Spegniamo quel cellulare!

“Non ce la faccio più: VOI del Sindacato dovete fare qualcosa!”

(Sul VOI torneremo più avanti).

Sempre più spesso ci sentiamo rivolgere richieste accorate simili a questa da parte di lavoratrici e lavoratori esasperati da pressioni commerciali ogni giorno più pesanti e invasive.
Sappiamo quanto la questione incida sulla qualità di vita delle persone, contribuendo anche a minare la loro autostima a causa di atteggiamenti studiati ad arte per sminuirle e farle sentire inadeguate se non raggiungono obiettivi sempre più “sfidanti”.

Questi comportamenti sono difficili da contrastare con i mezzi a nostra disposizione, anche se con molto impegno riusciamo ad arginarli. E qualche volta otteniamo risultati positivi.
È il caso del diritto alla disconnessione, che siamo riusciti a vederci riconosciuto dalle Banche. E non è stata una conquista facile.

Sono sempre più numerosi i lavoratori e le lavoratrici che vengono dotati di smartphone aziendali. E sappiamo che spesso i nostri superiori, presi dall’ansia da prestazione (o, più prosaicamente, dal timore di vedersi sfuggire i loro ricchi premi), non si preoccupano di mandare messaggi o email a qualsiasi ora del giorno, e magari anche nel fine settimana.

Non riusciamo ad impedirgli di mandarli, ma abbiamo tutto il diritto di non leggerli se non una volta rientrati al lavoro.

L’Art. 44 del CCNL ABI prevede infatti quanto segue:

Fuori dell’orario di lavoro e nei casi di legittimi titoli di assenza non è richiesto alla lavoratrice/lavoratore l’accesso e connessione al sistema informativo aziendale; la lavoratrice/lavoratore potrà disattivare i propri dispositivi di connessione evitando così la ricezione di comunicazioni aziendali. L’eventuale ricezione di comunicazioni aziendali nelle predette situazioni temporali non vincola la lavoratrice/lavoratore ad attivarsi prima della prevista ripresa dell’attività lavorativa. Restano ferme eventuali specifiche esigenze.

Tradotto in termini pratici: quando si esce dal lavoro il telefonino aziendale si può spegnere. Ed è molto, molto importante che venga effettivamente spento.

Per spiegare le ragioni per cui è così importante, cominciamo ad esaminare i motivi per cui spesso il telefono rimane acceso 24 ore al giorno.

 

E SE ARRIVA UNA COMUNICAZIONE URGENTE?
Per quanto si tenda a farci credere il contrario, per nostra fortuna nel nostro lavoro non esistono urgenze (ad eccezione di fatti davvero eccezionali come i terremoti degli ultimi anni o il lockdown per il Covid). Non abbiamo incendi da spegnere, né malati gravi da curare. Qualunque comunicazione dovesse partire di venerdì sera può essere tranquillamente letta il lunedì mattina, senza che questo danneggi nessuno.

 

SE SCATTA L’ALLARME E MI CHIAMANO PER ANDARE IN FILIALE?
E’ bene fare chiarezza su questo punto. I Titolari di filiale, o i loro vice, non hanno alcun obbligo di rispondere a telefonate fuori orario, né sono tenuti a recarsi in filiale in caso di problemi tecnici, a meno che non ci sia una specifica richiesta di reperibilità da parte aziendale. E se questo avviene, la reperibilità prevede il pagamento di un’indennità mensile ed una turnazione: nessuno può essere reperibile 365 giorni all’anno. Quindi il Titolare di filiale ed il suo vice hanno tutto il diritto, garantito dal CCNL, di spegnere il telefonino aziendale e non essere raggiungibili in caso di chiamate per problemi tecnici. Spetta alla Banca attrezzare una task force di tecnici pronti ad intervenire, con reperibilità adeguatamente retribuita.

 

SE IO SPENGO IL TELEFONINO IN SERATA, POI LA MATTINA DOPO LO RIACCENDO E DEVO LEGGERE TUTTE INSIEME LE COMUNICAZIONI ARRIVATE NEL FRATTEMPO. CHE CI GUADAGNO?
La serata. O il fine settimana. O i giorni di vacanza. Ci guadagno qualche ora di serenità, da dedicare alla famiglia, agli amici o alle cose che mi piacciono, potendomi permettere una pausa durante la quale le ansie legate al lavoro vengono temporaneamente dimenticate.
Non è un guadagno importante?

 

IN FONDO SI TRATTA DI UNA MIA SCELTA. PERCHE’ NON POSSO TENERLO COMUNQUE ACCESO?
E qui arriviamo al VOI citato nella frase iniziale. Ottenere il riconoscimento di un diritto, come quello alla disconnessione, non è mai facile. Ma, soprattutto, un diritto non è mai acquisito per sempre. E l’unico modo per mantenerlo è esercitarlo. Ecco perché non avvalersi dell’opportunità prevista nel contratto finisce col togliere valore a quella conquista, e toglie forza e legittimazione al Sindacato in vista di future lotte.
Perché un concetto dev’essere chiaro: il Sindacato non è un soggetto estraneo. E’ fatto da lavoratori e lavoratrici che rappresentano altri lavoratori, e altre lavoratrici. E sono loro, con i loro comportamenti, a decidere se dare forza al Sindacato, e quanta forza dargli. Non si può rivolgersi al sindacato dandogli del Voi: NOI dobbiamo fare qualcosa. Tutti insieme.
Per questo motivo la scelta di non esercitare un diritto che si è conquistato non riguarda la singola persona, ma tutte le lavoratrici e i lavoratori interessati.

 

E quindi: spegniamo quel cellulare!
Facciamolo per noi. Ma anche per tutte le persone che lavorano con noi.




Buoni pasto e reperibilità in smart working: ecco come funziona

Il lavoratore ha diritto al buono pasto anche se lavora da casa? E quando deve essere reperibile se non è in ufficio? Ecco cosa sapere


La pandemia ha cambiato le abitudini di tutti, tra restrizioni, Dpcm e distanziamento sociale. Tra i settori che hanno risentito maggiormente della nuova organizzazione, c’è il lavoro che è diventato sempre più “da remoto”. Nell’ultimo Dpcm, è stata confermata la possibilità di limitare la presenza del personale nei luoghi di lavoro dellaPubblica amministrazione, nelle zone rosse. Lo smart working resta largamente utilizzato anche dai datori di lavori privati, con un numero crescente di aziende (tra cui gli Istituti bancari) che intenderebbero mantenere tale possibilità anche nel post Covid (anche se nel settore bancario non si può parlare di vero e proprio smart working – in particolare per alcune figure, ma più correttamente di sw emergenziale). Ma cosa cambia rispetto al lavoro in presenza?

SMART WORKING E BUONI PASTO

Stando alla normativa in materia di smart working o lavoro agile (d.lgs. 81/2017), il lavoratore in smart working ha diritto allo stesso trattamento normativo e retributivo di colui che lavora in azienda ma, per quanto concerne i buoni pasto, le regole sono diverse. Una recente sentenza del tribunale di Venezia (decreto 3463 dell’8 luglio 2020), sulla scia di molte pronunce di Cassazione sul tema, ha affermato che dal punto di vista normativo, il buono pasto non fa parte della retribuzione, quindi il diritto al buono durante lo smart working non sussiste. Nel comparto bancario questo dubbio viene meno, in quanto il CCNL rinnovato nel 2020 precisa che il lavoratore che è in smart working non ha diritto al buono pasto.
Il discorso cambia se si tratta di una erogazione autonoma dell’azienda (in realtà il CIA o accordi aziendali ad hoc possono derogare in meglio quanto previsto dal CCNL). Sempre facendo riferimento a una sentenza della Cassazione (16135/2020), è stato precisato che anche nel caso l’attribuzione dei buoni pasto sia una prassi aziendale consolidata nel tempo, non è legittima l’aspettativa che essa si debba prolungare e il datore di lavoro può decidere autonomamente. Se il buono pasto è previsto da un regolamento aziendale, questo può essere modificato unilateralmente dal datore di lavoro.

SMART WORKING: I BUONI PASTO SONO DOVUTI?

Chi lavora in smart working, quindi, ha diritto ai buoni pasto dopo le recenti disposizioni di legge dello scorso febbraio? Anche in questo caso, non ci sono obblighi specifici: l’azienda è libera di decidere se mantenere o meno i buoni pasto ai dipendenti. C’è anche un altro modo di vedere la cosa: lo smart working non pregiudica in alcun modo la possibilità di concedere i buoni pasto. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate, in considerazione delle misure per limitare la diffusione del virus, ha specificato che i ticket restano normalmente regolamentati, quindi le imprese hanno diritto alle consuete esenzioni fiscali, anche se i ticket sono rivolti a dipendenti in smart working.

L’ESENZIONE FISCALE DEI BUONI PASTO

L’esenzione fiscale è confermata anche per i dipendenti in smart working. Il lavoro da remoto, quindi, non cambia le regole. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il regime fiscale agevolato si applica senza tener conto della modalità di lavoro, considerando che non sono previste limitazioni normative in merito all’erogazione da parte del datore di lavoro. L’Agenzia delle Entrate mette in evidenza quanto disposto dal decreto n. 122 del 7 giugno 2017 che all’articolo 4 specifica che i buoni pasto possono essere riconosciuti ai lavoratori a tempo pieno o parziale, anche quando l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pranzo. Nella motivazione, si tiene conto della circostanza che “la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili”.

LA SCELTA DEL DATORE DI LAVORO

Riassumendo, l’azienda non è tenuta a mantenere necessariamente i buoni pasto per chi lavora da smart working, ma può decidere di farlo, mantenendo tutte le agevolazioni fiscali previste. Come spiegato, dipende anche dal contratto di lavoro sottoscritto: se prevede sempre i buoni pasto, anche con lo smart working, allora l’azienda è tenuta a garantire l’erogazione anche in caso di lavoro agile.

REPERIBILITÀ IN ORARIO DI LAVORO

Un rischio, con lo smart working, è quello di staccare più tardi a lavorare, restando praticamente sempre reperibili per il datore di lavoro. Tra le misure al vaglio, c’è un Ddl sullo smart working, depositato lo scorso maggio in Commissione Lavoro del Senato, che ha come oggetto una delega al governo per il riordino della disciplina in materia di lavoro agile e l’introduzione del diritto alla disconnessione per il benessere psico-fisico dei lavoratori e dei loro affetti”. Tra le misure previste, in attesa dell’avvio dell’iter legislativo: le fasce concordate di reperibilità del lavoratore. Sulla questione potrebbe esprimersi anche il Parlamento europeo che vuole garantire il diritto alla disconnessione dal lavoro, considerando che il 37 per cento dei lavoratori dell’Unione europea ha cominciato a lavorare da casa durante il primo lockdown. In ogni caso per quanto riguarda il comparto bancario il rinnovo del CCNL ha sancito il diritto alla disconnessione del lavoratore al di fuori dell’orario di lavoro. Infine per ciò che concerne il lavoro straordinario, diventa difficile da parte del lavoratore provare un lavoro extra, anche perché il log del collegamento non è sufficiente a provare che il quel momento si stesse lavorando.




Banche: posso spegnere il telefonino aziendale?

Aumenta sempre più il numero dei bancari che vengono dotati di telefoni aziendali: ai Titolari di Filiale si aggiungono i referenti imprese, i vicari, coloro che si occupano di investimenti ecc…

Un investimento così significativo da parte delle aziende implica automaticamente che tutti coloro che hanno ricevuto lo smartphone dovranno, d’ora in poi, rispondere alle telefonate ed ai messaggi a qualsiasi ora del giorno e della notte? E che non potranno saltare una sola riunione in videochat dovunque si trovino e qualunque cosa stiano facendo?

Abbiamo avuto molte segnalazioni di alcuni responsabili che alimentano questa convinzione.

Le cose stanno davvero in questo modo? (spoiler: assolutamente NO!!!)

E allora andiamo a vedere cosa prevedono le normative attualmente in vigore.

 

LA REPERIBILITA’

Se davvero dovessimo rispondere al telefono a tutte le ore e fornire chiarimenti e soluzioni a clienti e superiori, questo vorrebbe dire essere sempre reperibili.

La reperibilità è regolata dall’art. 40 del CCNL ABI. Questi i punti salienti:

  • La reperibilità dev’essere richiesta esplicitamente. 
    La semplice consegna di un telefonino non è una richiesta esplicita.
  • La reperibilità è limitata ad addetti a particolari servizi: centri elettronici, personale addetto all’estrazione di valori, addetti a sistemi di sicurezza, al presidio di impianti tecnologici, servizi automatizzati all’utenza ecc…
    La consulenza non rientra tra i servizi per i quali può essere richiesta la reperibilità, e la ragione è evidente: i Bancari non sono chirurghi che operano i malati a cuore aperto. Non c’è nessun motivo per cui una richiesta in materia di investimenti o di finanziamenti debba trovare risposta alle 10 di sera o di domenica pomeriggio, e non possa invece essere rinviata alla mattina successiva, in orario di lavoro.
  • La reperibilità dev’essere pagata.
    Ai colleghi ai quali viene chiesto di essere reperibili dev’essere corrisposta un’indennità giornaliera con un minimo di € 13,95 ed un massimo di € 30,68 per reperibilità estesa alle 24 ore.
  • Nessuno può essere reperibile sempre.
    Il terzo comma dice espressamente che l’azienda deve predisporre opportune turnazioni tra i lavoratori ai quali viene richiesta la reperibilità.

Basterebbe questo solo articolo del CCNL a fare chiarezza su ciò che l’Azienda non può chiedere agli assegnatari di telefoni aziendali. Ma proprio per maggior chiarezza di fronte ad atteggiamenti volutamente ambigui da parte della Dirigenza delle varie Azienda bancarie, l’accordo di rinnovo del CCNL sottoscritto lo scorso 19 dicembre ha ribadito un importante principio.

 

IL DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE

L’articolo 30 dell’accordo di rinnovo chiarisce in maniera inequivocabile alcuni importanti principi:

  • L’utilizzo delle apparecchiature aziendali in dotazione deve avvenire nel rispetto delle norme sulla prestazione lavorativa.
    Quindi l’assegnazione di un telefono aziendale non può comportare la riduzione o la limitazione del diritto al riposo giornaliero e settimanale, delle ferie e di qualsiasi assenza legittimamente giustificata.
  • Non sono ammesse comunicazioni di lavoro su apparecchiature diverse da quelle aziendali.
    Un capo che pensasse di aggirare il legittimo diritto alla disconnessione inviando messaggi sul telefono personale, magari per rimproverare il destinatario di  non aver venduto abbastanza prodotti nella giornata appena conclusa, commetterebbe una violazione contrattuale.
  • Fuori dall’orario di lavoro e nelle giornate di assenza, alle lavoratrici ed ai lavoratori non è richiesto di accedere e connettersi alla rete aziendale.
    Quindi è un nostro preciso diritto tenere spenti i telefonini ed evitare di ricevere comunicazioni aziendali quando non siamo in Azienda.
  • Qualora arrivassero comunicazioni e richieste aziendali fuori dall’orario di lavoro, il destinatario non è tenuto a rispondere o ad eseguirle prima del rientro in ufficio

 

Adesso che abbiamo visto cosa prevedono le norme contrattuali, torniamo alla domanda iniziale.

 

QUINDI POSSO SPEGNERE IL TELEFONINO AZIENDALE?

Il comportamento consigliato è questo: il telefono aziendale va spento all’uscita dal lavoro e riacceso al rientro.
E’ un nostro diritto farlo: un diritto che non è piovuto dal cielo, ma per il quale ci siamo battuti duramente e adesso che ci è stato riconosciuto dobbiamo esercitarlo, oppure lo perderemo rapidamente.

Quando partiamo per le vacanze, la cosa migliore da fare è lasciare il telefonino a casa. E se durante le nostre ferie venisse organizzata una riunione in videochat possiamo stare tranquilli: riuscirà benissimo anche senza di noi.
In ogni caso sarebbe assurda e inaccettabile la pretesa di chi volesse farci interrompere le ferie per assistere alla riunione, motivandola con l’assegnazione dello smartphone aziendale.

A maggior ragione il telefonino va tenuto spento quando siamo in malattia: chi sta male non può lavorare. E siamo assolutamente certi che assistere a videochat, leggere messaggi o email e rispondere alle telefonate dei clienti non aiuti ad accelerare la guarigione.

In ultimo la raccomandazione che non ci stancheremo mai di fare: chiunque dovesse subire pressioni indebite deve immediatamente informare il proprio rappresentante sindacale.

 

 




Unipol-Sai: smart working, firmato l’accordo. Parte la sperimentazione

Dopo numerosi incontri di trattativa, abbiamo firmato unitariamente ieri pomeriggio l’Accordo con l’Azienda che consente l’avvio in questo semestre della prima fase di sperimentazione dello Smart Working.

I lavoratori, già nelle scorse settimane, avevano condiviso il proprio convincimento che sul tema in questione la priorità fosse far partire la fase pilota, evitando una dilatazione dei tempi.
Con tale mandato, avevamo richiesto all’azienda di apportare modifiche al testo proposto, e nella stesura finale sono state recepiti importanti miglioramenti: l’allargamento sperimentazione a lavoratori con 104, il diritto alla disconnessione, il riconoscimento del buono pasto.

Per quanto riguarda la richiesta copertura assicurativa che – in caso di infortunio domestico – copra l’eventuale contestazione da parte di Inail nel riconoscimento dell’indennità dovuta (fermo restando il riconoscimento della retribuzione e l’indennizzo previsto dalla polizza infortuni del CIA) l’Azienda si è detta disponibile a valutare eventuali casi dovessero insorgere.

Pur permanendo alcune criticità (come ad esempio i costi di connessione a carico dei dipendenti, il mancato allargamento in questa prima fase a 2 giorni a settimana, il non coinvolgimento dei colleghi UnipolSai appartenenti a Strutture diverse da quelle individuate nel pilota, nonché l’esclusione per ora delle diverse società del Gruppo) valutiamo positivamente l’inizio in UnipolSai della possibilità di fruire di questo importante istituto per la conciliazione dei tempi di vita / lavoro.

Entro fine anno verrà effettuato l’incontro di verifica e in base a quanto emergerà dalla sperimentazione, proveremo ad apportare ulteriori migliorie per l’estensione dell’opportunità del Lavoro Agile all’intera popolazione aziendale.




Gli italiani si portano il lavoro a casa (e in ferie): 7 su 10 rispondono a mail e telefonate

Lavoratori sempre connessi, a casa come in vacanza. Gli italiani sono tra i più “stakanovisti” in Europa e rispondono a telefonate, email, call di lavoro anche durante il tempo libero. Dal work-life balance, la ricerca di equilibrio tra l’orario di lavoro e quello del tempo libero, si passa progressivamente a una loro sovrapposizione, il cosiddetto work-life blend. In barba al diritto alla disconnessione.

Lavoratori sempre ”reperibili”
Oggi il 71% dei lavoratori italiani – secondo l’indagine del Randstad Workmonitor condotta in 34 Paesi – risponde a telefonate, email e messaggi di lavoro anche al di fuori dell’orario. Siamo al terzo posto in Europa, +6% rispetto alla media globale, e nel Vecchio Continente solo Portogallo e Romania sono più solleciti di noi.

Al lavoro in vacanza
Il 71% degli italiani si sente libero di staccare la spina almeno durante le ferie e si tratta soprattutto di uomini (76% contro il 66% delle donne). Ma oltre uno su due – il 53%, più di 10 punti sopra la media globale – confessa di restare “connesso” per gestire attività di lavoro anche durante il periodo di ferie.

La pressione dei datori di lavoro
La decisione di restare disponibili al lavoro anche nel tempo libero non è sempre volontaria, ma spesso dettata dalla pressione del datore di lavoro. Oltre metà degli italiani dichiara infatti che le aziende si aspettano che i dipendenti siano disposti a lavorare oltre l’orario d’ufficio (59%, contro il 56% della media globale) e che siano disponibili a rispondere a messaggi di lavoro nel tempo libero (52%, contro il 45% della media degli altri paesi).
Nel primo caso, fra i Paesi europei, soltanto Spagna (60%), Romania (65%) e Portogallo (75%) si sentono più sotto pressione, mentre nel secondo solo Portogallo (56%) e Romania (57%).
Le aspettative aziendali sono più elevate sugli uomini (rispettivamente 63% e 58%, contro il 55% e il 47% delle colleghe) e sui lavoratori al di sotto dei 45 anni (il 65% è disponibile oltre l’orario e il 59% risponde nel tempo libero, contro il 52% e il 43% dei dipendenti senior).

Il work-life blend incompiuto
Se la dilatazione dei tempi di lavoro a danno della vita privata è già una realtà, d’altro canto solo il 54% degli italiani gestisce abitualmente questioni personali durante l’orario lavorativo, all’ultimo posto del ranking globale e ben 13 punti sotto la media.
Sono soprattutto le donne a portare avanti questa tendenza (56%) e gli under 45 (62%), mentre sono più restii a farlo gli uomini (52%) e i lavoratori senior (44 per cento).

«La trasformazione in corso porta con sé delle opportunità – commenta Valentina Sangiorgi, chief hr officer di Randstad Italia – , ma anche il rischio che i lavoratori si sentano stressati e sotto eccessiva pressione. Le imprese devono impegnarsi a promuovere la stessa flessibilità da entrambi i lati, riuscendo a rispettare i tempi di disconnessione e valutando i dipendenti in base ai risultati, per migliorare la produttività, anche grazie a motivazione e coinvolgimento».




Prime aperture da ABI sul rinnovo del CCNL

E’ ripresa dopo una fase di stallo la trattativa in Abi per il rinnovo del contratto nazionale del credito.

”Abi ha ritirato i documenti presentati alle organizzazioni sindacali nell’incontro del 25 ottobre scorso e ha manifestato prime aperture rispetto all’abolizione del salario d’ingresso per i neoassunti, su diritti e tutele e anche rispetto ai tempi di cura e al diritto alla disconnessione.”

Lo ha dichiarato il segretario generale della Fisac – Cgil, Giuliano Calcagni. ”E’ ancora presto per dire se siamo sulla buona strada per arrivare alla definizione del negoziato, certo e’ che il clima e’ cambiato – ha aggiunto – Lavoreremo fino all ultimo per verificare sussistono le condizioni per la chiusura di un buon contratto nazionale di settore’”

 

Fonte : Il Sole 24 Ore Radiocor