Un Governo miope di fronte alla disoccupazione strutturale

Se ci chiediamo perché la produzione del 2023 è molto più alta di quella realizzata nel 1923 possiamo con facilità rispondere sostenendo che oggi noi possiamo produrre molto di più, perché abbiamo a nostra disposizione più capitale reale, più persone, più fonti di energia e, soprattutto, una tecnologia avanzata ed una divisione del lavoro settoriale ed internazionale evoluta. Negli ultimi cento anni, non vi è stato solo un accrescimento quantitativo dei fattori di produzione, ma principalmente un miglioramento qualitativo. Non vi è dubbio che oggi abbiamo a nostra disposizione beni capitali molto sofisticati, perché il progresso tecnologico si è in parte concretizzato nella creazione di nuove specie di beni, sia di consumo, che di produzione (pensiamo, ad esempio, ai robot ed alle intelligenze artificiali).

Ora la capacità produttiva di un paese dipende in generale dalla quantità e dalla qualità dei fattori di produzione, dal grado di divisione del lavoro, dal livello della conoscenza tecnologica e della sua applicazione. La quantità di lavoro disponibile è influenzata dalla crescita della popolazione ed esso rappresenta un fattore di offerta nella misura in cui concorre a determinare la capacità produttiva.  Purtroppo, nel processo di crescita non conta solo la quantità, ma anche la qualità del lavoro; questo significa che l’evoluzione della istruzione e della formazione professionale può essere considerata, dal punto di vista economico, come un grande investimento in capitale umano, e questa è la politica da seguire per costituire uno dei metodi più efficaci per assicurare la crescita del reddito nazionale nel lungo periodo. E’ evidente che il progresso tecnico si riferisce alle modificazioni che hanno luogo nell’utilizzazione dei fattori di produzione (ossia il lavoro ed il capitale) che permettono di ottenere una maggiore produzione oraria per addetto; occorre, però, aggiungere che il progresso tecnico genera miglioramenti qualitativi oltre che quantitativi, come risulta evidente se consideriamo il grande numero di prodotti nuovi che sono stati creati.

Ora, quanto abbiamo appena messo in chiaro, ci consente di giungere ad una definizione più ampia di progresso tecnico intendendo per esso tutte le innovazioni che portano ad una modificazione dei modi e dei tempi di produzione. Da qui deriva la necessità di esaminare con particolare attenzione i rapporti che intercorrono tra il progresso tecnico e il livello di occupazione. Ricordiamo con interesse che nel quadro teorico sviluppato da Carlo Marx il progresso tecnico avrebbe prodotto una elevata disoccupazione, ossia la progressiva sostituzione di capitale (più produttivo grazie allo sviluppo tecnologico) al lavoro e avrebbe, secondo Marx, provocato il licenziamento di un numero sempre maggiore di lavoratori. A questo proposito, anche per comprendere meglio quanto accade oggi intorno a noi, bisogna imparare a saper distinguere tra questo tipo di disoccupazione (quella attuale che a noi interessa) e la disoccupazione ciclica, per capirci quella di cui amava parlare l’economista John Maynard Keynes. Ora, nel caso della disoccupazione ciclica l’insufficienza della domanda aggregata provoca sicuramente la sotto occupazione dei fattori produttivi (lavoro e capitale), ma, nel caso che si verifica nei nostri giorni con la presenza di un capitale tecnologicamente avanzato, la disoccupazione è causata dal licenziamento della manodopera dovuto proprio al progresso tecnico (si tratta, in termini economici, di una modificazione che ha luogo dal lato dell’offerta e che produce disoccupazione). Questa disoccupazione, che possiamo chiamare tecnologica, è un caso particolare di disoccupazione strutturale, che si manifesta violentemente nel nostro paese. La previsione di Marx secondo la quale il capitalismo, sotto la influenza del progresso tecnico, avrebbe comportato una diffusa disoccupazione non si era completamente realizzata nei secoli passati, in quanto il progresso tecnico, pur realizzando la riduzione della manodopera (e in altri casi la riduzione del capitale), con la produzione di nuovi beni capitali era riuscito, in una economia non globalizzata, ad assorbire una maggiore domanda di lavoro nel processo produttivo.  Ma oggi esplodono nuovi problemi (occupazionali) che derivano dalla riconversione e dalla presenza di una disoccupazione strutturale, in particolare in alcune regioni del mondo (come nel Mezzogiorno di Italia).

Comprendiamo che spesso fare una distinzione tra gli aspetti congiunturali e quelli strutturali non è facile, infatti non sempre è possibile tracciare un confine effettivo ma un buon Governo, per essere tale, dovrebbe prendere piena consapevolezza di questa sventura sociale che ha colpito il nostro paese, per prendere gli opportuni provvedimenti. In sostanza, in politica economica è necessario saper riconoscere gli aspetti congiunturali e strutturali per attuare i provvedimenti più efficaci. Un buon Governo, ripetiamo,  deve distinguere il tipo di disoccupazione con cui abbiamo a che fare oggi e non parlare di disoccupazione keynesiana che, ribadiamo, ha origine da una insufficienza della domanda aggregata.  Per dirla tecnicamente:  nel caso di cui noi ci dobbiamo interessare, l’accumulazione non è un evento capace di occupare tutti i lavoratori, perché tutto ciò che avviene non è causato da una domanda fluttuante, ma, deriva da un disequilibrio dal lato dell’offerta, con una disoccupazione che non è di tipo congiunturale, ma di tipo strutturale. Questo significa che in generale l’adozione di una politica del lavoro capace di attenuare le ripercussioni negative del progresso tecnico sull’occupazione richiede una visione di lungo periodo, particolarmente attenta alla evoluzione strutturale del sistema economico e la creazione di capitale associata all’industrializzazione attraverso le partecipazioni statali (aziende di Stato). E’ questa la giusta soluzione per ristabilire l’equilibrio sul mercato del lavoro e per assorbire le grandi quantità di lavoro inoccupato presenti nel paese. Siamo convinti che il male della disoccupazione congiunturale possa essere curato con vecchie ricette, come quelle che prevedevano un aumento della spesa pubblica con esecuzione di lavori pubblici (spesso improduttivi) da parte dell’amministrazione pubblica, per rimettere in circuito fattori di produzione stagnanti ma, nello stesso tempo siamo consapevoli che per affrontare il problema della disoccupazione strutturale occorre richiedere  una politica più orientata, che non miri tanto all’aumento delle spese ma, piuttosto alla eliminazione delle strozzature del sistema produttivo attraverso una politica selettiva di reindustrializzazione con aziende pubbliche.

In conclusione, non possiamo esimerci dal far presente che l’andamento della produzione nazionale, ossia l’aumento del PIL, non si riflette necessariamente in un aumento o in una diminuzione del benessere degli individui; noi siamo convinti che il benessere dipenda dal livello di soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi. Per esprimerci in maniera più chiara utilizziamo un banale esempio: se prendiamo in esame la scelta sempre più diffusa di aumentare la produzione lavorando il sabato e la domenica, in questo caso possiamo sostenere che l’incremento produttivo così realizzato costituisce solo un incremento nella produzione economica ma, per la nostra valutazione, avremo una crescita inferiore rispetto alla scelta di avere due giorni di vacanza in più, in quanto per noi il lavorare il sabato e la domenica riduce il benessere dei lavoratori e, quindi, della collettività. Questo per dire che, anche se in generale la produzione nazionale pro-capite è assunta come unico criterio per misurare la crescita, non bisogna attribuire a questo criterio un valore assoluto. A maggiore conferma, si considerino le ripercussioni negative sull’ambiente derivante dall’incremento delle produzioni; nell’ottica del benessere è infatti necessario esaminare anche le diseconomie esterne connesse all’incremento della produzione, come l’inquinamento dei fiumi, dovuto agli scarichi industriali, l’inquinamento atmosferico, il rumore e  la distruzione della natura in genere.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti 

 




Lavoro: Governo dove sei?

Purtroppo, dobbiamo con rabbia ammettere che per i più giovani il lavoro in Italia è spesso un traguardo difficile da raggiungere.

Ai politici di oggi, che in massima parte vivono in un mondo lontano dalla realtà quotidiana, possiamo dire che oggi abbiamo bisogno di realismo: dobbiamo oltrepassare le sterili critiche sul rapporto fra giovani e mondo del lavoro, prendere atto che le occasioni di impiego non sono adeguate e le opportunità lavorative sono scarse o limitate.

Parliamo con superficialità di flessibilità e di adattabilità, dimenticando che i giovani oggi non disdegnano il lavoro manuale, che in una società informatizzata e  sempre più virtuale può essere anche stimolante, ma si limitano a  rifiutare lo sfruttamento e la mancanza di valorizzazione. Giustamente hanno paura di tutto ciò che li possa intrappolare in condizioni di precarietà, dove né l’impegno né la competenza vengono riconosciute. I giovani di oggi accettano ogni tipo di impiego,  anche quelle attività che non siano coerenti con la preparazione posseduta, sono disponibili a “pedalare” sotto la pioggia e il freddo o sotto la calura estiva, chiedendo solo che essi siano discretamente pagati.

Il Papa non ha paura di dichiarare che il lavoro è una dimensione irrinunciabile alla vita sociale perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per esprimere se stessi e per vivere come popolo. Il Papa insiste sul fatto che i giovani devono avere contratti dignitosi, i quali devono salvaguardare i tempi e gli spazi in famiglia, Egli proclama che il riconoscimento della dignità umana passa dalla promozione del lavoro.  

Molti si interrogano su chi attribuire la colpa di questa squallida situazione. Non è solo una questione di “crisi economica”, il problema principale sono i limiti strutturali del mercato, con  poche occasioni, con contratti a breve e precari, poi viene la preferenza amorale data ai raccomandati dalla politica, male storico del nostro paese, poi la minore esperienza nel mondo del lavoro, la concorrenza degli immigrati comunitari ed extracomunitari oramai in tutti le categorie economiche, e le regole troppo rigide per l’ingresso nel mondo del lavoro, con le giovani donne che rimangono le più penalizzate.

E’ il sistema economico nel quale viviamo che si ispira a fondamenti errati e falsificati, come la notissima teoria di Adamo Smith, che nel lontano 1776 promulgò l’articolo primo della costituzione capitalista, decretando che  ognuno facendo i propri interessi (per egoismo, per tornaconto) contribuisce all’interesse collettivo. Ci hanno così imposto teorie che hanno provocato solo disastri. Questo signore, tanto osannato e riverito, aveva nella sua “grande magnificenza”  dimenticato una metà del mondo, quella femminile, che  non agiva mossa dall’egoismo individuale, che produceva con efficienza in famiglia e nei lavori agricoli.

Se poniamo attenzione sul rapporto tra donne e lavoro sentiamo l’urgenza di rivalorizzare il ruolo delle donne,  che la teoria economica capitalista ha negato per secoli, non riconoscendo, né dando un valore reale (economico) al lavoro delle donne, che tra le mura domestiche hanno mandato avanti il mondo.

Non commette errore chi sostiene che ad oggi in Italia solo una donna su tre ha un lavoro regolarmente retribuito, ovviamente al di sotto della media europea.

Essere mamma oggi è una sfida alla resistenza, se pensiamo al sostegno alla maternità assicurato nel nostro paese o  al numero degli asili o al progressivo abbandono dei disabili e degli anziani da parte delle istituzioni.

Ma il governo sembra ignorare tutto questo, preferendo ragionare secondo “dati” Istat.

 

Antonello Pesolillo 
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti




Cgil: emergenza lavoro nella Provincia dell’Aquila

In una nota dai toni allarmanti, il Segretario Generale della CGIL della provincia dell’Aquila, Francesco Marrelli, torna ad affrontare il complicato tema del lavoro nella nostra provincia, a partire dai dati istat che non appaiono affatto positivi.

“Torniamo a ribadire la necessità di rimettere al centro del dibattito politico il lavoro, i redditi, i diritti.” Queste le parole di Marrelli.

“Solo attraverso la partecipazione, come elemento di costruzione di scelte condivise, è possibile superare questa ennesima crisi sociale ed economica. È necessario invertire immediatamente una tendenza, che da troppo tempo insiste sui nostri territori, attraverso la ricerca di idee, il superamento delle disuguaglianze, il contrasto alla povertà, lo sviluppo di nuove competenze, un utilizzo ragionato delle risorse pubbliche, la valorizzazione ed il potenziamento del sistema pubblico dei servizi, la stabilità occupazionale, gli investimenti pubblici e privati derivanti anche dalle risorse del PNRR, la tutela e la conservazione ambientale. Argomenti questi che devono essere alla base di un grande confronto tra le istituzioni, la politica, le parti sociali e le associazioni che operano sul territorio.”

Infatti, come riportato nella nota del sindacato, l’analisi dei dati Istat per l’anno 2021 delinea un quadro socioeconomico per la provincia dell’Aquila con tratti di forte criticità.

La condizione di particolare vulnerabilità riguarda maggiormente giovani e donne.

Il tasso di disoccupazione nel 2021 si attesta al 9,5% mentre nell’anno precedente era dell’8,2%; il segno assolutamente negativo riguarda le donne con un tasso di disoccupazione che sale nel 2021 al 13.5%, contro il 9,4% del 2020.

La situazione assume particolare rilevanza se andiamo ad analizzare il dato sulla disoccupazione giovanile. Infatti, il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 passa dal 31,4% del 2020 al 32,6% del 2021, con un tasso di disoccupazione giovanile femminile, per l’anno 2021, che si attesta al 46,6%.

Per le donne risulta in calo anche il tasso di occupazione che passa dal 47,5% del 2020 al 45,3% del 2021.

“Tale situazione pone seriamente a rischio la possibilità di un rilancio occupazionale per i giovani e per le donne.” Afferma il Segretario Generale “ Per queste ultime continuano ad incidere negativamente le condizioni legate alla scarsità dei servizi, alla contrazione dei livelli occupazionali, alle varie tipologie di lavoro – basti pensare ai part-time involontari ed ai bassi salari – che rischiano di compromettere non solo un eventuale rilancio, ma addirittura il mantenimento della loro condizione occupazionale.”

Proseguendo nella sua analisi Marrelli affronta il tema dei salari “basta leggere i dati del rendiconto annuale dell’INPS Abruzzo 2021 per capire quanto siano inferiori le retribuzioni delle donne rispetto a quelle degli uomini.

Nella gestione privata, la retribuzione media annua pro-capite nella categoria operai per un uomo vale euro 17.768,4, per una donna 9.306,8 euro; per un impiegato uomo euro 29.043,1 e per una donna 17.943 euro; per un dirigente uomo la retribuzione media ha un valore di 127.637,4 euro, mentre per una donna di 74.814 euro .”

Nel commentare questi dati il segretario ha parlato di grave sofferenza.

Un altro dato rilevante riguarda le domande per il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza; infatti nel comunicato si legge che “oggi interessa quasi il 6% della popolazione, e la nostra provincia nella fase di piena pandemia, anno 2020 e 2021, ha visto il maggior numero di domande di reddito di emergenza presentate rispetto alle altre province abruzzesi, con circa 11996 domande su 35000 inoltrate all’INPS. Bisogna sottolineare che tale prestazione di contrasto alla povertà si configurava come residuale rispetto alle altre misure COVID-19 ed allo stesso Reddito di Cittadinanza.

Risulta, altresì, rilevante il dato relativo alle ore di Cassa Integrazione ordinaria, straordinaria ed in deroga, autorizzate nell’anno 2021 che corrispondono a circa 6.608.834.

Nelle aree interne della regione Abruzzo l’aumento dei prezzi dell’energia, delle materie prime e dell’inflazione sta generando una forte preoccupazione per la stagione invernale, con il rischio concreto che le persone con fragilità maggiori debbano rinunciare a scaldare la propria casa, dopo aver rinunciato a tanti altri elementi di consumo.” Così conclude.

Di certo la situazione non è delle migliori ed è ancor più certo che non è possibile far finta di non vedere. C’è un’emergenza lavoro da affrontare.

 

Fonte: Newstown




Dati sul lavoro: migliorano, ma non basta. Ecco perché

Più occupati, ma ancora poche le ore d’impiego.

A maggio 2019 il tasso di occupazione in Italia è arrivato al 59%, mai così alto da quando – 42 anni fa – l’Istat ha avviato le serie storiche. La disoccupazione, invece, si è fermata al 9,9%, tornando a una sola cifra come non accadeva dal febbraio del 2012. Sarebbero due ottime notizie se, come al solito, nei dettagli non si nascondesse il diavolo.

Il nostro mercato del lavoro, infatti, non ha ancora raggiunto lo stato di salute vissuto prima della crisi del 2008. Molti dei posti che abbiamo in questi anni recuperato sono solo part time, spesso involontari, e quindi non permettono di avere uno stipendio dignitoso. Insomma, rispetto a prima abbiamo oggi più persone occupate ma meno ore lavorate: ecco perché i record mostrati dall’istituto di statistica rischiano di innescare un entusiasmo esagerato.

La disoccupazione è in calo, il dato più basso dal 2012, mentre aumentano gli occupati, il dato massimo dal 1977”  ha scritto su Facebook il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Dello stesso tenore il post dell’altro vicepremier, Matteo Salvini:  “Lavoratori italiani in crescita e ai massimi storici dal 1977”.
Ma davvero questo si può definire il più bel momento della nostra storia? Non proprio. In effetti, a maggio si contano 23 milioni e 384 mila occupati, il numero più alto di sempre su base mensile. Ma a fare la differenza sono le ore lavorate: su queste, il dato più aggiornato dell’Istat è del primo trimestre del 2019, ma è difficile che nel trimestre successivo si possano compiere passi da gigante.

Nel periodo gennaio-marzo 2019 il contatore segna 10 miliardi e 994 milioni di ore. Andando molti passi indietro, fino al primo trimestre del 2008, si scopre che in quel periodo le ore di attività sono state ben 11,5 miliardi. In pratica, allora c’erano grossomodo 300 mila occupati in meno ma oltre mezzo miliardo di ore lavorate in più. Il motivo è che, prima della recessione, i posti di lavoro si concentravano nell’industria, quindi erano più solidi. Ora invece sono stati travasati nei servizi, dove il ricorso ai contratti brevi è più frequente ed è facile restare povero pur avendo un’occupazione perché spesso questa tiene impegnati per poco.

Di positivo, comunque, c’è che dopo il calo della seconda metà del 2018, dovuto alla recessione “tecnica”, in questa prima parte del 2019 gli occupati sono tornati ad andare su. A maggio, rispetto ad aprile, l’aumento è stato di 67 mila unità. Sono cresciuti tutti i tipi di lavoratori: quelli autonomi sono 28 mila in più, i dipendenti a tempo indeterminato sono 27 mila in più e anche i precari sono saliti di 13 mila. Considerando invece il trimestre, è più facile notare l’effetto del decreto Dignità: tra marzo e maggio, rispetto ai novanta giorni precedenti, c’è stato un incremento di 96 mila posti permanenti e di soli 2 mila a termine.

A beneficiare dei buoni numeri, tuttavia, sono soprattutto i lavoratori più anziani, mentre per i giovani i miglioramenti sono molto più lenti. A maggio gli occupati over 50 sono aumentati di 88 mila in confronto ad aprile, mentre gli under 25 sono rimasti stabili e quelli compresi nella fascia tra 25 e 34 anni sono cresciuti di appena 12 mila. È una dinamica alla quale si assiste da molto tempo, soprattutto da quando nel 2012 è stata approvata la legge Fornero che ha posticipato l’età pensionabile. Con l’arrivo di Quota 100 – la prima finestra di uscita è stata quella di aprile – i più ottimisti pensavano si potesse da subito invertire la tendenza, con più giovani al lavoro e più anziani a riposo, ma i dati dicono che questo non sta ancora succedendo. Quanto invece agli inattivi, le persone che non hanno un lavoro e non lo cercano nemmeno sono rimaste stabili su base mensile e diminuite di 37 mila su base trimestrale. Nonostante a maggio quasi 500 mila famiglie abbiano ricevuto il reddito di cittadinanza, e non siano ancora stati convocati dai centri per l’impiego, almeno a giudicare dai macro-numeri questo non sembra aver ingrassato la compagine di chi preferisce restare sul divano.

 

Articolo di Roberto Rotunno sul Fatto Quotidiano del 2/7/2019




Banca d’Italia: rallenta la crescita in Abruzzo

Lunedì scorso è stato presentato il rapporto della Banca d’Italia sull’andamento dell’economia abruzzese.

Dipinge uno scenario di luci e ombre: se il Pil dell’Abruzzo, nel 2018, è stimato in crescita, sebbene di mezzo punto percentuale, è vero anche che c’è stato un rallentamento di circa un terzo dell’espansione rispetto all’anno precedente. L’attività produttiva si è indebolita, in particolare, nell’industria e nel terziario. Il fatturato delle imprese industriali è lievemente diminuito in termini reali; risultati migliori sono stati conseguiti dalle aziende con maggiore propensione all’export, grazie alla crescita degli scambi con l’estero. Le esportazioni sono aumentate del 3.9%, trainate principalmente dall’aumento delle vendite di mezzi di trasporto. La spesa per investimenti ha registrato un contenuto incremento.

Ad illustrare il rapporto sono stati Dealma Fronzi, da qualche settimana a capo della filiale regionale dell’Aquila della Banca d’Italia, Valter Di Giacinto e Alessandro Tosoni, che si sono occupati dell’analisi sull’economia territoriale. Hanno spiegato che il settore delle costruzioni, in particolare, ha beneficiato della ripresa delle compravendite immobiliari e dei bandi per l’esecuzione di lavori pubblici. Nell’ultimo decennio, è stato significativo il contributo all’attività edilizia fornito dai lavori di ricostruzione post sisma nell’aquilano, che hanno avuto ricadute positive sull’intera economia dell’area.

Ad uno specifico approfondimento sulla situazione economia dell’Aquila e dei comuni del circondario, si registra dal 2008 un aumento del 30% in edilizia che fa contraltare al – 30% del resto della Regione; d’altra parte, nel cratere la ricostruzione ha trainato anche i settori della ristorazione e degli alloggi oltre che le attività terziarie direttamente collegate, si pensi agli studi tecnici di ingegneri, architetti e così via. Al contrario, non si è registrata una inversione di tendenza nel settore industriale, che già viveva una lunga fase regressiva nel pre-terremoto. Sta di fatto che il settore, sebbene non quantitavimente esteso, è qualitativamente eccellente in ambiti innovativi e trainanti: non è un caso che si contino nel territorio il 30% delle start up innovative dell’intera regione, merito anche del GSSI e dell’Università che ha dato vita ad un numero interessante di spin off produttivi.

Tornando al panorama regionale, l’attività produttiva si è indebolita nel commercio e nei trasporti, mentre l’andamento del settore turistico è stato moderatamente positivo.

I prestiti delle banche alle imprese sono rimasti pressoché sugli stessi livelli dell’anno precedente ( – 0.3% a dicembre ). La domanda di credito è scesa nella seconda metà dell’anno: nel secondo semestre, inoltre, sono emersi segnali di ulteriore irrigidimento delle condizioni; l’orientamento delle banche rimane maggiormente selettivo nei confronti delle imprese più rischiose.

La redditività delle imprese ha confermato il recupero conseguito negli ultimi anni, attestandosi su livelli in linea con quelli pre-crisi; ne beneficiano la capacità di autofinanziamento e la liquidità.

Buone notizie per l’occupazione che è ulteriormente aumentata ( + 1.6% ) sebbene si sia registrata una flessione nella seconda parte del 2018. L’incremento ha riguardato eslusivamente i lavori alle dipendenze. Tra i dipendenti, sono tornare a crescere le assunzioni a tempo indeterminato e le stabilizzazioni di contratti a termine. E’ proseguita la lenta ripresa dell’occupazione giovanile, che rimane tuttavia ancora inferiore ai livelli pre-crisi mentre il tasso di occupazione complessivo è tornato ai tassi del 2007.

Un dato va tenuto in considerazione: se l’occupazione è ai livelli precedenti alla grande crisi, in Abruzzo il prodotto interno lordo è ancora 3 o 4 punti sotto i livelli del 2007.

Scende la disoccupazione – dall’11.7% al 10.8% in media d’anno – anche tra i lavoratori più giovani e diminuiscono i così detti ‘neet’.

Nel 2018, il reddito e i consumi delle famiglie abruzzesi sono stimati in contenuto aumento.  Alla crescita del reddito hanno contribuito soprattutto i redditi da lavoro e, in particolare, quelli da lavoro dipendente. In Abruzzo, l’incidenza del numero di famiglie in condizioni di povertà relativa, però, resta più alta della media nazionale, sebbene tenga l’indice di fiducia dei nuclei familiari. D’altra parte, la ricchezza netta delle famiglie si colloca al di sopra dei livelli del 2008.

Nell’ultimo decennio è aumentato il peso delle attività finanziarie, sebbene la componente reale della ricchezza continui a rappresentarne la parte più rilevante. Nel 2018, a fronte dei bassi livelli dei tassi d’interesse, le famiglie hanno continuato a favorire l’investimento in strumenti finanziari prontamente liquidabili. I prestiti erogati alle famiglie residenti in Abruzzo da banche e società finanziarie sono aumentati del 3.5%, riflettendo la ripresa della erogazione di mutui e la crescita del credito al consumo.

Stando al mercato del credito, è proseguito il processo di razionalizzazione della rete territoriale delle banche, in particolare da parte degli intermediari di maggiore dimensione: anche nel 2018 è diminuito il numero degli sportelli bancari presenti in regione, mentre è ulteriormente aumentata la fornitura di servizi bancari per il tramite dei canali telematici. La qualità del credito è migliorata. L’incidenza dei nuovi crediti deteriorati è diminuita, sia per le imperse che per le famiglie. La quota di prestiti in sofferenza sul totale dei prestiti si è ugualmente ridotta, anche per effetto delle operazioni di cessione e di cancellazione dal bilancio realizzate dagli intermediari.

 

Fonte: www.newstown.it




L’azienda che assume solo ultracinquantenni rimasti senza lavoro

Da anni ormai quando si parla di precariato si parla di loro: i cinquantenni disoccupati, vere vittime di quella che dovrebbe essere la flessibilità del posto di lavoro, ma che in realtà mette in ginocchio persone che restano disoccupate e non riescono a ricollocarsi. Ma in Toscana c’è un’azienda che ha fatto tesoro di questo tipo di problema e ha pensato bene di cercare di risolverlo.

La MrKelp, azienda ben avviata nel settore dei multiservizi, assume infatti solo cinquantenni reduci da precariato, fallimenti o disoccupazione: lavoratori rimasti senza lavoro perché la loro azienda ha chiuso o esternalizzato, o perché è fallita, o per qualsiasi altro motivo. Ne parla oggi il quotidiano La Nazione: un caso più unico che raro, che dimostra come sia possibile fare qualcosa per aiutare queste persone, spesso lavoratori specializzati utilissimi alla causa, ma ignorati e sacrificati sull’altare della precedenza ai giovani.

Finora sono una ventina le persone assunte dalla MrKelp, guidata da tre imprenditori, Alessandro Marzocca, Simone Orselli e Serena Profeti. Marzocca spiega: «Abbiamo optato per assunzioni che privilegiassero l’inserimento di donne e uomini che avessero perso il proprio lavoro per colpa della crisi – le sue parole a La Nazione – Vogliamo dare opportunità a persone sui cinquanta che si trovano in difficoltà, aiutandole a reinserirsi nel mondo del lavoro».

Avevo un’azienda che è stata spazzata via dalla crisi, ho pensato che per me non ci sarebbe stato più spazio», dice Massimo, 56 anni, uno dei neoassunti. «Oggi possiamo dire che la scommessa è vinta». «Sono riuscito a riavere una busta paga, i contributi, uno stipendio: erano cinque anni che non l’avevo più», aggiunge Ercole, 57 anni. Una storia certamente a lieto fine, nella speranza che l’economia italiana si risollevi finalmente per dare un’opportunità a tutte le generazioni che stanno scontando ormai da quasi dieci anni il salatissimo conto della crisi.

COS’È MR KELP «L’idea è nata da un gruppo di amministratori di condomini e immobili, a Firenze, che ha sentito l’esigenza di creare un servizio efficace e di qualità per le pulizie e le piccole riparazioni dei propri stabili»: si presenta così sul sito ufficiale l’azienda toscana di multiservizi, nella sezione dedicata al Chi siamo. “Il compito principale di Mr. Kelp è quello di trovare soluzioni semplici e immediate per i problemi più diversi che, ogni giorno, possono venire alla luce nella gestione degli immobili”

 

Fonte: www.leggo.it

 




Vuoi essere assunto? Fai qualcosa di eroico!

Si ripetono i casi di disoccupati assunti per aver fatto un bel gesto. Per lavorare bisogna essere eroi?

 

Gallipoli. Giovane nigeriano blocca un rapinatore e viene assunto come premio.

Notizia che risale pochi giorni fa: Richard, un giovane nigeriano di 33 anni che chiedeva l’elemosina fuori da un supermercato di Gallipoli (Lecce) ha sventato una rapina. Ha lottato con un rapinatore e lo ha fatto arrestare. Il ladro era armato di pistola (poi rivelatasi un’arma giocattolo), con cui aveva minacciatogli impiegati e gli altri presenti per poi fuggire con i contanti della cassa prima che Richard riuscisse a bloccarlo.

Richard, come “premio”, ora sarà assunto con un regolare contratto come magazziniere dal supermercato. Il titolare del supermercato ha detto: “È giunto il momento di dargli un lavoro e dignità, dopo essere stato per mesi esposto al freddo così come al caldo torrido all’esterno del supermercato, aiutando i clienti e stando a stretto contatto con i nostri dipendenti.”

 

Cartigliano. Disoccupato trova portafoglio con 900 euro e lo restituisce: assunto come ricompensa.

Poco più di un mese fa, il 18 gennaio, Omar, un marocchino cinquantanovenne, trova un portafoglio con circa 900 euro più carte di credito e documenti e lo porta al Comune di Cartigliano (Vicenza) affinché venga riconsegnato al proprietario. Il portafoglio smarrito apparteneva a un dipendente di una conceria della zona e il titolare ha deciso di assumere Omar. Il titolare dell’impresa ha detto: “Una persona di tale onestà va premiata. Abbiamo verificato, è stato sfortunato ed era disoccupato per colpe non sue”.

 

Scorrendo la cronaca sono abbastanza frequenti i casi di persone “premiate” con un lavoro dopo che hanno compiuto un gesto di generosità, magari, come nel caso di Richard, rischiando anche la loro incolumità. Fa riflettere che in questi casi un lavoro, una occupazione, sia concessa loro come “premio”, a conferma del fatto che in Italia il lavoro più che un diritto sia diventato in molti casi un privilegio, soprattutto per i soggetti più svantaggiati. E che, come nel caso di Omar, se si è disoccupati bisogna poter dimostrare che lo si è “non per proprie colpe”.

Quindi, cari disoccupati, se volete un lavoro, in attesa dei Navigator, aprite gli occhi e cercate portafogli da restituire o ladri da bloccare.

 

Fonte: www.peopleforplanet.it