Sant’Andrea e la terza lettera a Unicredit

Per la terza volta in cinque mesi, Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit, l’altroieri ha scritto agli 80.879 dipendenti del gruppo. È uscita di scena Elkette, l’alce di peluche cara al suo predecessore Jean Pierre Mustier, i toni però restano più quelli del fervorino da oratorio che non della comunicazione di un top manager.

La terza epistola di Sant’Andrea ai fedeli ha dei passaggi notevoli:
“Spero che siate tutti riusciti a prendervi un momento di pausa e vi sentiate carichi di energia ed entusiasmo per quello che ci aspetta nei prossimi mesi”
(traduzione: “Siete stati in ferie, ora sgobbate”);
“Solo quando lavoreremo in sintonia come un’unica UniCredit saremo in grado di esprimere tutto il potenziale della nostra banca”
(traduzione: “Vi tengo d’occhio, non remate contro”);
“Ciascuno di voi gioca un ruolo essenziale per la trasformazione della nostra organizzazione e per questo desidero che continuiate a concentrarvi sul raggiungimento dei nostri obiettivi”
(traduzione: “Parte del mio stipendio da 7,5 milioni l’anno è legata a target finanziari, non mi fate perdere i bonus o sarà peggio per voi”).

Ma è nel finale che si tocca il misticismo:
“Il processo di due diligence relativo a Mps procede come stabilito dal protocollo d’intesa. Vi esorto a volare più in alto dei pettegolezzi che sentite o leggete e vi assicuro che continuerò ad aggiornarvi ogni volta che avremo nuove e concrete informazioni da condividere”.
Traduzione: “Cari sindacati, smettetela di chiedere rassicurazioni sui rischi che l’operazione crei nuovi esuberi oltre le 5.200 uscite già previste dal piano 2020-2023. A tempo debito vi farò sapere di che morte dovrete morire”.

Sant’Andrea, ora pro nobis!

 

Articolo di Nicola Borzi su “Il fatto Quotidiano” del 4/9/2021




Il vero prezzo del potere garantito dai resti di Mps

Un bancario può perdere il lavoro ma la banca non può fallire: è il mercato bellezza?


Dieci anni fa il Monte dei Paschi di Siena aveva 30.000 dipendenti. Adesso ne ha poco più di 20.000 e ancora c’è chi proclama la difesa dei posti di lavoro.
Un bancario può perdere il posto di lavoro ma la banca non può fallire; la banca non può fallire ma i suoi azionisti possono perdere tutto. 
È il mercato bellezza?

Dite voi se si può chiamare “mercato” un sistema nel quale un’azienda non può fallire. Non è che una banca, per una legge fisica o economica, sia in grado di galleggiare come un sugato sulle perdite. È che, per sua natura, dev’essere salvata.
Sui conti correnti di MPS ci sono 90 miliardi eppure non ci sono: sono stati prestati, com’è appunto nella natura della banca.

In caso di crac, alle imprese verrebbe chiesto di rientrare all’istante di 90 miliardi e i correntisti non avrebbero più i loro soldi “a vista”. Perciò le banche non sono imprese ma centri di potere discrezionale che decidono se concedere o no il credito valutando la solidità non dell’impresa ma della mafietta politico-affaristica che la protegge.
Quanto valga Mps come centro di potere presidiato dalla massoneria Toscana e non solo ce lo raccontano le decennali guerre d’indipendenza dei senesi.Meglio la banca a pezzi in mano a noi che sana in mani altrui. E pazienza per i bilanci in rosso, per quelli c’è la banca al servizio del territorio.Il conto dell’inefficenza lo pagheranno i contribuenti è sempre più i clienti delle banche, spolpati attraverso le commissioni e la quotidiana rapina chiamata risparmio gestito.

Quattro anni fa il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan ha salvato Popolare di Vicenza e Veneto Banca regalandole a Intesa Sanpaolo con una dote di 5 miliardi. Nel frattempo salvava (?) Mps con un’iniezione miliardaria di denaro pubblico.
L’allora numero uno di Unicredit, Jean Pierre Mustier, protestò per il regalo fatto alla concorrente, e fu chiaro che al prossimo giro sarebbe toccato a lui. Infatti ora si parla di Mps regalato con dote di 5 miliardi.
Nel frattempo Padoan si è fatto eleggere deputato a Siena, acclamato come salvatore della banca, ma subito dopo Unicredit lo ha nominato presidente. La prima banca italiana, alla vigilia dell’acquisizione di Mps, chiama come presidente il ministro che ha gestito il dossier di Siena.

Ecco di quale mercato parliamo: non la grande finanza, ma il suk delle anticamere ministeriali dove i potentati mondiali trovano sempre soggetti volenterosi e dialoganti per i loro affari.

Per il seggio lasciato libero da Padoan corre il segretario del Pd Enrico Letta, che non faticherà a convincere i senesi di essere stati ancora una volta tutelati. C’è solo da stabilire chi pagherà l’ennesimo conto: i contribuenti dando una congrua dote miliardaria a Unicredit, oppure gli azionisti di Unicredit che vedranno la loro banca danneggiata dall’operazione di sistema, come paventava Mustier. In tal caso anche Unicredit andrà salvata e ritoccherà ai contribuenti.

Che cosa c’entra questo con il mercato è un mistero insondabile.

 

Articolo di Giorgio Meletti su “Domani” del 3/8/2021

 




I manager bancari: strapagati a prescindere dai risultati

Le critiche al mega stipendio del futuro Ad di UniCredit non sono un caso. Dall’Italia alla Svizzera, le paghe dei manager ormai slegate dai risultati


Deve ancora entrare in ca­rica, ma il nuovo ammini­stratore delegato di Uni­Credit Andrea Orcel ha già scatenato un putiferio. Le so­cietà di consulenza Glass Lewis e Iss consigliano agli azionisti della banca milanese di bocciare la po­litica di remunerazione nell’as­semblea del 15 aprile per protesta­re contro i 7,5 milioni di paga del nuovo capo azienda. La banca chiede però di modificare anche le politiche sulle liquidazioni, au­mentandone il tetto da 7,2 a 15 mi­lioni (sei volte lo stipendio annua­le).

Dunque il “Ronaldo dei ban­chieri” già prima di scendere in campo s’è accaparrato almeno 22,5 milioni. Il suo predecessore Jean Pierre Mustier nel 2020 ha ricevuto “solo” 900 mila euro più stock option per altri 4,4. Molto meno della mega-liquidazione da 40 milioni pagata nel 2010 ad A­lessandro Profumo. A far discu­tere è il fatto che nel primo anno Orcel sarà pagato senza alcun col­legamento coi risultati aziendali.

Prima dell’arrivo di Orcel, in Italia divario tra stipendi dei vertici e quelli dei dipendenti delle banche era in calo. Secondo la Uilca, il sin­dacato dei bancari della Uil, nel 2007 i ceo delle banche quotate guadagnavano in media 139 volte lo stipendio medio dei dipendenti (28mila euro lordi l’anno), nel 2019 “appena” 44 volte. C’è chi, come Carlo Messina di Intesa San­paolo, dall’entrata in carica a set­tembre 2013 a oggi ha ricevuto ol­tre 23,5 milioni ottenendo però u­tili netti per 21,4 miliardi. Il ceo di Unipol Carlo Cimbri nel 2019 è stato pagato 5,6 milioni, il 26% in più dei 4,47 del 2018, ma a fronte di utili netti cresciuti del 73% da 0,63 a 1,09 miliardi.

Tuttavia non sono mancati manager la cui retribuzio­ne è stata una “variabile indipen­dente” rispetto ai risultati. Victor Massiah, Ad di Ubi dal primo di­cembre 2008 al 3 agosto scorso, ha ricevuto oltre 19,2 milioni mentre la banca nello stesso periodo ne perdeva 952. Nonostante la perdi­ta netta di 57 milioni, nel 2018 la paga di Giuseppe Castagna, ceo di Banco Bpm dal primo gen­naio 2017, è aumentata di 124mila euro a 1,63 milioni.

Marco Morelli, ad di Mps da settembre 2 016 a maggio 2020, per volere della Bce dovette ridursi lo stipendio da ol­tre un milione a 488mila euro ma dal 2017 al 2019 perse 4,2 miliardi. Quisquilie rispetto a quanto avviene nella finanza all’estero. Charles Lowrey, presidente e AD Prudential, nel 2019 è stato pagato circa 16 milioni. Larry Fink, ceo di Blackrock il maggior gestore di fondi mondia­le, nel 2020 di milioni ne ha otte­nuti 25 e 7,9 Mario Greco, ceo del­le assicurazioni Zurich. Il numero uno di Allianz Oliver Bate ha gua­dagnato 5,35 milioni, il ceo di Axa Thomas Buberl e quello di Gene­rali, Philippe Donnet, 3,1 più a­zioni per 2,3. Il capo azienda di Credit Suisse Thomas Gottstein nel 2020 ha ottenuto 7,6 milioni. Il fenomeno parte da lontano.

A Wall Street nel 1965 un ammini­stratore delegato riceveva 20 volte la paga media dei suoi dipendenti. Nel 2000 era a 344 volte, scese a 188 con la crisi finanziaria del 2009 per tornare a 312 nel 2017, quando la retribuzione dei ceo del­le 350 maggiori aziende era in me­dia di 18,9 milioni di dollari. Ma le prime cinque banche Usa (Gol­dman Sachs, Citigroup, JP Mor­gan Chase, Bank of America e Morgan Stanley) pagavano i loro ceo in media 25,3 milioni. Secondo un report della società di head hunting Willis Towers Watson su­gli stipendi dei ceo di 429 società quotate, nel 2019 negli Stati Uniti i capi azienda guadagnavano in me­dia 11,88 milioni, nel Regno Unito 5, in Germania 5,7, in Francia 4,1 e in Giappone appena 1,55. Ma a fare la differenza sono i bonus: nel 2019 negli Usa gli incentivi variabili valevano il 72% della paga totale dei ceo. Quest’anno però Bank of A­merica (Bofa) e Citigroup hanno ridotto i compensi degli ad per il 2020 a causa della pandemia e di errori di gestione. Bofa ha ridotto la paga di Brian Moynihan del 7,5% a 24,5 milioni; Citigroup quella dell’uscente Michael Cor­bat del 21% a 19 milioni.

LA FISAC, il sindacato dei bancari Cgil, ha calcolato che tra il 2008 e il 2019 il personale dell’intero siste­ma bancario italiano è costato 292,2 miliardi, in media 25,1 l’anno, dai 26,6 del 2008 ai 23,5 del 2019. Il da­to comprende stipendi e al­tri costi come oneri di ri­strutturazione e incentivi all’esodo. Nello stesso pe­riodo infatti i bancari sono calati di 46 mila unità, uno su sette, da 328 a 282mila.

Nell’ultimo decennio non è che le azioni delle banche abbiano brillato: l’indice settoriale a Milano è passa­to dai 19mila punti dell’a­prile 2011 agli attuali 8.745. Una frenata analoga ha ri­guardato anche le banche svizzere e quelle di altri Pae­si. Le elvetiche Credit Suisse e Ubs hanno pagato i dipen­denti oltre 297miliardi, più di tutte le banche italiane. A fare la differenza è il peso della finanza: Cs e Ubs pa­gano mega-bonus legati ai risultati, mentre le banche italiane restano dipendenti dalle vendite allo sportello. Quand’era capo del Corporate and Investment ban­king di Ubs, Orcel otteneva premi annuali per decine di milioni, più dello stesso AD Ermotti. Ora in U­niCredit nessuno prenderà più di lui, ma molti temono la sua scure sui costi del personale.

Articolo di Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano del 3/4/2021




UniCredit: Andrea Orcel sarà il nuovo AD

Il Consiglio di amministrazione di UniCredit ha identificato oggi 27 gennaio all’unanimità Andrea Orcel come prossimo Amministratore Delegato, da inserire nella lista dei candidati per il rinnovo del Consiglio, in sostituzione dell’a.d uscente, Jean Pierre Mustier. La lista, si legge in una nota, sarà presentata per l’approvazione alla prossima assemblea degli azionisti del 15 aprile. Ottenuta l’approvazione da parte dell’assemblea, il board confermerà la sua nomina ad Amministratore Delegato.

«Dopo un’intensa ricerca fondata su un accurato processo di valutazione dei possibili candidati, sono lieto di comunicare che il consiglio ha scelto all’unanimità un banchiere di assoluta caratura internazionale con un ragguardevole track record – ha notato da parte sua il presidente uscente Cesare Bisoni -. L’esperienza di Andrea Orcel include un’ampia gamma di ruoli in diverse aree geografiche, con responsabilità sia nel corporate che nell’investment banking, così come nel global banking e nel wealth management. In questa occasione – ha aggiunto – anche a nome del consiglio di amministrazione vorrei ringraziare Jean Pierre Mustier per gli anni di servizio dedicato e l’eccezionale contributo profuso al nostro gruppo».

UniCredit sottolinea inoltre che il comitato nomine, supportato da Spencer Stuart, «ha preso in considerazione candidati con un’ampia esperienza e capacità di guidare in modo inclusivo organizzazioni complesse nel loro percorso di cambiamento». Il comitato ha quindi «evidenziato in particolare le straordinarie competenze di Andrea Orcel, la forte leadership e la profonda conoscenza delle sfide e delle opportunità nei servizi finanziari internazionali». La nomina di tutti i membri del consiglio verrà sottoposta alla verifica per la valutazione di fit&proper da parte della Bce dopo l’assemblea degli azionisti.

Orcel è stato individuato come nuovo capoazienda superando l’altro “finalista” Fabio Gallia, direttore generale di Fincantieri ed ex a.d. di Bnl e Cdp. Romano, 57 anni, Orcel è noto soprattutto come “deal maker” per aver condotto in porto molte operazioni di M&A nel settore bancario, tra cui quella tra Unicredito e Credito Italiano che diede vita proprio a UniCredit. Dopo 20 anni in Merrill Lynch, Orcel è stato a capo dell’investment banking di Ubs fino al 2018.

Era poi stato scelto da Santander ma la sua nomina ai vertici della banca spagnola non è mai andata in porto per un contenzioso contrattuale.

 

Padoan, Orcel leader di respiro internazionale

Andrea Orcel è un solido leader di respiro internazionale, molto rispettato e impegnato a raggiungere risultati insieme alla sua squadra”. Lo sottolinea il presidente designato di Unicredit, Pier Carlo Padoan. Orcel “ha una vasta esperienza e una straordinaria capacità di visione strategica, che sarà essenziale per guidare UniCredit nel futuro. Non vedo l’ora di lavorare con lui”, aggiunge Padoan.




Unicredit: comunicato stampa unitario sull’uscita di Mustier dal Gruppo

SEGRETERIE DI COORDINAMENTO GRUPPO UNICREDIT


Comunicato stampa

La notizia del passo indietro dell’AD di Unicredit JP Mustier era da giorni nell’aria, il C.E.O. di Unicredit non ha mai mostrato reale attenzione al perimetro italiano del Gruppo.

In questi anni a guida Mustier il Gruppo Unicredit, grazie allo straordinario impegno dei Lavoratori, è riuscito ad affrontare una situazione di crisi molto complicata. La banca ha sì risolto il problema dei crediti deteriorati e raggiunto indici di solidità patrimoniale di valore, viceversa è innegabile il mancato raggiungimento degli obiettivi aziendali di sinergia ed efficienza previsti dal Piano.

Non convince il nuovo piano industriale T23 che prevede l’abbandono di molte zone del Paese con una significativa chiusura di sportelli, un progetto di crescita interna dell’azienda basato su una digitalizzazione esasperata e sempre più spesso farraginosa, ed una preoccupante e costante diminuzione dell’occupazione; Mustier ha attuato una fortissima politica di riduzione dei costi, ma con una strategia di fatto inesistente sui ricavi.

Inoltre il ventilato scorporo degli assett esteri con una sub-Holding quotata a Francoforte, rischia di depauperare la centralità di Unicredit come Gruppo Paneuropeo con solide basi in Italia.

È emersa pertanto una prospettiva assai carente nel medio e lungo periodo; reduci da una politica di disimpegno del Gruppo sul perimetro italiano, perseguita con la vendita dei “gioielli di famiglia” e con una scelta di cessioni che il Sindacato ha sempre criticato con oggettive motivazioni.

La crescita degli utili quindi poggia ancora una volta sul taglio indiscriminato dei costi, soprattutto dei costi del personale e dell’occupazione e su una linea imprenditoriale che si è allontanata dal cuore italiano dell’Azienda.

Riteniamo sia necessario che il CDA di Unicredit indichi al più resto la strada da intraprendere per evitare che questa fase di incertezza abbia conseguenze finanziarie ed economiche sull’intero Gruppo, con particolare attenzione ai Lavoratori e Lavoratrici del perimetro italiano.

Unicredit ha affrontato la crisi pandemica con la forza di un solido gruppo; ora auspichiamo che si focalizzi sul proprio ruolo di Gruppo a trazione italiana in ambito europeo, consolidando l’azienda nel Paese e mantenendone l’unità complessiva, perseguendo certamente la crescita dei ricavi e delle attività di business, coniugandole nel contempo con la tenuta occupazionale e il benessere lavorativo delle lavoratrici e dei lavoratori, nel rispetto del territorio, delle famiglie e delle imprese.

Milano, 02/12/2020

SEGRETERIE DI COORDINAMENTO GRUPPO UNICREDIT
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN




MPS – Unicredit, prende forma il piano di fusione

L’operazione potrà essere chiusa entro l’anno e prevede l’integrazione tra Siena e la parte italiana di Piazza Gae Aulenti. Sul fronte europeo la spinta al consolidamento porta verso un polo Commerz-UniCredit Europa


Accelera il cantiere di Mps-UniCredit. Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, il piano all’attenzione deiI Tesoro, primo azionista di Siena, nell’ambito della ristrutturazione e ricapitalizzazione della banca – che potrebbe comportate un aumento fino a 2,5 miliardi – prevede l’integrazione con UniCredit. Che a sua volta,come anticipato nelle settimane scorse da Il Sole, non ha abbandonato il piano per lo scorporo tra le attività domestiche e quelle euroepee: in questo disegno, il Monte potrà essere integrato con la parte italiana, mentre le altre attività del gruppo guidato da Jean Pierre Mustier potranno essere il cardine di un’altra operazione straordinaria a livello europeo, con Commerzbank.

Il piano, in accelerazione, non ha ancora ricevuto il via libera del ceo francese, che finora ha escluso operazioni di fusione. Ma c’è ancora un po’ di tempo: l’obiettivo è chiudere entro fine anno.

 

Fonte: www.ilsole24ore.con




Unicredit: Fisac, Mustier sacrifica lavoro per dividendi, inaccettabile

“Il comportamento e le dichiarazioni” dell’a.d. di UniCredit,  Jean Pierre Mustier “rispetto al piano industriale continuano ad essere inaccettabili ed irricevibili. Non accetteremo di trattare un piano a giochi fatti, con numeri già cristallizzati nella lettera di avvio di procedura sul confronto che ci è arrivata oggi”

Lo ha dichiarato il segretario generale della Fisac-Cgil, Giuliano Calcagni.

Oltre a ritenere il numero di esuberi dichiarato spropositato – ha aggiunto – chiederemo verifica sui livelli occupazionali e sullo stato delle agenzie in chiusura, ci aspettiamo risposte che contemperino oltre a un numero adeguato di assunzioni soluzioni condivise su tutti gli argomenti del piano industriale”.

La territorialità dell’istituto, i livelli occupazionali e salariali non potranno certo essere sacrificati in nome degli utili che  monsieur Mustier pensa di poter redistribuire ai propri azionisti”,
ha concluso Calcagni.

 

fonte: Il Sole 24 Radiocor

 

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Jean Pierre… pour qui tu travaille?

Ancora una volta Monsieur Kepi Blanc, Jean Pierre Mustier, tira fuori il coniglio dal cilindro, teorizzando nelle vesti di nuovo presidente della Ebf, e non in casa nostra bensì alla Bfm francese, l’applicazione di tassi negativi per la clientela del Gruppo Unicredit con depositi oltre i 100 mila euro.

Questo secondo il Mustier pensiero a tutela dei grandi patrimoni, cui genialmente pensa, a fronte della tassazione negativa sia più appetibile perseguire rendimenti poco più alti dello zero che non al di sotto.
Tuttavia, dietro l’arguta nobilitazione della proposta non possiamo non tirare le fila rispetto alla gravissima affermazione di inizio estate che etichettava il nostro Paese come “non profittevole” e all’idea delle ultime ore di creare una sub holding tedesca, e non vedere una chiara e pericolosa operazione volta ad indebolire il sistema Paese determinando una fisiologica fuga di capitali dalla seconda Banca del Paese.

Se per te, Jean Pierre, questa «È un’alternativa perfettamente accettabile» per noi non lo è e te lo faremo capire. È un’iniziativa scellerata che rischia di avere un impatto estremamente negativo su imprese, territori e lavoratori bancari.

Siamo certi che questa ipotesi potrebbe solo aumentare le difficoltà che oggi affronta il settore del credito con effetti difficilmente ipotizzabili.
Anziché applicare tassi negativi si studi, come da tempo suggeriamo, come utilizzare profittevolmente i depositi bancari a vantaggio non solo degli azionisti e degli Amministratori delegati ma a beneficio delle imprese, dei territori e delle famiglie del Paese.

À bon entendeur…quelques mots!!!

 

I Segretari Generali

FABI -Lando Maria Silleoni   FIRST/CISL-Riccardo Colombani
FISAC/CGIL-Giuliano Calcagni    UILCA/UIL-Massimo Masi     UNISIN-Emiliano Contrasto

 

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Unicredit, dal 2020 tassi negativi sui conti “ben oltre” € 100.000

Jean Pierre Mustier lo aveva teorizzato qualche giorno fa nelle vesti di nuovo presidente della Ebf, la federazione europea delle banche. Detto, fatto. Unicredit si prepara a recuperare l’impatto dei tassi di interesse negativi, “girandolo” sui clienti con depositi «ben al di sopra» dei 100mila euro.

Lo ha annunciato il ceo dell’istituto di piazza Gae Aulenti in un’intervista alla tv francese Bfm Business. «I tassi negativi verranno trasferiti ai clienti (retail e imprese, ndr) con depositi ben al di sopra di 100 mila euro a partire dal 2020», ha dichiarato Mustier. «Lavoriamo per mettere in pratica queste misure nei diversi paesi in cui siamo presenti – ha spiegato – affinché siano operative dall’anno prossimo».

Mustier ha precisato che i depositi inferiori a 100mila euro saranno esclusi da tale misura, e che la mossa è destinata ad interessare comunque i grandi patrimoni, a cui verranno offerte soluzioni alternative per la gestione della liquidità. «Bisogna proteggere tutti i clienti delle banche più vulnerabili, che sono coperti dal fondo di garanzia dei depositi – ha detto ancora Mustier – e poi caso per caso si può considerare di passare i tassi negativi alle grandi imprese o a certi grandi clienti offrendo un certo numero di alternative». In ogni caso «offriremo ai clienti soluzioni alternative ai depositi come ad esempio investimenti in fondi di mercato monetario senza commissioni e obiettivi di performance in territorio positivo». Il senso è offrire alla clientela «obiettivi di rendimento vicini allo zero piuttosto che avere dei tassi di deposito negativi». «È un’alternativa perfettamente accettabile», ha concluso.

Resta da capire quali sono le linee di condotta che la banca seguirà nell’applicazione della misura, e quale sarà l’asticella del livello di liquidità oltre la quale verranno applicati i tassi negativi.

Altra incognita riguarda il comportamento delle altre banche italiane: UniCredit, come sembra al momento, sarà la sola banca ad applicare la “tassa Bce” sui depositi? E con quali possibili conseguenze in termini di potenziali uscite di liquidità? Oppure punta a diventare un first mover, e ad essere seguita da altri istituti in questo percorso? Possibile che, sul lato del conto economico, UniCredit confidi di bilanciare i minori ricavi derivanti da eventuali deflussi di capitali con le maggiori entrate generate dal miglioramento dello spread tra tassi attivi e passivi. Una tesi che dovrà ora passare alla prova del mercato.

 

Fonte: www.ilsole24ore.com

 

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Unicredit, la cura di Mustier: pagano solo i dipendenti

Vendere i gioielli della Corona per fare cassa; tagliare pesantemente il personale e cedere a più non posso sofferenze e incagli per pulire il più possibile il bilancio dalle scorie. Con un grande assente: i ricavi, che languono. Se si analizzano i poco più di mille giorni della gestione di Jean Pierre Mustier alla guida di UniCredit la fotografia che emerge è questa.

L’ex parà francese ed ex capo dell’investment banking di Société Générale ha appena chiuso il blitzkrieg in due tappe della cessione del 35% di Fineco, la regina dell’asset management portando a casa oltre 2 miliardi cash. Appena insediato sulla tolda di comando della banca, nel 2016, fu lui a concretizzare l’uscita dai gioielli Pekao e da Pioneer. Altri due pezzi pregiati che hanno portato nelle casse di UniCredit un bottino di 7,4 miliardi. In fondo, dopo oltre 4 aumenti di capitale e perdite cumulate dal 2008 per oltre 20 miliardi, la banca tornava a incassare denaro anziché chiederlo ai suoi stremati soci. Con un prezzo da pagare però. Privarsi per sempre di asset redditizi. Ma evidentemente Mustier ha sempre pensato ad altro.

Il suo obiettivo principe era ridare solidità finanziaria al gruppo, rendere UniCredit una banca di nuovo appetibile per il mercato sul piano della forza patrimoniale. Obiettivo certo riuscito con le agenzie di rating che hanno di recente alzato la pagella di affidabilità del gruppo. Obiettivo che ne portava con sé un altro strettamente correlato: pulire il più possibile il bilancio dalla zavorra dei crediti malati. Anche qui vendendo a più non posso, a prezzi anche molto bassi cumuli di sofferenze. UniCredit come riporta Moody’s “ha abbassato lo stock di Npl, scesi a 37,6 miliardi di euro del primo trimestre 2019 dal picco del 2014, pari a 84,4 miliardi”. Il tutto condito con un recupero di redditività. Dopo il buco da oltre 11 miliardi del 2016, Mustier è riuscito a riportare in utile la banca con profitti netti cumulati nel biennio 2017-2018 per oltre 9 miliardi. E con un ritorno sul patrimonio che per la prima volta dopo anni supera il costo del capitale. Tutto bene per il mercato finanziario. Musica per le orecchie degli investitori.

Ma la rivoluzione dell’ex parà è davvero tutta e solo finanziaria. La banca infatti è dimagrita pesantemente sotto la sua guida, che non fatto altro che proseguire, acuendola, la cura dimagrante dei suoi predecessori. A pagare il prezzo sono stati i lavoratori. Solo con il suo piano triennale Transform, Mustier ha già lasciato a casa 14.700 dipendenti con 950 sportelli chiusi a livello globale. Oggi i dipendenti sono 86mila (di cui almeno 40mila in Italia); erano 100mila al suo arrivo e addirittura superavano i 140mila nel 2013. E ora come se non bastasse le indiscrezioni rivelate da Bloomberg su un nuovo taglio secco di 10mila dipendenti (soprattutto in Italia) previsti nel nuovo piano industriale che sarà presentato a dicembre. La banca ha reagito con un “no comment”, ma se così fosse sarebbe l’ennesima conferma che il modello di Mustier è quello di fare risultati più con il taglio dei costi che con lo sviluppo dei ricavi.

I sindacati hanno reagito con vigore a questa nuova doccia fredda. Ne hanno ben donde. La banca ha oggi un rapporto tra costi e ricavi poco sopra il 50%, un livello quasi di eccellenza non solo in Italia ma anche in Europa. Non c’è nessuno squilibrio sul lato ricavi-costi. Piuttosto è qui che Mustier, che pare ossessionato solo dall’efficienza (peraltro già conseguita), non ha dato grande segno di sé. I ricavi della banca sono oggi lontani anni luce da quelli pre-crisi. Nel 2009 quelli totali erano di oltre 27 miliardi, oggi sono poco sotto i 20 miliardi. Del resto la banca ha tirato il freno sui prestiti. I volumi di credito erogato sono scesi di oltre 30 miliardi dal 2013. E se non presti fai meno margine d’interesse e rimangono solo i tagli.

Il risultato di gestione industriale è stato ottenuto dai vari Mustier, Ghizzoni e predecessori grazie al taglio dei costi, mentre i ricavi calavano. Solo negli ultimi 6 anni i costi operativi sono scesi di oltre 4 miliardi. Il costo degli 86mila dipendenti vale oggi solo 6 miliardi, il 30% del monte ricavi, certo non una cifra insostenibile. In più va detto che la pulizia di bilancio ha portato e porterà a sempre minori svalutazioni dei crediti che consentono a Mustier, che conta su 9 miliardi di margine industriale, di portare a casa un utile netto che a fine 2019 replicherà in meglio il già buon risultato del 2018 (3,9 miliardi di utili) con 4,7 miliardi di profitti netti stimati. Vista così non si capisce tutta questa voglia di tagliare dell’ex parà. Tra l’altro l’accetta sarà rivolta all’Italia, che oggi vanta, dopo anni di crisi, una profittabilità migliore delle attività in Germania o in Russia. Forse l’obiettivo recondito di Mustier è un altro. Sottaciuto, sminuito, minimizzato ma sempre presente: fare di una Unicredit snella sui costi, forte patrimonialmente e ripulita dalle sofferenze il deus ex machina di una fusione paneuropea (leggi Commerzbank e/o Société Générale) dove la banca di Piazza Cordusio non sia preda ma predatore. In fondo Mustier viene dalla finanza e della grande finanza vuole essere il protagonista. Tanto il costo lo pagheranno, come hanno finora pagato, i lavoratori.

 

Articolo di Fabio Pavesi sul Fatto Quotidiano del 24/7/2019