Banche poco trasparenti: bocciate su tutta la linea

Una ricerca del Politecnico di Milano ha esaminato la qualità dell’informativa fornita a consuntivo da 18 grandi operatori finanziari ai clienti con risultati a dir poco imbarazzanti.

Altro che Mifid 2!
Arriva una sonora bocciatura dei rendiconti annuali dei costi inviati a consuntivo dalle banche ai clienti. A decretarla è una ricerca condotta dalla School of management del Politecnico di Milano, commissionata da Moneyfarm, che ha esaminato la qualità dell’informativa fornita da 18 grandi intermediari finanziari italiani focalizzati sulla clientela retail. Se l’obiettivo della direttiva Mifid2 era quello di rendere consapevoli i risparmiatori degli oneri che gravano sul rendimento del loro investimento, le banche hanno fatto di tutto – ma proprio di tutto – per non raggiungerlo.

Oltre a non essere stati tempestivi nell’invio, gli intermediari hanno alla fine inviato documenti poco chiari e in alcuni casi illeggibili, non focalizzando la comunicazione esclusivamente sui costi, che spesso sono stati inseriti in copiose pagine per nasconderli, con l’uso di termini di non immediata comprensione (come “inducements” o “incentivi”) per comunicare i pagamenti che la banca riceve da terze parti per la vendita di determinati prodotti.
Per non destare troppo l’attenzione del cliente – con l’intento di indurlo a cestinare la posta – più della metà del campione di banche analizzato non ha neanche inserito la parola “costi” o “oneri” nell’intestazione del documento.

Il focus dell’indagine
L’analisi è stata condotta sulla base di tre distinti livelli di valutazione su adempimenti relativi a :
a requisiti obbligatori minimi imposti dalla normativa primaria, (Direttiva Mifid2) e dai regolamenti attuativi di secondo livello;
indicazioni pubblicate dall’Esma tra ottobre 2016 e maggio 2019 e dalle Associazioni di categoria a titolo di best practice, con la formula delle Q&A (domande e risposte);
altri parametri qualitativi che, al di là delle raccomandazioni e degli obblighi di legge, possono massimizzare la trasparenza e la chiarezza delle informazioni fornite auspicate dal legislatore.

Risultati imbarazzanti
Solo cinque banche su 18 hanno rispettato integralmente tutti i requisiti minimi imposti dalla normativa. Sono poche, quindi, anche quelle cje hanno fatto lo sforzo minimo per poter essere ritenute adempienti rispetto agli obblighi di trasparenza imposti dalla direttiva Mifid2.
Tutti gli intermediari hanno correttamente riportato i costi totali applicati all’investitore (in valore assoluto e in percentuale) e la ripartizione in forma aggregata dei costi in strumenti finanziari, servizi d’investimento e pagamenti retrocessi alla banca da terzi. Solo il 50% degli intermediari, però, ha per esempio indicato l’effetto cumulativo dei costi sulla redditività dell’investimento. E solo il67% ha riportato correttamente l’onere fiscale dell’imposta di bollo e Iva

Nessun intermediario (0%) è riuscito a seguire tutte le raccomandazioni indicate dalle associazioni di categoria e nelle Q&A dell’ESMA, orientamenti che, seppur non obbligatori, indicano le prassi di mercato più virtuose che gli operatori dovrebbero adottare per perseguire al meglio l’obiettivo della normativa: agire nell’interesse del cliente mettendo a disposizione informazioni chiare, corrette e non fuorvianti per indirizzarlo in un investimento consapevole.

Per esempio l’indicazione dell’Esma di inviare “prima possibile” i rendiconti 2018 ai clienti non è stata seguita alla lettera: nel campione di 18 intermediari analizzato dal Politecnico solo 2 hanno inviato il report a maggio 2019, 2 a giugno, 11 a luglio, 2 in agosto e 1 addirittura a settembre.

Il risultato più negativo riguarda la poca trasparenza nella comunicazione dei “pagamenti riconosciuti da terze parti”: il 94% degli intermediari utilizza termini di non immediata comprensione (come “inducements” o “incentivi”) per questa voce relativa alle retrocessioni percepite per strumenti finanziari raccomandati o offerti ai propri clienti. Solo una banca del campione li ha definiti come tali, conformemente alle indicazioni dell’Esma.

Come giocare a nascondino
Per nascondere le informazioni salienti dei costi pagati dai singoli clienti , le banche hanno seguito in primis la via di “affogarli” in copiose pagine. I dati minimi richiesti potrebbero essere schematizzabili in un massimo di quattro tabelle, ma il 39% degli intermediari hanno deciso di inserirli in documenti di 10-30 pagine e nel 17% dei casi i rendiconti inviati superano le 30 pagine.
Infine il 56% delle banche ha scelto di non chiamare il rendiconto con il “proprio nome”: solo nel 44% dei casi è compresa la parola “costi” o “oneri” nell’intestazione.

La pagella finale
Per riassumere in un unico indicatore di valutazione le diverse variabili esaminate lungo le tre categorie di analisi è stata infine elaborata una griglia di sintesi evidenziando i punti più deboli nella rendicontazione.
La griglia (facendo la media dei singoli punteggi delle 3 direttrici) assegna un ‘voto’ finale in trentesimi, fra zero e “30 con lode”, a ciascuno dei 18 documenti analizzati:
•Complessivamente, il voto medio è pari a 21,4;
quattro rendiconti non raggiungono la sufficienza, a causa di lacune rilevate nella sezione delle informazioni obbligatorie;
•solo tre rendiconti totalizzano un punteggio superiore a 26/30.

Gli auspici
«L’industria del risparmio, in questo suo primo test imposto dal legislatore – afferma Giancarlo Giudici, professore associato della School of Management del Politecnico di Milano e referente scientifico della Ricerca -. non è sempre riuscita a cogliere a pieno le potenzialità derivanti dalla Mifid2 a beneficio di tutti. Scopo principale della direttiva è quello di definire uno standard virtuoso nella comunicazione dei costi per aiutare l’investitore a prendere decisioni di investimento consapevoli. I risultati mostrano che alcuni intermediari sono riusciti meglio di altri nell’obiettivo e sarà interessante osservare se nei prossimi anni il mercato farà tesoro di queste informazioni».

Per Paolo Galvani, presidente e Co-fondatore di Moneyfarm l’augurio è «che le novità introdotte dalla Mifid2 nei prossimi anni possano impattare realmente su tutto il sistema, così da realizzare quella auspicata “rivoluzione copernicana” in ottica di maggiore trasparenza generale, riconoscibilità del valore di indipendenza associato alla consulenza finanziaria e consapevolezza del risparmiatore sugli effettivi costi dei propri investimenti. La trasparenza fa parte del nostro modo di operare da sempre, ed è per questo che abbiamo deciso di supportare questo importante lavoro del Politecnico».

«In assenza di un intervento correttivo da parte delle autorità – conclude Massimo Scolari, presidente Ascofind (Associazione per la Consulenza Finanziaria Indipendente) – gli intermediari che scelgono modalità di comunicazione più opache, anziché subire penalizzazioni, potrebbero addirittura ottenere vantaggi competitivi nei confronti degli operatori più trasparenti. Il livello di qualità delle comunicazioni potrebbe quindi essere attirato verso il basso, mettendo a repentaglio di obiettivi ultimi perseguiti dalla direttiva. Ci auspichiamo quindi che già dal prossimo anno gli intermediari riescano a comunicare in tempi più ravvicinati e che soprattutto si avvii un’iniziativa volta ad una maggiore standardizzazione dei contenuti e delle modalità di comunicazione».

Elenco del campione di 18 intermediari considerati nello studio del Politecnico di Milano:

Allianz Bank Financial Advisors
Azimut Capital Management SpA
Banca Generali Private
Banco BPM Banco BPM SpA
BNP Paribas BNL 
BPER Banca
CREDEM Credito Emiliano SpA
Deutsche Bank SpA
Fineco Bank SpA
ING Bank
Fideuram
Intesa San Paolo Private Banking SpA
CheBanca! (Gr. Mediobanca)
Banca Mediolanum
Banca Widiba SpA (Gr. Mps)
IW Bank (Gr. Ubi)
Unicredit
Unipol Banca SpA

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

 




Il questionario Mifid II: consigli pratici della FISAC per lavorare tranquilli

Premessa

Questa non sarà una dissertazione teorica su Mifid II. Non ti servirebbe come strumento di lavoro. Sappiamo come lavori in filiale, con quali ritmi, con quali difficoltà e con quali pressioni. Vuole essere invece un piccolo vademecum per evitarti di cadere in trappole travestite da opportunità commerciali. Ricorda che il budget è uno strumento per pianificare l’attività commerciale; per questo motivo cambia continuamente e viene sostituito da un altro. Il budget quindi è solo una parte del tuo lavoro, che è anche molto altro. Il budget passa, il tuo lavoro deve restare. Il tuo lavoro è la tua fonte di reddito e lo strumento dell’affermazione della tua dignità professionale e personale, e questo è più importante di qualunque budget. 

 

Compilazione del questionario

Dati anagrafici: non mi soffermerò troppo su questa sezione. Compilare male questa parte del questionario è un genere di “furbizia” dalla vita brevissima, che serve esclusivamente a complicarti la vita. Se un cliente è anziano, rispetta la sua anzianità. Se un cliente è diplomato, non scrivere che è laureato.

Obiettivo dell’investimento: il tuo cliente va edotto immediatamente del rapporto che esiste tra rischio e rendimento. Più è disposto a rischiare di perdere valore, almeno sul medio periodo, più aumenta la probabilità che, sempre sul medio periodo, possa ottenere buoni rendimenti. In questo rapporto è fondamentale il fattore tempo. Il cliente infatti deve potersi dare il tempo di recuperare una eventuale perdita sul suo capitale iniziale. Diversamente, il rapporto tra rischio e rendimento rimane su un piano puramente astratto.

Un esempio: se il tuo cliente dichiara la finalità di incrementare il capitale investito in maniera “molto consistente”, e dichiara altresì di essere disposto, in cambio, a sopportare perdite anche superiori al 10% del capitale, non è coerente con queste affermazioni che si proponga di raggiungere questo scopo (domanda successiva del questionario) in un periodo breve (fino a 18 mesi), e nemmeno in un periodo medio (fino a 36 mesi). Delle due l’una: o accetta di darsi un tempo più lungo (almeno 60 mesi), oppure non è vero che il suo profilo di rischio è così elevato come dichiara. Quindi la sequenza delle risposte in questa sezione va considerata nel suo insieme, avendo come riferimento necessario il fattore tempo. Ciò significa mettere in relazione questa sezione anche con il dato anagrafico del cliente: se il tuo cliente ha 80 anni, è incongruente che possa darsi un limite temporale di 60 mesi oppure oltre per recuperare perdite eventuali e realizzare alti guadagni. Il suo profilo di rischio non può prescindere dalla sua età.

Ciò, in estrema sintesi, significa mettere al centro del questionario il cliente. Se si adotta questo approccio, le risposte saranno coerenti tra loro. Se si ha in mente il prodotto da collocargli, l’incoerenza è sempre in agguato.

Conoscenza ed esperienza: qui bisogna partire da un assunto: se il tuo cliente non conosce un tipo di prodotto, non lo conosce, punto. Questa è la risposta che va scritta nel questionario. Dipenderà dalle tue capacità illustrarglielo affinché, in futuro, possa padroneggiarne le caratteristiche basilari. Ma se quando compili il questionario non lo conosce (ad esempio, non sa cosa è una Unit Linked) non devi scrivere al suo posto la risposta: non lo conosce e basta. Questo è lo spartiacque tra i prodotti sui quali potrai fargli una consulenza (quelli che conosce) e i prodotti sui quali non potrai fargliela (quelli che non conosce), almeno per il momento.

La gamma di prodotti sui quali puoi fargli consulenza sarà sottoposta al vaglio dell’adeguatezza,  la quale altro non è che la corrispondenza del prodotto scelto alla sua profilatura. Se invece il cliente vuole in autonomia acquistare un prodotto che non conosce, la valutazione che verrà fatta è di appropriatezza,  che va espressamente confermata dal cliente qualora l’operazione risulti non appropriata (come spesso accadrebbe, nel caso di un prodotto che volesse sottoscrivere senza conoscerne le caratteristiche).

Prodotti illiquidi: in questa sezione la forzatura del questionario è sempre in agguato, perché l’accettazione del rischio di mantenere un prodotto illiquido per più di sei anni è la smagliatura attraverso la quale far passare come “adeguati” prodotti che non lo sono. Il tuo cliente deve essere ben consapevole che accettare di tenersi un prodotto dalle caratteristiche di spiccata illiquidità non è un’affermazione di poco conto, e va fatta con estrema consapevolezza. Va precisato che illiquidità non significa solo impossibilità di smobilizzo, ma elevata probabilità che uno smobilizzo a breve-medio termine comporti perdite di valore. E’ appena il caso di ricordare che alcune tra le più recenti casistiche di “tradimento” del risparmio hanno avuto a che fare con l’impossibilità di rivendere sul mercato prodotti della casa madre (azioni e obbligazioni). 

Prodotti finanziari-assicurativi: le banche esercitano molte pressioni finalizzate alla vendita di questo genere di prodotti, perché garantiscono un elevato ritorno di commissioni. La sezione nella quale il cliente dichiara quali esigenze ha e quali rischi vuole coprire sottoscrivendo prodotti “misti” va però compilata in maniera scrupolosa e scevra da ogni assillo di ordine commerciale. In altre parole: non pensare al prodotto che hai a budget, pensa a quello che ti dice il cliente. Se il cliente dice che vuole coprire un rischio ma non gli interessa investire somme per beneficiare un terzo o un erede, significa che la parte che gli interessa è la prima. Naturalmente questo non significa che tu non possa far emergere nel tuo cliente, attraverso un colloquio ben orientato, bisogni o esigenze di protezione che pensava di non avere. Ma questo deve avvenire in maniera trasparente e in ogni caso la risposta del cliente così come risulterà dal questionario deve riflettere la sua volontà, non i tuoi desideri. 

Infine una raccomandazione che può suonare banale, ma lo è solo per chi non conosce il nostro lavoro, nelle condizioni concrete in cui le aziende lo calano, in un contesto di estrema pressione volta al massimo risultato. Scorri il questionario Mifid in tutte le sue parti con estrema attenzione, prima di “chiuderlo”. Nulla infatti vieta di far sottoscrivere, in futuro, un questionario Mifid diverso nel momento in cui il cliente matura consapevolezze o esigenze nuove, ma, appunto, ciò normalmente è il frutto della maturazione di alcune consapevolezze o del mutare di alcune situazioni di fatto nel cliente, circostanze che normalmente richiedono il passaggio di un certo tempo. La giurisprudenza, sia “interna” (Arbitro Bancario Finanziario) che esterna (giudici), valuta invece con estremo sfavore la prassi di far succedere, in unità di tempo molto limitata (non parliamo solo di ore, ma di giorni), due questionari Mifid sottoscritti dal medesimo cliente sulla medesima posizione. Se poi al secondo questionario, opportunamente variato rispetto al primo in alcune risposte “chiave”, fa seguito la sottoscrizione pressoché immediata, o comunque contestuale in termini logici, di un prodotto che risulta adeguato sulla base del secondo questionario ma sarebbe stato inadeguato o addirittura inappropriato rispetto al primo, diventa molto difficile per il consulente dimostrare che la variazione non è stata operata appositamente allo scopo di arrivare a quel risultato commerciale. In questo caso si realizza una sorta di inversione di onere della prova: la condotta scorretta è in re ipsa, e spetta al dipendente dimostrare che la sottoscrizione di due questionari a breve distanza, seguiti dalla sottoscrizione di un certo prodotto, non integra una condotta deontologicamente scorretta. Ci sono alcune banche che pongono dei paletti interni di ordine procedurale, per cui un questionario Mifid, una volta chiuso, non può essere modificato/sostituito da un altro (salva l’ipotesi di mero errore materiale) prima di un certo tempo(es. 6 mesi). Ma alcune altre non fissano barriere interne, ed in tal caso il dipendente in autonomia deve muoversi nel rispetto delle regole deontologiche.

Approfondimento a cura di Nicola Cavallini per Consulta Giuridica Fisac – Cgil

Leggi anche: MIFID II: breve guida operativa per gli addetti del settore




MIFID 2: consigli pratici per gli addetti

MIFID II. Nessuno invece si è occupato di dire cosa cambia per i lavoratori del settore.

Scarica il Manuale Mifid 2 – Consigli pratici

N.B. il Manuale è disponibile anche nella sezione Guide e Manuali




Mifid 2: raccomandazioni importanti per gli operatori

Quello che segue è un volantino che contiene consigli importanti per tutti gli operatori che trattano prodotti finanziari, pubblicato dalle rappresentanze sindacali Unicredit.

Dal primo gennaio Mifid 2 ha introdotto norme ancora più stringenti a tutela dei risparmiatori. Assoluta trasparenza nelle commissioni applicate, classificazione più sofisticata della clientela, cataloghi di prodotti rigidamente predefiniti per i singoli profili e rispetto costante di un corretto rapporto costi/benefici (per il cliente) sono le principali innovazioni introdotte. Innovazioni che non solo mirano ad una ancora maggiore tutela dei risparmiatori, ma che devono essere viste anche come funzionali a riportare finalmente, tra banche e clienti, la fiducia in troppi casi deteriorata dagli scandali legati al cosiddetto “risparmio tradito” e non ancora del tutto ristabilita, nemmeno attraverso gli accordi sulle vendite responsabili.

Mifid 2, a nostro avviso, deve quindi essere valutata in maniera professionalmente obiettiva e non vista soltanto come l’ennesimo ostacolo all’attività commerciale. In questo senso, la fermezza nel rispetto costante delle regole rimane prioritaria, indispensabile e tutelante per i colleghi oltre che per la stessa clientela.

Frenesie commerciali e spinte improprie all’accelerazione dei risultati, magari nella speranza di aggirare vincoli normativi peraltro già in vigore, rappresenterebbero quindi, nell’attuale contesto, non solo comportamenti irrispettosi degli accordi sulle pressioni commerciali, ma addirittura condotte gravemente irresponsabili.

Non sarà pertanto giustificata alcuna indebita sollecitazione operativa, a maggior ragione a fronte di carenze procedurali in essere; al contrario, le nuove norme dovrebbero indurre tutti a lavorare con ancora maggiore cautela.

Denunciamo, inoltre, il colpevole ritardo dell’azienda che non si è affatto preoccupata di erogare una adeguata e preventiva formazione su queste importanti novità normative, esponendo i lavoratori a rischi altissimi.

Il nostro invito ai colleghi è pertanto quello di operare con la massima prudenza e di non effettuare operazioni non consentite dalla normativa MIFID2, anche se la procedura per il momento, a seguito di aggiornamenti in corso, non risultasse bloccante.

Negli incontri che si sono tenuti recentemente abbiamo posto con forza – e continueremo a farlo nei prossimi giorni – la necessità di prevedere quanto prima interventi formativi al riguardo, a tutela dei lavoratori.

Milano, 15 gennaio 2018

Segreterie di Coordinamento
Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – UniSin
UniCredit S.p.A.

Scarica il volantino

Sullo stesso argomento:

https://www.fisaccgilaq.it/banche/mifid-2-cosa-cambia-per-gli-operatori.html




MIFID 2: cosa cambia per gli operatori?

Lo scorso 3 gennaio è entrata in vigore la normativa MIFID 2.
Lo scopo delle nuove norme è garantire maggiori tutele agli investitori al dettaglio ed aumentare la trasparenza sui costi.
Diverse le novità introdotte, alcune delle quali riportiamo in modo estremamente sintetico:

  • I prodotti finanziari dovranno essere pensati per un specifico target di clientela, che le aziende saranno tenute ad individuare all’atto dell’emissione.
  • Verrà implementato il questionario per la profilazione del cliente, includendo anche i suoi bisogni.
  • I controlli di adeguatezza non saranno limitati al momento della sottoscrizione, ma verranno estesi a tutta la durata del prodotto finanziario.
  • Comunicazioni più trasparenti ed esaustive sui costi, da indicare sia ex ante sia ex post, per consentire ai clienti di valutare con chiarezza il loro reale impatto rispetto ai rendimenti.
  • Possibilità per le autorità di vigilanza di vietare o limitare la vendita di singoli prodotti finanziari.

Esaminiamo in modo più approfondito le norme che avranno un impatto sui lavoratori.

INCENTIVI

Le aziende non potranno prevedere incentivi legati a specifici strumenti finanziari. La norma è finalizzata ad evitare che il consulente sia spinto a proporre al cliente gli strumenti più redditizi per l’azienda, tralasciando quelli più vicini alle effettive esigenze dell’investitore ma meno remunerativi per la banca o la compagnia assicurativa.

REQUISITI PROFESSIONALI DEL CONSULENTE FINANZIARIO

Questa è la parte della normativa che avrà maggior impatto sugli operatori e sulle aziende, causando presumibilmente diverse modifiche di carattere organizzativo e gestionale.

La Consob, basandosi sulle Guidelines for the assessment of knowledge and competence” dell’ESMA, ha emanato il Documento di consultazione del 6 Luglio 2017 (nel quale sono riportate anche le modifiche rispetto alla prima versione risalente al mese di dicembre 2016 )attraverso il quale elenca i requisiti richiesti per prestare la consulenza in materia di investimenti. Entrambi i documenti sono consultabili attraverso i link pubblicati in fondo all’articolo.

I consulenti dovranno pertanto essere in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:

  • Iscrizione all’ “Albo Unico Nazionale dei Promotori finanziari” istituito con l’Art. 31 del Testo Unico sulla Finanza, o superamento dell’esame previsto per tale iscrizione e, in entrambi i casi, almeno 12 mesi di esperienza professionale.
  • Diploma di laurea almeno triennale in discipline economiche, giuridiche, bancarie o assicurative e almeno 12 mesi di esperienza professionale.
  • Diploma di laurea almeno triennale in discipline diverse da quelle precedentemente indicate, integrato da un master postlauream in discipline economiche, giuridiche o finanziarie, o titolo di studio estero equipollente, e almeno 12 mesi di esperienza professionale;
  • Diploma di laurea almeno triennale in discipline diverse da quelle precedentemente indicate, e almeno 24 mesi di esperienza professionale;
  • Diploma di istruzione secondaria superiore di durata quinquennale e almeno 4 anni di esperienza professionale.

Limitatamente agli ultimi due casi, il periodo dell’esperienza professionale è dimezzato qualora l’interessato attesti di avere acquisito, mediante una formazione professionale specifica, conoscenze teoriche e pratiche nelle materie individuate al punto 18 degli Orientamenti ESMA
La formazione professionale consiste nella partecipazione nei 12 mesi antecedenti l’inizio dell’attività a corsi di durata non inferiore a 60 ore, svolti in aula o a distanza, mirati al conseguimento di conoscenze teoriche aggiornate, di competenze tecnico-operative e di una corretta comunicazione con la clientela.
I corsi di formazione si concludono con lo svolgimento di un test di verifica, effettuato a cura di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la formazione.

L’ esperienza lavorativa professionale dev’essere maturata nell’ambito delle materie elencate nel punto 18 degli Orientamenti ESMA. Tale esperienza deve essere stata acquisita in un periodo non antecedente gli ultimi 10 anni, anche presso diversi intermediari.

Durante il periodo di maturazione dell’esperienza professionale, l’operatore privo dei requisiti può operare esclusivamente sotto la supervisione di un altro membro del personale in possesso di uno dei requisiti citati. La durata massima del periodo di supervisione è prevista in 4 anni.

Per gli operatori che non prestano servizi di consulenza, ma si limitano a fornire informazioni riguardanti strumenti finanziari, servizi di investimento o servizi accessori, i titoli di studio richiesti sono i medesimi ma il periodo di esperienza professionale da maturare è dimezzato. In questo caso, le competenze richieste sono quelle elencate al punto 17 degli Orientamenti ESMA.

Non sarà più possibile operare in alcun modo su prodotti finanziari a chi non è in possesso almeno di un diploma di scuola secondaria. Esiste però la possibilità di non perdere le professionalità acquisite: la normativa consente a coloro che sono in possesso del solo diploma di licenza media di continuare fornire informazioni o prestare la consulenza a condizione che, alla data del 2.1.2018, svolgano tali attività ed abbiano maturato un’esperienza documentata di almeno dieci anni.

Gl’intermediari dovranno assumersi la responsabilità di verificare che i soggetti interessati siano effettivamente in possesso delle conoscenze richieste dagli Orientamenti ESMA.

Allegati:

Documento di consultazione CONSOB del 6 Luglio 2017

Orientamenti ESMA