tutto ciò è stato possibile nonostante le difficolta socioeconomiche dell’area.

Ma, purtroppo, i primi effetti del decreto sicurezza spazzano via questa nostra positiva esperienza senza neanche la possibilità di trasformarla in un’operazione migliorativa di integrazione/inclusione che portasse al superamento (dovuto e naturale) del sistema-Cara attraverso l’accoglienza diffusa del sistema SPRAR.

Fra poche ore, quindi, decine di persone si troveranno a girovagare per le strade di provincia a due passi da Roma, in pieno inverno. Questa non è sicurezza! I bambini e gli adulti verranno “confinati”, senza aver consentito loro nemmeno di salutare i compagni di classe, i compagni di squadra o i nuovi amici del paese.

Alcuni sono titolari di permessi di soggiorno, altri senza carta d’identità. Tutti dovranno affrontare un nuovo viaggio senza meta. Questa volta, però, il viaggio avverrà in uno dei paesi fondatori dell’Europa. Quella stessa Europa fondata sui valori e sui principi di solidarietà e di riconoscimento dei diritti universali dell’uomo.

«Il grande inganno – dichiara il Sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini – è far credere che il problema dell’Italia siano i migranti e non la corruzione, le mafie, l’evasione fiscale, la disoccupazione, la mancanza di investimenti, una giustizia che non funziona e che non riesce a garantire la certezza della pena.

Castelnuovo di Porto auspica che la furia del Governo nell’affrontare il fenomeno dell’immigrazione contagi anche questi altri fronti, eterne emergenze del nostro territorio e dell’Italia intera, ribadendo che siamo comunque pronti a fare la nostra parte affinché non venga dispersa la competenza acquisita negli anni nei sistemi di accoglienza e affinché si avviino forme di concertazione per il reinserimento dei lavoratori abbandonati al loro destino di disoccupati.

Ci meriteremmo insomma più di un riconoscimento dal momento che Castelnuovo di Porto ha fatto fronte per oltre 10 anni ad una emergenza nazionale».




Carlo Lucarelli racconta la storia della Sea Watch

Questo è il video dello splendido racconto di Carlo Lucarelli.

Per chi preferisce leggere pubblichiamo il testo integrale: vale la pena di leggerlo, anche più di una volta.

 

CARLO LUCARELLI RACCONTA: BLU MALTA

Se la nostra storia fosse un giallo, un noir, un thriller alla Tom Clancy, qualcuno la racconterebbe così:

La grande fuga del Barcone Rosso

E’ il 5 gennaio del 2019.
C’è una nave ferma in mezzo al mare, a due miglia dalla costa maltese, sballottata dal mare in tempesta. E’ lì da più di due settimane. Si chiama Sea Watch ed appartiene ad una ONG, un’Organizzazione Non Governativa tedesca.
A bordo, assieme al personale dell’equipaggio, c’è una trentina di persone raccolte da un gommone che stava affondando nel Mediterraneo. Sono uomini, donne e alcuni bambini anche molto piccoli: sette anni, otto anni, ce n’è uno che addirittura ha tre mesi.
Quindi la scena è: mare in tempesta, pioggia, onde alte, cibo e acqua razionati.
Però attenzione, perché non è quello che sembra.
Perché quelli lì non sono migranti: sono terroristi dell’ISIS, terroristi perfettamente addestrati ad uccidere. Anche le donne sono addestrate, sono piccoli ninja. Pure i bambini non sono veri: sono nani esperti di arti marziali. E anche il bambino di tre mesi è una perfetta ricostruzione di Chucky la bambola assassina.
Anche i membri dell’equipaggio sono membri di un’organizzazione terroristica internazionale finanziata da un  miliardario pazzo (di quelli che si trovano nei film di James Bond per esempio) che vuole l’estinzione della civiltà occidentale.
Infatti, nella stiva non ci sono salvagenti o coperte: ci sono casse di Kalashnikov e cinture con l’esplosivo.

Però non torna, c’è qualcosa che non funziona, quindi fermiamoci un momento e torniamo indietro.
Se la nostra storia fosse qualcosa di più di un thriller alla Tom Clancy,se fosse per esempio un horror tipo “La notte dei morti viventi” allora qualcuno la racconterebbe così:

The Walking Boat

Cinque gennaio 2019, a due miglia dall’isola di Malta.
Sulla Sea Watch ci sono una trentina di persone che sono mezze morte di freddo e debilitate dopo due settimane in attesa in mezzo al mare in tempesta.
Però attenzione, perché anche queste non sono quello che sembrano.
Provate un po’ a pensare: sono infagottate nei vestiti, sono pallide, smagrite, hanno la pelle raggrinzita con le escoriazioni, barcollano…. infatti sono zombi, zombi carnivori. Infatti vomitano in continuazione, soprattutto i bambini.
Sono pericolosissimi zombi carnivori che hanno già infettato l’equipaggio delle nave, che era già stato esposto ad un virus pericolosissimo, che è appunto il virus del buonismo.
Per fortuna qualcuno (Buffy l’ammazzavampiri, l’Uomo Ragno, Superman: non lo so, il nemico degli zombi) se n’è accorto e ha bloccato la nave in mezzo al mare, e ha fatto in modo che quegli zombi non riescano a sbarcare ed infettarci tutti, mangiarci tutti e farci diventare come loro. Zombi carnivori e cannibali, pronti a mangiarci qualunque cosa: per esempio l’albero di Natale o le statuine del presepe.

Però no, non torna neanche così questa storia. C’è qualcosa di diverso. Allora lasciamo per un momento lì la nostra storia e facciamo un passo indietro, come al solito.
Quindi sempre un thriller con intrighi internazionali. Sempre un horror che fa paura, però un po’ diverso.

Quindi immaginiamo persone scappate da un inferno provocato da guerre, carestie, sottosviluppo e dittature che sono state decise da un’altra parte: a New York, per esempio, a Londra, a Bruxelles oppure a Pechino. Una roba alla Tom Clancy, però vera.
Persone che sono state massacrate da mesi, anche da anni di deserto del Sahara e di campi di concentramento in Libia: una cosa da horror infatti, però anche questo vero.
Mezzi annegati, mezzi morti di freddo, su un gommone mezzo affondato e poi dopo bloccati per settimane in mezzo al mare da altre considerazioni di politica nazionale e internazionale che li trasformano, per davvero però stavolta, in morti viventi.

Ecco, così torna un pochino di più.
Alla nostra storia manca un finale, che per fortuna non è la storia che qualcuno ci vorrebbe raccontare. Infatti in questo caso, almeno in questo, la storia ha un lieto fine, con lo sbarco di quelle persone a Malta: poi vedremo, però intanto sono andati giù.
Insomma, questa è un’altra storia.

Ora però alla nostra storia manca una cosa, una domanda che io mi pongo in quanto scrittore di romanzi gialli e che mi lascia qualche dubbio: non è che questo finale così positivo è un po’ troppo buonista?

 

Tratto dalla puntata di Propaganda Live andata in onda su La7 l’11 gennaio 2019

 

 

 

 

 




Perché il governo odia gli immigrati e difende i ricchi?

C’è una nota stonata nella canzone del conflitto cantata dal governo gialloverde. Negli stornelli improvvisati da Matteo Salvini – e accompagnati dal coro a bocca chiusa di Luigi Di Maio e dei suoi – essi si battono per i poveri, non meglio identificati. Però il conto della redistribuzione di ricchezza non viene presentato ai ricchi ma a improbabili caste di privilegiati quali i pensionati, gli immigrati con le loro pacchie, i dipendenti pubblici, i centri sociali e il settore non profit.

Esempio: Salvini non ha mai speso una parola sulla scandalosa rendita autostradale dei Benetton, lasciando alla sua criptoalleata Roma-centrica Giorgia Meloni il compito di associare la parola “pacchia” alla famiglia del nord-est.

I grandi imprenditori e i loro fedeli e strapagati manager non si toccano. In perfetta continuità con la retorica dei governi precedenti (nessuno escluso), anche Lega e M5S si prostrano grati davanti a coloro che “creano i posti di lavoro”. A parte che non è neppure vero, visto che oggi in Italia di posti di lavoro ne mancano sei milioni, fa impressione l’assoggettamento di maggioranza e opposizione al vecchio paternalismo che ti fa togliere il cappello davanti al padrone, anche se sei un ministro.
Ma ormai il principio è chiaro. Se uno ha mille dipendenti e ne licenzia la metà il governo italiano (oggi come ieri) corre a ringraziarlo per aver salvato i 500 posti residui.

La dimostrazione di come siamo messi male è la totale assenza di reazioni politiche ai dati sugli stipendi dei grandi manager diffusi nei giorni di Capodanno (mentre i nostri eroi erano a sciare) non da un centro sociale, non dalla Cgil, non da un economista sovranista, ma dal Centro Studi di Mediobanca. Ebbene, nel 2017 i 224 consigli d’amministrazione delle società italiane quotate al listino principale della Borsa di Milano sono costati 667 milioni. Se ai 3.300 beneficiari delle prebende consiliari si potesse chiedere un sacrificio del 15 per cento degli emolumenti, si farebbero gli stessi soldi che la manovra recentemente approvata ha “trovato” con i tagli alle pensioni cosiddette d’oro. Ma ovviamente il sacrificio non si può chiedere, perché i pensionati prendono quello che il governo decide di dare, mentre i manager si servono direttamente alla cassa delle aziende che governano.

E infatti i 224 amministratori delegati hanno guadagnato in media 952 mila euro. Vi chiederete se sono tanti o pochi, meritati o rubati.
C’è un criterio di valutazione infallibile: gli ad maschi in media prendono 1 milione, le femmine 428 mila euro. Quindi i casi sono due: o le donne in quanto esseri difettosi meritano la metà degli uomini, oppure queste retribuzioni vengono decise in modo arbitrario da una casta di maschi. Ovviamente è la seconda che ho detto, infatti non è tanto la media di 952 mila euro a colpire, quanto il fatto che nel 2017, anno non certo sfolgorante per l’economia italiana, lorsignori si sono assegnati un aumento del 14,5 per cento rispetto agli 831 mila euro medi del 2016. Solo di aumento si sono messi in tasca 121 mila euro a testa, di cui 99 mila euro di premio per i risultati conseguiti e 22 mila per la cosiddetta parte fissa. Lorsignori hanno così deciso di meritarsi un aumento dello stipendio base, quello che ti danno solo per andare in ufficio indipendentemente dai risultati, pari a quanto un lavoratore italiano medio guadagna in tutto l’anno.

Se vi chiedete come sia possibile che il “governo del cambiamento”, di fronte a un simile fenomeno, veda la pacchia negli smodati cedimenti al piacere degli immigrati in crociera sui barconi, la risposta è semplice: come i predecessori, hanno paura dei ricchi e credono che la loro benevolenza li aiuterà a durare.

Come Matteo Renzi con i Farinetti, i Serra e i De Benedetti, si illudono.

 

Articolo di Giorgio Meletti su “Il Fatto Quotidiano” del 6/1/2019




L’altro Natale

I regali di Natale. Il pranzo di Natale. Il cenone della vigilia di Natale. Il brindisi di Natale. Le luminarie di Natale. La partita a carte di Natale. Il torrone, il pandoro e il panettone. Per chi può, anche la settimana bianca di Natale.

E’ tutto qui il senso di questi giorni di festa? Per qualcuno forse sì. Per altri, sicuramente no.
E non per loro scelta.

Viviamo ormai in un Paese nel quale il sentimento prevalente è l’odio, una società in cui chi è più povero e sfortunato non suscita più un moto di compassione e solidarietà, ma repulsione, disprezzo, e rancore.

Il clima d’odio non basta ad arrestare il buonismo natalizio (e finalmente la parola “buonismo” viene utilizzata in modo appropriato).
Nulla può scoraggiare la retorica ipocrita secondo la quale “A Natale siamo tutti più buoni” o il consolidato rito di “Anche a te e famiglia”.

Facciamo un piccolo sforzo per recuperare almeno un briciolo di quello che dovrebbe essere lo spirito natalizio, e dedichiamo due minuti a rileggere questa bella filastrocca di Gianni Rodari.
La loro semplicità è il grimaldello che permette a questi versi di parlare direttamente ai nostri cuori. Sarebbe bello dire che la filastrocca ricorda tempi lontani ed infelici: purtroppo è tremendamente attuale, e merita quantomeno una riflessione, un pensiero a rivolto ai veri valori della vita, che purtroppo stiamo dimenticando.

I migliori auguri di buone feste dalla Fisac L’Aquila

 

L’albero dei poveri

Filastrocca di Natale,
la neve è bianca come il sale,
la neve è fredda, la notte è nera
ma per i bambini è primavera:
soltanto per loro, ai piedi del letto
è fiorito un alberetto.

Che strani fiori, che frutti buoni
oggi sull’albero dei doni:
bambole d’oro, treni di latta,
orsi del pelo come d’ovatta,
e in cima, proprio sul ramo più alto,
un cavallo che spicca il salto.
Quasi lo tocco… Ma no, ho sognato,
ed ecco, adesso, mi sono destato:
nella mia casa, accanto al mio letto
non è fiorito l’alberetto.
Ci sono soltanto i fiori del gelo
Sui vetri che mi nascondono il cielo.

L’albero dei poveri sui vetri è fiorito:
io lo cancello con un dito.