L’azienda mi mette in cassa integrazione e mi costringe a lavorare

Quelle che seguono sono testimonianze di lavoratrici e lavoratori costretti a lavorare a nero pure essendo stati posti in CIG a seguito dell’emergenza Covid.

Pur non avendo raccolto testimonianze dirette, possiamo ragionevolmente supporre che il fenomeno riguardi anche il nostro settore, in particolare nel comparto dell’appalto assicurativo, dove la possibilità di ricorrere allo smart working ha reso più facile sfruttare il lavoro nero,  non essendo necessaria la presenza in agenzia dei lavoratori.
Truffe del genere si erano già verificate in città nell’immediato post sisma: purtroppo è estremamente difficile perseguirle visto lo stato di assoluta ricattabilità in cui vivono i lavoratori del comparto.


La minaccia/1. “Questa è la proposta che mi ha fatto il mio datore di lavoro: tu lavori da casa a tempo pieno e io ti do la differenza in nero tra la cassa integrazione e il tuo stipendio. Io ho risposto di no e, forse, ne pagherò le conseguenze, ma purtroppo alcuni miei colleghi hanno accettato”.
F. B.

La minaccia/2. “La mia azienda ci fa lavorare in nero le giornate festive al costo delle ordinarie (senza il supplemento del 28%) in regime di cassa integrazione. O ci accontentiamo oppure ci verranno pagate alla fine della cassa integrazione, cioè non si sa ancora quando”.
L.

Alla luce del sole. “Un importante resort siciliano ha riaperto a metà maggio. Sono ripartite tutte le attività e tutti i dipendenti hanno ripreso a lavorare. Peccato che siano ancora in Cassa integrazione”.
G. A.

Da Nord a Sud. “Io con i miei 100 colleghi, distribuiti su 3 diversi sedi (Lombardia, Toscana e Sicilia), siamo stati messi in cassa integrazione, ma abbiamo sempre tutti lavorato in smart working”.
S.

Senza interruzione. “Lavoro in un hotel lombardo e sono un addetto alla reception. Ho lavorato tutto il periodo del lockdown senza ricevere un soldo dai titolari, ma solo dalla Cig. L’hotel non segue le più elementari disposizioni contro il coronavirus”.
R. C.

L’inganno sui banchi. “Sono un insegnante dipendente di una scuola paritaria. Nei mesi di lockdown, noi insegnanti (siamo tutti dipendenti a tempo determinato) ci siamo adoperati per fare le lezioni online. L’azienda si è dimostrata totalmente assente ed è sempre stata informata di ogni situazione manifestando il proprio benestare ed esprimendo anche la propria gratitudine per il lavoro svolto. A fine marzo ci comunicano che per tutelare noi dipendenti veniamo messi in cassa integrazione e che l’azienda avrebbe pagato soltanto una percentuale del nostro orario settimanale. In maniera verbale ci viene detto che per noi non sarebbe cambiato nulla: ‘Avrete il vostro stipendio. Non perderete un euro, lasciando quindi intendere che l’istituto ci avrebbe pagato la differenza tra il normale stipendio e la cassa integrazione. Non è stato così. In tre mesi (marzo, aprile e maggio) ho perso più di 500 euro al mese. Purtroppo lo abbiamo scoperto solo a fine giugno, quando ormai l’anno scolastico era finito e noi avevamo regolarmente continuato a insegnare. Invece le rette imposte dalla scuola alle famiglie (da 3 mila a 5 mila euro annui a studente) è stata interamente versata dai genitori”.
R. C.

Evasione fiscale e nero. “Lavoro nel settore dei trasporti. Durante il lockdown ho avuto a che fare con tante imprese che sono rimaste aperte. Io andavo a caricare da loro, ma mi facevano una bolla provvisoria per poter viaggiare. Poi, quando arrivavo a destinazione, strappavano i documenti per dichiarare di essere fermi. Così non hanno mai fatturato”.
M.

La truffa dell’Iban. “Nell’azienda artigiana dove lavoro hanno chiesto la Cig per noi dipendenti, ma invece di dare il nostro Iban hanno dato quello dell’azienda. Quando sono arrivati i soldi degli ultimi 20 giorni di marzo, l’azienda si è trattenuta la Cig dei dipendenti per 20/25 giorni prima di darcela”.
P. P.

La ritorsione. “Nell’hotel dove lavoro a orario pieno, la titolare ci paga lo stipendio metà lei e metà grazie alla Cassa integrazione. Io ho un contratto per la sostituzione di una dipendente che è in malattia. Un paio di dipendenti si sono lamentati dicendo che se lei paga solo metà stipendio, loro vogliono fare metà orario: li ha lasciati a casa”.
S. C.

Surreale. “Ho lavorato e lavoro regolarmente pur essendo in Cig fino al 31 agosto. I soldi mi sono stati anticipati dall’azienda e la differenza tra la quota dell’Inps e il mio stipendio mi è stata data dal datore di lavoro, tranne che per un mese dove da loro non ho preso nulla”.

 

Pubblicate su Il Fatto Quotidiano del 7/8/2020

 

Sullo stesso argomento

https://www.fisaccgilaq.it/lavoro-e-societa/le-truffe-delle-aziende-sulla-cig-600-volte-maggiore-di-quelle-sul-reddito-di-cittadinanza.html




Le truffe delle aziende sulla CIG: 600 volte maggiore di quelle sul reddito di cittadinanza

La Cassa erogata impropriamente per il Covid ammonta a 2,7 miliardi, mentre le piccole “truffe” da reddito di cittadinanza sono costate solo 4,5 milioni.


Se il “furbetto” ha appeso al collo il cartellino del Reddito di cittadinanza potete stare tranquilli che contro di lui si scaglierà tutto l’establishment italiano. Partiti moderati, giornali liberali, opinionisti e parlamentari d’assalto. Se, invece, il “furbetto” succhia la Cassa integrazione da Covid senza averne diritto, a finire nei guai è chi solleva il problema.

 

Gli allarmi di Inps e Cgil

Lo scorso giugno il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, aveva fatto notare, a proposito di Cassa integrazione che “stiamo sovvenzionando anche aziende che potrebbero ripartire, magari al 50%, e grazie agli aiuti di Stato preferiscono non farlo”. Finì male per lui, sul piano mediatico, con Confindustria a guidare il coro dell’indignazione: “Parole inaccettabili”, anzi no, “sconcertanti”, meglio, “ingenerose”, di più “offensive”, ecco i soliti “pregiudizi anti impresa”.

L’allarme, in realtà, lo aveva lanciato la Fillea-Cgil, il sindacato degli edili, già il 30 marzo facendo notare che “l’informativa ai sindacati come atto interno senza obbligo di comunicazione all’Istituto potrebbe rappresentare l’inizio di una pratica furbesca che vedrà centinaia di aziende di fatto scavalcare gli obblighi di legge”. La Fillea si era sbagliata per difetto, a oggi, secondo i dati forniti dall’Inps, le imprese già “beccate” nella “pratica furbesca” sono 2.600.

Quando invece si è trattato di denunciare la “dimenticanza” della moglie di un detenuto al 41-bis, che non aveva specificato nella domanda per il Reddito di cittadinanza la singolare collocazione del coniuge, lo scandalo è stato unanime. Tutti i detrattori di quella misura si sono sbracciati per chiederne l’abrogazione. Peggio ancora quando sono stati scovati ben 37 “furbetti”, (33 italiani e 4 stranieri), denunciati dai carabinieri nell’ambito di un’operazione denominata Jobless Money (Soldi senza lavoro), tra cui elementi di spicco della cosca Piromalli-Molè di Gioia Tauro. La notizia, in realtà, nei casi citati è che i controlli avevano funzionato.

 

I numeri della Gdf

I dati però rendono ragione dei diversi allarmi. Al 21 giugno scorso, secondo la Guardia di Finanza, sono 709 i “furbetti” scoperti nel 2019 nell’ambito dei 22.151 interventi per la tutela della spesa pubblica. Secondo i dati Inps, il reddito medio del Reddito di cittadinanza è di 521 euro mensili. I 709 beneficiari indebiti scoperti sono costati quindi 4.432.668 euro, poco meno di 4,5 milioni di euro. Stiamo parlando di una misura che ha un costo complessivo annuo di 7,5 miliardi che, secondo l’ultimo report al 7 luglio, giunge a 1,2 milioni di beneficiari per un totale di 2,9 milioni di persone coinvolte di cui 750 mila minori. Questa è la fotografia del Reddito che, come ormai è opinione diffusa tra chi si occupa di politiche sociali, ha garantito una tenuta importante durante l’emergenza Covid.

A svelare la realtà delle cose ci ha pensato però l’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, lo scorso 28 luglio, che ha mostrato una realtà finora intuita ma non ancora rivelata. Oltre un quarto delle imprese beneficiarie della cassa integrazione “da Covid” non ne aveva bisogno e, seppur a norma di legge, ha usufruito di una misura indebita. “Oltre un quarto delle ore è stato tirato da imprese che non hanno subito alcuna riduzione di fatturato” è l’analisi dell’Upb, che però non ha fatto una stima dei costi complessivi.

 

La denuncia dell’Upb

Cassa integrazione, fondi bilaterali e cassa in deroga sono state richieste finora da circa 553 mila imprese. Le ore effettivamente “tirate”, cioè realmente utilizzate, sono 536 milioni e, secondo i dati aggiornati al 13 luglio 2020 (relative ai mesi di febbraio, marzo, aprile e, parzialmente, di maggio per quanto riguarda gli anticipi delle aziende) hanno prodotto una spesa di 10 miliardi (10 miliardi e 90 milioni, per l’esattezza) di cui 5,728 miliardi corrisposti direttamente dall’Istituto e 4,362 anticipati dalle aziende. La percentuale di ore utilizzate per Covid, ma senza cali di fatturato, è del 27% quindi, conferma l’Inps, si può quantificare in 2,7 miliardi l’ammontare di spesa che si sarebbe potuta risparmiare in presenza di un comportamento corretto. Oppure, aggiungiamo noi, in presenza di controlli più stringenti o di una verifica sindacale come chiedeva a marzo la Cgil. La Cig con causale Covid-19 è stata data, infatti, senza alcuna verifica, senza relazioni tecniche o accordi sindacali. L’estensione alle imprese con meno di 5 dipendenti ha reso ancora più ampia la platea e meno agevoli i controlli.

L’unica illegalità è quella in cui le imprese che ricorrono alla cassa integrazione continuino l’attività facendo lavorare i dipendenti in nero o, addirittura, in smart working. Dirlo o scriverlo è legato a una idea soviettista e “anti-imprese”? Neanche per sogno. Dai controlli a campione effettuati dall’Inps sono risultate ben 2.600 imprese (all’elenco in tabella vanno aggiunte almeno altre 300 matricole Inps bloccate dall’Istituto) che rientrano nella componente di illegalità.

Se i “furbetti” del Reddito costano quindi allo Stato circa 4,5 milioni di euro, i furbetti della Cig costano 2,7 miliardi, 600 volte in più. Con buona pace di Bonomi, Confindustria e di tutti quelli a cui piace vedere la povera gente restare povera e quella benestante diventare un po’ più ricca.

 

Articolo di Salvatore Cannavò sul Fatto Quotidiano del 1/8/2020

 




Sottoscritto protocollo con ABI e Federcasse per anticipazione CIG

Dal servizio di Valentina Conte su Repubblica.it – I primi soldi della Cassa integrazione arriveranno entro Pasqua, dunque ben prima dei canonici 2-3 mesi di lavorazione delle pratiche. La convenzione sottoscritta dalle parti sociali (sindacati e imprese), Abi (Associazione bancaria italiana) e ministro del Lavoro Nunzia Catalfo consente agli istituti di credito di anticipare fino a un massimo di 1.400 euro per la Cig a zero ore di 9 settimane (assegno proporzionato, se per periodi inferiori o se part-time). Tanto quanto dura il periodo di copertura previsto dal decreto Cura Italia per i lavoratori delle imprese chiuse per l’epidemia. Ma che presto potrebbe essere allungato dal governo nel decreto di aprile.

Tanto quanto dura il periodo di copertura previsto dal decreto Cura Italia per i lavoratori delle imprese chiuse per l’epidemia. Ma che presto potrebbe essere allungato dal governo nel decreto di aprile. La convenzione si presenta come un’operazione a costo e burocrazia zero per il lavoratore. Le banche, come nel decennio della crisi finanziaria partita nel 2008, anticiperanno le somme e verranno poi ristorate direttamente da Inps. Qualora l’importo complessivo della Cig fosse superiore ai 1.400 euro, sarà  la stessa banca a integrare la differenza, una volta incassate le risorse extra dall’Istituto di previdenza “entro al massimo 7 mesi”.

Dall’account twitter del portavoce del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini:

Dl Cura Italia, Landini: somme a lavoratori da banche convenzionate Anticipo fino a 1.400 euro per cig a zero ore di 9 settimane . Governo, Parti sociali, Banche hanno raggiunto a tarda notte un accordo per non lasciare i lavoratori in Cig per il Covid-19 senza integrazione al reddito. In attesa che le aziende eroghino l’integrazione al reddito (cig in deroga per il coronavirus) saranno le banche convenzionate ad anticipare le somme ai lavoratori. E’ quanto si legge sull’account Twitter del portavoce del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. Le banche convenzionate – si prosegue – daranno un anticipo fino a 1.400 euro per la cig a zero ore di 9 settimane (assegno proporzionato se per periodi inferiori o se part time). Gli anticipi bancari sono per i lavoratori che utilizzano i trattamenti di integrazione al reddito previsti dal decreto 18/20.


ALLEGATI:


FEDERCASSE E SEGRETERIE NAZIONALI DELLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI DEL CREDITO COOPERATIVO SU CONVENZIONE PER L’ANTICIPAZIONE DELLA CASSA INTEGRAZIONE

Soddisfazione per Convenzione promossa dalla Ministra del Lavoro Catalfo e sottoscritta dalle Parti Sociali nella notte tra il 30 e il 31 marzo. Federcasse promuoverà l’adesione alla Convenzione da parte delle BCC, delle Casse Rurali e delle Casse Raiffeisen anche attraverso le rispettive Capogruppo Iccrea Banca e Cassa Centrale Banca e la Federazione Raiffeisen.

Federcasse e le Organizzazioni Sindacali di categoria (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Sincra Ugl Credito) esprimono soddisfazione per i contenuti della Convenzione promossa dalla Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e sottoscritta dalle Parti Sociali ieri notte, per favorire da parte delle banche l’anticipazione ai lavoratori dei trattamenti ordinari di integrazione al reddito e di cassa integrazione in deroga per la sospensione dal lavoro causata dall’emergenza Covid-19.

Federcasse – che ha contribuito alla Convenzione fornendo propri spunti attraverso ABI e Confcooperative alle quali va un ringraziamento – promuove con convinzione l’adesione alla Convenzione da parte delle Banche di Credito Cooperativo e delle Casse Rurali, con la collaborazione delle rispettive Capogruppo, e delle Casse Raiffeisen, attraverso la Federazione Raiffeisen.

Ciò in continuità con precedenti e proficue esperienze già intraprese in numero significativo anche con accordi a livello regionale e provinciale dalle banche della Categoria e in linea con la particolare attenzione per natura dedicata alle esigenze dei soci, delle famiglie e delle imprese clienti. L’obiettivo statutario delle BCC di contribuire alla coesione sociale dei territori e di proteggerne il capitale umano affiancando chi vi lavora e vi abita potrà essere ulteriormente perseguito in una fase di ciclo negativo senza precedenti.

Federcasse e le Organizzazioni sindacali del Credito Cooperativo, come condiviso nel Protocollo sottoscritto il 24 marzo scorso sulle Misure di prevenzione, contrasto e contenimento della diffusione del virus Covid-19 nella Categoria del Credito Cooperativo, che prevede l’accesso della clientela nelle filiali solo su appuntamento, invitano coloro che saranno interessati alle misure previste dalla Convenzione a rivolgersi telefonicamente o via e-mail alla propria BCC-Cassa Rurale-Cassa Raiffeisen per ricevere l’assistenza necessaria.

Roma, 31 marzo 2020




L’occupazione aumenta? È solo un bluff

Col boom della cassa integrazione è come se ci fossero 139mila disoccupati in più.

I dati non lasciano scampo. Nei primi sei mesi dell’anno la Cassa integrazione totale, in termini di ore, ha avuto un’impennata di oltre il 16% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ma quel che più conta in negativo è che, dopo sei anni di costante calo, il ricorso al più noto ammortizzatore sociale del sistema di welfare è tornato a crescere. Al punto che, negli ultimi 180 giorni, il numero dei cassintegrati a zero ore (di fatto disoccupati) ha toccato quota 139mila lavoratori: una cifra che da sola annulla l’incremento di 92mila occupati registrato a maggio su base annua dall’Istat. E che porta, secondo gli esperti del settore e i sindacati, a bollare come propaganda le fanfare fatte suonare da Luigi Di Maio e dagli altri big grillini di fronte alle più recenti statistiche dell’Istat.

A rielaborare i numeri e gli andamenti della Cassa integrazione dal 2012 a oggi è il Centro studi dell’Associazione Lavoro & Welfare dell’ex Ministro Cesare Damiano. Ebbene, in sette anni si passa da un totale annuo di ore di Cig che supera il miliardo e 100 milioni nel 2012 a 216 milioni nel 2018. Dalla grande crisi alla ripresa, la diminuzione della Cassa integrazione accompagna, anno dopo anno, il miglioramento delle prospettive economiche dell’economia italiana. Il crollo delle ore di Cassa è rilevante: meno 80,61% tra 2012 e 2018. E, di fatto, l’andamento più favorevole del Pil e della produzione industriale sono coerenti e contestuali.

Ma, dall’inizio del 2019, il motore dell’azienda Italia torna a incepparsi e, insieme con il raffreddamento del Pil fino a zero o quasi, torna a salire il ricorso alla Cig: e così nei primi sei mesi dell’anno le ore di Cig tornano ad aumentare del 16,29 per cento, fino a circa 144 milioni.

Il che lascia ipotizzare che, se il trend continuerà nel secondo semestre, a fine anno si potrebbe arrivare a 288 milioni di ore contro le 216 del 2018. Un segnale grave, che indica un netto peggioramento dello stato di salute delle imprese e dell’economia manifatturiera in particolare.

Dietro le ore, però, ci sono le persone in carne e ossa. In base alle ore di Cig totali si sono perse circa 18 milioni di giornate lavorative. I lavoratori hanno visto diminuito complessivamente il loro reddito di quasi 590 milioni di euro, al netto delle tasse. Ma, soprattutto, scrivono gli esperti del Centro studi, “se consideriamo le ore totali di Cig equivalenti a posti di lavoro con lavoratori a zero ore, in questi primi sei mesi del 2019 (ventisei settimane lavorative) si determina un’assenza completa di attività produttiva per oltre 139.000 lavoratori“. In sostanza è come se avessimo in sei mesi circa 140mila nuovi disoccupati (133mila fino a maggio), che, però, per l’Istat non sono tali proprio perché in Cassa integrazione.

Ora, tenendo conto che per l’Istituto di statistica, a maggio, su base annua l’occupazione è cresciuta di 92mila unità, la realtà dei fatti è che con l’impennata dei cassintegrati a zero ore (più 133mila fino a maggio) si sono di fatto persi oltre 21mila posti di lavoro. E se è vero che quelli dell’Istat sono dati statistico-campionari e quelli Inps, alla base dell’elaborazione, sono dati amministrativi (relativi a casi reali), l’osservazione avvalora ancora di più il contrasto tra le stime e i numeri reali.
Dunque, come osserva Damiano, “l’enfasi con la quale Di Maio magnifica i meravigliosi risultati del decreto Dignità cozza con i dati di realtà. Il primo è dato dalla ripresa della Cassa integrazione da inizio anno. Il secondo è che su base annua, nel confronto 2008-2018, manca all’appello circa un miliardo di ore di lavoro: il che vuol dire che l’aumento statistico degli occupati comprende sempre più lavoro di scarsa qualità e di bassa retribuzione”.

 

fonte: www.quotidiano.net