Una Auschwitz a 120 miglia dalle coste italiane

Quello che segue è un filmato duro da vedere, ma necessario perché rende difficile ignorare la realtà.

Si tratta di un estratto da un’intervista al prof. Massimo Del Bene, che all’Ospedale San Gerardo di Monza ricostruisce le mani distrutte dagli aguzzini dei lager libici ad esseri umani colpevoli solo di inseguire la speranza di una vita dignitosa.

Lo scopo di tutto questo? Costringere i familiari a privarsi dei loro esigui risparmi per pagare un riscatto che faccia finire le torture e consenta agli sventurati di imbarcarsi verso il miraggio di un futuro migliore.

E tutto questo avviene con il sostegno economico del nostro Governo, che si preoccupa solo di limitare le partenze, ma poi non vuole vedere quello che succede. Insomma, è il nostro modo di aiutarli a casa loro.

Agghiaccianti le dichiarazioni del dott. Del Bene (un destino nel nome):

Abbiamo una Aushwitz a 120 miglia dalle coste italiane. E quando si dice “Li riportiamo indietro” è come se uno che scappa da Aushwitz tu lo prendi e lo riporti indietro”.

E’ il Medioevo che entra nella nostra civiltà”




Immigrazione: i numeri smentiscono le bugie sull’invasione

Insicurezza e razzismo in Italia si intrecciano sempre più colpevolmente, alimentate da percezioni irreali e dal ballificio xenofobo.

  1. L’Italia ospita circa 6 milioni di immigrati (Osservatorio sulle migrazioni, ultimo rapporto del 31 gennaio), 9 su 10 vi risiedono da più di cinque anni. La stragrande maggioranza ha il permesso di lavoro o è qui per ricongiungimento familiare: il 56% è di origine europea; il 35 arriva da Paesi dell’Ue; il 17 da Africa e Medio Oriente; il 14 dall’Asia; il 13 da Oceania e Americhe. Le cifre smantellano la teoria dell’invasione africana e musulmana.
  2. Le ragioni delle migrazioni sono note: guerre, siccità, dittature, miseria, speranza. Per la Commission on Migration and Health (sponsor la rivista Lancet), ogni 1% di migranti corrisponde al +2% del Pil. I migranti sono una risorsa. L’inopinata stretta sui permessi di soggiorno li trasforma in irregolari, quindi più ricattabili da mafie e da disonesti datori di lavoro.
  3. In percentuale, l’Italia ha meno immigrati di Estonia, Svezia, Croazia, Lituania, Lussemburgo, Austria, Spagna, Olanda, Germania, Francia, Belgio, Grecia, Malta e altre nazioni.
  4. La Svezia ha accolto il 135% (!) dei migranti rispetto alla quota prevista ma l’estrema destra fomenta odio e violenza contro “l’invasione straniera” (23,4 immigrati ogni mille abitanti, in Italia 2,4): nei fatti, resta un baluardo della solidarietà.

Ultima Grande Bugia: quella che i migranti ricevano più di quanto non contribuiscano. Smentita dai dati ministeriali.

 

Articolo di Leonardo Coen sul “Fatto Quotidiano del  7/2/2019




Le scarpette di Aliya

Si racconta che un giorno sia stato Ernest Hemingway a lanciare, per provocazione, una sfida: scrivere un romanzo in sole 6 parole. Scommetteva, Hemingway, che la brevità del testo non avrebbe sottratto nulla al pathos della narrazione, se le parole fossero state suggestive. Così scrisse un meraviglioso romanzo:

Baby shoes, for sale, never worn.
Scarpette da bambino, in vendita, mai indossate.

Un romanzo che si legge in pochi secondi ma che può evocare ore di narrazione, da percorrere con la mente. Dopo di lui tanti scrittori hanno voluto cimentarsi nell’impresa, anche con successo, chi per sfida, chi per diletto, chi per passione. Ci sono in rete moltissimi siti dedicati alle “six word stories”.

Può essere forte, in effetti, la tentazione di provare. Non solo per i motivi sopra citati, né perché tutti possano illudersi di essere scrittori all’altezza di Hemingway o di altri capaci narratori. Ma perché esistono storie che tutti conoscono benissimo e non necessitano di essere raccontate con minuzia. È sufficiente richiamarle. E per questo 6 parole bastano.

La piccola Aliya sta bene. Faitha, la sua mamma ventenne, l’ha messa al mondo appena scesa dal treno che l’ha portata via giovedì da Castelnuovo di Porto. Sola, senza compagno, né famiglia, né documenti sanitari. Sola con solo la sua bimba in grembo, figlia di un probabile episodio di violenza. Sola, vittima di un decreto che titola “sicurezza” mettendo a rischio la vita di una mamma e della sua bambina.

Accadde qui. Non si ripeta ancora.

A chi legge, il compito di sfogliare mentalmente il racconto della memoria.

Roma, 4 febbraio 2019

La Segreteria Nazionale
FISAC/CGIL Banca d’Italia

 

Fonte: Fisac Banca d’Italia




Carlo Lucarelli racconta la storia della Sea Watch

Questo è il video dello splendido racconto di Carlo Lucarelli.

Per chi preferisce leggere pubblichiamo il testo integrale: vale la pena di leggerlo, anche più di una volta.

 

CARLO LUCARELLI RACCONTA: BLU MALTA

Se la nostra storia fosse un giallo, un noir, un thriller alla Tom Clancy, qualcuno la racconterebbe così:

La grande fuga del Barcone Rosso

E’ il 5 gennaio del 2019.
C’è una nave ferma in mezzo al mare, a due miglia dalla costa maltese, sballottata dal mare in tempesta. E’ lì da più di due settimane. Si chiama Sea Watch ed appartiene ad una ONG, un’Organizzazione Non Governativa tedesca.
A bordo, assieme al personale dell’equipaggio, c’è una trentina di persone raccolte da un gommone che stava affondando nel Mediterraneo. Sono uomini, donne e alcuni bambini anche molto piccoli: sette anni, otto anni, ce n’è uno che addirittura ha tre mesi.
Quindi la scena è: mare in tempesta, pioggia, onde alte, cibo e acqua razionati.
Però attenzione, perché non è quello che sembra.
Perché quelli lì non sono migranti: sono terroristi dell’ISIS, terroristi perfettamente addestrati ad uccidere. Anche le donne sono addestrate, sono piccoli ninja. Pure i bambini non sono veri: sono nani esperti di arti marziali. E anche il bambino di tre mesi è una perfetta ricostruzione di Chucky la bambola assassina.
Anche i membri dell’equipaggio sono membri di un’organizzazione terroristica internazionale finanziata da un  miliardario pazzo (di quelli che si trovano nei film di James Bond per esempio) che vuole l’estinzione della civiltà occidentale.
Infatti, nella stiva non ci sono salvagenti o coperte: ci sono casse di Kalashnikov e cinture con l’esplosivo.

Però non torna, c’è qualcosa che non funziona, quindi fermiamoci un momento e torniamo indietro.
Se la nostra storia fosse qualcosa di più di un thriller alla Tom Clancy,se fosse per esempio un horror tipo “La notte dei morti viventi” allora qualcuno la racconterebbe così:

The Walking Boat

Cinque gennaio 2019, a due miglia dall’isola di Malta.
Sulla Sea Watch ci sono una trentina di persone che sono mezze morte di freddo e debilitate dopo due settimane in attesa in mezzo al mare in tempesta.
Però attenzione, perché anche queste non sono quello che sembrano.
Provate un po’ a pensare: sono infagottate nei vestiti, sono pallide, smagrite, hanno la pelle raggrinzita con le escoriazioni, barcollano…. infatti sono zombi, zombi carnivori. Infatti vomitano in continuazione, soprattutto i bambini.
Sono pericolosissimi zombi carnivori che hanno già infettato l’equipaggio delle nave, che era già stato esposto ad un virus pericolosissimo, che è appunto il virus del buonismo.
Per fortuna qualcuno (Buffy l’ammazzavampiri, l’Uomo Ragno, Superman: non lo so, il nemico degli zombi) se n’è accorto e ha bloccato la nave in mezzo al mare, e ha fatto in modo che quegli zombi non riescano a sbarcare ed infettarci tutti, mangiarci tutti e farci diventare come loro. Zombi carnivori e cannibali, pronti a mangiarci qualunque cosa: per esempio l’albero di Natale o le statuine del presepe.

Però no, non torna neanche così questa storia. C’è qualcosa di diverso. Allora lasciamo per un momento lì la nostra storia e facciamo un passo indietro, come al solito.
Quindi sempre un thriller con intrighi internazionali. Sempre un horror che fa paura, però un po’ diverso.

Quindi immaginiamo persone scappate da un inferno provocato da guerre, carestie, sottosviluppo e dittature che sono state decise da un’altra parte: a New York, per esempio, a Londra, a Bruxelles oppure a Pechino. Una roba alla Tom Clancy, però vera.
Persone che sono state massacrate da mesi, anche da anni di deserto del Sahara e di campi di concentramento in Libia: una cosa da horror infatti, però anche questo vero.
Mezzi annegati, mezzi morti di freddo, su un gommone mezzo affondato e poi dopo bloccati per settimane in mezzo al mare da altre considerazioni di politica nazionale e internazionale che li trasformano, per davvero però stavolta, in morti viventi.

Ecco, così torna un pochino di più.
Alla nostra storia manca un finale, che per fortuna non è la storia che qualcuno ci vorrebbe raccontare. Infatti in questo caso, almeno in questo, la storia ha un lieto fine, con lo sbarco di quelle persone a Malta: poi vedremo, però intanto sono andati giù.
Insomma, questa è un’altra storia.

Ora però alla nostra storia manca una cosa, una domanda che io mi pongo in quanto scrittore di romanzi gialli e che mi lascia qualche dubbio: non è che questo finale così positivo è un po’ troppo buonista?

 

Tratto dalla puntata di Propaganda Live andata in onda su La7 l’11 gennaio 2019

 

 

 

 

 




Perché il governo odia gli immigrati e difende i ricchi?

C’è una nota stonata nella canzone del conflitto cantata dal governo gialloverde. Negli stornelli improvvisati da Matteo Salvini – e accompagnati dal coro a bocca chiusa di Luigi Di Maio e dei suoi – essi si battono per i poveri, non meglio identificati. Però il conto della redistribuzione di ricchezza non viene presentato ai ricchi ma a improbabili caste di privilegiati quali i pensionati, gli immigrati con le loro pacchie, i dipendenti pubblici, i centri sociali e il settore non profit.

Esempio: Salvini non ha mai speso una parola sulla scandalosa rendita autostradale dei Benetton, lasciando alla sua criptoalleata Roma-centrica Giorgia Meloni il compito di associare la parola “pacchia” alla famiglia del nord-est.

I grandi imprenditori e i loro fedeli e strapagati manager non si toccano. In perfetta continuità con la retorica dei governi precedenti (nessuno escluso), anche Lega e M5S si prostrano grati davanti a coloro che “creano i posti di lavoro”. A parte che non è neppure vero, visto che oggi in Italia di posti di lavoro ne mancano sei milioni, fa impressione l’assoggettamento di maggioranza e opposizione al vecchio paternalismo che ti fa togliere il cappello davanti al padrone, anche se sei un ministro.
Ma ormai il principio è chiaro. Se uno ha mille dipendenti e ne licenzia la metà il governo italiano (oggi come ieri) corre a ringraziarlo per aver salvato i 500 posti residui.

La dimostrazione di come siamo messi male è la totale assenza di reazioni politiche ai dati sugli stipendi dei grandi manager diffusi nei giorni di Capodanno (mentre i nostri eroi erano a sciare) non da un centro sociale, non dalla Cgil, non da un economista sovranista, ma dal Centro Studi di Mediobanca. Ebbene, nel 2017 i 224 consigli d’amministrazione delle società italiane quotate al listino principale della Borsa di Milano sono costati 667 milioni. Se ai 3.300 beneficiari delle prebende consiliari si potesse chiedere un sacrificio del 15 per cento degli emolumenti, si farebbero gli stessi soldi che la manovra recentemente approvata ha “trovato” con i tagli alle pensioni cosiddette d’oro. Ma ovviamente il sacrificio non si può chiedere, perché i pensionati prendono quello che il governo decide di dare, mentre i manager si servono direttamente alla cassa delle aziende che governano.

E infatti i 224 amministratori delegati hanno guadagnato in media 952 mila euro. Vi chiederete se sono tanti o pochi, meritati o rubati.
C’è un criterio di valutazione infallibile: gli ad maschi in media prendono 1 milione, le femmine 428 mila euro. Quindi i casi sono due: o le donne in quanto esseri difettosi meritano la metà degli uomini, oppure queste retribuzioni vengono decise in modo arbitrario da una casta di maschi. Ovviamente è la seconda che ho detto, infatti non è tanto la media di 952 mila euro a colpire, quanto il fatto che nel 2017, anno non certo sfolgorante per l’economia italiana, lorsignori si sono assegnati un aumento del 14,5 per cento rispetto agli 831 mila euro medi del 2016. Solo di aumento si sono messi in tasca 121 mila euro a testa, di cui 99 mila euro di premio per i risultati conseguiti e 22 mila per la cosiddetta parte fissa. Lorsignori hanno così deciso di meritarsi un aumento dello stipendio base, quello che ti danno solo per andare in ufficio indipendentemente dai risultati, pari a quanto un lavoratore italiano medio guadagna in tutto l’anno.

Se vi chiedete come sia possibile che il “governo del cambiamento”, di fronte a un simile fenomeno, veda la pacchia negli smodati cedimenti al piacere degli immigrati in crociera sui barconi, la risposta è semplice: come i predecessori, hanno paura dei ricchi e credono che la loro benevolenza li aiuterà a durare.

Come Matteo Renzi con i Farinetti, i Serra e i De Benedetti, si illudono.

 

Articolo di Giorgio Meletti su “Il Fatto Quotidiano” del 6/1/2019




La nostra memoria corta

Video da guardare. Fino all’ultimo fotogramma.
E poi riguardare.

E riguardare ancora il giorno dopo.

https://youtu.be/r81XRXR_LXU




Solidarietà a Mimmo Lucano e alla comunità di Riace

Riace, un piccolissimo paese quasi spopolato della profonda Calabria, è diventato un simbolo nel mondo. Il modello Riace è semplicemente la straordinaria dimostrazione che si può costruire un efficace sistema di accoglienza diffusa, che l’integrazione rappresenta una importante occasione di sviluppo per il territorio, che costruire una società inclusiva ed accogliente è un vantaggio per tutti.

Un’utopia contro la quale negli ultimi mesi aveva fatto già balenare le sue accuse il Ministro dell’Interno: la colpa di Riace sarebbe quella di aver accolto troppo, anche oltre le decisioni delle commissioni prefettizie. Sta di fatto che i finanzieri stamattina hanno arrestato, ai domiciliari, l’uomo-simbolo di quella esperienza, il sindaco Mimmo Lucano, con l’accusa – tra l’altro – di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le inchieste della magistratura si rispettano sempre, ma questa ordinanza nei fatti blocca l’esperienza più significativa che dimostra come integrazione e accoglienza siano la chiave di volta per risollevare l’intero Paese. Restiamo in attesa di conoscere i dettagli del provvedimento, ma esprimiamo solidarietà al sindaco Mimmo Lucano e ci mobiliteremo per confermare tutta la nostra vicinanza alla comunità di Riace.

Roma, 2 ottobre 2018

 

Anpi, Arci, Cgil, Articolo 21, Libera e Rete della pace

 

Dal sito www.cgil.it