Come il governo ci sta rubando le pensioni

Uno degli argomenti che hanno portato la coalizione attualmente al governo a raccogliere voti determinanti per vincere le elezioni è lo sbandierato impegno al superamento della Legge Fornero. Fra le promesse quella di permettere a tutti di andare in pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi.

Cos’è rimasto in realtà di quelle promesse? A sentire i TG sono stati fatti grandi cambiamenti nel comparto previdenziale. E questo purtroppo è vero. Solo che siamo andati in direzione opposta a quanto era stato promesso.

Esaminiamo nel dettaglio come i provvedimenti adottati stiano cambiando in peggio le prospettive di chi è già in pensione e di chi aspira ad andarci in un futuro più o meno lontano.

 

QUOTA 103

Si tratta di un’opzione per andare in pensione in anticipo rispetto alla Legge Fornero, a patto di aver raggiunto i 62 anni di età e i 41 di contributi (quindi la somma dei due dati dà appunto 103). E’ l’evoluzione della quota 100, istituita nel 2019 proprio con la pretesa di superare la Legge Fornero. La norma si è poi evoluta in quota 102 e successivamente in quota 103. L’agevolazione scadeva il 31/12/2023, ma il governo l’ha prorogata estendendola al 2024.

Quindi una buona notizia? Lo sarebbe se non fosse che non si è trattato di una proroga, ma di un qualcosa di decisamente penalizzante rispetto alla preesistente quota 103. E questo il governo non si è preso la premura di spiegarlo.

In che modo è peggiorata?

  • Modalità di calcolo: dal 2024 il calcolo della pensione per chi aderirà a “Quota 103” sarà fatto interamente con il metodo contributivo, perdendo quindi la quota retributiva, decisamente più favorevole, relativa ai contributi versati fino al 1995. Questo comporta una riduzione della pensione mensile che può arrivare fino al 30-35% dell’importo complessivo.
  • Allungamento delle finestre d’uscita: le finestre mobili sono un escamotage introdotto per tardare il pagamento della pensione rispetto al momento dell’effettiva maturazione del diritto. Se fino al 2023 erano di 3 mesi per i lavoratori privati e di 6 mesi per i lavoratori pubblici, adesso i periodi diventano di 6 mesi per i privati e 9 mesi per i  pubblici. Un bancario che vuole accedere a quota 103 (ammesso che gli convenga) dovrà pertanto lavorare almeno per 41 anni e 6 mesi ed aver raggiunto almeno l’età di 62 anni e 6 mesi: in pratica una Quota 104 mascherata da Quota 103.
  • L’importo massimo della pensione: per chi aderirà a quota 103 è previsto che l’assegno pensionistico mensile non possa essere superiore a 4 volte il trattamento minimo (per il 2024 pari a 2.270 euro lordo). E questo per un bancario equiparrebbe a veder vanificati anni di versamenti contributivi.

OPZIONE DONNA

E’ un’opzione per il pensionamento anticipato riservata alle donne che al 31/12/2023 abbiano totalizzato almeno 35 anni di contributi e 61 di età. Il conteggio viene effettuato interamente con il metodo contributivo: questo comporta, considerando l’età anticipata rispetto alle opzioni della Legge Fornero, una penalizzazione molto pesante per le lavoratrici che dovessero farvi ricorso.
In effetti i limiti di età e di anzianità contributiva indicati sono da maggiorare in modo significativo per effetto delle finestre: 12 mesi per le lavoratrici dipendenti, 18 per le autonome.

In che modo è peggiorata?

  • Limitazione requisiti: il governo ha limitato l’accesso a Opzione Donna a casistiche molto specifiche, escludendo tutte le lavoratrici che non presentano i requisiti richiesti:
    • caregiver
    • invalide dal 74%
    • licenziate o dipendenti aziende con tavolo di crisi aperto

Il requisito anagrafico viene scontato di un anno per ciascun figlio con un massimo di due anni.
Entro il 31.12.2023, le lavoratrici caregivers e invalide almeno al 74%, possono accedere al trattamento pensionistico con la maturazione di 35 anni di contribuzione e l’età anagrafica di:

  • 61 anni se senza figli
  • 60 anni se con 1 figlio
  • 59 anni se con 2 o più figli

Le lavoratrici licenziate o dipendenti da aziende in crisi, devono aver perfezionato 35 anni di contribuzione e 59 anni di età, indipendentemente dal numero dei figli.

La Cgil calcola che, a seguito delle penalizzazioni nel calcolo e dei requisiti previsti, nel 2024 saranno solo 250 le donne che riusciranno ad utilizzare questa opzione. Che quindi è stata sostanzialmente abrogata, nonostante sia formalmente prorogata.

 

APE SOCIALE

L’Ape sociale è una forma di anticipo pensionistico. Consiste in un’indennità che spetta fino al conseguimento dei requisiti di età e di contribuzione necessari alla pensione di vecchiaia, destinata ad alcune categorie di lavoratrici e lavoratori che si trovano in particolari condizioni.

  • invalidi 74%, caregiver, disoccupati con almeno 30 anni di contribuzione
  • lavoratori addetti a mansioni gravose con almeno 36 anni di contribuzione
  • lavoratori edili e ceramisti con almeno 32 anni di contribuzione

Per le donne un anno in meno di contribuzione per ogni figlio, con riduzione massima di 2 anni.

In che modo è peggiorata?

  • Innalzamento età minima: l’età minima per acedere all’Ape Sociale viene elevato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.

 

PENSIONE ANTICIPATA

E’ forse il simbolo delle promesse mancate da parte della Lega e di Salvini, che prometteva il superamento della Legge Fornero attraverso l’introduzione di “Quota 41” per tutti. In realtà le soglie previste dalla Legge Fornero non sono state modificate, saranno anzi peggiorate a partire dal prossimo anno.

In che modo è peggiorata?

  • Ripristino adeguamento all’aspettativa di vita: la norma prevede che i requisiti di anzianità contributiva attualmente prevista, pari a 41 anni e 10 mesi per le donne e un anno in più per gli uomini, debbano annualmente essere aggiornati adeguandoli all’aumento della vita media calcolato dall’ISTAT. Il governo Conte 1 sospese questo meccanismo fino al 31/12/2026. Il governo Meloni ha previsto che l’adeguamento torni ad essere calcolato a partire dal 2025. Tradotto in termini pratici, già dall’anno prossimo dobbiamo aspettarci un allungamento dei termini per la pensione anticipata.

 

ASSUNTI A PARTIRE DAL 1/1/1996

Parliamo di persone che lavorano ormai da oltre 25 anni, quindi non si può più riferirsi a loro come “giovani”. Sono quelli che nel nostro sistema pensionistico sono i più penalizzati, con la pensione calcolata interamente col metodo contributivo.

I requisiti anagrafici per ottenere la pensione sono i seguenti:

  • Pensione di vecchiaia: 67 anni di età con 20 mesi di contributi. E’ possibile accedervi solo se si è maturata una pensione pari almeno all’assegno sociale (€ 534,41 nel 2024).
  • Limite massimo per restare al lavoro: 71 anni di età con almeno 5 anni di contribuzione.
  • Pensione anticipata: 64 anni di età con almeno 20 anni di contribuzione. E’ possibile accedervi solo se si è maturata una pensione pari a 3 volte l’assegno sociale (per il 2024 € 1.603,23)

In che modo è peggiorata?

  • Aumento soglia contributiva minima: nel 2023 si poteva accedere alla pensione anticipata con un importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Nel 2024 tale soglia è stata portata a 3 volte l’assegno sociale. Considerando che per chi non ha avuto versamenti continuativi e contratti full time per tutta la sua vita lavorativa l’importo di € 1.603,23 lordi non è così semplice da raggiungere, si tratta per tante persone di un aumento mascherato dell’ età pensionabile. La soglia resta a 2,8 volte l’assegno minimo per le donne con un figlio, scende a 2,6 volte per le mamme di due o più figli.
  • Adeguamento all’aspettativa di vita: anche per le pensioni calcolate con il metodo contributivo si introduce l’adeguamento all’aspettativa di vita per il requisito dei 20 anni di contribuzione.

Per comprendere le storture di questo meccanismo, che sarebbe stato importante correggere, facciamo un esempio.

Un dirigente d’azienda, con retribuzione mensile di € 5.000, lavorando solo 20 anni arriverà all’età di 64 anni a maturare una pensione di € 1.650 mensili. Essendo superiore alla soglia di € 1.603,23 potrà scegliere di andare in pensione.
Una persona addetta alle pulizie, che lavora per 40 anni con contratto part-time, a 67 anni avrà maturato una pensione di € 360 mensili. Non avendo raggiunto la soglia minima, dovrà lavorare fino ai 71 anni. Se dovesse morire prima di tale età, i suoi contributi saranno perduti: di fatto avrà fatto solidarietà a favore del manager che prendeva € 5.000.

 

PENSIONE DIPENDENTI PUBBLICI

Vengono riviste le modalità di calcolo della quota retributiva, relativamente alle pensioni anticipate di tutti coloro che alla data del 31/12/1995 avevano una contribuzione inferiore ai 15 anni. La misura si applica a coloro che effettuano i versamenti nelle seguenti gestioni:

  • CPDEL, enti locali,
  • CPS, sanitari,
  • CPI, insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate,
  • CPUG, ufficiali giudiziari.

Le nuove modalità di calcolo non si applicano a chi va in pensione per il raggiungimento del limite di età previsto dalla legge o dai regolamenti degli enti di appartenenza. Non si applicano a chi ha maturato i requisiti per la pensione anticipata al 31/12/2023, anche se sceglie di uscire più tardi.

In che modo è peggiorata?

  • Revisione tabelle: le nuove modalità di calcolo comportano tagli che possono arrivare fino al 20% dell’assegno pensionistico: si stima che un medico che ha iniziato a lavorare nel 1992 e percepisce uno stipendio lordo di € 50.000 possa arrivare a perdere fino a € 850 al mese.
  • Allungamento (di fatto) dei requisiti pensionistici: la norma prevede, solo per gli infermieri, la possibilità di ritardare l’uscita dal lavoro per avere uno “sconto” sul taglio. Per ogni mese di posticipo rispetto alla possibile uscita con pensionamento anticipato, la decurtazione verrà ridotta di 1/36°. Restando 3 anni in più al lavoro si azzerano i tagli.
    In definitiva, chi aveva promesso quota 41 per tutti, di fatto ha portato una specifica categoria alla quota 46.

Sebbene questa novità riguardi al momento il solo settore pubblico, l’ipotesi che in un prossimo futuro il governo possa pensare ad estendere il provvedimento anche ai lavoratori privati è tutt’altro che remota.

Già adesso ci vengono segnalati casi di bancari o bancarie con precedente contribuzione presso la P.A., che scoprono alla vigilia del pensionamento che la loro pensione subirà una decurtazione inattesa.
Consigliamo a chi si trovasse in questa situazione di rivolgersi ad un patronato Inca per verificare l’ammontare della loro pensione prima di accedere ad esodi incentivati.

 

INDICIZZAZIONE PENSIONI IN ESSERE

All’inizio dell’anno gli organi di stampa istituzionali hanno salutato con grande enfasi l’aumento delle pensioni per tutti, presentandolo come una generosa concessione del governo. In realtà, soprattutto in periodi di alta inflazione, è indispensabile che l’ammontare delle pensioni si adegui per evitare di ridurre la capacità di spesa dei pensionati.

Un adeguamento inferiore al tasso di inflazione equivale a sfilare i soldi dalle tasche delle persone che vivono di pensione.

E questo è esattamente ciò che il governo ha fatto.

In che modo è peggiorata?

  • Adeguamenti inferiori al costo della vita: l’adeguamento all’inflazione è stato mantenuto solo per i livelli più bassi (fino a € 2.271,76). Per i redditi più alti l’ammontare viene progressivamente decurtato. Per una pensione lorda superiore a € 2.839 (soglia che più o meno riguarda i lavoratori che escono dal settore bancario) l’adeguamento si riduce al 53% dell’effettivo aumento del costo della vita: come dire che ogni anno avranno qualche problema in più a riempire il carrello della spesa.
    La seguente tabella riepiloga le percentuali di effettivo recupero del costo della vita

Questo è il provvedimento più pesante tra quelli adottati dal governo: si tratta di un taglio sulle pensioni di oltre 3,5 miliardi per il solo 2024, interamente a spese dei pensionati, passato totalmente sotto silenzio da parte degli organi di stampa. Si calcola che in 10 anni il risparmio per le casse dello Stato sarà superiore ai 60 miliardi.

Lo ripetiamo: sono soldi che non arriveranno ai pensionati attuali e a quelli che usciranno nel frattempo.

 

PER CONCLUDERE

Abbiamo un governo privo di visione, che mentre toglie i sussidi ai più poveri va avanti a base di regali per guadagnare voti: taglio tasse alle partite IVA, sconti agli evasori, bonus a pioggia sgravi contributivi a volontà, anche per gli agricoltori e per chiunque possa rivelarsi utile per guadagnare consensi.

Abbiamo parlato di regali, ma in realtà questi favori hanno un costo, e lo paghiamo tutti noi. Ecco perché hanno bisogno di togliere 3 miliardi e mezzo ai pensionati: per premiare chi non paga o per permettere agli imprenditori di pagare la flat tax al 15%. In questo il governo Meloni non si è distaccato dalla pessima tradizione che la politica porta avanti da anni: considerare le pensioni una sorta di bancomat al quale attingere.
Si tratta di un modello economico e sociale che la CGIL rifiuta con forza, e contro il quale siamo più volte scesi in piazza, purtroppo con scarsissimo seguito nel settore bancario.

Speriamo che questi numeri servano a capire quale sia la posta in gioco, e a favorire un risveglio delle coscienze.




Pensione quota 103, ecco come funziona

Il tetto massimo mensile erogabile nel 2023 sarà di 2.840€ lordi. Rivalutato annualmente durerà sino al raggiungimento dell’età anagrafica di vecchiaia, cioè 67 anni. I chiarimenti in un documento dell’Inps.


Nessuna penalità occulta per chi aderisce alla «Quota 103» avendo maturato un assegno superiore a 2.840€ lordi al mese. All’età di 67 anni, infatti, il pensionato riceverà comunque l’importo della pensione piena, perequata sin dalla decorrenza come se il tetto non avesse mai trovato applicazione. E’ quanto, in sintesi, certifica l’INPS nella Circolare n. 27/2023 nella quale illustra la novella introdotta dall’articolo 1, co. 283 e 284 della legge n. 197/2022 (legge di bilancio 2023).

Pensione «Quota 103»

Si tratta sostanzialmente di un nuovo canale di accesso alla pensione riservato a tutti i lavoratori (dipendenti, anche del pubblico impiego, autonomi, parasubordinati) iscritti a forme di previdenza pubbliche obbligatorie (cioè l’Inps) in possesso di:

  • 62 anni e 41 anni di contributi al 31 dicembre 2022;
  • 62 anni e 41 anni di contributi maturati tra il 1° gennaio 2023 ed il 31 dicembre 2023.

E’ escluso solo il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico (per i quali, come noto, si applicano requisiti pensionistici diversi).

Finestra mobile

La prestazione è assistita da un meccanismo di differimento nell’erogazione del primo rateo pensionistico (cd. «finestra mobile»). Per i dipendenti e i lavoratori autonomi del settore privato l’attesa è di 3 mesi dalla maturazione dei requisiti; per gli impiegati delle pubbliche amministrazioni l’attesa è di 6 mesi dal perfezionamento dei predetti requisiti.

Se i requisiti sono raggiunti entro il 31 dicembre 2022 la finestra mobile si apre il 1° aprile 2023 per il settore privato; il 1° agosto 2023 per il settore pubblico.  Nel settore scolastico, invece, la finestra coincide sempre con l’inizio dell’anno scolastico (1° settembre 2023). Ciò vale sia se i requisiti sono raggiunti entro il 31 dicembre 2022 o entro il 31 dicembre 2023 (la domanda di cessazione si doveva presentare entro il 28 febbraio 2023).

Tetto all’importo

Anche se il meccanismo di calcolo dell’assegno non subisce penalizzazioni l’importo della pensione «Quota 103» non può eccedere il valore di cinque volte il trattamento minimo Inps stabilito per ciascun anno sino al raggiungimento dell’età di vecchiaia. Cioè sino a 67 anni salvo ulteriori adeguamenti che potrebbero scattare nel biennio 2025-2027. E’, quindi, un tetto mobile aggiornato ogni anno con l’inflazione. Nel 2023 siccome il TM è pari a 567,94€ il tetto è di 2.839,70€ lordi mensili.

Il meccanismo opera nel seguente modo:

  • se la pensione a calcolo è inferiore a 5 volte il TM sia nell’anno di decorrenza che negli anni successivi durante i quali, come noto, la rendita viene adeguata all’inflazione il tetto non scatta mai (ed il pensionato non subisce alcuna riduzione);
  • se la pensione a calcolo è inferiore a 5 volte il TM nell’anno di decorrenza ma negli anni successivi, per effetto delle operazioni di rivalutazione, la rendita splafona le 5 volte il TM l’Inps porrà in pagamento, a decorrere dall’anno in cui la pensione supera il predetto valore, l’importo mensile lordo pari al tetto massimo erogabile;
  • se la pensione a calcolo è superiore a 5 volte il TM dall’anno di decorrenza il tetto massimo erogabile verrà applicato sin dalla decorrenza.

A decorrere dal compimento dei 67 anni l’Inps corrisponderà la pensione lorda mensile piena, maturata all’esito delle rivalutazioni applicate nel tempo, come se il tetto non avesse mai operato. Non si tratta, quindi, di una riliquidazione della pensione (con nuovi parametri e coefficienti).

Cumulo

Essendo una evoluzione della già nota «Quota 100» sono richiamate per intero le relative caratteristiche e condizioni. In particolare chi opta per «Quota 103» incorre sino al compimento del 67° anno di età nel divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente o autonomo (ad eccezione di quelli di lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000€ annui) ed è soggetto ai medesimi obblighi dichiarativi.

Contribuzione utile

Ai fini del raggiungimento dei 41 anni di contributi è valida la contribuzione a qualsiasi titolo accreditata (obbligatoria, volontaria, da riscatto, figurativa), fermo restando, per i dipendenti del settore privato, il possesso di almeno 35 anni di contribuzione ad esclusione dei periodi di disoccupazione e malattia. E’ possibile, inoltre, cumulare gratuitamente tutti i periodi contributivi presenti nelle gestioni INPS (es. settore pubblico, gestione separata) con la sola eccezione delle casse professionali.

Cristallizzazione

Chi raggiunge i requisiti (62+41) entro il 31 dicembre 2023 mantiene il diritto a poter andare in pensione in un qualsiasi momento successivo (ad esempio nel 2024 o nel 2025), il diritto a pensione resta cristallizzato.

Accompagnamento alla pensione

E’ possibile finalizzare gli assegni straordinari di solidarietà alla maturazione della «Quota 103». La facoltà è subordinata alla presenza di accordi collettivi di livello aziendale o territoriale, sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e depositati entro 30 giorni dalla sottoscrizione, nei quali deve essere stabilito, ai fini del ricambio generazionale, il numero di lavoratori da assumere in sostituzione di coloro che accedono alla prestazione (cd. staffetta intergenerazionale).

L’Inps spiega che, in tal caso, l’assegno copre anche il periodo di finestra mobile (3 mesi) per garantire il sostegno economico senza soluzione di continuità; la contribuzione correlata, invece, è versata sino al raggiungimento dei requisiti minimi richiesti. L’assegno straordinario, pertanto, non può essere erogato oltre il 31 marzo 2024.

TFS/TFR

Per i lavoratori del pubblico impiego rimane il meccanismo di differimento dei termini di pagamento TFS/TFR. I termini non decorrono dalla cessazione del rapporto di lavoro (come di regola accade) ma dal raggiungimento del primo dei seguenti requisiti:

  • 12 mesi dal raggiungimento dall’età per la pensione di vecchiaia: 67 anni;
  • 24 mesi dal raggiungimento del diritto (teorico perché in realtà il rapporto di lavoro cessa) alla pensione anticipata: 41 anni e 10 mesi di contributi (42 anni e 10 mesi di contributi gli uomini).

Qualora nel corso dei 24 mesi, si raggiunge l’età di 67 anni, il periodo di attesa ai fini del pagamento del TFS/TFR potrebbe contrarsi a 12 mesi a partire da tale ultimo evento, qualora questo intervallo di tempo sia più favorevole rispetto al tempo di attesa residuo.

Questa dilazione resta parzialmente compensata dalla possibilità di chiedere un prestito bancario a condizioni agevolate per un importo sino a 45 mila euro (qui i dettagli).

DocumentiCircolare Inps n. 27/2023

 

Fonte: pensionioggi.it

 

 




Le vittime della manovra: “Il Governo fa cassa con noi”

Chi paga il conto. Le proteste. Pensionati, medici, prof, statali, poveri: così la destra colpisce il welfare e chi lo gestisce


La prima manovra di Giorgia Meloni tra caos, intoppi e bagarre, si contraddistingue per aver scontentato decine di categorie con misure peggiorative, discutibili e inique. Con un denominatore comune: senza scostamento di bilancio ha tagliato il più possibile facendo cassa sui contribuenti. Ecco chi ci ha perso di più.


Percettori del reddito: “Poveri l’uno contro l’altro”


L’intervento più discusso di questa manovra sul fronte sociale è il drastico taglio del Reddito di cittadinanza: per quelli considerati “occupabili” potrà durare solo sette mesi, quindi a luglio sarà tolto a 400 mila famiglie. Inoltre, i beneficiari saranno costretti ad accettare qualsiasi offerta di lavoro, anche non “congrua” e in qualsiasi zona d’Italia altrimenti lo perderanno anche prima della nuova scadenza naturale.
“Vogliono cancellarlo invece di migliorarlo”, dice Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli che fanno parte dell’Alleanza contro la povertà. “La parte che non funziona sono le politiche attive, va bene, ma ripensare il Reddito non vuol dire spaventare milioni di persone che – prosegue Manfredonia – non avranno più nulla dall’oggi al domani; è un’infrastruttura sociale di questo Paese, ormai è essenziale che esista una norma di questo tipo, poi va migliorata ma non deve essere un modo per mettere i poveri uno contro l’altro, facendo discorsi del tipo aumentiamo le pensioni minime e leviamo il Reddito di cittadinanza”.


Medici e sanitari:
“Favori alla sanità privata”


Due miliardi in più al Fondo sanitario nazionale, di cui 1,4 miliardi solo per coprire i maggiori costi energetici, abbassano la previsione del rapporto spesa sanitaria pubblica/Pil al 6,1% nel 2023 contro il 6,2% del Def di Mario Draghi e contro almeno il 7% stimato per l’anno in corso, già in calo sul 2022, a distanza siderale da Francia e Germania (oltre il 9%) e dalla media Ue (7,9%). La destra di governo ha gettato la maschera, se un rilancio della sanità pubblica non era alle viste, oggi si allontana ancora. “Gli ospedali continueranno a svuotarsi di medici e a riempirsi di pazienti, si allungheranno le liste d’attesa e chi può sarà costretto a rivolgersi ai privati. Il primo punto è eliminare il tetto di spesa per il personale – osserva Pierino Di Silverio che guida il sindacato dei dirigenti medici Anaao-Assomed – altrimenti le aziende ove possibile continueranno ad affidarsi alle cooperative”, cioè ai medici a gettone. Sono saltati anche i 200 milioni di euro per le indennità da versare a medici e personale dei Pronto soccorso, che scoppiano per i limiti della sanità territoriale e degli stessi reparti ospedalieri, nonché i 10 milioni del Piano oncologico. Briciole, su cui però il ministro della Salute, Orazio Schillaci, si era impegnato e invece sconta il suo scarso peso di stimato “tecnico” ai tavoli in cui si decide.
Anche quest’anno abbiamo avuto le nostre palle di Natale”, ironizza sui social Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di emergenza-urgenza.

 

Pensionati: “Importi miseri, la misura è un bluff”

Gli interventi sulla previdenza lasciano scontenti tutti. Sia le persone che sono già in pensione, sia chi ancora lavora e sperava nell’arrivo di norme per un’uscita più semplice. I primi sono stati colpiti dalla norma che riduce l’indicizzazione all’inflazione degli assegni a partire da quattro volte il minimo. “L’emendamento che doveva ripristinare il 100% fino a cinque volte il minimo di rivalutazione si è rivelato una bufala – ha detto Ivan Pedretti dello Spi Cgile si passa dall’80 all’85% con un taglio ulteriore per chi ha importi superiori”. Deludenti vengono giudicate anche le nuove norme sull’età pensionabile. La nuova Quota 103 riguarderà una platea molto risicata, dice la Cgil, e ancora meno la nuova Opzione Donna, possibilità di uscita che viene spostata a 60 anni con sconti di un anno per ogni figlio. “Non ci convince l’inasprimento dei requisiti – dice Paolo Andreani, segretario generale Uiltucs – le lavoratrici hanno bisogno di maggiorazioni contributive per ogni figlio, non uno sconto contributivo per accedere a una pensione spesso misera e insufficiente”.

 

Superbonus: “Crisi profonda per imprese e lavoratori”


Nonostante la rivolta dei costruttori, migliaia di imprese in allarme, la stessa tenuta dell’economia del Paese, il governo Meloni ha tenuto il punto sul Superbonus che dal prossimo anno passerà dalla maxi detrazione del 110% al 90%. Resterà la quota massima solo per i condomini che hanno deliberato l’inizio lavori entro il 18 novembre (e avranno una proroga al 31 dicembre per la presentazione della Cilas). “Senza la misura l’edilizia rischia di affrontare una profonda crisi. Stiamo parlando di migliaia di imprese e decine di migliaia di lavoratori che rischiano di saltare. Questo non è ammissibile”, spiega il segretario della Filca Cisl, Enzo Pelle. Preoccupazioni che si aggiungono a quelle di Alessandro Genovesi, leader della Fillea Cgil: “Queste novità penalizzeranno le abitazioni dei ceti meno abbienti, quelli che sono partiti per ultimi e che ora non si potranno permettere di anticipare il costo dei lavori e attendere il rimborso nella dichiarazione dei redditi”. L’accusa del governo è rimasta sempre la stessa: aver creato un “buco da 38 miliardi”. “Questi interventi correttivi causeranno gravi perdite economiche per moltissimi proprietari e un enorme contenzioso fra condomini, imprese, amministratori, professionisti, oltre che con la stessa Agenzia delle Entrate”, sottolinea il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani.

 

Precari: “Spazio al caporalato”

Sul fronte del precariato, il governo non è intervenuto per ridurlo, ma per aumentarlo. La manovra estende l’uso dei voucher (ridimensionato nel 2017 dal governo Gentiloni) nei settori del turismo, commercio, discoteche e night club. “Questo ampliamento e rafforzamento nei settori più fragili renderà più precarie e ricattabili soprattutto le donne. Sono a rischio tutele come la maternità, i congedi parentali, la malattia e l’infortunio”, commenta Paolo Andreani, segretario generale Uiltucs. Quanto all’agricoltura, dopo le proteste dei sindacati il governo ha introdotto il “lavoro occasionale agricolo”, una tipologia che garantisce tutele migliori rispetto ai voucher, ma la Flai Cgil definisce ancora insufficiente, anche perché si può applicare per massimo 45 giorni all’anno: “Nelle pieghe della semplificazione per le aziende – dice Giovanni Mininni, segretario Flai Cgil – temiamo che si aprano nuovi spazi allo sfruttamento e al caporalato. Per citarne una: che senso ha fare un contratto di lavoro che dura tutto l’anno a un giovane studente o a un pensionato e poi chiamarlo a lavorare fino a 45 giornate al massimo? Vista la diffusa irregolarità del settore, risulta difficile pensare che non ci siano tanti che possano approfittarne”.

 

Professori: “Tagli alle scuole pubbliche, aiuti alle private”


Sulla scuola, la manovra prevede il dimensionamento delle istituzioni scolastiche che si riducono di 700 unità nei prossimi anni (al ritmo del 2% in meno per 7 anni). Questo significa maggiori accorpamenti degli istituti, minore autonomia, razionalizzazione dei dirigenti e in ultima battuta anche delle strutture. In parole semplici, c’è il rischio per gli studenti che i servizi siano meno efficienti. Vengono anche scavalcate le Regioni: se non si trova un accordo sulle modalità di questi cambiamenti, sarà il governo a farlo.
Di contro si assegnano 30 milioni l’anno per tre anni alle scuole paritarie come “contributo”. A protestare contro il governo sono i dirigenti, scontenti per il mancato adeguamento delle loro retribuzioni ai livelli degli altri manager pubblici: “È necessario che si onorino gli impegni presi dal governo con l’allora ministro Fedeli, con cui fu avviato il processo perequativo mai portato a termine – ha detto Attilio Fratta, presidente nazionale di Dirigentiscuola – Le condizioni retributive dei dirigenti sono a dir poco vergognose rispetto ai dirigenti amministrativi, a fronte di un carico di lavoro incomparabile”.
Anche per le università e gli istituti superiori non statali legalmente riconosciuti viene innalzata dal 20% al 30% (come previsto per le università statali) la quota massima di risorse destinata a fini premiali per la qualità della didattica e della ricerca. Insomma, niente per la scuola pubblica (anzi tagli) ma nuovi aiuti per le private.

 

Dipendenti Pa: “Binario morto per il settore”

Tra i perdenti della manovra non possono mancare i dipendenti della Pa. Per mettere una toppa alla mancata proroga dei contratti, è stato previsto un incremento dello stipendio dell’1,5% che dovrebbe far fronte alla perdita di salario dovuta all’inflazione. “È di tutta evidenza come questa mancetta sia del tutto inaccettabile a fronte di un’inflazione annua che solo per il 2022 si attesta intorno al 10%”, commenta Marco Carlomagno, segretario generale Flp. Un aumento una tantum che offre i frutti più ricchi ai dirigenti, mentre per il grosso dei dipendenti pubblici l’aumento è di circa 30 euro lordi al mese. I risparmi di spesa per il 2023, circa 3 miliardi, sono stati utilizzati altrove.
“Sono risposte inadeguate di fronte alle emergenze che stanno dilaniando le pubbliche amministrazioni”, commenta la segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino. Che aggiunge: “Così i redditi da lavoro dipendente rimarranno costanti nei prossimi anni, che a inflazione galoppante vorrà dire perdere salario, e che la spesa per il personale decresce, quindi niente assunzioni”. Insomma, il settore pubblico rischia di finire su un binario morto, le amministrazioni pubbliche sono tante e diverse hanno bisogno di personale, risorse e strumenti organizzativi per governare innovazione e digitalizzazione.

 

Polizia penitenziaria: “Condizioni indegne”


Nelle scorse settimane, il governo Meloni è riuscito a far arrabbiare anche i sindacati della polizia penitenziaria per il taglio di 36 milioni da qui al 2025 sul bilancio del Dap, 9,57 milioni solo nel 2023, su una dotazione complessiva per le carceri che nel 2021 ha superato i 3 miliardi e vale oltre il 30% dei fondi per la Giustizia. Altri tagli per oltre 1,5 milioni riguardano la Giustizia minorile. “Speravamo che dopo i proclami e le parole della premier durante il discorso per la fiducia, le cose sarebbero cambiate. E invece no, le condizioni in cui lavora il personale continueranno a essere indegne”, diceva Gennarino Di Fazio, a capo della Uil penitenziari.
Il settore soffre notevolmente: solo pochi giorni fa l’ennesimo detenuto suicida ha portato il totale a 82, mai accaduto da 20 anni a questa parte. “Ci hanno detto dalla Presidenza del Consiglio che i tagli sarebbero stati cancellati”, confida invece Giovanni Battista del Sappe, sindacato autonomo certo non ostile alla destra. C’è peraltro l’impegno, già previsto, ad aumentare la pianta organica: 250 agenti in più all’anno, mille in quattro anni, rafforzeranno l’organico oggi di 37 mila. “Con le assunzioni straordinarie nel 2025 dovremmo arrivare a poco più di 42 mila”, dice Durante. Anche la Fp Cgil, critica sui tagli, è parzialmente soddisfatta.

 

Dossier pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 24/12/2022