Adesso basta! Il 17 novembre 8 ore di sciopero generale

Venerdì 17 novembre 8 ore di sciopero: per alzare i salari, per estendere i diritti e per contrastare una legge di bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e non offre futuro ai giovani


  • Non c’è alcuna risposta all’emergenza salariale: hanno annunciato “100 euro in più nelle buste paga”, ma si limitano a confermare quelle in essere, già falcidiate – in media del 17% – da un’inflazione da profitti e speculazione.
  • Hanno detto di “rilanciare la contrattazione collettiva”, ma non stanziano le risorse necessarie a rinnovare i contratti del pubblico impiego e a sostenere e detassare i rinnovi nei settori privati.
  • Hanno dichiarato di voler incrementare la spesa sanitaria, ma continuano a indebolire il Servizio Sanitario Nazionale spingendo cittadini e personale verso la sanità privata.
  • Tagliano le risorse alla scuola pubblica, alle politiche sociali (casa, affitti, bollette, povertà), alla disabilità e non mettono nulla per la non autosufficienza e sul trasporto pubblico locale.
  • Avevano promesso di “cancellare la Legge Fornero” e invece la confermano e la peggiorano: restringendo le già limitate misure di flessibilità in uscita (quota 103, opzione donna, ape sociale); tagliando i futuri assegni dei pubblici e la rivalutazione delle pensioni in essere; e di fatto stabilendo – dal 2024 – le uscite per tutti con i 67 anni di vecchiaia, i 42 anni e 10 mesi di anticipata (uno in meno per le lavoratrici) e i 71 anni per giovani e donne nel sistema contributivo.
  • Non fanno nulla per il lavoro stabile e di qualità e non intervengono contro la precarietà, anzi: reintroducono i voucher e liberalizzano il lavoro a termine.
  • Nessun investimento concreto per migliorare la vita e il lavoro delle donne: solo propaganda patriarcale e regressiva.
  • Portano avanti una riforma fiscale che – a parità di reddito – tassa di più i salari e le pensioni dei profitti, delle rendite finanziarie e immobiliari, del lavoro autonomo benestante, dei grandi patrimoni e dei redditi alti e altissimi.
  • Non tassano gli extraprofitti e incentivano un’evasione fiscale che, ogni anno, sottrae 100 miliardi di euro alle politiche sociali e di sviluppo del paese.
  • Non investono in salute e sicurezza, nonostante la strage che si consuma ogni giorno nei luoghi di lavoro.
  • Non ci sono politiche industriali e di investimento in grado di creare lavoro buono e ben retribuito soprattutto peri giovani; dare risposte a lavoratrici e lavoratori coinvolti nelle tante crisi aziendali aperte a cui il governo non dà soluzioni; e governare la transizione ambientale, digitale ed energetica: si continua con gli incentivi a pioggia alle imprese e si rilanciano le privatizzazioni.
  • Tagliano gli investimenti pubblici e sulle infrastrutture, dimenticano il Mezzogiorno

 

8 ore di sciopero generale a sostegno di un’altra politica economica, sociale e contrattuale, che non solo è possibile, ma necessaria e urgente

  • LAVORO Aumentare stipendi e pensioni; rinnovare i contratti nazionali rafforzando il potere d’acquisto e detassando gli aumenti; abbattere i divari che colpiscono le donne.
  • FISCO Combattere l’evasione fiscale: basta sanatorie, basta condoni e basta premiare settori economici che presentano una propensione all’evasione fino al 70%; indicizzazione automatica all’inflazione delle detrazioni da lavoro e da pensione; promuovere un fisco progressivo: no alla flat tax; riportare all’interno della base imponibile irpef tutti i redditi oggi esclusi e tassati separatamente con aliquote più basse; tassare gli extraprofitti e le grandi ricchezze.
  • GIOVANI Favorire il lavoro stabile a tempo indeterminato; cancellare la precarietà; introdurre una pensione contributiva di garanzia; garantire il diritto allo studio attraverso investimenti per servizi, alloggi e borse di studio.
  • PENSIONI Approvare una vera riforma delle pensioni, che superi la legge Monti-Fornero; garantire la piena tutela del potere d’acquisto delle pensioni in essere.
  • STATO SOCIALE Difendere e rilanciare il servizio sanitario nazionale anche aumentando i livelli sala riali; approvare un piano straordinario di assunzioni nella sanità e in tutti i settori pubblici e della conoscenza; finanziare le leggi su non autosufficienza e disabilità; aumentare le risorse per il trasporto pubblico locale; rifinanziare il fondo sostegno agli affitti.
  • SALUTE E SICUREZZA Investire su salute e sicurezza: basta morti sul lavoro!!
  • POLITICHE PER L’ACCOGLIENZA Abbandonare la politica securitaria a partire dalla cancellazione della legge Bossi-Fini e di tutti i recenti provvedimenti in materia di immigrazione e definire nuove politiche di accoglienza e integrazione dei cittadini migranti.
  • POLITICHE INDUSTRIALI Serve una nuova strategia e un nuovo intervento pubblico per affrontare le crisi vecchie e nuove, puntare sulla transizione ambientale ed energetica, riconvertire e innovare il nostro sistema produttivo governando i processi di digitalizzazione, difendere e incrementare la qualità e la quantità dell’occupazione a partire dal mezzogiorno.

 

Per Abruzzo e Molise sono previste manifestazioni a Lanciano e Campobasso. 

 

Scarica il volantino




Gruppo BPER: come funzionerà la manovra sul personale

Nella giornata di ieri, 5 ottobre 2021, si è svolto l’incontro tra i vertici aziendali e le OO.SS., finalizzato ad illustrare i dettagli della manovra sul personale, già annunciata lo scorso 23 settembre tramite comunicato stampa.

Coerentemente con il consolidato modus operandi della Fisac, che prevede di diffondere solo notizie certe e verificate, riportiamo gli aspetti salienti dell’informativa.

Le uscite avverranno tra giugno 2022 e dicembre 2024, con due distinte modalità:

  • Uscita incentivata per chi matura la pensione in base ai requisiti previsti dalla Legge Fornero entro il 1 gennaio 2025.
  • Accesso al Fondo di sostegno al reddito ed accompagnamento alla pensione (per un periodo massimo di 60 mesi) per chi matura i requisiti tra il primo gennaio 2023 ed il primo gennaio 2030.

Ricordiamo che, in base alla normativa attualmente vigente, esistono due possibilità di accedere al trattamento pensionistico: la pensione di vecchiaia (al raggiungimento di una determinata età anagrafica) o la pensione anticipata (che matura al raggiungimento di un numero minimo di anni di contribuzione).

Per consentire a tutti i colleghi di valutare la possibilità di rientrare nella manovra, riportiamo di seguito i requisiti previsti attualmente dalla legge Fornero attraverso due tabelle pubblicate sul sito pensionioggi.it.

 

 

Sono previsti incentivi per tutti i lavoratori che accetteranno di lasciare il posto di lavoro, differenziati a seconda della modalità di uscita. Incentivi saranno riconosciuti anche a coloro che matureranno i requisiti pensionistici entro il 31/12/2021 beneficiando della “Quota 100“.

A breve, tutti i nati entro il 1967 riceveranno la richiesta della posizione contributiva e del modello Ecocert. Le modalità di richiesta ed invio della documentazione saranno chiarite a breve da apposita circolare.
ATTENZIONE: Questo non vuol dire che tutti i nati entro il 1967 potranno lasciare il lavoro, come erroneamente affermava una notizia totalmente infondata fatta circolare nella giornata di ieri.
Per capire se effettivamente si può rientrare nella manovra, invitiamo i colleghi a consultare le tabelle sopra riportate, eventualmente anche con l’aiuto dei rappresentanti Fisac che saranno come sempre a loro disposizione.

Nei prossimi giorni verranno avviate le trattative per definire i dettagli e quantificare gli incentivi: pertanto ad oggi non siamo in grado di rispondere a domande in merito ad ipotetiche cifre.

In linea di massima, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 dovrebbe essere possibile inoltrare le richieste, per avere l’esito nella prima parte del 2022 e consentire le prime uscite già dal mese di giugno.

Sarà nostra cura informarvi tempestivamente sugli sviluppi.

 

leggi anche

https://www.fisaccgilaq.it/banche/bper/i-lavoratori-del-gruppo-bper-non-sono-spazzatura.html

 

 




Ecco le pensioni che vogliamo. Le proposte di Cgil, Cisl, Uil

I punti principali delle richieste dei sindacati confederali sulla previdenza in un volantino unitario: interventi a favore delle donne, pensione di garanzia per i giovani, flessibilità in uscita, riconoscimento della diversità dei lavori, previdenza complementare, sostenibilità sociale delle pensioni in essere e legge per la non autosufficienza, separazione della spesa previdenziale da quella assistenziale, misure speciali per favorire l’uscita dei lavoratori vicini alla pensione nelle aziende messe in crisi dalla pandemia.


 

In un volantino unitario firmato dalle tre sigle confederali si riassumono in modo sintetico le proposte del sindacato sulla riforma previdenziale. Eccole.

Le pensioni sono uno dei temi prioritari da affrontare in questa fase. Dopo i primi positivi interventi di modifica alla legge Monti-Fornero introdotti in questi anni grazie all’iniziativa sindacale, occorre continuare a cambiare il sistema previdenziale al fine di eliminarne gli aspetti iniqui, fra i più restrittivi d’Europa, e determinare risultati concreti in linea con le richieste indicate da tempo nella piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil che rimane il riferimento per una riforma organica del sistema previdenziale del nostro Paese.

Non condividiamo che nel Def e nel Pnrr le pensioni continuino ad essere considerate solo come un fattore di spesa, senza tenere conto del profilo di sostenibilità sociale dell’attuale modello. Considerando anche l’imminente conclusione della sperimentazione di “quota 100”, prevista al 31 dicembre 2021, che sta determinando un risparmio importante di risorse per via del numero di pensioni liquidate decisamente inferiore alle previsioni, riteniamo necessario riavviare al più presto un tavolo di confronto con il Governo per affrontare i diversi punti contenuti nella Piattaforma sindacale.

Il confronto dovrà essere anche l’occasione per valutare le ricadute della crisi pandemica in corso sul versante previdenziale, ad iniziare dai problemi occupazionali e sanitari legati all’età avanzata, e dalla dinamica della spesa previdenziale. Queste ragioni rendono ancora più urgente il confronto e l’assunzione di provvedimenti conseguenti.

Flessibilità in uscita
È necessario estendere la flessibilità nell’accesso alla pensione, permettendo alle lavoratrici e ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Questa proposta è ancor più sostenibile considerando che siamo ad un passaggio di fase decisivo per il sistema previdenziale in quanto le future pensioni saranno liquidate prevalentemente o esclusivamente con il calcolo contributivo. Contestualmente vanno sensibilmente ridotti i vincoli che nel sistema contributivo condizionano il diritto alla pensione al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento (1,5 e 2,8 volte l’assegno sociale), penalizzando in questo modo i redditi più bassi.

Occorre, inoltre, modificare l’attuale meccanismo automatico di adeguamento delle condizioni pensionistiche alla speranza di vita, doppiamente penalizzante perché agisce sia sui requisiti anagrafici e contributivi di accesso alla pensione sia sul calcolo dei coefficienti di trasformazione. Bisogna anche scongiurare il rischio che lunghi periodi di congiuntura economica negativa, come accaduto negli ultimi anni, determinino effetti sfavorevoli sulle prestazioni pensionistiche.

Contratti di espansione e Isopensione
Anche in considerazione della crisi pandemica che sta sconvolgendo l’economia e mette a rischio migliaia di imprese e milioni posti di lavoro, sono necessari strumenti efficaci per favorire il passaggio dal lavoro alla pensione che potranno risultare utili anche per governare la difficile fase che si aprirà con lo sblocco dei licenziamenti e per favorire il ricambio generazionale. Si ritiene necessario, pertanto, rendere più accessibili ed efficaci gli strumenti già esistenti come il contratto di espansione e l’isopensione che prevedono l’uscita anticipata dal lavoro rispettivamente di 5 e 7 anni dalla maturazione della pensione, andando oltre i pur importanti interventi migliorativi previsti dall’ultima legge di bilancio, dal momento che permane l’esclusione della maggior parte del mondo del lavoro dalla possibilità di un loro utilizzo.

Sostegno alle categorie più deboli (disoccupati, invalidi , caregiver, lavori gravosi e usuranti)
Vanno garantite strutturalmente condizioni più favorevoli per l’accesso alla pensione delle categorie più deboli, ad iniziare da quelle che rientrano nell’Ape sociale (disoccupati, invalidi, coloro che assistono un familiare con disabilità e chi ha svolto lavori gravosi o usuranti). In questo contesto è necessario tutelare la figura dei “lavoratori fragili” che nell’emergenza sanitaria sono più esposti ai rischi del contagio e occorre ampliare la categoria dei disoccupati, ad iniziare da quelli di lunga durata fra cui gli esodati. La platea dei lavori gravosi ed usuranti andrà sensibilmente ampliata sulla base di dati oggettivi che attestino il diverso rapporto tra attività lavorativa svolta e speranza di vita.

Per questa ragione è necessario riattivare la Commissione incaricata del lavoro di studio e di analisi sulle diverse gravosità dei lavori. È necessario inoltre tener conto anche di coloro che svolgono attività lavorative con esposizione a materiale nocivo e a coloro che hanno avuto il riconoscimento di  una malattia professionale Inail e più in generale di coloro che sono affetti di malattie che determinano un’attesa di vita più bassa. Infine, le pensioni di inabilità con quote nel sistema contributivo vanno valorizzate attraverso un coefficiente di trasformazione che tenga conto dell’impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa e un’attesa di vita sicuramente più bassa rispetto alla media.

Il lavoro di cura e delle donne
Gli interventi normativi di questi ultimi anni hanno equiparato i requisiti per la pensione di vecchiaia fra uomini e donne, quando invece rimangono ancora profonde le differenze fra i due generi nel mercato del lavoro, nei percorsi professionali e nella distribuzione del lavoro di cura in ambito familiare. Le stesse misure adottate per rendere più flessibile l’accesso alla pensione, come l’Ape sociale e Quota 100, hanno visto poche donne beneficiarne, a causa dell’elevato requisito contributivo richiesto. E’ quindi necessario prevedere soglie contributive d’accesso alla pensione compatibili con le condizioni delle donne e la proroga di “Opzione donna”.

Il lavoro di cura non retribuito, svolto in prevalenza dalle donne, è una voce fondamentale del welfare del nostro Paese ed è necessario tenerne conto a livello previdenziale con misure adeguate, come il riconoscimento di dodici mesi di anticipo per ogni figlio (o a scelta della lavoratrice una maggiorazione del coefficiente di trasformazione) e la valorizzazione ai fini pensionistici del lavoro di cura di persone disabili o non-autosufficienti in ambito familiare.

La tutela dei giovani, del lavoro povero e del lavoro discontinuo: la pensione contributiva di garanzia
Senza lavoro dignitoso non c’è pensione dignitosa e la priorità deve essere un lavoro stabile e di qualità. Ma visto il diffondersi dei lavori discontinui, part-time o poveri, fenomeni che coinvolgono in particolare i più giovani e le donne, è necessario intervenire anche sul fronte previdenziale, per evitare un’emergenza sociale devastante, considerando anche che chi rientra nel sistema contributivo non può contare neanche sull’integrazione al minimo della pensione. Cgil, Cisl, Uil richiedono, pertanto, la creazione di una pensione contributiva di garanzia, collegata ed eventualmente graduata rispetto al numero di anni di lavoro e di contributi versati, che consideri e valorizzi previdenzialmente anche i periodi di disoccupazione, di formazione e di basse retribuzioni, per assicurare a tutti un assegno pensionistico dignitoso, anche attraverso il ricorso alla fiscalità generale.

La previdenza complementare
Bisogna rilanciare le adesioni alla previdenza complementare negoziale, da anni sostanzialmente stagnanti, rendendola effettivamente accessibile anche a chi lavora nelle piccole imprese e ai giovani In questa direzione proponiamo in particolare un nuovo periodo di silenzio-assenso e una adeguata campagna informativa e istituzionale, così come meccanismi che consentano alla persona di poter esercitare liberamente la scelta di adesione. Inoltre è necessario promuovere i fondi pensione negoziali anche nei settori ancora esclusi come il comparto sicurezza. Chiediamo di riportare la tassazione degli investimenti dei fondi pensione alle precedenti aliquote più favorevoli e promuovere le condizioni perché i fondi investano maggiormente nell’economia reale del Paese, prediligendo il sostegno alle infrastrutture, anche sociali.

La tutela dei redditi da pensione
Va garantita la tutela dei redditi da pensione, particolarmente colpiti in questi anni, attraverso il rafforzamento e l’ampliamento della “quattordicesima”, una minore tassazione fiscale, che sui pensionati italiani pesa il doppio rispetto alla media europea, e il ripristino della piena rivalutazione delle pensioni.

Tfr e Tfs e prescrizione della contribuzioni per i pubblici dipendenti
Vanno parificate le condizioni di accesso al Tfr e Tfs tra settore pubblico e settore privato. Inoltre, è necessario intervenire sulla prescrizione contributiva dei lavoratori della pubblica amministrazione che devono essere messi in condizione di verificare la propria situazione previdenziale, ancora oggi incompleta e non corrispondente alla effettiva carriera lavorativa. Solo così si possono tutelare i lavoratori dal rischio di perdere periodi di contribuzione con gravi danni sulla futura pensione.

Esattoriali
Va individuata una soluzione per il Fondo esattoriale Inps, dando attuazione al decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali n. 55 del 8 maggio 2018, con il quale veniva stabilito che le risorse del Fondo di Previdenza dovessero essere utilizzate per dar luogo a una pensione aggiuntiva calcolata con il sistema contributivo.

Separazione spesa previdenziale/spesa assistenziale
Nella determinazione della spesa pensionistica, così come oggi viene statisticamente rilevata, incidono molte voci che non hanno natura previdenziale e non hanno corrispondenza nelle rilevazioni degli altri Paesi europei. Dati che non considerano, inoltre, il differenziale fiscale, più alto per i pensionati del nostro Paese, che per lo Stato non rappresenta una spesa ma solo una partita di giro. Tutto ciò porta ad una rappresentazione fuorviante della situazione, da più parti riconosciuta. E’ necessario, pertanto accelerare i lavori della Commissione preposta all’analisi della spesa previdenziale e assistenziale soprattutto per poter giungere ad una corretta rappresentazione della effettiva spesa pensionistica italiana.

Interventi nel sistema contributivo 
È necessario prevedere nel sistema contributivo una incidenza effettiva delle maggiorazioni anche nella misura delle prestazioni pensionistiche, attraverso una valorizzazione del montante contributivo o del coefficiente di trasformazione. Inoltre, sarebbe importante considerare la specificità del lavoro part-time, attraverso la corretta imputazione della retribuzione da assumere nel calcolo di alcuni istituti, come il riscatto e i versamenti volontari.

 

Fonte: www.collettiva.it

 

 




La Consulta: incostituzionale la modifica dell’articolo 18 introdotta dalla Fornero

In caso di licenziamento, il reintegro è un obbligo se il fatto è insussistente.
Il riferimento è all’articolo 3 della Costituzione, che stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Cgil: una sentenza importante, la disciplina attuale non garantisce adeguate tutele ai lavoratori


 

La Corte Costituzionale ha dichiarato che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori così come modificato dalla riforma Fornero è incostituzionale. Lo spiega un passaggio della sentenza n. 59 depositata oggi (1 aprile) e anticipata già lo scorso 24 febbraio dalla Consulta.
In caso di licenziamento, il reintegro è un obbligo se il fatto è insussistente. Per i giudici, infatti, è “disarmonico e lesivo del principio di eguaglianza il carattere facoltativo del rimedio della reintegrazione per i soli licenziamenti economici, a fronte dell’inconsistenza della giustificazione addotta e della presenza di un vizio ben più grave rispetto alla pura e semplice insussistenza del fatto”

Il riferimento è all’articolo 3 della Costituzione che stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”.  In particolare, la Corte ha censurato la norma poiché il principio di eguaglianza risulta violato se il reintegro, in caso di licenziamenti economici, è previsto come facoltativa quando il fatto che li ha determinati è manifestamente insussistente mentre è obbligatorio nei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo .

La scelta tra due forme di tutela profondamente diverse – quella del reintegro e quella dell’indennità – viene così rimessa a una valutazione del magistrato senza che vi siano precisi punti di riferimento mentre “Il vaglio della genuinità della decisione imprenditoriale garantisce che il licenziamento rappresenti pur sempre una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio”.

“Riteniamo importanti le motivazioni della sentenza n. 59/2021, depositata oggi, con cui la Corte costituzionale stabilisce l’obbligatorietà della reintegra anche nei casi di licenziamenti in cui la causa economica sia manifestamente insussistente”. Questo il commento della Cgil. “Viene, infatti, dichiarato incostituzionale – sottolinea il sindacato di Corso d’Italia – l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, modificato dalla ‘riforma Fornero’, nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo possa applicare, ma non debba applicare, la tutela reintegratoria”.

“Verrebbe quindi violato – prosegue la Cgil – il principio di uguaglianza rispetto ad altri casi, come il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa in cui, se il fatto è manifestamente insussistente, permane l’obbligo della reintegra”. Il sindacato ricorda che “la disciplina della tutela contro i licenziamenti illegittimi ha subito molti interventi correttivi negli ultimi anni, dalla Fornero al Jobs Act, tutti orientati a spostare la tutela da quella reale a quella risarcitoria”. Ma “questa sentenza, come altre, che si sono succedute negli ultimi mesi, – conclude la Cgil – rende evidente che la disciplina attuale non garantisce adeguate tutele ai lavoratori, né il rispetto dei principi di eguaglianza e di deterrenza che tali norme devono poter garantire, riequilibrando la possibile discrezionalità datoriale”.

 

Fonte: www.collettiva.it




Pensione anticipata 2019: i requisiti per aderire

La Pensione Anticipata è il trattamento pensionistico erogato nei confronti dei lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti) ai fondi sostitutivi, esonerativi ed esclusivi della stessa nonchè agli iscritti presso la gestione separata dell’Inps (cioè verso la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato o pubblico nonchè dei lavoratori autonomi), che può essere raggiunto al perfezionamento del solo requisito contributivo indipendentemente dall’età anagrafica del beneficiario.

E’ stata introdotta a partire dal 1° gennaio 2012 dalla Legge Fornero (articolo 24 del decreto legge 201/2011) in sostituzione dal medesimo anno della pensione di anzianità con l’abbinamento di un sistema di disincentivazione che si realizza(va) attraverso una riduzione del rateo in relazione al tempo mancante per il raggiungimento di un limite minimo di età fissato in 62 anni dal decreto legge 201/2011. Tale meccanismo di disincentivazione è stato poi soppresso in via definitiva con la legge di bilancio per il 2017 (si veda infra).

 

La Pensione Anticipata nel Sistema Retributivo e Misto

Nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 (cioè nei confronti dei lavoratori che rientrano nel cd. sistema misto) la prestazione può essere conseguita, indipendentemente dall’età anagrafica, al perfezionamento, dal 1° gennaio 2012, di una anzianità contributiva pari a 42 anni ed un mese per gli uomini e a 41 anni ed un mese per le donne. Tali requisiti si applicano indistintamente ai lavoratori dipendenti, agli autonomi nonchè ai lavoratori del pubblico impiego.

I suddetti requisiti sono stati aumentati di un mese nel 2013, di un altro mese nel 2014 ed ulteriormente incrementati a seguito della speranza di vita ai sensi dell’articolo 12, comma 12 bis del DL 78/2010 convertito con legge 122/2010 (3 mesi nel 2013; 4 mesi nel 2016). Pertanto dal 1° gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018 il requisito contributivo per accedere alla pensione anticipata è risultato pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne (cfr: Circolare Inps 63/2015).

Sospensione degli adeguamenti

Dal 1° gennaio 2019 il requisito contributivo avrebbe dovuto formare oggetto di adeguamento alla speranza di vita in misura pari a cinque mesi (Circ. Inps 62/2018). Il predetto adeguamento è stato, tuttavia, sospeso dall’articolo 15 del DL 4/2019 sino al 31 dicembre 2026. Pertanto il requisito contributivo per il conseguimento della prestazione rimane fermo a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2026 (circolare Inps 11/2019). Come contropartita della sospesione dall’adeguamento Istat il DL 4/2019 ha introdotto – per chi matura i requisiti dal 1° gennaio 2019 – una finestra mobile che comporta lo slittamento nella percezione del primo rateo di pensione in misura pari a tre mesi dalla maturazione dei requisiti.

Misure per i precoci

A decorrere dal 1° maggio 2017 l’articolo 1, co. 199 della legge 232/2016 ha introdotto una riduzione del requisito contributivo a 41 anni (sempre a prescindere dall’età anagrafica del lavoratore) sia per gli uomini che per le donne che abbiano svolto almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età e che si trovino in alcuni specifici profili meritevoli di una particolare tutela (disoccupati a seguito di licenziamento con esaurimento degli ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi, invalidi civili con una invalidità non inferiore al 74%, soggetti che assistono disabili, addetti a lavori usuranti o a lavori gravosi).

Anche il predetto requisito contributivo ridotto avrebbe dovuto formare oggetto di adeguamento alla speranza di vita in misura pari a cinque mesi dal 1° gennaio 2019. L’articolo 17 del DL 4/2019 ha sospeso l’applicazione dell’adeguamento e dei successivi adeguamenti sino al 31 dicembre 2026. Pertanto dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2026 i requisiti contributivi per il conseguimento della pensione anticipata per i lavoratori precoci restano fermi a 41 anni di contributi. A partire da coloro che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2019 il DL 4/2019 ha introdotto una finestra mobile trimestrale. Che comporta lo slittamento nella percezione del primo rateo di pensione.

La tavola sottostante riepiloga, pertanto, la probabile evoluzione nel corso del tempo dei requisiti. Per il conseguimento della pensione anticipata secondo lo scenario demografico Istat 2017, l’ultimo disponibile.

La contribuzione

Ai fini del raggiungimento del requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata. O accreditata in favore dell’assicurato (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto). Fermo restando, per i lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e ai fondi ad essa sostitutivi il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione. Utile per il diritto alla pensione di anzianità disciplinata dalla previgente normativa. In altri termini ai fini del conseguimento della prestazione è necessario perfezionare almeno 35 anni di contributi. Senza considerare i periodi di figurativi derivanti dalla disoccupazione indennizzata e malattia (cfr: Circolare Inps 180/2014)

La Penalizzazione

La legge Fornero aveva previsto che chi avesse percepito prima dei 62 anni di età il pensionamento anticipato avrebbe subito una penalizzazione sulle anzianità retributive maturate fino al 2011. Il taglio era pari al 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 60 anni di età e dell’1% per ogni anno prima dei 62. Il suddetto sistema di disincentivazione, già congelato sino al 31.12.2017dall’articolo 1, co. 113 della legge 190/2014 (Cfr: Circolare Inps 74/2015), è stato soppresso in via definitiva, anche dopo il 2017, dall’articolo 1, co. 194 della legge 232/2016.

La Pensione anticipata nel sistema contributivo

I lavoratori il cui primo contributo versato è successivo al 31 dicembre 1995 e che, quindi, hanno diritto alla liquidazione del trattamento pensionistico interamente con il sistema contributivo, possono conseguire il trattamento anticipato, sempre a prescindere dall’età anagrafica. Al perfezionamento delle medesime anzianità contributive previste per i lavoratori nel sistema retributivo o misto appena citate.

A differenza di coloro che sono nel sistema retributivo o misto al 31 Dicembre 2011, nei loro confronti non ha mai trovato applicazione il sistema di disincentivazione previsto qualora accedano alla pensione anticipata prima del raggiungimento del 62° anno di età.

Inoltre ai fini del perfezionamento del requisito contributivo è sempre valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata a favore dell’assicurato, fermo restando che, ai sensi dell’art. 1, comma 7, della legge n. 335 del 1995, ai fini del computo di detta contribuzione non concorre quella derivante dalla prosecuzione volontaria, mentre quella accreditata per periodi di lavoro precedenti il raggiungimento del 18° anno di età è moltiplicata per 1,5. Per questi soggetti, inoltre, non sussiste l’agevolazione in favore dei lavoratori precoci sopra descritta (pensione con 41 anni di contributi).

La pensione a 63 anni

Oltre alla possibilità di avere riconosciuta la pensione con i requisiti sopra descritti, chi è nel sistema contributivo, può ottenere la pensione anticipata, qualora più favorevole, al compimento di 63 anni, a condizione che risultino versati e accreditati almeno 20 anni di contribuzione “effettiva” e che l’ammontare della prima rata di pensione risulti non inferiore ad un importo soglia mensile pari a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale.

Ai fini del computo dei 20 anni di contribuzione “ effettiva” è utile solo la contribuzione effettivamente versata. (Obbligatoria, volontaria, da riscatto), con esclusione di quella accreditata figurativamente a qualsiasi titolo. Il requisito anagrafico è soggetto agli adeguamenti alla speranza di vita sopra citati e non ha formato oggetto di sospensione ad opera più volte citato DL 4/2019. Pertanto nel biennio 2019-2020 il requisito anagrafico è aumentato a 64 anni e continuerà, ogni biennio, ad essere incrementato secondo la tabella sotto allegata. A tale prestazione, peraltro, continua a non applicarsi alcuna finestra di slittamento nell’erogazione del rateo pensionistico.

 

La Decorrenza

Sino al 31.12.2018 tutte le prestazioni sopra descritte avevano decorrenza immediatamente dopo il perfezionamento del requisito contributivo. Senza cioè più dover attendere quel periodo di slittamento (finestra mobile) che veniva applicato in passato prima della Legge Fornero. A partire dal 1° gennaio 2019 il DL 4/2019 ha reintrodotto una finestra mobile trimestrale al requisito contributivo di 42 anni e 10 mesi. (41 anni e 10 mesi le donne; 41 anni i precoci). Si ricorda che ai fini del conseguimento della prestazione pensionistica è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente. Non è invece richiesta la cessazione dell’attività svolta in qualità di lavoratore autonomo.

 

Fonte: www.lentepubblica.it




Invecchiamento e lavoro nel settore bancario

L’aumento dell’aspettativa di vita e il tasso di fertilità ridotto, con conseguente calo delle nascite, sono fra le cause che hanno indotto l’Italia, a fronte di una richiesta europea, ad attuare la riforma pensionistica del 2012, comportando un invecchiamento della forza lavoro senza precedenti.

Nel settore bancario si è verificata una situazione anomala rispetto alla maggior parte del mondo del lavoro, poiché l’innalzamento dell’età pensionistica derivante dalla riforma Fornero ha coinciso con i cambiamenti prodotti dalla digitalizzazione che hanno generato una riduzione della dimensione fisica del settore, con conseguente chiusura di sportelli, accorpamenti societari e forte riduzione del numero dei dipendenti: negli ultimi dieci anni si è registrata una diminuzione di oltre il 20% dei posti di lavoro, e attualmente gli addetti del comparto sono abbondantemente inferiori a 300.000 unità.

In Toscana, ad esempio, di 2.500 agenzie ne sono state chiuse 500, e da 31.500 lavoratori si è scesi sotto i 22.000 con una perdita, quindi, del 30% dei posti di lavoro.

Questi dati, frutto di tagli del costo del personale da parte delle aziende, non corrispondono all’effettivo calo delle richieste di servizi: il lavoro è stato ridistribuito sugli addetti con un carico pro capite eccessivo in termini di ritmi ed orari.

Il “Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del credito” ha compensato solo in minima parte l’uscita dal mondo del lavoro del personale delle aziende chi vi hanno fatto ricorso con l’assunzione di giovani: un numero non superiore alle 20.000 unità, tutte avvenute col contributo del fondo bilaterale per l’occupazione (FOC), alimentato per giunta da tutti i lavoratori del comparto. Perciò, nonostante con l’accesso al fondo di cui sopra si sia di fatto anticipata di tre/cinque anni l’uscita dal settore, l’età dei bancari rimane molto elevata (47 anni di media ma con una percentuale molto alta di over 55).

Con l’età crescono esperienza e competenze ma diminuiscono le capacità funzionali, principalmente fisiche e sensoriali.

Fattori fondamentali di prevenzione sono un ambiente e un contesto lavorativo che possano garantire la giusta valorizzazione del patrimonio professionale e umano del lavoratore: occorre che l’invecchiamento attivo diventi per le banche un investimento primario, come d’altronde previsto dal decreto 81/08.

Nel settore bancario la forte spinta commerciale impressa dalle aziende – spesso a scapito della professionalità – ha generato fenomeni di elevato stress lavoro-correlato. Condizione, questa, emersa in modo molto piuttosto chiaro da una ricerca scientifica effettuata in Toscana su un campione significativo di lavoratori.

Le pressioni commerciali, la mobilità dovuta alla chiusura delle filiali, la digitalizzazione, gli eccessivi carichi di lavoro connessi all’invecchiamento espongono il lavoratore a determinati rischi psicosociali; come è stato rilevato tanto dalla ricerca scientifica di cui sopra quanto dall’analisi delle spese mediche detratte dalla dichiarazione dei redditi, l’uso di psicofarmaci presso gli addetti del settore è fenomeno ormai fortemente diffuso.

L’organizzazione mondiale della sanità ha recentemente incluso tra le sindromi da disagio lavorativo il burnout, i cui tre sintomi caratterizzanti sono:

– l’esaurimento fisico e mentale;
– il disamoramento crescente dal proprio lavoro;
– la ridotta efficienza.

A tale sindrome il lavoratore di età avanzata risulta essere maggiormente esposto, ma merita attenzione anche la questione di genere, poiché nelle donne il rischio di soffrirne è maggiore che negli uomini.

In Italia, per condizionamento culturale e/o per mancanza di servizi di supporto in tal senso, le lavoratrici sono coloro che, all’interno del proprio nucleo, avvertono più pesante il carico del lavoro familiare. Sarebbero necessari un riconoscimento del doppio lavoro e una politica di welfare sociale e aziendale che consentissero una flessibilità oraria, un lavoro agile, un riequilibrio dei tempi di vita e di lavoro, un part time con contribuzione piena ai fini pensionistici.

Gli Rls possono far inserire il parametro “età” nel documento di valutazione dei rischi e discutere dei processi organizzativi che potrebbero mettere in difficoltà il lavoratore anziano; a questo proposito è opportuno che gli RLS operino di concerto con le RSA e i coordinamenti aziendali al fine di stimolare una contrattazione che favorisca un invecchiamento lavorativo soddisfacente.

Le aziende bancarie devono intervenire sull’organizzazione affinché l’ambiente di lavoro consenta la giusta valorizzazione del patrimonio professionale e umano dei lavoratori e si crei sinergia tra l’efficienza dei lavoratori più giovani e l’esperienza dei più anziani, con l’obbiettivo di ridurre le patologie che, come già sottolineato, sono in costante incremento e sempre a carico della collettività.

 

Contributo di Patrizia Pieri del dipartimento nazionale
ad un seminario tenuto in Toscana con ASL Toscana Centro




UNIPOLSAI: firmato l’accordo per il Fondo di Solidarietà.

Nella giornata di ieri, 18 luglio, è stato firmato da Sindacati e Azienda l’Accordo relativo al Fondo di accompagnamento alla Pensione.

Sulla base delle disponibilità stanziate dall’Impresa, nell’ambito del Piano Industriale 2019-21, questo Accordo offre l’opportunità ai lavoratori in possesso degli specifici requisiti, di valutare su base ASSOLUTAMENTE VOLONTARIA, la possibile uscita anticipata dal lavoro con una serie di incentivi.

Inoltre, coerentemente con quanto dichiarato dall’Impresa, abbiamo condiviso l’importanza che venga valorizzata la professionalità dei colleghi del nostro Gruppo, contestualmente al piano di assunzione che vedrà l’inserimento di 300 nuovi lavoratori.

Nel valutare positivamente l’intesa raggiunta, invitiamo a contattare le Rappresentanze Sindacali della propria sede di riferimento per tutti gli approfondimenti necessari.

 

First CISL – Fisac CGIL – Fna – Snfia – Uilca UIL

 

Approfondimento 

Testo Accordo




Come verrà calcolata la mia pensione?

Pubblichiamo un piccolo manuale redatto dalla Segreteria Nazionale del Settore Riscossione, utile per chiarire molti dubbi che accompagnano i lavoratori vicini alla pensione.

Manuale “Il calcolo della pensione”

 

Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla Guida Fisac “La previdenza generale”




Dati sul lavoro: migliorano, ma non basta. Ecco perché

Più occupati, ma ancora poche le ore d’impiego.

A maggio 2019 il tasso di occupazione in Italia è arrivato al 59%, mai così alto da quando – 42 anni fa – l’Istat ha avviato le serie storiche. La disoccupazione, invece, si è fermata al 9,9%, tornando a una sola cifra come non accadeva dal febbraio del 2012. Sarebbero due ottime notizie se, come al solito, nei dettagli non si nascondesse il diavolo.

Il nostro mercato del lavoro, infatti, non ha ancora raggiunto lo stato di salute vissuto prima della crisi del 2008. Molti dei posti che abbiamo in questi anni recuperato sono solo part time, spesso involontari, e quindi non permettono di avere uno stipendio dignitoso. Insomma, rispetto a prima abbiamo oggi più persone occupate ma meno ore lavorate: ecco perché i record mostrati dall’istituto di statistica rischiano di innescare un entusiasmo esagerato.

La disoccupazione è in calo, il dato più basso dal 2012, mentre aumentano gli occupati, il dato massimo dal 1977”  ha scritto su Facebook il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Dello stesso tenore il post dell’altro vicepremier, Matteo Salvini:  “Lavoratori italiani in crescita e ai massimi storici dal 1977”.
Ma davvero questo si può definire il più bel momento della nostra storia? Non proprio. In effetti, a maggio si contano 23 milioni e 384 mila occupati, il numero più alto di sempre su base mensile. Ma a fare la differenza sono le ore lavorate: su queste, il dato più aggiornato dell’Istat è del primo trimestre del 2019, ma è difficile che nel trimestre successivo si possano compiere passi da gigante.

Nel periodo gennaio-marzo 2019 il contatore segna 10 miliardi e 994 milioni di ore. Andando molti passi indietro, fino al primo trimestre del 2008, si scopre che in quel periodo le ore di attività sono state ben 11,5 miliardi. In pratica, allora c’erano grossomodo 300 mila occupati in meno ma oltre mezzo miliardo di ore lavorate in più. Il motivo è che, prima della recessione, i posti di lavoro si concentravano nell’industria, quindi erano più solidi. Ora invece sono stati travasati nei servizi, dove il ricorso ai contratti brevi è più frequente ed è facile restare povero pur avendo un’occupazione perché spesso questa tiene impegnati per poco.

Di positivo, comunque, c’è che dopo il calo della seconda metà del 2018, dovuto alla recessione “tecnica”, in questa prima parte del 2019 gli occupati sono tornati ad andare su. A maggio, rispetto ad aprile, l’aumento è stato di 67 mila unità. Sono cresciuti tutti i tipi di lavoratori: quelli autonomi sono 28 mila in più, i dipendenti a tempo indeterminato sono 27 mila in più e anche i precari sono saliti di 13 mila. Considerando invece il trimestre, è più facile notare l’effetto del decreto Dignità: tra marzo e maggio, rispetto ai novanta giorni precedenti, c’è stato un incremento di 96 mila posti permanenti e di soli 2 mila a termine.

A beneficiare dei buoni numeri, tuttavia, sono soprattutto i lavoratori più anziani, mentre per i giovani i miglioramenti sono molto più lenti. A maggio gli occupati over 50 sono aumentati di 88 mila in confronto ad aprile, mentre gli under 25 sono rimasti stabili e quelli compresi nella fascia tra 25 e 34 anni sono cresciuti di appena 12 mila. È una dinamica alla quale si assiste da molto tempo, soprattutto da quando nel 2012 è stata approvata la legge Fornero che ha posticipato l’età pensionabile. Con l’arrivo di Quota 100 – la prima finestra di uscita è stata quella di aprile – i più ottimisti pensavano si potesse da subito invertire la tendenza, con più giovani al lavoro e più anziani a riposo, ma i dati dicono che questo non sta ancora succedendo. Quanto invece agli inattivi, le persone che non hanno un lavoro e non lo cercano nemmeno sono rimaste stabili su base mensile e diminuite di 37 mila su base trimestrale. Nonostante a maggio quasi 500 mila famiglie abbiano ricevuto il reddito di cittadinanza, e non siano ancora stati convocati dai centri per l’impiego, almeno a giudicare dai macro-numeri questo non sembra aver ingrassato la compagine di chi preferisce restare sul divano.

 

Articolo di Roberto Rotunno sul Fatto Quotidiano del 2/7/2019




Licenziamenti? Qualche limite esiste ancora

Parlare di organizzazione in quest’azienda è come parlare di psicologia ad un maiale.

Questa incauta frase, che chiudeva uno scambio nervoso di e-mail fra un tecnico ed il superiore gerarchico durante una frenetica serie di modifiche di un progetto in corso d’opera, costò il licenziamento per giusta causa al tecnico, ma oltre a questo fu probabilmente il primo caso di licenziamento ai sensi della “legge Fornero” n. 92/2012 che approdò in giudizio e diede il via ad un’elaborazione giurisprudenziale che appare valida ancor oggi.

Il Tribunale di Bologna – con ordinanza del 15/10/2012 – dichiarò il licenziamento illegittimo e dispose la reintegra del lavoratore, riconducendo il caso alla previsione dell’insussistenza del fatto contestato: il fatto stesso era materialmente accaduto, ma era privo di valenza giuridica e disciplinare. La tesi del Tribunale di Bologna fu poi ripresa da diverse sentenze della Corte di Cassazione relative ai licenziamenti comminati ai sensi della “legge Fornero”.

Il decreto legislativo n. 23/2015 “jobs act” ha cercato di aggirare la giurisprudenza di Cassazione limitando la reintegra – oltre ai licenziamenti discriminatori – ai soli casi d’insussistenza del fatto contestato inteso come fatto materiale ed escludendo qualunque valutazione circa la sproporzione del licenziamento.

La Corte di Cassazione ha ora affrontato il caso di una lavoratrice licenziata ai sensi del “jobs act” per essersi allontanata dal posto di lavoro: nel caso concreto, la Suprema Corte ha confermato che la linea giurisprudenziale elaborata in relazione alla “legge Fornero” resta valida anche in relazione al “jobs act” e quindi “l’irrilevanza giuridica del fatto, pur materialmente verificatosi, determina la sua insussistenza anche ai fini e per gli effetti previsti dal decreto legislativo n. 23/2015”, con  conseguente diritto del lavoratore alle reintegra.

È di tutta evidenza come tale sentenza ponga un argine alle tesi più estreme che si voleva portare avanti con il “jobs act”, con l’intenzione di escludere la reintegra anche per licenziamenti motivati da fatti reali ma del tutto irrilevanti e pretestuosi.

 

Avv. Alberto Massaia – Fisac/CGIL

La Sentenza – Cassazione 2019-12174

Corte Costituzionale 194-2018 (jobs act)