Come si promuove una guerra

Il brano che segue è tratto dai colloqui che lo psicologo Gustave Gilbert ebbe con Göring durante il processo di Norimberga, nel 1946, raccolti in Nuremberg Diary .

Herman Göring era l’imputato più importante al Processo di Norimberga. Considerato il numero 2 del regime nazista, è stato uno dei principali artefici dell’incredibile macchina propagandistica che ha portato un intero popolo ad appoggiare una folle guerra di conquista, oltre al genocidio degli ebrei in tutta Europa.
Per questo motivo, sforzandosi di andare al di là della repulsione per il personaggio e per quello che rappresenta, leggere queste parole è molto importante per capire ciò che è accaduto allora, e che continua ad accadere ogni volta che c’è da giustificare una guerra. Ciò che accade anche oggi. Anche in Italia.

Göring: “Ma è ovvio, la gente non vuole la guerra. Perché mai un povero contadino zoticone vorrebbe rischiare la propria vita in guerra quando il meglio che gli possa succedere è tornare alla sua fattoria sano e salvo? Naturalmente la gente comune non vuole la guerra. Non la vuole in Russia né in Inghilterra né in America, e neanche in Germania, per quel che vale. Si capisce. Ma dopotutto sono i leader del Paese che determinano le politiche, ed è facile trascinare la gente dietro a tali politiche, sia tale Paese una democrazia o una dittatura fascista o un Parlamento o una dittatura comunista”.
Gilbert: “C’è una differenza . In una democrazia la gente ha diritto di dire la propria sulla questione attraverso i suoi rappresentanti eletti, e negli Stati Uniti solo il Congresso può dichiarare guerre.”
Göring: “Oh, tutto questo è bellissimo, ma, che abbia o meno diritto a dire la propria, la gente può sempre essere trascinata dai propri leader. È facile. Tutto quello che c’è da fare è dire alla gente che sta per essere attaccata, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché mettono in pericolo il Paese. Funziona allo stesso modo in ogni Paese”

 




Quando l’arte spiega la politica (e predice le sciagure future)

Un’immagine può dire più di mille parole. E’ questo il motivo per cui, in tutti i periodi storici, i potenti hanno cercato di tenersi buoni gli artisti, cercando di farne i portabandiera della loro propaganda o ostacolandoli in tutti i modi nel caso si ostinassero a voler restare liberi di esprimersi.

Il dipinto riprodotto all’inizio dell’articolo è un esempio di come un’opera d’arte possa rappresentare una critica feroce verso un gruppo di potere, purtroppo dimostrando di aver capito prima degli altri che si stava per aprire una delle pagine più spaventose nella storia dell’umanità.
Il titolo dell’opera è “Eclissi di sole“. L’autore è George Grosz, pittore tedesco che nel 1926 descrisse a modo suo la situazione della Germania alla vigilia del nazismo.

 

Intorno ad un tavolo sono seduti i politici tedeschi. Sono rappresentati privi di testa. Il loro compito è prendere ordini: non vedono quello che accade intorno a loro, non sono capaci di pensare. Sono lì solo per obbedire a qualcun altro, che comanda al posto loro.

 

Chi comanda è il personaggio raffigurato al centro del tavolo. La sua figura domina letteralmente la scena. Si tratta di un generale, e lo capiamo da diversi indizi: l’uniforme, la sciabola insanguinata deposta sul tavolo. Ma sul tavolo c’è un altro oggetto: un crocifisso. Quindi un generale cristiano che all’occorrenza può essere anche violento ed uccidere, ma pur sempre con la benedizione divina.
Non si tratta di un personaggio immaginario: ad essere ritratto è il vero capo del governo, il presidente della Repubblica Tedesca, Paul von Hindemburg. Colui che qualche anno dopo avrebbe consegnato il potere nelle mani di Adolf Hitler, circostanza che fa di questo dipinto una sinistra profezia del futuro.

Ma è davvero il capo del governo a comandare, a dare ordini ai politici? Il dipinto ha un altro protagonista. Un uomo vestito in modo molto elegante, che sussurra nell’orecchio al Presidente, indicandogli le decisioni “giuste” da prendere. Chi è questo suggeritore? Il suo abbigliamento ci dice che è un finanziere, probabilmente un banchiere, e sottobraccio tiene i simboli delle imprese da lui finanziate: armi e treni. Alla fine, chi comanda davvero è lui. Lui sussurra al Capo del governo i suoi desideri, che vengono trasformati in ordini che i politici eseguono senza pensare, com’è normale per chi è privo di una testa.

 

E il popolo? Dov’è il popolo in tutto questo? Nel dipinto è raffigurato come un asino, con i paraocchi per non vedere aldilà del proprio naso, che si nutre dei giornali infarciti delle bugie e della propagande che il presidente e il banchiere gli propinano.

 

 

Ma è possibile che nessuno comprenda ciò che accade? Possibile che non ci siano voci fuori dal coro?
In un angolo vediamo anche i pochi che provano ad opporsi. Sono relegati sotto al tavolo. Per loro c’è la prigione e la prospettiva di una morte vicina, rappresentata da uno scheletro.

 

All’esterno dovrebbe splendere il sole. In effetti il sole c’è, ma è un sole che non fa luce perché oscurato da un’enorme moneta, con il simbolo del dollaro. Ed è questa immagine che dà il titolo al quadro, “Eclissi di sole“.

A rivederlo oggi, a distanza di quasi 100 anni, questo dipinto riesce ad essere davvero inquietante. Ciò che spaventa è che sembra fotografare non la situazione della Repubblica di Weimar alla vigilia del nazismo, ma la realtà politica che viviamo in questi giorni.
Tutti gli elementi trovano riscontro: i politici senza testa che non osano discutere gli ordini del Capo del governo, la sua vicinanza al mondo delle banche e della finanza, i generali ai quali il potere ricorre per darsi una parvenza di maggiore autorevolezza, l’uso spregiudicato dei simboli religiosi per acquisire consenso, il popolo con i paraocchi che si nutre di balle.
Rispetto al dipinto manca solo la galera o – peggio – la morte per chi si permette di dissentire, ma quanti in questo periodo si permettono di criticare il Capo, colui che gode di fama di infallibilità? E che succede se qualcuno si osa mettere in dubbio questo dogma? Viene subito attaccato da tutte le parti, isolato, messo a tacere: il Capo del governo non si può criticare.

Grosz riuscì a scappare in America prima che il nazismo arrivasse al potere; oggi non ce l’abbiamo più un’America in cui scappare, visto che a quel tavolo sono seduti idealmente tutti i governanti delle nazioni considerate più avanzate. Nulla rende l’idea della situazione meglio dell’enorme moneta che copre non soltanto il sole, ma tutti i valori in cui dicevamo di credere.
Basti pensare al rifiuto dei Paesi ricchi a liberalizzare la produzione di vaccini, che consentirebbe la loro diffusione in tutto il terzo mondo. I brevetti non si toccano, le grandi aziende farmaceutiche non possono intaccare i loro guadagni, e pazienza se milioni di persone non potranno vaccinarsi.
Oppure, per restare in casa nostra, pensiamo alle pretese di Confindustria, che da un lato reclama il diritto di licenziare i lavoratori più anziani (a spese dello Stato che dovrebbe farsi carico degli ammortizzatori sociali), dall’altro chiede di assumere più precari con stipendio ridotto (a spese dello Stato che dovrebbe farsi carico degli incentivi).

E mentre succede tutto questo l’asino si abbuffa di chiacchiere, come non ha mai fatto prima.

 




Proposta di legge popolare contro propaganda nazifascista: puoi firmare anche presso la CGIL dell’Aquila

Una legge per punire chi fa propaganda di fascismo e nazismo anche online.

“Legge Antifascista Stazzema” è il nome del progetto che sta portando avanti il comune toscano segnato da una delle più tragiche stragi di civili messe in atto dai militari tedeschi nell’agosto del 1944.

“Chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”: è questo l’estratto della proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dal sindaco di Stazzema Maurizio Verona.

Alla pagina anagrafeantifascista.it si possono trovare tutte le informazioni.

“La nostra proposta rispetto alla legge Mancino” spiega il sindaco di Stazzema Maurizio Verona “mira a colpire precisamente determinate fattispecie di reato, configurando così pene certe. Ci sono forme consolidate di propaganda fascista che sono impunite e la proposta di legge le evidenzia. I reperti storici non sono contemplati, se sono per finalità di studio, di conservazione museale o di ricerca”.

“Abbiamo inviato il modulo a tutti i municipi italiani – continua il sindaco Verona – . Ad oggi stiamo coprendo circa il 90% delle amministrazioni e i numeri sono in crescita. I cittadini possono recarsi nel proprio palazzo comunale, agli uffici urp o all’anagrafe elettorale, dipende dalle disposizioni, ma per qualsiasi informazione basta contattare il comune di residenza. Per aderire è necessario firmare il modulo di proposta di legge fornendo i propri dati anagrafici. La normativa prevede un minimo di 50mila firme, noi ci siamo dati il termine del 31 marzo per arrivare a questa soglia. La nostra pagina facebook ‘Legge Antifascista Stazzemà è già arrivata a 11 mila membri, all’interno è possibile avere chiarimenti su ogni dubbio inerente alla proposta“.


Dove firmare:

CGIL L’Aquila: presso la Camera del Lavoro in Via Saragat, tutti i giorni dal lunedì al sabato durante gli orari di apertura degli uffici.

Comune dell’Aquila: a Palazzo Fibbioni tutti i giorni dalle 8:00 alle 13:45 e il martedì e mercoledì anche il pomeriggio dalle 15:30 alle 17:30. Per informazioni si può telefonare al numero 0862 645217.

 

Fonte: www.newstown.it




Nazismo, Fascismo e Comunismo: la differenza spiegata in parole semplici

Lo storico Alessandro Barbero spiega, in modo semplice e convincente, le differenze tra Nazismo, Fascismo e Comunismo.
Puoi scegliere in che modo seguire la sua spiegazione: leggendo il testo o guardando il video linkato alla fine dell’articolo.


Il Nazismo è una cosa che è stata inventata in Germania negli anni ‘20 e vent’anni dopo è finita: nel 1945 i capi nazisti sono morti tutti. Chiunque era stato nazista si è affrettato a buttare via il distintivo e a giurare che lui, per carità: “Sì, mi ero iscritto al partito per obbligo, però mai stato nazista in vita mia!” E il Nazismo lì è finito.
Poi voi direte “Ci sono ancora gli Skinheads in Germania Est che si ispirano a queste cose” (non ci stanno simpatici, magari): ma non è qualcosa di profondamente radicato e significativo. Il Nazismo, di per sé, è il Regime nazista: una roba che è stata messa su in Germania, che aveva lo scopo di rendere potente la Germania e sterminare gli Ebrei, scopo dichiarato fin dall’inizio. È stato quello. Tanto che, se voi trovate oggi uno che dice: “Io sono nazista”, è inutile chiedergli: “Ma Hitler ti sta simpatico?” Perché se uno è nazista, Hitler gli sta simpatico.
Il Nazismo aveva come simbolo la croce uncinata, la svastica; e la svastica vuol dire quello. Se uno oggi si volesse mettere una svastica all’occhiello, vuol dire: “Io sono per la dittatura, il militarismo, lo sterminio degli Ebrei, la grande Germania e così via”. Vuol dire quello.

E il Fascismo?
Il Fascismo è nato nel ‘19 e nel ‘45 è morto. È durato poco più di vent’anni anche lui. È morto il Fascismo ma non sono spariti i fascisti. L’Italia era piena di fascisti ed è tutt’ora piena di fascisti, perché il regime ha governato il Paese per lungo tempo, con un consenso diffuso anche se non generalizzato, ha fatto delle cose che una parte del Paese voleva. Nella memoria delle famiglie italiane moltissime famiglie hanno memoria di nonni antifascisti, operai finiti in galera, partigiani. Moltissime altre famiglie, invece, hanno memoria di nonni fascisti che hanno raccontato ai loro figli che nell’Italia fascista si viveva benissimo, non c’era nessun problema e non si capisce perché oggi si deve…. è così, questo è un dato di fatto. Però Il Fascismo in quanto tale, come fenomeno storico, dura dal ‘19 al ‘45. Dopo c’è il Neofascismo che è un’altra cosa. E infatti, se voi trovate qualcuno  (lo trovate di sicuro, anche qui nel quartiere penso sia pieno di persone che dicono “Ah, io sono fascista in realtà”) è inutile chiedergli: “E Mussolini ti sta simpatico?” Perché se uno è fascista, essere fascista vuol dire identificarsi col regime di Mussolini. Quello è. E il fascio littorio è il simbolo di quel regime, di quei valori. Quali sono i valori? Beh, l’Italia dev’essere forte, potente, unita, non bisogna litigare,  non ci devono essere partiti (che litigano fra loro), non ci devono essere giornali che scrivono cose scandalose. Dev’essere un Paese unito, forte, gerarchico. Non bisogna eleggere i Sindaci: decide il Governo chi dev’essere il Sindaco di Roma. Bisogna marciare tutti quanti per le strade, tutti inquadrati, e così l’Italia sarà forte, potente e rispettata. È una roba che piaceva a un sacco di gente. E a me, se qualcuno mi dice: “ Questa roba mi piace” mi sta anche bene. Ha tutto il diritto di dirlo, naturalmente. Però il Fascismo è quello.

Ma il Comunismo?
Ammettiamo pure che sia finito anche lui, perché nel mondo di oggi non lo si vede come una forza organizzata e attiva e neanche come un ideale preciso condiviso, come una cultura diffusa. Ammettiamolo pure. Ammettiamo che sia finito il Comunismo, che i Cinesi non siano comunisti, è tutta un’altra cosa (e lì sarebbe lunga), ma ammettiamo che sia finito.
È nato all’inizio dell’800 il Comunismo. Nel 1848 esce un librino firmato da Marx e Engels che comincia con le parole “Uno spettro si aggira per l’Europa”. E cioè i padroni, i ricchi hanno i brividi perché si sono accorti che i loro operai non si accontentano più di lavorare ed essere sfruttati ma si stanno organizzando e vogliono qualcosa. Vogliono cambiare il mondo.
Comincia nella prima metà dell’800 e dura fino a ieri. Centocinquant’anni. Il Comunismo è esistito in tutti i Paesi, nel senso che in tutti i Paesi del mondo ci sono state persone che dicevano “Io sono comunista, voglio il Comunismo”; ci sono state organizzazioni e partiti comunisti. Nella grande maggioranza dei Paesi non sono mai andati al potere, sono sempre stati perseguitati. Essere comunista voleva dire rischiare la galera o molto peggio. Perché ci sono tanti Paesi dove essere comunista a un certo punto voleva dire: ti sbattono al muro se ti trovano.
Dopodiché i partiti comunisti sono andati al potere in molti Paesi, per primo in Russia nel 1917 e poi, dopo la seconda guerra mondiale, nel ‘45 in tanti altri Paesi. E non c’è nessun dubbio che al governo siano stati disastrosi. Non c’è nessun dubbio sul fatto che i Comunisti, dovunque sono andati al governo, hanno messo in piedi dei regimi fallimentari.
In Unione Sovietica è stato messo in piedi un regime omicida e assassino che ha dato tante cose – molta più eguaglianza che sotto il capitalismo – ma anche molta retorica vuota, molta propaganda insopportabile e molta violenza omicida. Stalin incarna un comunismo al potere che nei suoi anni, in quei vent’anni in cui Stalin è stato al potere in Unione Sovietica, ha fatto più morti di quelli che ha fatto Hitler. Certo!
Dopodiché, il Comunismo è quello?
Vallo un po’ a dire a uno che lottava per organizzare gli operai e farli scioperare nell’Italia appena unita di Vittorio Emanuele II che il Comunismo sono i campi di concentramento. Vallo un po’ a dire a quelli che si son fatti ammazzare in tanti Paesi lottando contro il colonialismo per esempio, e pensando che il Comunismo era una cosa meravigliosa.
Erano degli illusi? Può darsi benissimo. Però essere comunista, per la stragrande maggioranza della gente che per 150 anni è stata comunista, ha voluto dire: “Noi sogniamo un mondo migliore”. E cioè non un mondo dove marciamo tutti inquadrati e invadiamo l’Etiopia o la Polonia, beninteso: un’altra cosa. Un mondo dove sono tutti fratelli, tutti uguali.
Era un’utopia, erano degli illusi? È probabile. Quando hanno avuto la possibilità di applicarlo hanno fatto dei disastri! Verissimo. Dopodiché, la differenza mi pare evidente rispetto al Fascismo e al Nazismo. E se uno ignora questa differenza ignora la verità. Perché  la verità è che tu non puoi dire “Essere comunista è come essere nazista, la falce e martello è come la svastica”. Sono due cose diverse.

Guarda il video

 




Perché dobbiamo continuare a festeggiare il 25 aprile?

Anche quest’anno, com’è ormai tradizione, la ricorrenza del 25 aprile porta con sé il suo carico di polemiche: è una festa divisiva, è superata, è il ricordo di qualcosa – il fascismo – che non esiste più.

Questo è un fatto curioso. In nessun altro Paese del mondo ci si sognerebbe di discutere la festa nazionale: noi invece abbiamo imparato a considerare normale, nel corso degli anni, vedere personaggi politici che occupano ruoli istituzionali anche importanti ma che non essendo “esattamente antifascisti” hanno preferito trovarsi altri impegni per sottrarsi alle celebrazioni.

Questo non potrebbero farlo se non ci fosse stato il 25 aprile: la loro libertà di criticare questa ricorrenza è nata proprio grazie al 25 aprile.

Proviamo a riflettere sul vero significato di questa data.

Nessuno di noi esiterebbe nel condannare Hitler, il Nazismo, l’orrore dei campi di sterminio, i folli progetti di conquista dell’Europa. Ma ce lo ricordiamo che siamo entrati in guerra come alleati di Hitler?
Che il regime fascista è stato complice di questo orrore? E questo è già un valido motivo per non dimenticare: oggi i nostri sovranisti accusano il Governo di essere succube della Germania, rimpiangendo quello che per loro era un periodo di grande prestigio. Ma la realtà è un’altra: il fascismo, quello sì che è stato un periodo di totale sottomissione alla Germania. Sottomessi al punto da accettare i lager, le leggi razziali, una guerra folle, gli ordini impartiti dal regime più spietato della storia.

Il 25 aprile 1945 è il momento in cui davvero l’orgoglio di un popolo riesce ad affermarsi, in cui l’Italia recupera la sua dignità. E arriva a conclusione di un periodo terribile, di quella che prima ancora che una guerra contro l’invasore straniero è stata una guerra fratricida.

La mia è una generazione che ha avuto la possibilità di sentir parlare del fascismo e della guerra da testimoni diretti: genitori e nonni ci hanno raccontato le loro esperienze, permettendoci di vedere attraverso i loro occhi e capire quanto sia stata difficile e dura la lotta che ci ha portato a liberarci dal nazifascismo. Per i ragazzi di oggi questa possibilità sta venendo meno, e presto non ci sarà più del tutto.

A loro abbiamo il dovere di ricordare, di insegnare. Di farli riflettere su quello che hanno vissuto ragazzi come loro, che nel giro di poco tempo sono passati dai banchi di scuola a dover imbracciare le armi e combattere, magari proprio contro quello che era stato il loro compagno di banco. Di raccontargli il coraggio con cui ragazzi come loro hanno lottato, sognando una libertà che in tanti non hanno mai potuto conoscere, perché sono morti prima di conquistarla.

Si dice che il fascismo sia un ricordo del passato, qualcosa che non può tornare; eppure basta guardarsi intorno per capire che non è così. Basta sentire i proclami infarciti di odio, di egoismo, di nazionalismo, di presunta supremazia di una cultura sulle altre per capire che tutto questo non è mai finito. Basta guardare cos’è successo in Ungheria per capire che ancora oggi, nel 2020, può nascere una dittatura in Europa. Per capire come la dittatura nasca sempre fingendo di ammantarsi di ideali, illudendo la popolazione di inseguire il bene comune.

Tutto questo va spiegato soprattutto alle giovani generazioni. Per questo il ricordo di ciò che è stato è indispensabile. E’ indispensabile celebrare il 25 aprile, più che mai in un paese nel quale – ancora oggi – esistono politci che chiedono pieni poteri.

Luca Copersini
Segretario Provinciale Fisac/Cgil L’Aquila

 




27 gennaio 2020 giorno della memoria

Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche arrivano ad Auschwitz. L’orrore dei campi di concentramento nazisti si manifesta in tutta la sua drammaticità; in questo luogo della Polonia incontrano l’espressione più bieca e criminale di cui possono essere capaci gli uomini nei confronti dei propri simili. Fino a disporre in modo assoluto della vita di chi viene giudicato inferiore.
Un disegno folle, frutto di un’ideologia che fa della superiorità della razza la distinzione tra le persone, ha pianificato milioni di morti, in un disegno delirante di conquista del mondo.

 

Dal 1939, con l’invasione della Polonia da parte di Hitler, furono istituiti oltre mille ghetti.
Lì vissero, per un periodo più o meno lungo, relegati in spazi sempre più piccoli e in condizioni disumane, centinaia di migliaia di persone. Si calcola furono i due terzi delle vittime della Shoah.
Nei primi tempi, per separare le persone di religione ebraica da quelle di “pura razza ariana”, vennero delimitate delle zone delle città, appositamente distinte, con dei cartelli:
“Pericolo epidemie. Zona proibita”.
È chiaro che, già prima della costruzione dei muri di recinzione, alla segregazione si aggiunge lo sfregio.
Il disegno: l’identificazione del nemico, l’isolamento, poi ogni ordine di privazione, la violenza gratuita, la fame, la morte per stenti, per malattia. Infine la deportazione e il destino affidato ai carnefici dei campi di sterminio.

Commemorando il GIORNO DELLA MEMORIA, vogliamo ricordare anche ciò che rese evidente fin da subito le atrocità di cui si sono macchiati nazisti e fascisti. Perché non accada mai più.

MAI indifferenti.

 

ANPI
Sezione “Adele Bei” – Corso Italia 25, Roma

 

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FISAC Banca d’Italia: dalla parte di Liliana

Alla notizia della scorta assegnata a Liliana Segre dopo le minacce subite negli ultimi tempi, la domanda stupita che si è sentita più spesso è “Cosa stiamo diventando? Cosa siamo diventati?”.

Quale che sia la risposta, forse sarebbe saggio chiedersi anche “quando” lo siamo diventati. Forse è stato quando abbiamo dichiarato gli stadi di calcio “zone franche” in cui chiunque può ululare insulti a ebrei, zingari, neri: tanto nessun provvedimento efficace viene preso.

O forse è stato quando Gad Lerner è stato gravemente insultato e minacciato, chiamato con disprezzo “ebreo” mentre faceva il suo lavoro di giornalista al raduno leghista di Pontida. Oppure è stato quando abbiamo lasciato che i social network diventassero il terreno perfetto per aggressioni sessiste, auguri di stupro e di morte alle donne che si “espongono” con posizioni politiche scomode.

Abbiamo lasciato che i portatori di odio spostassero l’asticella sempre più in alto, fino all’impensabile: prendersela con una signora coi capelli bianchi sopravvissuta al campo di concentramento più famoso della Storia. Una donna che, probabilmente, pensava di aver già pagato alla vita un prezzo molto alto, ma che, condividendo i propri ricordi personali, ha contribuito a tenere in vita una memoria collettiva altrimenti destinata ad affievolirsi.

Ma è con la proposta di istituire una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza che la senatrice Segre incarna sì la vittima, ma che reagisce e questo, per alcuni, non va affatto bene.

I gruppi parlamentari di destra si astengono dal voto sulla proposta di Commissione, lamentando – con involontario tragicomico senso dell’umorismo – tentativi di censura.

Il resto – gli insulti, le minacce – è cronaca di questi giorni; e la necessità di mettere sotto scorta una signora di novant’anni sopravvissuta ad Auschwitz non fa che certificare il mesto fallimento culturale della nostra società.

Roma, 8 novembre 2019

 

La Segreteria Nazionale Fisac-Cgil Banca d’Italia