Popolare di Bari: nuova convocazione, finto dialogo

3 - Fisac Cgil

Dopo il netto e duro comunicato del 13 maggio, l’Azienda ci ha convocato il giorno 27 maggio scorso.

Un’occasione persa o, meglio, la rappresentazione plastica di un finto dialogo.

Già dall’avvio, con la prolusione del COO, che ha preannunciato che il suo sarebbe stato solo un saluto, si è capito che l’incontro avrebbe avuto l’aspetto di un pro-forma.

Il seguente giro di interventi della parte sindacale si è incentrato sull’esigenza di rispetto dei passaggi formali, esprimendo la volontà di conoscere le reali intenzioni della Proprietà, di avere una visione di insieme dei cambiamenti in atto, di poter verificare le ricadute sui dipendenti, sulla richiesta, insomma, di un tavolo di confronto vero, formale e sostanziale grazie al quale trovare soluzioni condivise per regolamentare e governare la ripresa di questa Banca.

A tutto questo non è stata data risposta alcuna dalla delegazione aziendale, subito ridottasi per l’abbandono del COO.

Non una parola una, sulla soluzione dei problemi attuali e concreti che affliggono le lavoratrici ed i lavoratori della BPB.

La partita degli inquadramenti, per esempio, DEVE trovare una fine, c’è un accordo di oltre un anno fa che impegna l’Azienda sul punto! Smart Working e Telelavoro devono essere regolati ed avere avvio con un accordo.

BASTA CON L’UTILIZZO DEI VERBI AL MODO CONDIZIONALE O AL TEMPO FUTURO, QUELLO CHE SERVE È IL PRESENTE INDICATIVO!

Basta con la nebulosità aziendale utilizzata per dissimulare pezzi di piano industriale già, di fatto, in attuazione.

E, in più, basta con una prassi aziendale basata solo su tagli lineari.

Per non parlare dello svuotamento funzionale della Banca, dei demansionamenti, dei trasferimenti immotivati; una banca la BPB, in cui la Proprietà sembra quotidianamente impegnata nell’annichilimento della struttura e della sua forza lavoro, senza tener conto alcuno di significativi pezzi dei territori in cui insiste e della loro clientela d’elezione.

L’incontro non è durato a lungo, tuttavia siamo riusciti a strappare l’impegno di avviare la procedura per la discussione del Piano Industriale entro massimo due settimane ed a calendarizzare una serie di appuntamenti per le varie tematiche in sospeso.

Vi terremo costantemente informati.

Bari, lì 31 maggio 2022

 

Segreterie di Coordinamento
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN
Banca Popolare di Bari




BNL: “fLOP Employer”, restituire il premio

 

Leggiamo l’ultima indecente e inopportuna vanteria aziendale sul sito di BNPP che mostra il certificato ottenuto di TOP EMPLOYER EUROPE (“Eccellente datore di lavoro in Europa”) che riguarda anche l’Italia con il “TOP EMPLOYER ITALIA 2022”.

Il premio ovviamente è dato in base ai parametri del 2021 riguardanti l’inclusione, le opportunità e lo sviluppo delle carriere e l’attenzione al benessere, anche fisico, dei dipendenti.

Chiediamo a BNPP e a BNL, riguardo al benessere fisico, se il merito da “TOP Employer” sia dovuto alle disinfezioni dei locali, che giungono, nonostante le numerose segnalazioni, dopo giorni da quando è stato segnalato il collega allettato dal covid, ovvero quando ormai il virus si è ormai degradato da solo!

Soldi ben spesi davvero… saranno quelli del nostro VAP?

Chiediamo anche se il merito ci sia stato perché in alcune agenzie mancava e manca il disinfettante per le mani, come nei primi terribili mesi di pandemia o se per il solo giorno al mese di lavoro da casa concesso. O per i buoni pasto tolti a chi invece deve stare necessariamente in smart perché lavoratore fragile.

O forse l’azienda l’ha vinto perché, mentre altre banche per le agenzie hanno posto o mantenuto l’accesso per appuntamento o un limite congruo agli ingressi nel 2021, noi eravamo invece sempre i più aperti e inclusivi…verso il covid?

Chiediamo che “film hanno visto alla radio”, che narra le travolgenti carriere e i ricompensati meriti dei lavoratori italiani del gruppo: quali vaste opportunità e professionalizzazioni si trovino nei demansionamenti, nell’essere ceduti, nel veder chiusa la propria agenzia o ufficio!!! Quanti sorrisi di colleghi hanno accolto queste gioiose notizie, per ricevere e aver la faccia di accettare una tale strabiliante certificazione di “TOP Employer“?

Ma soprattutto, quanta frustrazione viene prodotta dalle continue pressioni commerciali anche durante le ondate pandemiche, che pesano sullo stato psichico dei colleghi e sul loro rendimento… come i tanti casi di stress da lavoro correlato testimoniano! Proprio un certificato ben attribuito!

Infine l’azienda “TOP EMPLOYER 2022” è quella che ha tentato di non far scioperare i suoi “amatissimi” dipendenti, fallendo davanti al Diritto. Voleva impedire l’annullamento delle ferie ai dipendenti che intendevano risultare in sciopero e ha fatto due temerari ricorsi, miseramente falliti, contro lo sciopero del 24 gennaio.

A tutte queste evidenti domande aggiungiamo dunque perentoria una richiesta:

BNPP RESTITUISCA IL CERTIFICATO DI TOP EMPLOYER 2022 !!!




L’azienda può ridurre lo stipendio ai lavoratori?

Riceviamo periodicamente segnalazioni dai lavoratori, che riferiscono di discorsi minacciosi da parte dei rispettivi “capi”, secondo i quali sarebbero imminenti significativi tagli alle buste paga per introdurre una parte di retribuzione variabile legata ai risultati.

Cosa può esserci di vero in un simile annuncio?

Per rispondere alla domanda esaminiamo le regole che disciplinano la materia.

I DIRITTI ACQUISITI SONO INDISPONIBILI

Non tutte le norme che regolamentano il rapporto di lavoro possono essere oggetto di trattativa. In particolare, i diritti acquisiti e consolidati, di norma coincidenti con fondamentali valori umani e sociali garantiti dalla Costituzione, sono indisponibili: questo significa che non possono essere oggetto di trattativa in quanto né le aziende, né le organizzazioni sindacali possono rimetterli in discussione, trattandosi di qualcosa che si trova ad un livello superiore alle parti e della quale non possono disporre.

Tra i diritti indisponibili c’è quello relativo ai livelli retributivi, tutelati peraltro dall’Art. 36 della Costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

I contratti collettivi prevedono tabelle che stabiliscono i livelli retributivi minimi per ciascun inquadramento (ad esempio, questa è quella relativa al contratto ABI)


I livelli indicati in tabella costituiranno la base da cui partire in occasione dei futuri rinnovi contrattuali: possono al limite restare invariati, ma non possono diminuire.

Eventuali variazioni alla struttura retributiva possono valere solo per chi comincerà a lavorare dalla stipula del contratto in poi, non avendo ancora diritti precedentemente acquisiti.
Un esempio è rappresentato dall’art. 46 del CCNL ABI del 2015, che prevede per i nuovi assunti una deroga ai livelli retributivi per quattro anni, ma lascia ovviamente immutata la retribuzione dei lavoratori in servizio alla data di stipula.

L’unico caso in cui un accordo può derogare in peggio rispetto ai livelli retributivi si ha nel caso di gravi crisi aziendali. In situazioni in cui l’esistenza stessa dell’azienda è posta in serio pericolo, si possono eccezionalmente rimettere in discussione anche diritti indisponibili, al solo scopo di salvare i posti di lavoro.
Un accordo del genere, per essere valido, deve necessariamente essere approvato da ogni singolo lavoratore tramite conciliazione individuale con l’azienda.
Purtroppo abbiamo già esperienza di accordi fatti in aziende bancarie nelle quali il taglio delle retribuzioni si è rivelata l’unica strada percorribile per scongiurare la liquidazione.

Possono invece essere oggetto di revisione i trattamenti “ad personam“, qualora siano frutto di accordi tra Azienda e lavoratori. Un successivo accordo tra le medesime parti può modificare o eliminare l’ad personam.

LA RETRIBUZIONE E’ LEGATA ALLE MANSIONI SVOLTE

Il concetto per cui la retribuzione non può essere ridotta viene ribadito dal Codice Civile:
l’art. 2103 stabilisce che anche in caso di demansionamento il lavoratore ha il diritto al mantenimento della retribuzione percepita.
L’art. 2113 prevede che il lavoratore non possa in alcun modo derogare a disposizioni irrinunciabili della legge o dei contratti collettivi.
Per essere chiari: se un’azienda “convincesse” un lavoratore a firmare un accordo nel quale accetti di ridursi la retribuzione a parità di mansioni, quell’accordo sarebbe nullo.

Diverso invece è il caso in cui tra azienda e lavoratore venga sottoscritto un accordo che preveda la variazione di mansioni: in quel caso la riduzione di retribuzione può essere legittima se giustificata dallo svolgimento di mansioni inferiori.
Dell’argomento ci eravamo già occupati in un precedente post, al quale rimandiamo per approfondimenti

https://www.fisaccgilaq.it/normativa/come-e-quando-si-puo-essere-demansionati.html

LA RETRIBUZIONE VARIABILE

Prima di tutto ribadiamo un concetto: tutte le forme di retribuzione variabile (premi di risultato, sistemi incentivanti, MBO….) non possono mai essere sostitutive degli importi tabellari, ma possono solo aggiungersi ad essi.

Non possiamo escludere che in sede di rinnovo del CCNL ABI, in scadenza alla fine del 2018, le Aziende cerchino di inserire nuove forme di contratti misti (con una parte di retribuzione fissa ed una legata ai risultati), sulla scia di quanto avvenuto con l’ accordo stipulato il 21-12-2017 nel Gruppo Intesa; se anche questa modalità retributiva dovesse venire introdotta nel prossimo contratto, varrebbe comunque solo per gli assunti dopo la data di stipula.

Nelle aziende esistono varie forme di accordi che disciplinano la parte variabile della retribuzione, essendo una materia di norma demandata ai contratti di secondo livello.
Esistono tuttavia dei paletti volti ad evitare che i premi siano legati al raggiungimento di obiettivi individuali.
Sia il CCNL ABI (art. 51) che il CCNL Federcasse (art. 50) stabiliscono che i premi debbano essere assegnati “per gruppi omogenei di posizioni lavorative”. 
Il concetto è stato ribadito nell’ Accordo Nazionale sulle politiche Commerciali sottoscritto l’8 febbraio 2017 presso l’ABI che all’art. 8 prevede l’assegnazione di obiettivi volti a valorizzare il lavoro di squadra.

 

POSSIAMO ORA RISPONDERE ALLA DOMANDA INIZIALE: la riduzione dello stipendio e la sua sostituzione con una quota variabile legata a risultati individuali, non sono possibili in quanto comporterebbero la violazione di contratti, leggi e principi generali del diritto.

Chi minaccia i lavoratori affermando possibili variazioni in tal senso pone in essere una forma particolarmente scorretta di pressioni commerciali illegittime, che mira a spaventarli e privarli delle loro certezze.

Ancora una volta ribadiamo l’invito ai lavoratori a segnalare tutti i comportamenti scorretti ai propri rappresentanti sindacali, affinché si attivino per farli cessare immediatamente.




Come e quando si può essere demansionati

A partire dal 25.06.2015 a tutti i lavoratori subordinati, anche se assunti precedentemente a tale data, si applica il nuovo art. 2103 c.c., come modificato dal Testo Unico di Riordino dei Contratti di Lavoro (D.Lgs. n. 81/2015).

La norma riguarda il cosiddetto ius variandi, vale a dire Il potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente la mansione del lavoratore, quindi anche senza il consenso dell’interessato.
Prima della riforma valeva il principio della immodificabilità in peggio della mansione e della irriducibilità della retribuzione. Per espressa previsione di legge, ogni patto contrario era nullo.

L’attuale testo dell’art. 2103 recita:

Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a quelle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

La parte in neretto ha sostituito la precedente formulazione, che parlava di mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.
La modifica conferisce al datore di lavoro il diritto ad uno ius variandi (unilaterale) più ampio e più flessibile in quanto si supera la precedente necessità di individuare “mansioni equivalenti”.
Con la precedente norma, infatti, in caso di contestazione da parte del lavoratore, il Giudice, per accertare la legittimità del cambio di mansioni non si limitava a verificare l’eguaglianza retributiva e la riconducibilità delle nuove mansioni al medesimo livello di inquadramento contrattuale, ma si accertava che sussistesse l’equivalenza professionale.
Oggi invece il datore di lavoro potrà assegnare unilateralmente il dipendente a qualsiasi mansione purché riconducibile allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte, con riferimento solo alle declaratorie ed ai profili professionali del contratto collettivo.

Un esempio per chiarire meglio il concetto: un quadro direttivo potrà essere adibito a qualsiasi mansione, anche se precedentemente svolta da lavoratori con inquadramento inferiore, purché i suoi nuovi compiti rientrino tra quelli che possono essere svolti da appartenenti alla categoria dei quadri direttivi.

In caso di “modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore”, il datore di lavoro può assegnare a quest’ultimo mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore purchè rientranti nella medesima categoria legale.
Questo significa che, a seguito di modifiche dell’attività produttiva o dell’organizzazione del lavoro, il datore di lavoro può attribuire al lavoratore mansioni appartenenti ad un livello contrattuale più basso,  pur mantenendo il medesimo inquadramento.

Le contrattazione collettiva potrà disciplinare ulteriori ipotesi nella quali il datore di lavoro sarà legittimato a demansionare, con i limiti di cui sopra, il lavoratore.
In questi casi il mutamento di mansioni deve avvenire con determinate garanzie:
1. Dev’essere accompagnato, “ove necessario” dall’assolvimento dell’obbligo formativo (la cui violazione, tuttavia, non determina la nullità della assegnazione);
2. Dev’essere comunicato per iscritto “a pena di nullità”;
3. Non determina un abbassamento del livello di inquadramento;
4. Non può comportare una riduzione del trattamento retributivo.

Queste garanzie, tuttavia, possono venire a mancare in situazioni particolari, come prevede il sesto comma del rinnovato art. 2103, che prevede la possibilità di sottoscrivere accordi bilaterali che comportino peggioramenti delle mansioni, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione. Ciò quando tali modifiche rispondano alla necessità:
1. Di conservare il posto di lavoro del dipendente
2. Di acquisire una diversa professionalità
3. Di migliorare le condizioni di vita personali.

Anche in questo caso facciamo un esempio. Un quadro direttivo preposto ad una filiale che viene soppressa potrebbe essere posto di fronte alla prospettiva di un trasferimento a centinaia di Km di distanza; in alternativa, l’Azienda potrebbe proporgli, al fine di “migliorare le sue condizioni di vita personali un accordo bilaterale con il quale accetta un peggioramento dell’inquadramento e di conseguenza una retribuzione più bassa pur di restare nei pressi del Comune di residenza.

L’articolo 2103 regolamenta anche i casi in cui il lavoratore si trovi a svolgere mansioni superiori rispetto al suo inquadramento; in questo caso ha diritto al trattamento normativo ed economico corrispondente all’attività svolta.
L’assegnazione diviene definitiva trascorso un periodo fissato dai contratti collettivi o aziendali o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi (In precedenza l’art. 2103 prevedeva un periodo di 3 mesi continuativi). Il lavoratore ha in ogni caso la facoltà di rifiutare l’assegnazione, rinunciando a vedersi attribuire l’inquadramento superiore.
Non si matura il grado nel caso in cui l’adibizione a mansioni superiori sia dovuta alla sostituzione di un lavoratore assente, con diritto di quest’ultimo a riprendere la mansione una volta cessata l’assenza.