Futuro Mps, Landini dice no all’ipotesi spezzatino

«Siamo contrari allo ‘spezzatino’ del Monte dei Paschi di Siena».

A ribadirlo il segretario generale della Cgil Maurizio Landini a margine dell’assemblea della Banca d’Italia che ha invitato a riflettere sui cambiamenti tecnologici in atto e a riflettere sull’importanza per il paese del settore del credito.

Una voce unanime, dunque, dopo le prese di posizione di tutte le sigle sindacali a livello locale e nazionale contro l’ipotesi che sarebbe invece gradita al Governo.

Intanto lo stesso Mps ha comunicato in una nota che «non ci sono aggiornamenti da segnalare in merito alla ‘soluzione strutturale’, cioè alla fusione con un gruppo bancario più solido, «o all’operazione di rafforzamento patrimoniale» da 2,5 miliardi di euro, subordinata all’autorizzazione della Dg Comp e della Bce. Lo si legge in una nota dell’istituto senese, tenuto a comunicare mensilmente gli aggiornamenti sulle operazioni di rafforzamento patrimoniale dopo essere finito nella black list della Consob.

 

Fonte: www.agenziaimpress.it




I banchieri giocano a Risiko con la nostra pelle

Ve lo immaginate vostro nonno di 80 anni che sta in un paese collinare, in cui la filiale più vicina è a 30 chilometri e che per fare un bonifico o pagare una bolletta deve accedere con lo smartphone o il computer ad una app, in un posto dove non c’è il wifi e la fibra non arriverà mai? Questa è la mitologica “digitalizzazione” per molti cittadini italiani. Questo è il risultato della desertificazione dei servizi bancari (che erogano secondo la legge un “servizio pubblico essenziale”), accompagnata spesso dall’abbandono sugli stessi territori dei servizi di trasporto e sanitari. Questa è la “tutela del risparmio” garantita dalla Costituzione. Questo è il quadro degno di un film di Ken Loach, e diventerà sempre più frequente con il procedere impetuoso e inarrestabile del processo di aggregazione delle banche in tre o quattro grandi gruppi oligopolistici.

Non è una previsione, è quello che accade. Migliaia di sportelli vengono e verranno chiusi in nome della “filiale moderna”, un sogno popolato da umanoidi che ti aiutano a compiere le operazioni e ti assistono nella risoluzione dei problemi, la frontiera che prenderà il posto dell’assistenza telefonica, già disumana e inefficiente ma almeno un operatore umano che risponde dall’Albania puoi ancora trovarlo, se riesci a uscire indenne dal labirinto delle dieci opzioni commerciali che fanno da scudo al suo intervento. Come evidenzia Daniele Quiriconi, segretario regionale Fisac CGIL della Toscana in questo articolo:

“Se l’algoritmo che sovrintende le scelte organizzative di oligopoli finanziari che macinano miliardi di utili invitando in automatico a chiudere le filiali di tre dipendenti, spostare migliaia di lavoratori e lasciare milioni di cittadini senza un servizio costituzionalmente garantito, procede inesorabile e la protesta di sindacati, sindaci, associazioni dei consumatori nulla ha potuto finora, forse la politica dovrebbe interrogarsi sulle conseguenze dell’ampliamento di periferie sociali oltre che geografiche, che queste scelte alimentano. E che colpiscono i ceti più popolari e più fragili

Questa corsa al puro abbattimento dei costi (lo chiamano “efficientamento”), alle aggregazioni favorite da robusti sconti fiscali, all’impiego ingente di denaro pubblico per salvare la capitalizzazione di istituti sistemici, dovrebbe avere come contropartita la richiesta di garanzie per i lavoratori e per i clienti. Questo dovrebbe essere il compito della politica: se ti erogo denaro dei cittadini, quegli stessi cittadini che sono anche lavoratori e clienti dovrebbero beneficiare di un servizio migliore, di tutele professionali e territoriali per il proprio lavoro. Invece succede che il ruolo dello Stato si ferma all’erogazione di denaro, e per il resto vige il laissez-faire: altro che dirigismo, qui siamo al liberismo economico(apoteosi della teoria del libero mercato come autoregolatore) alimentato però dal denaro pubblico. Peccato che il “libero mercato” , che dovrebbe essere garanzia di concorrenza, stia portando ad un oligopolio alla Kurgan del film Highlander, quando dice “ne rimarrà uno solo”. Peccato che questa direzione obbligata peggiori le condizioni dei lavoratori: quelli che vengono “spintaneamente”  accompagnati fuori dall’azienda, anticipandone la quiescenza, non sono infatti sostituiti in pari misura da forze fresche, con il risultato che chi resta in ufficio o allo sportello rimane sempre “sott’acqua”, affogato dai carichi di lavoro e dalle pressioni alla vendita. I clienti al contempo non vengono soddisfatti nei bisogni reali, ma vengono agganciati per creare loro dei bisogni immaginari. Così può capitare che un privato cui è appena stato negato un prestito venga agganciato dalla stessa banca che glielo ha negato per cedere il quinto dello stipendio in cambio di un prestito, perchè quella è la campagna in voga. Così può capitare che il capetto, più realista del re, imponga ai subalterni la concessione di un mutuo solo a condizione che il cliente sottoscriva anche una polizza vita, con buona pace di ogni regola nemmeno etica, ma di banale valutazione del merito creditizio.

Sotto i nostri occhi, le banche si stanno trasformando da infrastrutture di sostegno ai territori a negozi di pura vendita: sono disposto a darti soldi solo se con quei soldi compri un mio prodotto. Le cosiddette “operazioni baciate” rischiano di diventare il core business di aziende che sono disposte a stravolgere ogni regola della loro tradizione al fine di perpetuare l’unica regola che non può cambiare: quella del massimo profitto per il grande azionista.

Articolo di Nicola Cavallini su www.Ferrara Italia.it




Unipol al 6,9% di Popolare Sondrio, verso fusione con Bper?

Blitz riuscito solo in parte, ma cresce l’attesa per la nuova fase di aggregazioni bancarie


 

Banca Popolare di Sondrio e Bper sempre più vicine a una possibile fusione dopo che Unipol si è portata al 6,9% della banca valtellinese, anche se è meno del 9,5% preventivato nell’operazione.

Unipol, quota Popolare Sondrio sale al 6,9%

Unipol è anche il primo azionista di Bper (al 19%) e già il suo ingresso in Bp Sondrio l’anno scorso con una quota di circa il 2% aveva acceso la speculazione su un possibile matrimonio fra le due banche.

UnipolSai si è avvalsa di un’operazione di reverse accelerated book building, gestita da Equita Sim, che ha consentito al gruppo assicurativo di acquisire 18,2 milioni di azioni di Popolare Sondrio, meno delle 30 milioni di azioni preannunciate ieri sera in un comunicato.

Prezzo 4,15 euro per azione, con un esborso totale di 75,6 milioni. Le azioni della Pop Sondrio avevano chiuso ieri a 4,008 euro. L’acquirente aveva messo sul piatto un premio compreso tra il 2% e il 4%.

UnipolSai già disponeva del 2,9% dell’istituto valtellinese dopo averne acquistato un altro 1% nelle ultime settimane.

 

Popolare Sondrio-Bper, fusione dietro l’angolo?

Per il gruppo guidato da Carlo Cimbri l’operazione è “finalizzata a contribuire ai piani di sviluppo della banca”, che è anche “partner industriale dal 2010 nel comparto della bancassicurazione Danni e Vita”.

Le analogie non finiscono qui. Bper e Popolare Sondrio sono legate anche nel risparmio gestito, avendo coinvestito in Arca Sgr.

La fusione tra la banca modenese e Bps  sarebbe quindi uno sbocco “naturale” di una partnership lunga e consolidata. Il blitz rilancia con forza l’ipotesi di una futura aggregazione e arriva peraltro mentre si attende la sentenza del Consiglio di Stato che dovrebbe spianare la strada alla trasformazione di Sondrio in spa.

 

Banco Bpm alla finestra su Popolare Sondrio e Bper

La mossa peraltro avviene mentre si discute sul futuro di Banco Bpm, possibile preda di Unicredit nella nuova fase di consolidamento bancario, anche se il ceo di Piazza Meda Giuseppe Castagna avrebbe preferito dare vita a un terzo polo con Bper.

Secondo gli osservatori un matrimonio fra Modena e Sondrio dovrebbe allontanare definitivamente quest’ultima ipotesi, ma c’è anche chi ritiene che un’alleanza a tre sia comunque possibile.

Intanto in Borsa dopo il blitz di Unipol riuscito solo in parte alle ore 10,08 le azioni Banca Popolare di Sondrio segnano +1,5% a 4,068 (ma con punte di circa il +6%, sopra il prezzo dell’operazione) mentre Bper -1,27% consolida dopo i recenti rialzi, Unipol -1,3%, bene Banco Bpm +1,7%.

 

Fonte: www.finanzareport.it




MPS: un’assunzione di responsabilità

1 - Fabi 2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 6 - Uilca Unisin nuovo logo

Come Organizzazioni Sindacali aziendali abbiamo più volte richiamato lo Stato, azionista di maggioranza della Banca dal 2017, sulla necessità di negoziare il superamento dei vincoli imposti dai regolatori europei, e prolungare il termine della permanenza nel capitale sino a garantire l’effettivo risanamento del Gruppo.
Abbiamo cioè richiesto allo Stato una assunzione di responsabilità che preveda il rilancio della Banca nella sua integrità, e la salvaguardia dei livelli occupazionali, salariali e normativi per i suoi 21mila Dipendenti.

Mentre si susseguono notizie di stampa che accreditano anche l’ipotesi dello “spezzatino”, ribadiamo che non può essere attuabile – vista la ricapitalizzazione precauzionale effettuata con iniezioni miliardarie di fondi pubblici – nessun’altra soluzione se non quella che abbia l’obiettivo di creare valore e di sviluppare la Banca e il Gruppo a beneficio della collettività, e del ritorno dello stesso investimento statale.
Sarebbe invece inaccettabile che, con ulteriori soldi pubblici, si favorisse un processo di distruzione di un’azienda come Banca Monte dei Paschi, e del valore in essa contenuto, che sta dimostrando anche in questo difficile momento di essere al servizio del Paese.
Alla Banca servono certezze, investimenti in tecnologia e in persone, in grado di dare una visione strategica e di sviluppo a tutto il Gruppo. 

Le Lavoratrici e i Lavoratori dopo anni di sacrifici e abnegazione si meritano una prospettiva certa.
Invertire la tendenza si deve e si può, senza perdere altro tempo.

Siena, 19 maggio 2021

 

LE SEGRETERIE




ISP Area Abruzzo Molise: ad un mese dall’incorporazione Ubi


UNA GRANDE BANCA O SOLO UNA BANCA GRANDE ?

Si è completato ormai il primo mese dal “Big Bang” della incorporazione Ubi e, purtroppo, al di là dei trionfalistici proclami dei nostri manager, la realtà che colleghi (e clienti ex Ubi) stanno ancora vivendo è tutt’altra cosa. La decisione, a nostro avviso molto azzardata, di concentrare nell’unica giornata del 12 aprile tutta la integrazione, aggiungendoci pure la partenza del nuovo (ennesimo) modello di servizio, ha prodotto effetti devastanti, con criticità e problemi lungi ancora dall’essere risolti.

Già nelle settimane precedenti la migrazione, le OO.SS. avevano, a più livelli, lanciato l’allarme sulla scarsissima formazione preventiva dei colleghi ex Ubi e sul rischio di far partire congiuntamente il nuovo segmento Agribusiness e l’accorpamento di molte filiali retail con trasferimento di migliaia di colleghi e rimescolamento di gestori e relativi portafogli. Ma il nostro allarme – e il consiglio di fare le cose con più gradualità – non è stato apprezzato dall’Azienda, come sempre più spesso ormai accade.

Quello che si è verificato è stata una concentrazione di interventi inopportuna, mal pianificata, gestita confusamente e con molti errori, che ha provocato caos e ulteriore stress nel lavoro quotidiano.

Il risultato è una rete al collasso, con colleghe e colleghi che si stanno facendo carico, da soli, di tutte le carenze organizzative aziendali e che hanno grande difficoltà a dare risposte alla clientela.

Da un mese ormai è cronaca quotidiana il caos in cui stanno combattendo colleghi e clienti ancora nel contesto di pandemia, con gestori che hanno portafogli quasi tutti nuovi e clienti che hanno perso i loro riferimenti in azienda, con l’aggravante, per i clienti ex Ubi, del perdurante blocco informatico sulle piattaforme home banking.

L’accorpamento repentino e simultaneo di filiali retail, imprese, exclusive, la creazione di nuove filiali agribusiness, il ridisegno della rete del terzo settore, le nuove filiali on line con la creazione dei “fantomatici” distaccamenti individuali presso le filiali retail e chi più ne ha più ne metta, hanno determinato un sovraffollamento degli uffici e degli ambienti con buona pace delle regole anti covid in molti casi impossibili da rispettare. In molte filiali accorpate si sono e si stanno ancora verificando problemi di ordine pubblico per l’afflusso di clientela e l’azienda è sorda alla richiesta di steward per regolamentare gli accessi.
Sono state create stanze pollaio con 8/12 postazioni in ambienti dove ce n’erano 4/6, in alcuni casi non ci sono nemmeno le scrivanie sufficienti per le persone in organico.

Nel Retail si è provveduto all’ennesima riduzione/trasferimento di portafogli, con portafogli “in pool” in capo ai direttori che in molti casi superano le migliaia di clienti che poi devono essere comunque seguiti dai gestori superstiti, alcuni perdipiù senza un portafoglio codificato. Qual è il senso di ciò?

Molti colleghi hanno cambiato ruolo senza nessuna formazione realmente fruibile ed efficace, magari anche dopo trasferimento in filiali di comuni diversi. Gli affiancamenti dei colleghi Isp a quelli ex Ubi, già difficoltosi in partenza per il problema covid, sono resi ancor più complicati dalle innumerevoli incombenze giornaliere e, soprattutto, dalle continue e, in questo contesto ancor più assurde pressioni commerciali. Come se si stesse vivendo in un periodo di assoluta normalità.

A questo proposito chiediamo fortemente che l’Azienda non sollevi alcun provvedimento disciplinare in caso di errori che dovessero verificarsi da parte dei colleghi non adeguatamente formati.

Alcuni esponenti aziendali, come nulla stesse accadendo, stanno ossessivamente pretendendo risultati commerciali crescenti, pressando le lavoratrici e lavoratori con modalità non più accettabili, aggiungendo ulteriore stress e portando i colleghi allo sfinimento.

Nel nostro territorio, molte colleghe e colleghi Isp sono stati inoltre distolti dalle loro filiali per andare a prestare affiancamento ai colleghi delle filiali ex Ubi che il 12 aprile sono passati in Isp e il 24 maggio saranno ceduti alla Banca Popolare di Puglia e Basilicata.
Naturalmente questi colleghi hanno il sacrosanto diritto di non essere lasciati soli, seppure per 40 giorni, e infatti non lo sono stati, ma con una programmazione alternativa forse si sarebbe potuta evitare questa doppia migrazione in un mese, con tutto quello che ne consegue in termini di stress per i colleghi e disagio per i clienti.

E’ questo il rispetto della più grande Banca del Paese verso le “sue persone”? Verso il suo “Capitale Umano”? Secondo noi NO, è tutt’altro che rispetto.

Dai nostri manager, pur distinguendo il loro ruolo dalla parte organizzativa e gestionale, ci saremmo aspettati piuttosto, oltre ai messaggi trionfalistici all’esterno, anche qualche parola di scuse per i problemi organizzativi creati a tutti da una gestione così fatta.

Dalla più grande Banca del Paese ci saremmo tutti aspettati una gestione molto diversa della integrazione. E lo confermano anche gli amari commenti dei colleghi ex Ubi che, a un mese dall’ingresso in Isp dicono “pensavamo di entrare in una grande banca ma siamo entrati solo in una banca grande.”

Abruzzo, 17/5/2021

 

COORDINATORI e RSA GRUPPO INTESA SANPAOLO AREA ABRUZZO
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL  – UILCA




Il super regalo fiscale per le fusioni bancarie

L’esecutivo giallorosa ha previsto un beneficio fiscale per le banche che si fondono consentendo, a chi le ha, di trasformare le imposte differite attive (Dta) in crediti fiscali. A essere trasformate sono le Dta della banca più piccola delle due che si fondono. La norma era valida per le fusioni deliberate entro il 2021. La modifica inserita nel nuovo decreto proroga la scadenza a giugno 2022 e alza il bonus. Se una grande banca si accollerà Mps, avrà in dote un bonus fiscale da 4,4 miliardi lordi. La principale indiziata è Unicredit, dove si è appena insediato l’ad Andrea Orcel che non ha chiuso a eventuali fusioni. I grandi azionisti dalla banca sono però contrari all’ipotesi Mps ed è per questo che si è ipotizzato di alzare il regalo fiscale permettendo a Orcel di convincere i soci riottosi. Tra le modifiche c’è anche quella che permetterebbe di usare fin dal primo anno parte del bonus fiscale ed è questo uno dei nodi che ha bloccato la norma, che peraltro deve essere autorizzata dall’Antitrust europeo.

A ogni modo, se passasse, il regalo fiscale non sarebbe solo per l’acquirente del Montepaschi. Anche BancoBpm garantirebbe una “dote” fiscale da 5,5 miliardi in caso di fusione con un gruppo di maggiori dimensioni; l’altro istituto nei rumors su un possibile risiko bancario è Bper, che ha in pancia un potenziale bonus da 3,9 miliardi lordi. Negli ambienti finanziari circola anche l’ipotesi di una fusione a tre Unicredit-Mps e una delle altre due banche. L’unica cosa certa, al momento, è che qualunque operazione avverrà sarà accompagnata da un regalo a carico dello Stato.

 

Da “Il Fatto Quotidiano” del 13/5/2021




Fusione BPER-BPM? Un buon affare per gli azionisti

Gli analisti ritengono che la fusione fra le due banche abbia notevole senso industriale e che potrebbe portare valore fino al 33% in più per i soci della banca modenese, con una parallela emissione di 1,6 miliardi di azioni. Banco Bpm avrebbe il 54%


Fra tutte le possibili combinazioni, Kepler Cheuvreux ritiene che la fusione Bper- Banco Bpm, ma anche la versione Banco Bpm- Bper, a seconda di chi è l’offerente, sia quella che può portare maggiore valore agli azionisti. Nel frattempo, oggi, con un Ftse Mib positivo per lo 0,4% circa, entrambi i titoli viaggiano allineati all’indice, il gruppo modenese scambia a 1,9 euro per 2,7 miliardi di capitalizzazione e l’istituto lombardo a 2,38 euro per 3,6 miliardi di valore a Piazza Affari.

Gli analisti ricordano che Bper è cresciuta notevolmente di dimensione attraverso l’M&A, con una spinta in più da quando il gruppo Unipol, partner nel settore bancassicurativo, è diventato il principale azionista, oggi con una quota del 18,9%. Da allora, infatti, il gruppo ha acquisito Unipol Banca oltre a un pacchetto di sportelli ex Ubi da Intesa Sanpaolo, incrementando il proprio patrimonio di quasi il 50%, scrive Kepler. L’arrivo del nuovo amministratore delegato Piero Montani nell’ambito del rinnovo del consiglio del 21 aprile è un segnale che il mercato e gli specialisti leggono in senso trasformativo.

Montani è un banchiere esperto che ha ricoperto incarichi importanti nel Credito Italiano, oltre che nella Popolare di Novara, in Banca Antonveneta, Banca Popolare di Milano e Carige. Il cambio di leadership dopo sei anni (sebbene l’ex ceo Alessandro Vandelli fosse nel gruppo dal 1984) “non dovrebbe alterare la strategia di Bper, attualmente focalizzata sull’integrazione degli sportelli e dei clienti acquisiti“. È possibile “che il nuovo ceo possa accelerare il de-risking, portando il rapporto Npe lordo dal 7,8% di fine 2020 al 6,2% a fine 2021”, spingendo verso maggiori risparmi sui costi, attesi in calo del 2,3% entro il 2023 (in termini comparabili).

Secondo Kepler esiste un buon accoppiamento tra le due banche in termini di presenza regionale, anche se in Lombardia “sarebbe necessario un aggiustamento per ragioni antitrust, forse su 150 filiali delle 3.400 combinate dei due gruppi. Gli analisti ipotizzano un’offerta di Bper (ma potrebbe avvenire il contrario), calcolando l’impatto teorico completo delle sinergie nel 2023, un’offerta con un rapporto di cambio di 1:1 partendo dai prezzi obiettivo standalone assegnati dai broker alle due banche ( Bper a 1,95 euro, Banco Bpm a 2 euro), rettificato per il contributo delle Dta (soprattutto da Banco Bpm) e senza premi, dal momento che prevedono “una fusione amichevole alla pari”.

Questo richiederebbe l’emissione di oltre 1,6 miliardi di nuove azioni Bper (il 116% delle azioni attuali) da offrire agli azionisti di Banco Bpm, che avrebbero quasi il 54% dell’entità combinata con una partecipazione di Unipol che scenderebbe dal 18,9% di Bper all’8,7% del nuovo gruppo. L’attuale rapporto di cambio implicito nelle quotazioni “è invece di 1,24: 1, che richiederebbe a Bper l’emissione di 1,9 miliardi di nuove azioni, con Banco Bpm che avrebbe, allo stato attuale, il 57% della combined entity e la quota Unipol che scenderebbe all’8,1%”.

Di conseguenza, l’aumento dell’utile per azione per Bper potrebbe essere del 33%, o del 23% ipotizzando un rapporto di cambio basato sui prezzi correnti delle azioni. Il prezzo obiettivo del gruppo modenese, “completamente diluito dopo la fusione potrebbe essere superiore di oltre il 30% rispetto al livello standalone, a 2,6 euro, rispetto a 1,95 euro” (un valore calcolato sulla base dei fair value standalone delle due banche aggiunto il Net present value delle sinergie e della conversione delle Dta meno le spese una tantum). L’aumento del prezzo obiettivo scenderebbe invece al 22%, supponendo che l’accordo avvenga al rapporto di cambio basato sui prezzi correnti delle azioni. Il rapporto P/TBV potrebbe diminuire leggermente da 0,41 volte prima dell’operazione a 0,39 volte dopo.

Le sinergie lorde, secondo i calcoli di Kepler, potrebbero ammontare a oltre 0,6 miliardi di euro, pari al 45% dell’utile ante imposte combinato nel 2023, che deriverebbe totalmente dal risparmio sui costi, perché gli specialisti ritengono che le potenziali sinergie sarebbero compensate dalla perdita di ricavi dalla cessione di attività necessarie per ottemperare ai requisiti antitrust. I costi di integrazione una tantum potrebbero superare 1,5 miliardi di euro al lordo delle tasse, ma il rapporto costi/ricavi potrebbe migliorare dal 62% su base standalone nel 2023 al 53,7%.

Quanto ai crediti deteriorati, l’Npe ratio potrebbe rimanere sostanzialmente stabile al 3,2% nel 2023, dato che le due banche dovrebbero avere lo stesso livello su base autonoma. Il coefficiente Cet1 fully loaded potrebbe diminuire di 100 punti base al 13%, incluso un contributo netto di 1 miliardo di euro da Dta sulla base della legge di bilancio 2021 (per lo più fornito da Banco Bpm), con un contestuale possibile accantonamento netto di 0,7 miliardi di euro per migliorare il rapporto Npe netto di 100 punti base a 2,2 %.

Questo comporterebbe chiedere a Bper di pagare un dividendo limitato per un paio di anni, anche se Kepler nota che l’obiettivo della cedola a medio termine resta comunque molto cauto (25%), così come per Banco Bpm (40%), implicando rendimenti attorno al 3/4% per entrambi su base standalone.

 

Fonte: Milano Finanza




Fusioni tra banche e “Fusione” dei bancari: trova le differenze

In questi mesi e nei prossimi assisteremo in Italia ad un tumultuoso succedersi di fusioni e acquisizioni bancarie. Esse hanno tutte lo scopo dichiarato di rafforzare i valori patrimoniali degli istituti, di migliorare il margine operativo lordo, di ottimizzare il rapporto tra utile netto e mezzi propri. Una impresa che incrementa il proprio patrimonio, che produce un risultato operativo in utile, che accresce la propria quota di mercato è il sogno di chiunque in quella impresa ha messo soldi, ed è anche un presupposto necessario (almeno sul medio-lungo periodo) affinché quell’impresa possa essere dichiarata profittevole, visto che le imprese (quelle bancarie in particolare) hanno tra i propri scopi istituzionali la creazione di valore per i soci – nemmeno le banche “etiche” fanno eccezione, sotto questo profilo. Milton Friedman, economista divenuto consigliere di Reagan, affermò nel 1970 che “lo scopo principale di un’impresa è quello di massimizzare i profitti per i suoi azionisti” . Due anni dopo, disse testualmente: “i grandi dirigenti, all’interno della legge, hanno responsabilità nei loro affari al di fuori di fare il più possibile soldi per i loro azionisti? E la mia risposta a questa domanda è: no, non ne hanno”.

Molti economisti venuti dopo Friedman hanno criticato questa visione, affermando che i portatori di interessi di un’azienda sono molti di più, e addirittura alcuni di essi si pongono al di fuori dell’azienda stessa: da queste considerazioni ha preso le mosse l’affermazione del concetto di “responsabilità sociale” dell’impresa. Responsabilità nei confronti dei propri dipendenti, dei propri clienti, ma anche dei cittadini, dei territori, dell’ambiente. L’ Unione Europea definisce la Responsabilità Sociale d’Impresa come la “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. E’ possibile affermare che l’impresa bancaria assolve a questa responsabilità sociale finanziando, ad esempio, qualche iniziativa economica di riconversione energetica, o di sviluppo di energie alternative? Non è forse vero che il primo agglomerato sociale direttamente correlato all’impresa è quello della sua società “interna”, costituita dai suoi dipendenti e dai suoi clienti, siano essi risparmiatori o prenditori di danaro? Non è forse vero che l’etica dei comportamenti si misura anzitutto nel rapporto che si instaura nelle proprie relazioni, con le persone care, gli affetti e gli amici, prima che con le dichiarazioni di solidarietà verso il mondo? Credo sia vero. Altrimenti si cade nell’antico vizio di predicare bene e razzolare male.

Nei fatti, le fusioni bancarie appaiono ispirate molto più alla visione di Milton Friedman che a quella dei suoi critici successori. Una visione anni settanta trasportata senza troppi scrupoli nell’anno 2021. In apparenza, i portatori di interessi “interni” sono tre: i soci, i dipendenti, i clienti. Nei fatti, i dipendenti e i clienti al dettaglio sono portatori di interessi che appaiono strumentali alla massimizzazione del profitto dell’azionista. Non esiste pari dignità tra questi “stakeholders”. Se li mettessimo su un podio, il gradino più alto sarebbe a distanza siderale dagli altri due. I dipendenti, i tanto vituperati bancari, somigliano a dei corrieri incaricati di portare a destinazione il pacco (il budget, l’obiettivo di vendita) lungo una strada disseminata costantemente di lavori in corso, che ne rendono il percorso lastricato di ostacoli e di imprevisti che però non contano e non devono contare  – per qualche capo area degli affari non conta nemmeno il fatto di essere in una pandemia, figuriamoci il resto.
Così aumenta lo stress correlato al lavoro, l’ansia della domenica sera, il vomito del lunedì mattina, la caduta di motivazione e la perdita del senso di appartenenza alla propria azienda. Lavorare per obiettivi, in un’azienda contemporanea, dovrebbe essere un’altra cosa: motivare i collaboratori e consentire loro di ottenere risultati grazie alla conoscenza dei loro clienti, che implica una concessione di autonomie decisionali, un riconoscimento di dignità professionale e umana. Invece la vita di moltissimi bancari, specialmente di rete, è fatta di report incessanti per dimostrare non già di avere raggiunto un obiettivo, ma di avere “fatto qualcosa”: telefonate, appuntamenti, contatti.
Una impostazione che si giustifica solo partendo dall’assunto che il proprio personale sia fatto di potenziali lavativi che hanno bisogno dell’occhiuto superiore per darsi da fare. Una concezione infantile del rapporto tra azienda e dipendenti, circondata da una organizzazione paramilitare all’italiana, dove anche le inefficienze e le sacche di parassitismo ricordano certi uffici dei marescialli dell’esercito, intenti a portarsi i prosciutti della mensa a casa mentre la truppa sgobba e mangia pasta scotta (chi ha fatto la leva sa di cosa parlo).

I clienti non sono tutti uguali. C’è quell’ uno per cento di “classe dirigente” ammanicata col potere politico, per cui un Ennio Flaiano conierebbe anche oggi alcune delle sue fulminanti definizioni, che ha causato l’ottanta per cento dei crediti a sofferenza, spesso concessi da banche-bancomat. Poi c’è il restante novantanove per cento che si vede negare il credito per merito del dissesto provocato dall’uno per cento precedente, oppure che deve sperare nel bancario corretto che cerca di soddisfare le sue esigenze reali di risparmio, anziché incappare nel fenomeno in carriera che cerca di vendere cappotti all’equatore e ghiaccio agli esquimesi, e sapete perché? Perché la struttura lo premia. Premia la quantità di pezzi venduti, non importa come. Il controllo di qualità è una cosa che in banca arriva quando un giudice o un’autorità si occupano delle polizze decorrelate vendute come condizione di concedibilità di un finanziamento, si occupano di un derivato capestro, o di una polizza index linked venduta ad un ottantenne.

Il risiko bancario cui assistiamo ed assisteremo contribuirà a migliorare i rendimenti ed il valore dell’investimento dei soci e degli azionisti? Di sicuro ci proverà. Contribuirà a migliorare le condizioni di lavoro e la qualità del servizio? Non ci proverà nemmeno. Non sono obiettivi, questi ultimi, che rientrano tra gli scopi del risiko. Proprio questo quadro impone una inedita ma necessaria alleanza tra i risparmiatori e i dipendenti, perché solo una saldatura tra gli interessi degli stakeholders più deboli potrà costituire un argine allo strapotere dei padroni delle ferriere.

 

Articolo di Nicola Cavallini su Ferraraitalia.it

 




MPS – Unicredit, prende forma il piano di fusione

L’operazione potrà essere chiusa entro l’anno e prevede l’integrazione tra Siena e la parte italiana di Piazza Gae Aulenti. Sul fronte europeo la spinta al consolidamento porta verso un polo Commerz-UniCredit Europa


Accelera il cantiere di Mps-UniCredit. Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, il piano all’attenzione deiI Tesoro, primo azionista di Siena, nell’ambito della ristrutturazione e ricapitalizzazione della banca – che potrebbe comportate un aumento fino a 2,5 miliardi – prevede l’integrazione con UniCredit. Che a sua volta,come anticipato nelle settimane scorse da Il Sole, non ha abbandonato il piano per lo scorporo tra le attività domestiche e quelle euroepee: in questo disegno, il Monte potrà essere integrato con la parte italiana, mentre le altre attività del gruppo guidato da Jean Pierre Mustier potranno essere il cardine di un’altra operazione straordinaria a livello europeo, con Commerzbank.

Il piano, in accelerazione, non ha ancora ricevuto il via libera del ceo francese, che finora ha escluso operazioni di fusione. Ma c’è ancora un po’ di tempo: l’obiettivo è chiudere entro fine anno.

 

Fonte: www.ilsole24ore.con




Intesa-Ubi, l’Antitrust mette in stand-by l’operazione.

L’Antitrust rileva che l’accordo per la cessione a Bper di una serie di attività al dettaglio non può essere preso in considerazione perché non è chiaro quali siano gli asset che sarebbero ceduti.


Nell’attesa di avere chiarimenti sulla cessione di asset a Bper, l’Antitrust mette in stand-by l’acquisizione di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo. In una nota l’Authority guidata da Roberto Rustichelli precisa che “non è stata assunta alcuna decisione” in merito alla “compatibilità” della concentrazione tra Intesa e Ubi Banca “con le regole della concorrenza”.
Allo stato”, spiega ancora l’Authority, “è stata trasmessa alle imprese interessate la sola Comunicazione delle Risultanze Istruttorie, che rappresenta la valutazione preliminare degli uffici dell’Autorità in ordine alle possibili criticità concorrenziali dell’operazione di concentrazione”.

Una comunicazione, quest’ultima, con cui l’Ente precisa la propria posizione dopo le indiscrezioni che riportavano stralci della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie. Nel documento, inviato nei giorni scorsi, l’Authority afferma che alla luce delle criticità emerse l’operazione non è «allo stato degli atti suscettibile di essere autorizzata».

Dopo l’avvio del procedimento, e la Comunicazione alle parti delle risultanze dell’istruttoria, il documento ora dovrà essere oggetto di controdeduzioni e chiarimenti da parte dei soggetti coinvolti. Peraltro va segnalato che nella sua valutazione dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, l’autorità Antitrust non ha preso in considerazione la prevista cessione di 400-500 sportelli a Bper perché «in base alle informazioni fornite da Intesa Sanpaolo, non è stato in alcun modo possibile enucleare il ramo di azienda Ubi oggetto di cessione a Bper, senza che permanessero significative incertezze in merito al suo perimetro».

Operazione al momento non autorizzabile

Realistico, dunque, che Intesa voglia precisare con maggiore dettaglio il perimetro di attività oggetto di cessione. Dal documento emerge anche che lo scorso primo giugno Intesa ha chiesto tempo fino al 10 giugno per «fornire la specificazione del ramo di azienda» che sarà ceduto a Bper. Istanza che tuttavia l’Antitrust ha rigettato il 3 giugno. Le parti avranno ora tempo di presentare memorie e documentazioni entro il 15 giugno. Il 18 giugno è invece prevista l’audizione finale di tutti i soggetti coinvolti.
La decisione finale attesa nella seconda metà di luglio

Dopo l’audizione collegiale il procedimento entrerà nella fase decisoria, rispetto alla quale le risultanze istruttorie non precludono alcun esito. Una volta acquisito il parere non vincolante dell’Ivass, per il quale c’è un termine massimo di 30 giorni, il collegio dovrà chiudere entro i 60 giorni lavorativi dall’avvio dell’istruttoria il procedimento, per cui una decisione è attesa nella seconda metà di luglio. L’Antitrust può approvare l’operazione, rigettarla nella sua interezza o approvarla chiedendo però dei correttivi. “E’ ragionevole attendersi che Intesa presenti le proprie controdeduzioni e/o eventuali piani alternativi di cessione in modo da garantirsi il rispetto delle condizioni richieste rimuovendo un ostacolo che non consente la partenza dell`Ops sul mercato”, ha scritto oggi Equita Sim in un suo report.

Concentrazione in molti mercati

Nelle conclusioni delle «risultanze istruttorie» l’Antitrust, come riportato da Radiocor, rileva che la concentrazione è in grado di ridurre «in maniera sostanziale e durevole la concorrenza» su una serie di mercati «in ragione dell’elevata quota di mercato e livello di concentrazione raggiunta, accompagnati da una distanza significativa dal secondo operatore di ciascuna area e in considerazione della capacità ‘disciplinante’ di Ubi nei confronti delle maggiori banche».

L’Antitrust ha identificato «639 aree critiche nel mercato della raccolta bancaria, 782 negli impieghi alle famiglie consumatrici e 218 negli impieghi alle famiglie produttrici-piccole imprese, nelle quali l’operazione in esame conduce alla costituzione o al rafforzamento di una posizione dominante». Le “aree” citate sono lo cosiddette “catchment area”, vale a dire i bacini di utenza dei 1.064 sportelli Ubi, la cui ampiezza è stata determinata, secondo la prassi Antitrust, «considerando un tempo di percorrenza massimo di 30 minuti in auto, calcolato sulla base della mobilità della domanda dei clienti bancari». L’autorità sottolinea inoltre che il numero totale di aree problematiche è naturalmente inferiore alla somma delle cifre riportate, dato che in molti casi la stessa area può essere critica in due o più mercati. Sono state identificate come critiche le aree in cui la banca nata dall’aggregazione avrebbe, tra le altre cose, «una quota di mercato congiunta maggiore o uguale al 35%» e «un distanziamento dal secondo operatore, in termini di quota di mercato, non inferiore a 10 punti percentuali».

I dubbi sulla cessione di filiali a Bper

L’Antitrust ritiene inoltre che «non possa essere preso in considerazione, quale intervento volto a risolvere le criticità concorrenziali dell’operazione in specifici mercati e aree territoriali, il contenuto dell’accordo sottoscritto» da Intesa e Bper, che prevede la cessione a quest’ultima di un pacchetto di 400-500 filiali. Ciò, scrive l’Antitrust, per tre ragioni: in primo luogo per la «sostanziale indeterminatezza del perimetro del ramo di azienda di Ubi, oggetto di cessione in favore di Bper»; in secondo luogo per le «incertezze in merito all’effettiva attuazione di tale accordo» qualora Intesa detenga a valle dell’offerta pubblica di scambio «il mero controllo al 50% più 1 azione del capitale sociale di Ubi»; infine per la «sostanziale inefficacia di tale accordo rispetto alle criticità in altre aree del territorio italiano, diverse dalle province del nord-ovest, su cui parimenti le quote post merger» di Intesa e Ubi «risultano di indubbia rilevanza, con specifico riferimento ad alcune CA (catchment area, mercati locali circoscritti ai bacini d’utenza, ndr) della regione Calabria e della regione Marche, nonché dell’Abruzzo».

Per Ubi operazione punta a eliminare concorrente

Ubi Banca «ha sostenuto che l’operazione notificata», vale a dire l’ops lanciata da Intesa Sanpaolo, «eliminerebbe dal mercato non solo un operatore capace già oggi di esercitare una significativa pressione concorrenziale, ma anche l’unico competitor tra quelli di medie dimensioni capace di avviare un percorso di consolidamento nel mercato bancario nazionale in modo indipendente e, dunque, di creare nel breve/medio periodo un terzo polo alternativo a Intesa e UniCredit».

Secondo Ubi «che questo sia il reale fine dell’operazione» sarebbe provato anche dalla decisione di Intesa di procedere con «un’ops ostile, scegliendo un percorso proceduralmente molto più complesso» rispetto a un negoziato. Una modalità «atipica per il settore bancario». «In un mercato nel quale vi sono molti operatori che sarebbero disponibili a valutare ipotesi di integrazione – conclude Ubi, secondo quanto riportato dall’Antitrust – tale modo di procedere cela la volontà di eliminare un operatore temibile e conferma l’assoluto valore competitivo di Ubi».

Nel quadro delle audizioni all’Antitrust, emergono poi schermaglie tra i due gruppi, e in particolare in merito all’ipotesi, evocata da Ubi, che la banca guidata da Victor Massiah faccia da pivot per la creazione di un terzo polo bancario in Italia. Nella Comunicazione delle risultanze istruttorie dell’Antitrust, Ubi ha spiegato «di aver valutato, a livello progettuale, la possibilità di procedere a forme di aggregazione con altri istituti bancari di medie dimensioni (segnatamente Mps, Bper, Bpm), e in particolare con Bper, con la quale risultato agli atti tavoli tecnici con Bper e Unipol». Sul tema la stessa Bper ha chiarito che «nell’autunno 2019 hanno avuto luogo alcuni contatti esplorativi», ma l’interlocuzione si è interrotta alla fine dell’anno per scelta di Ubi, che ha comunicato «di volersi focalizzare su altre priorità, quali l’elaborazione del proprio piano industriale poi presentato in febbraio». Intesa, da parte sua, rileva quindi che «non risultano elementi di fatto da cui possa desumersi che Ubi stesse effettivamente procedendo ad aggregazioni con altri operatori, né tantomeno che tali aggregazioni le avebbero consentito di raggiungere le dimensioni di Intesa Sanpaolo e UniCredit».

Intesa: Ubi non aveva altri interlocutori

L’istituto guidato dall’a.d. Carlo Messina ricorda infatti che in passato le acquisizioni di Ubi hanno riguardato solo «piccole realtà locali in condizioni molto particolari», cioè le cosiddette good banks di Banca Marche, Etruria e Carichieti, e che il piano industriale presentato da Ubi il 17 febbraio, «vale a dire lo stesso giorno dell’annuncio dell’ops», è «stato concepito in ottica “stand alone”». «Pertanto – conclude Intesa – le dichiarazioni di Ubi secondo cui la società avrebbe avuto contatti preliminari con altre banche appaiono manifestamente inidonee a supportare il requisito della “ragionevole certezza” e della sussistenza di evidenze specifiche e convergenti di uno scenario controfattuale, ma confermano semmai come Ubi, all’epoca dell’ops, non avesse individuato uno specifico interlocutore con cui realizzare un’operazione di integrazione».

Intesa: senza Bper valuta operazione diversa da nostra ops

Infine, dal documento emerge come Intesa segnali all’Antritust come, escludendo dalle sue valutazioni la prevista cessione di sportelli a Bper, l’Authority stia valutando un’operazione diversa da quella presentata dalla stessa Intesa, che ha tra le sue condizioni di efficacia quella di ottenere una «autorizzazione incondizionata» dall’autorità. Lo ha sottolineato la stessa Intesa all’Antitrust, secondo quanto riportato da quest’ultima nella Comunicazione delle risultanze istruttorie. «Ad avviso di Intesa Sanpaolo – si legge nel documento – l’Autorità starebbe valutando nella presente istruttoria un’operazione differente rispetto a quanto notificato dalla stessa Intesa Sanpaolo, con conseguenze rilevanti anche sull’ops, posto che l’operazione è subordinata all’autorizzazione incondizionata dell’Autorità».
A quanto si legge nel documento, inoltre, lo scorso primo giugno Intesa aveva chiesto tempo fino al 10 del mese per «specificare il ramo di azienda» da vendere a Bper. Una richiesta, respinta dall’Antitrust il 3 giugno, che secondo quanto risulta a Radiocor metteva sul piatto anche una possibile revisione del perimetro oggetto di cessione, secondo criteri di massima cautela e peggiorativi per Intesa, con una conseguente modifica degli accordi con Bper, per garantire di ridurre le quote di mercato al di sotto della soglia del 35% in tutte le province italiane.

Fonte: www.ilsole24ore.it

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