Le priorità del Governo: “revocate quell’onorificenza!”

Quali sono le priorità del Governo? Il lavoro? La pace? La sanità? La Scuola? No. Per qualche settimana la priorità è stato il Maresciallo Tito, pseudonimo con cui è passato alla storia Josip Broz.

Facciamo subito chiarezza: la figura di Tito non è sicuramente da prendere ad esempio. Durante la seconda guerra mondiale guidò la lotta partigiana che portò la Jugoslavia a liberarsi dall’invasione nazifascista (ed è bene ricordare che gli invasori non erano solo i Tedeschi, ma anche i fascisti Italiani che, in quanto a brutalità, non furono da meno). Dopo la guerra diventò presidente della Federazione Jugoslavia, dapprima come repubblica socialista soggetta al controllo all’Unione Sovietica, con la quale ruppe nel 1948. Tito trasformò la Repubblica Jugoslava in una dittatura, dura e spietata con gli oppositori. Una dittatura che non sopravvisse alla sua morte, avvenuta nel 1980, con la successiva dissoluzione della Jugoslavia avvenuta attraverso 10 anni di guerre sanguinarie tra i vari territori.

Nel 1969, durante una visita di Stato in Italia, Tito ricevette l’onorificenza di Cavaliere di Gran Cordone della Repubblica Italiana.

Fatto questo breve ripasso di storia, veniamo all’attualità. A partire dal 2004 è stata istituita in Italia la Giornata del Ricordo, a memoria degli orrendi eccidi delle foibe. In merito alle ragioni che portarono all’istituzione di questa giornata abbiamo riportato la spiegazione del prof. Alessandro Barbero in questo articolo:

La verità sulle foibe

Si tratta di una ricorrenza tragica, che merita di essere ricordata, ma che finisce per essere strumentalizzata dai partiti di destra che ne fanno una specie di contraltare rispetto alla festa del 25 aprile, che così non è più il giorno della Liberazione dal nazifascismo, trasformandosi nel giorno di “E allora le foibe?”

E cosa inventarsi, all’approssimarsi del 20° anniversario dall’istituzione della Giornata del Ricordo, per accentuare l’effetto propagandistico di questa ricorrenza? Qualcuno si è ricordato che Tito era il capo di quei partigiani che, per rappresaglia contro le atrocità degli invasori nazifasciste (dettaglio che di solito viene trascurato quando si rievoca questo che resta, comunque, un crimine di guerra), decisero di sfogarsi contro la popolazione inerme di lingua italiana: per questo bisognava assolutamente togliergli l’onorificenza conferitagli dalla Repubblica Italiana. Trascurando un piccolo dettaglio: Tito è morto da 44 anni.

Eppure questo obiettivo era talmente stringente da dedicargli non uno, ma ben tre disegni di legge. Che sono stati discussi, prima di arrivare alla Camera, presso la Costituzione Affari Costituzionali.
Il tema è stato oggetto di diverse riunioni, tra la pressione dei rappresentanti del Governo e le resistenze dell’opposizione, che portavano argomenti come: “Non si può riscrivere la storia. Parliamo di un’onorificenza di 55 anni fa” oppure “Allora togliamo anche a Mussolini il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia”. Posizioni totalmente incompatibili che, a quanto si apprende dalle cronache parlamentari, hanno portato a liti furibonde tra gli esponenti dei vari partiti.
Una situazione senza via d’uscita.

Alla fine, a riportare un minimo di buon senso ci ha pensato il Quirinale, pubblicando sul suo sito questa precisazione. In un riquadro, in neretto, è riportato quanto avrebbe dovuto essere scontato fin dal primo momento:

Le onorificenze sono legate alla esistenza in vita dell’insignito e decadono con la sua morte.

Quindi tutto è bene quel che finisce bene: fine delle ostilità, abbiamo scherzato, va bene così.

A parte una domanda che ci frulla nella testa: ma davvero paghiamo dei parlamentari per perdere settimane con questioni così spudoratamente inconsistenti e inutili?

 




La verità sulle foibe

L’analisi, come sempre lucidissima, del professor Alessandro Barbero in occasione della ricorrenza del Giorno del Ricordo delle foibe


Cosa sono le foibe?

Alla fine della guerra, sui confini orientali d’Italia, l’esercito partigiano jugoslavo comunista, avanzando in un territorio che da molti anni era occupato degli Italiani e dove quindi abitava un gran numero d’Italiani (Dalmazia, Istria, fino a Trieste), fa fuggire davanti a sé la popolazione italiana terrorizzata e uccide effettivamente migliaia di Italiani civili, gettando poi i cadaveri in queste forre del terreno che ci sono sono da quelle parti. Le foibe, appunto.
Un eccidio di molte migliaia di civili.

I partigiani jugoslavi comunisti stanno dalla parte dei vincitori, combattono dalla parte “giusta” quindi per molto tempo di questa cosa non è che non se ne parli – se ne parla eccome – ma a livello ufficiale nessuno si sognerebbe che sia una cosa di cui si debba fare un giorno del ricordo, per esempio. Perché è uno dei tanti casi in cui i vincitori, che avevano ragione e stavano dalla parte giusta, hanno fatto delle porcate.
Cosa che succede normalmente, perché nella realtà non è che ci sono i buoni e i cattivi come nei film americani. La realtà è più complicata di così e i vincitori, che stanno dalla parte giusta, fanno un sacco di porcate: buttano la bomba atomica su Hiroshima  e poi, come se non bastasse, ne hanno ancora un’altra e buttano anche quella e distruggono un’altra città.
E ciò non impedisce affatto di dire che “meno male che han vinto loro” perché avevano ragione loro, in base ai nostri valori di oggi.

Poi cosa succede? Succede che quella parte dell’Italia che per tanto tempo ha vissuto male il 25 aprile, la celebrazione della Resistenza, perché “erano famiglie come la mia” dove ci si era schierati dall’altra parte, sempre più sentono di avere più spazio e che il pendolo si è spostato e chi la pensa così ha sempre più importanza, e a un certo punto un Governo che – non lo può dire – ma è fatto da gente che in realtà si sentiva più dalla parte dei fascisti che non dei Partigiani, decide che bisogna equilibrare il 25 aprile.
C’è questa grande festa che piace a quelli della sinistra? E allora facciamo anche un altro giorno del ricordo per ricordare invece un’altra cosa dall’altra parte.

E nasce il giorno delle foibe.

Non ci son state le foibe? Certo che ci sono state.
E’ stata un’atrocità? Certo che è stata un’atrocità.
Non bisogna parlarne? Certo che bisogna parlarne, La storia si occupa di tutto e va a vedere tutto. E la storia fatta bene viene fatta senza preoccuparsi di dire “ah, ma quella schifezza lì l’han fatta i miei amici, quindi non ne parlo”. La storia fatta bene vuol dire precisamente: “io vado a vedere tutto, perché voglio sapere tutto. Perché a me interessa la verità di quello che è successo“.

Questo nei Paesi dove la storia è libera, naturalmente. In una dittatura, una delle prime cose che la dittatura censura è la ricerca storica. Una delle prime cose che in una dittatura si va a vedere è: “cosa dicono i libri di storia che si studiano a scuola? Riscriviamoli. Quella cosa lì non ci piace che venga detta. Togliamola”
Nelle dittature è normale; dei libri di chimica non frega niente a nessuno. La chimica è una cosa oggettiva e quindi non vengono censurati. I libri di storia sì, perché come capite ci sono tante cose che si può decidere di dire o non dire, sono molto importanti e le mettiamo al centro oppure “ci sono state però ragazzi, ne son successe tante di cose…”
Le foibe sono appunto uno di quei casi in cui se uno lo vuole dire… cioè, uno lo deve sapere ovviamente. E gli storici le hanno sempre studiate.

Dopodiché si tratta di dire: “Dobbiamo mettere al centro del discorso pubblico quell’episodio lì, perché è emblematico, è da quello che si capisce davvero cos’era quell’epoca e cioè che i partigiani comunisti erano molto cattivi e che gli Italiani sono stati ingiustamente perseguitati e sterminati”?

Oppure dobbiamo discutere di quella cosa lì per vederne tutti gli aspetti? Se discuti di quella cosa lì per vederne tutti gli aspetti scopri – aldilà del fatto che è successo quello sterminio in un mondo dove la gente crepava tutti i giorni, continuamente, dappertutto, dove le città venivano bombardate, la gente bruciata viva dai bombardamenti, la gente moriva nei lager, morivano i soldati in combattimento a migliaia tutti i giorni e questo già ti rimette un po’,  come dire, le cose in prospettiva –  scopri che se i comunisti jugoslavi erano così incazzati con gli Italiani è perché gli Italiani quei territori lì li avevano occupati nel 1918 dopo aver vinto la Prima Guerra Mondiale, e avevano cominciato a bastonare gli abitanti slavi, a proibirgli di parlare nella loro lingua, a decidere che quei paesi lì dovevano diventare italiani e dimenticarsi di essere stati slavi, e così via, e che dopo vent’anni di divieti, di bastonate e di abusi la popolazione slava locale odiava gli Italiani. E a quel punto, come succede, li odiava tutti: non è che stava a dire quello lì è buono, quello lì è cattivo, quello lì è fascista, quell’altro no: odiava gli Italiani.
E questo non vuol dire che chi prendeva le famiglie, gli sparava alla nuca e li buttava nei crepacci non debba rispondere davanti alla sua coscienza di quello che ha fatto. Però vuol dire che noi sappiamo un po’ di più di quel che è successo  e del perché è successo.
Quella è la storia.

Creare invece un giorno della memoria per controbilanciare l’altro, quello è l’uso della memoria che fa la politica.
Tutto quello che a me interessa è che abbiate gli strumenti per distinguere le due cose. Poi ognuno si schiera e può anche dire: “A me quell’uso politico della memoria mi sta bene, anch’io penso che i comunisti erano degli schifosi bastardi e mi va bene che si celebrino le loro vittime”.
Però bisogna saper distinguere.

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