Dove diminuiscono gli sportelli bancari, aumenta il costo del credito

Banche in ritirata dal territorio: il Nord tiene grazie alle piccole

Negli ultimi anni i grandi gruppi hanno continuato a ridurre il numero di filiali, al punto che gran parte dei Comuni è privo di sportelli. A fare la differenza restano Bcc e casse rurali, meno diffuse in Meridione. E anche i tassi ne risentono


La chiusura degli sportelli bancari è stata imponente negli ultimi anni, grazie allo sviluppo dell’Internet banking e alla razionalizzazione imposta dalle fusioni avvenute. Tali tendenze hanno ricevuto un ulteriore impulso con la pandemia di Covid-19, che ha indotto più clienti a utilizzare il web. Ma la riduzione è stata omogenea sul territorio nazionale e ha prodotto gli stessi effetti sull’erogazione di credito?
A rispondere a queste domande è ora una ricerca dell’Osservatorio del Terziario di Manageritalia. Scorrendo i dati, risulta che in tutte le macroaree c’è stata una riduzione di filiali. A livello percentuale il calo maggiore, 29%, è stato nel Nord-Est, passato tra il 2015 al 2021 da 69 a 49 sportelli ogni 100 mila abitanti. Il Nord Ovest è calato da 58 a 42 sportelli, con una diminuzione di quasi il 28%. Al Centro le filiali sono scese da 53 a 38 sportelli, con un calo del 27%, nell’aggregato Sud e Isole da 32 a 24, con una diminuzione del 25%.

Più sportelli nel Nord Est

Nonostante questi trend il Meridione continua a essere penalizzato, mentre il Nord Est rimane l’area a maggior densità di sportelli in relazione alla popolazione. Questo – spiega la ricerca – grazie anche alla grossa quota di mercato che Bcc e Casse Rurali rivestono in quest’area. A parte il Sud, che rimane la Cenerentola d’Italia con circa la metà degli sportelli rispetto al Nord Est (24 contro 49), è da notare che la differenza vera la fanno i piccoli istituti. Infatti la presenza delle filiali delle banche maggiori è pressoché identica nelle tre aree del Centro-Nord (25-26 per 100 mila abitanti), mentre sono diverse le presenze delle piccole e minori: 18 sportelli nel Nord Est, 10 nel Nord Ovest e 11 nel Centro. “Il Nord est spicca sulle altre aree per l’alta capillarità territoriale di banche di piccole dimensioni”, si legge nella ricerca. Insomma, a quanto pare piccolo è ancora bello quando si tratta di istituti di credito al servizio del territorio. “Una bassa presenza bancaria – dice Mario Mantovani, presidente di Manageritalia – rispetto alla popolazione può limitare la crescita, poiché il credito bancario riveste una funzione essenziale nel finanziare le imprese, soprattutto all’inizio del loro ciclo vitale. Avere un numero di sportelli molto ridotto rispetto alla popolazione, come avviene nel Sud, genera maggiori difficoltà di accesso al credito a potenziali nuovi imprenditori.

Tuttavia, c’è una razionalità nell’attuale dislocazione degli sportelli bancari. A una grandissima differenza in termini di numerosità (molto elevata al Nord, bassissima al Sud) non corrisponde un’analoga differenza in termini di produzione economica. Se si prendono infatti le filiali per ogni miliardo di valore aggiunto, si scopre che le distanze tra Nord e Sud sono limitate: il Nord Est mantiene sì un primato ma con un distacco minuscolo rispetto al Meridione. Quest’ultimo si situa addirittura al secondo posto, seguito da Centro e Nord Ovest. Dunque c’è una ragione se le filiali nel Sud sono limitate: c’è poca attività economica. Ma, come già rilevato, può trattarsi di un cane che si morde la coda: l’attività produttiva nel Sud è oggettivamente scarsa ma la limitata presenza bancaria ne limita le possibilità di crescita. La copertura territoriale dell’Italia da parte degli istituti di credito non è comunque omogenea neanche all’interno delle macro aree o delle singole regioni. Se si guarda la percentuale di Comuni serviti da almeno uno sportello bancario, in Emilia Romagna la percentuale arriva al 96%, in Piemonte al 40%. A dispetto delle statistiche generali che penalizzano il Sud, la Puglia è al sesto posto in Italia per Comuni serviti (78%) e viene prima del Friuli Venezia Giulia (72%). Al settimo posto risulta un’altra Regione del Sud, la Sardegna, con il 73% di copertura dei Comuni. Nella parte bassa della graduatoria, oltre al Piemonte, figurano inaspettatamente altre due Regioni del Nord: Liguria (47%) e Valle d’Aosta (32%), che vengono prima delle ultime due, la Calabria e il Molise, fanalini di coda rispettivamente con il 31% e il 21% dei Comuni serviti.

Le condizioni alle imprese

Un altro elemento di eterogeneità geografica riguarda le condizioni finanziarie applicate dalle banche alle imprese. Anche qui è il Sud a essere penalizzato, con tassi d’interesse più elevati, soprattutto sui finanziamenti alle imprese per esigenze di liquidità. Sicilia, Sardegna, Molise e Calabria sono agli ultimi quattro posti, con tassi tra il 5 e il 6,8% nel 2021. Le altre quattro regioni, Basilicata, Campania, Abruzzo e Puglia, sono sempre nella parte bassa della classifica, con tassi compresi tra il 4,2% e il 4,6%, separate dalle peggiori soltanto da Umbria (4,3%) e Valle D’Aosta (4,9%). Ai primi tre posti per condizioni favorevoli c’è invece gran parte del Nord Est: Trento, Bolzano e Veneto, con tassi tra il 2,9% e il 3%. Il Friuli è al sesto posto con il 3,2%. Lombardia ed Emilia Romagna, rispettivamente al quarto e quinto posto con tassi intorno al 3%, chiudono le Regioni con il più basso tasso sui prestiti di liquidità, sotto la media nazionale (3,3%). Meno marcate, ma comunque significative, le differenze tra Centro-Nord e Sud nel Taeg (tasso annuo effettivo globale) sui prestiti alle imprese per esigenze d’investimento. Qui spicca il primo posto per migliori condizioni del Lazio, con l’1,4%. Le Regioni del Sud sono tutte nella parte bassa: Molise, Sicilia, Puglia, Calabria, Abruzzo sono i fanalini di coda con tassi compresi tra il 2,2% e il 3%.

Fonte: www.repubblica.it

 

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Fusioni, incorporazioni, cessioni: cosa ne pensano i clienti?

Le banche parlano di “razionalizzazioni” , di efficentamenti, di “miglioramento dei servizi offerti alla clientela”: Ma come vengono vissute dagli utenti le mille operazioni che gli Istituti mettono in atto per ridurre i costi?

La lettera che riportiamo è stata inviata a “La Repubblica” di Bologna lo scorso 20 novembre. L’idea che se ne ricava è che nel mondo reale i clienti delle banche non facciano esattamente salti di gioia nel vedersi sballottati tra varie Aziende e Filiali.

Il punto su cui vogliamo attirare l’attenzione è che alla fine sono gli operatori a dover subire gli sfoghi dell’utenza, nonostante siano loro le prime vittime di malfunzionamenti, disservizi e inefficienze.
Per questo abbiamo ritenuto opportuno pubblicare un documento che, sebbene appaia superficiale e denigratorio in alcuni punti, evidenzia la situazione che vive quotidianamente chi lavora nel nostro settore a contatto del pubblico e che, come si suol dire, “prende schiaffi da tutte le parti“.

 

Il mistero dell’Iban fluttuante

A fine novembre 2019 il Gruppo Unipol cede il 100% di Unipol Banca a Bper Banca, di cui è il maggior azionista. Una fetta di banca che contiene una banca che al mercato comprò.

Con la “riorganizzazione” il mio contro viene trasferito presso una filiale BPER, con un cambio di Iban che comporta lavoro per il correntista. Di più, i nostri ineffabili pianificatori non avevano previsto che parecchie migliaia di correntisti traslocati avrebbero cercato di riattivare il proprio internet banking sotto le nuove insegne alla data annunciata, finendo per far andare in blocco il sistema. Così il mio conto online è rimasto una chimera per parecchi giorni.

Dopo soli 10 mesi, poi, i nostri inesausti razionalizzatori hanno pensato di chiudere una serie di filiali, tra le quali anche la mia. La richiesta di una sede di preferenza è stata alla fine esaudita attraverso un percorso penitenziale che spero m’assegni dei credit per la mia futura beatificazione. Intanto mi ritrovo a dover comunicare l’ennesimo cambio di Iban in meno di un anno. Mio malgrado mi sono recato al nuovo sportello per firmare la richiesta di trasferimento, però mancava uno dei due documenti che avrei dovuto sottoscrivere, così a loro avviso sarei stato costretto a tornare. Io vado in banca una, massimo due volte l’anno: per la loro imperizia avrei dovuto far saltare la statistica. Mi sarebbe piaciuto far presente che quando arrivo io finisce che chiudono la filiale, ma mi sono limitato a chiedere se si rendevano conto di quanto tempo mi avevano fatto perdere. Fosse stata una banca del tempo avrei accettato un rimborso anche a rate. Mi è stato risposto che anche loro avevano perso tempo in telefonate e email…Pensa un po’.

Questi signori, rimasti forse al tempo in cui i clienti si presentavano in banca col cappello in mano, alla faccia dei corsi di formazioni in “customer care” che devono aver frequentato con poco profitto, evidentemente ci considerano solo dei numeri senza avere coscienza che anche i numeri, come un tempo le formiche, nel loro piccolo s’incazzano.