Referendum avanti tutta: superate le 500mila firme

In tutto le sottoscrizioni raccolte finora sono 582.244. Giove, Cgil: “Ci ha colpito l’assoluta trasversalità delle adesioni”. La campagna non si ferma


 

Quasi 600mila firme raccolte. Il requisito minimo richiesto per i quesiti sul lavoro presentati dalla Cgil è raggiunto e superato (ne servivano 100mila in meno) dopo poche settimane. In tutto le sottoscrizioni sono 582.244. Il giro di boa arriva a metà percorso. Davanti a noi un altro mese abbondante di banchetti che migreranno verso il mare per continuare a macinare adesioni. Con l’obiettivo dichiarato che il Quadrato rosso non ha mai nascosto, mettere insieme più firme possibili, al di là di quel che richiede la legge, che a questo punto è già al sicuro in cassaforte.

“Vado al massimo, vado a gonfie vele”, potremmo canticchiare, rubando l’immortale ritornello di Vasco, per accompagnare l’impegno generoso dell’organizzazione e delle mille strutture che si diramano sul territorio. Perché nessuno ha mai temuto di non riuscire a prenderle queste 500mila firme, ma non era neanche facile o scontato che in poche settimane l’obiettivo minimo sarebbe stato superato.

 

 

(CLICCA QUI PER FIRMARE)

 

Fonte: collettiva.it




La ASL dell’Aquila vieta la raccolta delle firme per i referendum

I padroni della ASL1 provano ad impedire i diritti costituzionali

Pensavamo di aver assistito al peggio, ma come dice il proverbio “ al peggio non vi è mai fine”. Ed infatti nel loro ruolo di “potenti di turno” i vertici della ASL 1 della Provincia dell’Aquila oggi hanno superato sé stessi.

La Cgil è impegnata in questi giorni in una campagna capillare, sul territorio  nazionale, per la raccolta firme per la promozione di 4 referendum abrogativi di norme particolarmente odiose e pregiudizievoli per il mondo del lavoro.
Anche la Cgil della Provincia dell’Aquila è impegnata con tutte le proprie risorse nella straordinaria campagna con iniziative sul territorio. Come da prassi e rispetto istituzionale il giorno 5 giugno abbiamo inviato formale comunicazione di preavviso alla Direzione Generale della ASL1 annunciando la nostra presenza nel piazzale antistante il Cup dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila, con un nostro banchetto dedicato
alla raccolta firme. Procedura, peraltro, già svolta in precedenti due occasioni con straordinaria partecipazione popolare alla sottoscrizione dei quesiti referendari.
In questa occasione però i vertici della ASL 1, che normalmente non si adoperano celermente alla risoluzione dei tanti ed annosi problemi del sistema sanitario provinciale, hanno voluto dare dimostrazione di tempestiva efficienza. 

Infatti, a poche ore dalla nostra comunicazioni ci siamo visti recapitare una “simpatica missiva” a firma congiunta del Direttore Sanitario e del Direttore Amministrativo, che con due stringatissime righe hanno negato il permesso. Tempestività ed efficienza non riscontrabili nella gestione quotidiana dell’azienda soffocata dal passivo di bilancio, da liste d’attesa interminabili, da mobilità passiva in crescita esponenziale e da un saldo negativo di mobilità che ha visto raggiungere il suo
massimo storico, da carenza di personale e desertificazione sanitaria delle aree interne.

Certamente avranno pensato che il banchetto Cgil potesse provocare “moti e subbugli tali da non essere governabili.
Certamente hanno dimostrato, se ve ne fosse ancora bisogno, la loro distanza siderale dall’esercizio della democrazia, hanno in definitiva esercitato un “potere” loro concesso pro tempore ”infischiandosene“ del fatto che in quel banchetto avremmo solo promosso un diritto costituzionalmente garantito.
Hanno agito con il potere del “padrone” sulla esigibilità di spazi che sono pubblici, destinati ad un servizio pubblico ed afferenti ad un bene comune, dimostrando ancora una volta di essere corpi estranei alla nostra comunità.
Loro sono così. Distanti anni luce dal sentire comune, loro vivono arroccati nel palazzo, privi di qualsivoglia sensibilità verso i bisogni ed i diritti delle persone.

Noi andremo avanti, terremo i nostri banchetti in altri luoghi, noi lavoriamo a tener viva la Costituzione di questo paese. La nostra straordinaria mobilitazione, lo vogliamo ricordare ai due Direttori, è finalizzata a superare le norme che impediscono il reintegro delle Lavoratrici e dei Lavoratori illegittimamente licenziati, ad abrogare le norme che facilitano i licenziamenti nelle piccole imprese, ad abrogare le norme che facilitano l’utilizzo del lavoro precario, ed a ripristinare la responsabilità solidale dell’appaltante sugli infortuni sul lavoro.

Una straordinaria mobilitazione per riconsegnare dignità al lavoro secondo i principi di equità, solidarietà, giustizia ed uguaglianza.

L’Aquila, 6 giugno 2024

Il Segretario Generale Cgil L’Aquila
Francesco Marrelli

Il Segretario Cgil L’Aquila
Domenico Fontana




No, il Jobs Act non ha fatto aumentare l’occupazione

Il referendum Cgil ha risvegliato i fan della riforma: rimettiamo in fila i numeri (Istat) che ne mostrano il fallimento


È almeno dal 2018 che i fan più accaniti della stagione renziana sostengono una teoria fantasiosa: il Jobs Act – dicono – ha “creato” un milione di posti di lavoro in tre anni e la gran parte di questi a tempo indeterminato. Se qualcuno chiede loro la fonte, la risposta è pronta: l’Istat. Ecco, in realtà proprio dalla banca dati dell’Istituto nazionale di statistica emerge una verità opposta: due terzi dell’occupazione dipendente creata nel triennio tra il 2015 e il 2018 – quello di massima operatività del Jobs Act, prima che Corte costituzionale e primo governo Conte avviassero una leggera controriforma – è precaria, a tempo determinato: solo il 35% della nuova occupazione creata era invece a tempo indeterminato. Più del Jobs Act del 2015 poté il decreto Poletti del 2014, che aveva “liberalizzato” il ricorso al lavoro a termine.

Pareva un dibattito chiuso, ma ora che la Cgil propone un referendum per abrogare il decreto attuativo del Jobs Act che ha cancellato il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo (il vecchio articolo 18), i fan della riforma renziana – che in realtà fu dettata da Confindustria parola per parola – tornano a scatenarsi e si dicono ancora convinti, malgrado le evidenze statistiche e scientifiche, del bengodi occupazionale seguito alla maggior libertà di licenziare decisa da Renzi (in realtà era uno dei “consigli” all’Italia contenuti nella lettera della Bce del 2011).

Qui cercheremo di fare il punto usando un po’ di numeri, ma prima dobbiamo intenderci sul significato del verbo “creare” in relazione ai posti di lavoro. È bizzarro che qualcuno possa essere convinto che i posti di lavoro si “creino” con una semplice riforma dei licenziamenti. In realtà la salita dell’occupazione di quegli anni, che c’è stata, deriva da una serie di fattori economici, il primo dei quali è la (lenta e frammentata) fuoriuscita dalla doppia crisi del 2008 e del 2011/12.

E allora ecco i numeri. A marzo 2015 gli occupati dipendenti in Italia erano 16,6 milioni, così suddivisi: 14,3 milioni a tempo indeterminato e 2,3 milioni a tempo determinato (dato che, peraltro, segnava già una crescita rispetto al 2014). Il Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo 2015 e, nel frattempo, erano già stati previsti ricchi incentivi alle assunzioni stabili. Queste scelte di politica economica si sono inserite in un contesto già di per sé favorevole: la doppia crisi era alle spalle, si tornava a intravvedere il segno “più” in diversi indicatori e soprattutto la Bce aveva avviato una politica monetaria espansiva (il quantitative easing).

Questo ha ovviamente comportato un aumento dell’occupazione sostanzioso e dopo un triennio, a novembre 2018, i posti di lavoro dipendenti in Italia risultavano cresciuti di poco più di un milione. Una dinamica simile a quella del resto degli altri Paesi europei (Grecia esclusa), che pure non avevano certo approvato il Jobs Act renziano.

A questo punto possiamo tornare a guardare alla qualità dell’occupazione creata in quel periodo. Partiamo dal perché abbiamo scelto come riferimento per confrontare i dati il novembre del 2018: in quel mese entrarono in vigore le prime norme del cosiddetto “decreto Dignità”, che modificavano alcune parti del Jobs Act e del decreto Poletti, aumentando gli indennizzi per i lavoratori licenziati e riducendo le possibilità di stipulare contratti precari. Non solo: a fine settembre 2018 la Consulta aveva bocciato il contratto a tutele crescenti, principale creatura del Jobs Act, laddove prevedeva indennizzi fissi e legati alla sola anzianità di servizio per i licenziamenti illegittimi. Tradotto: a partire dall’autunno del 2018 la riforma renziana iniziava a perdere pezzi, abitudine che in seguito non ha mai perso.

Ecco allora com’era messa l’occupazione a novembre 2018: 14,67 milioni di occupati stabili e quasi 3 milioni precari. Rispetto all’entrata in vigore del Jobs Act, insomma, due terzi dei nuovi posti di lavoro era a tempo determinato e poco più di un terzo permanente. Ne consegue che la ragione con cui si giustificò il Jobs Act – le imprese assumeranno a tempo indeterminato perché possono licenziare – è stata smentita dai numeri e chi la ripete oggi è disinformato o un mentitore.

In realtà, gli effetti degli interventi di Renzi e soci sul lavoro sono anche peggiori di così. Scomponendo i dati si nota che, nel corso del 2015, i contratti a tempo indeterminato avevano compiuto una netta avanzata: quell’anno le assunzioni stabili hanno superato i due milioni. Il motivo è semplice: nel 2015 gli incentivi alle assunzioni hanno coperto il 100% dei contributi a carico dell’azienda. Quando però, nel 2016, lo sgravio è sceso al 40%, il rallentamento è stato netto: meno di 1,3 milioni di assunzioni stabili.

In sostanza, il governo ha sovvenzionato con 10 miliardi di euro assunzioni che ci sarebbero state comunque, mentre nel medio periodo il mercato del lavoro ha sfornato per la gran parte precariato. Dal 2019 (anno in cui, peraltro, l’aumento dei lavoratori dipendenti è stato minimo) non ha alcun senso analizzare il mercato del lavoro sotto la lente del Jobs Act: i molti pezzi persi per strada dalla legge renziana e le mille cose successe al mondo (Covid, guerre, sospensione del Patto di stabilità Ue, Pnrr, eccetera) lo rende un esercizio inutile a livello intellettuale, ancorché non si possa impedire a nessuno di fare propaganda di bassa lega.

Parlando più in generale, in letteratura è un fatto ormai scontato che la precarizzazione non migliori la qualità del mercato del lavoro e finisca per peggiorare anche la produttività. L’economista Andrea Roventini qualche giorno fa ha ricordato una serie di studi sul tema: una pubblicazione del Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, ha mostrato come questo tipo di riforme abbiano aumentato la volatilità e la disuguaglianza delle retribuzione, rallentando l’accumulo di capitale umano e contribuendo al rallentamento della produttività. Uno studio della Banca d’Italia ha analizzato la riforma dei contratti a termine approvata nel 2001 dal governo Berlusconi, concludendo che ha aumentato i rapporti precari senza far crescere l’occupazione, sfavorendo i giovani e facendo salire i profitti delle imprese.

Cambiare il mercato del lavoro, peraltro, ha conseguenze sulla vita tutta. Nel 2020 uno studio condotto da tre ricercatori ha mostrato come la maggiore incertezza del lavoro si sia tradotta in minore propensione delle donne ad avere figli: dall’indagine è emerso, in particolare, che le donne assunte dopo il Jobs Act, quindi senza il paracadute dell’articolo 18 in caso di licenziamento, prendevano i congedi di maternità con frequenza ben minore rispetto a quelle assunte prima di marzo 2015.

Riassumendo, e non prima di aver ribadito l’impossibilità di legare l’andamento del mercato del lavoro a una riforma dei contratti, non risulta che il Jobs Act abbia favorito una crescita dei posti stabili, mentre è oggettivo che abbia ridotto le tutele dei lavoratori fino a farle diventare del tutto insufficienti a proteggerne i diritti. Ecco perché, negli scorsi anni, è stato spesso e volentieri censurato nei tribunali, a partire dalla Corte costituzionale, e da altri organi di diritto internazionale come il Comitato europeo per i diritti sociali.

 

Articolo di Roberto Rotunno sul Fatto Quotidiano del 27 maggio 2024

 




“La Via Maestra”, 25 maggio a Napoli manifestazione nazionale

Dalla manifestazione nazionale del 7 ottobre, sono trascorsi più di 7 mesi: la situazione internazionale e del Paese è andata pericolosamente aggravandosi.
  • Il rischio di una guerra generalizzata nel  mondo è sempre più forte.
    A Gaza, in Medio Oriente, in Ucraina, in Sudan e in altre aree  del mondo proseguono e si allargano la carneficina e la corsa al riarmo
  • Sui cambiamenti climatici non c’è inversione di tendenza, anzi si fanno passi indietro mentre aumentano le vittime e i danni, colpendo di più le persone, i lavoratori e i territori più fragili. La transizione ecologica va governata, per renderla socialmente giusta, fondata su una nuova qualità del lavoro e dello sviluppo.
  • L’Unione Europea, invece di essere un fattore di pace e di progresso, rischia di perdere il proprio ruolo di inclusione e di cooperazione e con il patto su migranti e asilo smarrisce anche la propria umanità.
  • In Italia l’attacco all’unità del Paese, alla Costituzione e alla democrazia prende il nome di autonomia differenziata ed elezione diretta del Presidente del Consiglio. Così si approfondiscono le disuguaglianze e si mortifica la partecipazione democratica.
  • La libera informazione, la libertà di manifestare, il diritto al dissenso, l’autonomia della magistratura sono sotto l’attacco di un crescente autoritarismo. Il ruolo dei corpi intermedi è svilito e negato.
  • La situazione sociale ed economica è sempre più grave, il lavoro è sempre più precario soprattutto per giovani e donne. Basta con le morti sul lavoro: bisogna cambiare radicalmente l’attuale sistema fondato su appalti e subappalti e investire su salute e sicurezza. C’è un’emergenza salari e pensioni, le diseguaglianze e la povertà crescono, il welfare – a partire dal diritto alla salute, all’istruzione e all’abitare – è sempre di più definanziato, in progressivo smantellamento e indebolito dalle privatizzazioni. Non si  contrasta l’evasione fiscale e si attuano, invece, interventi regressivi come la flat tax. I diritti sociali e civili, a partire da quelli delle donne, sono a rischio. Anziché investire sulla giusta transizione e su nuove politiche industriali si sprecano risorse per opere inutili come il ponte sullo Stretto. Il governo non dà le risposte che servirebbero: invece di contrastare queste tendenze le determina.

Ecco perché il 25 MAGGIO torniamo in piazza 

a NAPOLI con LA VIA MAESTRA

Il nostro paese ha bisogno di partecipazione, del ruolo delle organizzazioni sociali e sindacali, dei cittadini e delle cittadine che si associano per il bene comune. La Costituzione continua ad essere il nostro programma politico: per la democrazia, per la pace, per il clima, per la giustizia sociale, per il lavoro dignitoso, per dare un futuro sostenibile a questo paese.

Le nostre proposte sono in continuità con la manifestazione del 7 ottobre 2023: chiediamo politiche concrete, risposte puntuali, iniziative rapide per costruire

 

UN’ITALIA CAPACE DI FUTURO, UN’EUROPA GIUSTA E SOLIDALE

IL PAESE NE HA BISOGNO, SUBITO!

 

La Cgil Abruzzo Molise organizza pullman da tutte le principali località delle due regioni. Qui trovi le informazioni utili per partecipare e il numero da contattare per prenotarti

 




Le morti sul lavoro non sono incidenti. Sono una scelta

Immaginate di guidare ubriachi, di notte, in una strada piena di curve e con i fari spenti. Potreste anche essere fortunati e riuscire a tornare a casa: ma se doveste uscire di strada e finire all’ospedale, potreste davvero dire di essere stati vittime di una tragica fatalità?
Quando parliamo di morti o di infortuni sul lavoro, dobbiamo sapere che ci troviamo in una situazione non troppo diversa da quella – paradossale – da noi immaginata.

L’80% delle morti sul lavoro avviene in aziende in sub-appalto. Fermiamoci un attimo a riflettere su cosa sia il sub-appalto. Un’azienda ottiene l’incarico di effettuare un lavoro, ma decide di non realizzare ciò che si sarebbe impegnata a fare. Trova un’altra azienda, disposta a fare tutto o parte del lavoro ad un prezzo inferiore; quindi glielo cede, intascando la differenza. L’Azienda che ha ottenuto il sub-appalto, può a sua volta decidere di non fare il lavoro, ma trovare qualcuno disposto a farlo ad un prezzo ancora più basso, e così via, fino ad arrivare a raschiare il fondo del barile. E come si fa a realizzare un lavoro al prezzo più basso di tutti? Risparmiando in ogni modo possibile: quindi operai in nero, privi di formazione, privi di attrezzature adeguate o di quei dispositivi di protezione individuale che potrebbero quantomeno ridurre i rischi.

Quando si parla di morti sul lavoro si fa spesso il paragone con una guerra: una similitudine per molti esagerata e non realistica. Eppure c’è un parallelo che appare decisamente calzante. Nel giugno del 1940 l’Italia, che fino ad allora era stata neutrale, decise di entrare in guerra affianco ai Tedeschi. Hitler aveva appena conquistato la Francia, la vittoria del Terzo Reich sembrava imminente: da qui la decisione di Mussolini, che la giustificò ai suoi più stretti collaboratori dicendo: “Ho bisogno soltanto di qualche migliaio di morti per potermi sedere da ex-belligerante al tavolo delle trattative”.

Solo qualche migliaio di morti. Cosa volete che siano? E allo stesso modo, cosa volete che sia qualche migliaio di lavoratori morti di fronte alle supreme esigenze del PIL? E se credete ancora che non sia una scelta deliberata, esiste un’altra prova.

Nel 2015, con il Jobs Act, il Governo Renzi decretò lo svuotamento degli Ispettorati del Lavoro, fino ad allora gestiti dall’Inail, sostituendoli con un Ispettorato Nazionale del Lavoro dotato di risorse ed organici enormemente inferiori. La motivazione ufficiale, il taglio dei costi. In realtà lo scopo principale era un altro: dare tranquillità alle imprese, che sanno di poter operare senza il timore di controlli, con la consapevolezza che le tante irregolarità non emergeranno se non in caso di incidenti gravi.
In fondo di cosa hanno bisogno le aziende? Soltanto qualche migliaio di morti…

Ma davvero questi morti sono utili per far crescere il Paese? Proviamo a rispondere guardando a settori dove l’abuso del subappalto produce conseguenze evidenti ma meno tragiche.
Chiunque abbia mai provato a ricorrere all’assistenza telefonica di gestori di telefonia, luce e gas, Tv satellitari avrà avuto modo di sperimentare un costante peggioramento del servizio: procedure che fanno di tutto per dirottarci su chat gestite da intelligenza artificiale (quasi sempre inutili), percorsi ad ostacoli per trovare il modo per parlare con un operatore, attese interminabili dovute al numero sempre più esiguo di addetti, che sempre più spesso rispondono da paesi dove vengono sottopagati e quindi hanno anche problemi a capirci.
Il tutto serve per risparmiare. Ma a chi va questo risparmio? Non agli utenti, che vedono aumentare le tariffe mentre la qualità del servizio scende esponenzialmente. Il risparmio serve solo ad aumentare i dividendi che vanno in tasca agli azionisti, senza nessun beneficio per nessun altro. Un meccanismo governato solo dall’avidità, che è la vera causa delle morti sul lavoro.
La stessa avidità che vede, nel nostro settore, l’abbandono di territori ed esternalizzazioni sempre più consistenti in nome di utili che devono crescere all’infinito.

Davvero vogliamo rassegnarci a pensare che questo modello economico sia quello giusto?

Noi pensiamo di no, e intendiamo per cambiarlo. Se l’unico criterio al quale ispirarsi è massimizzare il profitto, è normale che le aziende che subappaltano abbiano come unico criterio di scelta l’azienda che chiede di meno. Ma se fossero chiamate a rispondere delle conseguenze degli incidenti sul lavoro, anche se avvenuti presso altre aziende alle quali hanno subappaltato, ecco che la priorità diventerebbe controllare se chi subentra nel contratto offre garanzie adeguate.

Questa richiesta è uno dei quattro quesiti referendari per i quali la Cgil sta raccogliendo le firme. Per scoprire anche gli altri, e sostenerli firmandoli online, vi invitiamo a cliccare su questo link .

Non è facile cambiare il mondo, ma possiamo provarci se ognuno di noi si sforza di fare la sua parte. E in questo caso, il cambiamento può partire da una firma.

 

 




In cosa consistono i referendum della Cgil? Ne parliamo martedì 14 dopo le 17

Martedì 14 maggio, a partire dalle 17:15, si svolgerà una riunione online aperta a tutti le lavoratrici ed i lavoratori, nella quale spiegheremo in modo semplice sintetico le richieste che intendiamo portare avanti e l’importanza dei referendum sui quali vorremmo che tutti potessero esprimersi per contrastare lavoro precario e morti sul lavoro.

Questo è il link per partecipare:

 

https://meet.google.com/xow-pput-hwg

 

 

 

 




Referendum popolari 2025: firma anche tu contro morti sul lavoro e precariato

Il lavoro in Italia è troppo precario e i salari sono troppo bassi. Tre persone al giorno muoiono lavorando. Per realizzare il massimo profitto possibile appalti, subappalti, finte cooperative, esternalizzazioni di attività sono diventati normali modelli organizzativi di ogni azienda privata e pubblica.

Il frutto di vent’anni di leggi sbagliate è un netto peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone che per vivere devono lavorare.

È il momento di ribellarci e di cambiare.

Il lavoro deve essere tutelato perché è un diritto costituzionale. Deve essere sicuro perché di lavoro si deve vivere e non morire. Deve essere dignitoso e perciò ben retribuito. Deve essere stabile perché la precarietà è una perdita di libertà. Per questo ti chiediamo di firmare per poter poi cancellare attraverso il referendum alcune di queste leggi sbagliate.


Quesito 1

Per dare a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.

Cosa vogliamo cancellare?

Le norme sui licenziamenti del Jobs Act che consentono alle imprese di non reintegrare una lavoratrice o un lavoratore licenziata/o in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015.


Quesito 2

Per innalzare le tutele contro i licenziamenti illegittimi per le lavoratrici e i lavoratori che operano nelle imprese con meno di quindici dipendenti

Cosa vogliamo cancellare?

Il tetto massimo all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato nelle piccole aziende, affinché sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite


Quesito 3

Per superare la precarietà dei contratti di lavoro

Cosa vogliamo cancellare?

La liberalizzazione dei contratti a termine per limitare l’utilizzo a causali specifiche e temporanee


Quesito 4

Per rendere il lavoro più sicuro nel sistema degli appalti

Cosa vogliamo cancellare?

La norma che esclude la responsabilità solidale delle aziende committenti nell’appalto e nel subappalto, in caso di infortunio e malattia professionale della lavoratrice o del lavoratore

 


 

COME FACCIO A FIRMARE?

 

Puoi recarti presso la Sede Cgil più vicina a te. Oppure puoi farlo online, accedendo con la tua identità Spid o tramite CIE (Carta d’Identità Elettronica) cliccando su questo link:

www.cgil.it/referendum




“Adesso basta!”: manifestazione nazionale il 20 aprile a Roma

Sabato 20 aprile a Roma è in programma una manifestazione organizzata da Cgil Nazionale e UIL Nazionale per rivendicare salute e sicurezza, diritto alla cura e sanità pubblica, riforma fiscale e tutela dei salari e delle pensioni.

Il concentramento è fissato per le ore 9.00-9.30 presso Piazzale Ugo La Malfa (Circo Massimo) e la partenza del corteo è prevista da Viale Aventino per le ore 10.30. Il comizio conclusivo si terrà in Piazzale Ostiense con Maurizio Landini, Segretario generale nazionale CGIL e Pierpaolo Bombardieri, Segretario generale nazionale UIL.

Questo il percorso del corteo:

  • Piazzale Ugo La Malfa
  • Via del Circo Massimo
  • Viale Aventino
  • Piazza Albania
  • Viale della Piramide Cestia
  • Piazza di Porta San Paolo
  • Piazzale Ostiense.

La manifestazione si concluderà alle ore 13.30 circa.

Saranno organizzati pullman e treni dalle principali località abruzzesi e molisane. Contattate il vostro rappresentante Fisac per prenotarvi.


 

Per approfondire le ragione della mobilitazione:

Cgil e Uil, giovedì 11 aprile sciopero generale di 4 ore per tutti i settori privati

 




Cgil e Uil, giovedì 11 aprile sciopero generale di 4 ore per tutti i settori privati

Cgil e Uil proclamano per tutti i settori privati 4 ore di sciopero generale per giovedì 11 aprile 2024 ed invitano tutte le lavoratrici e i lavoratori a aderire e a partecipare alle iniziative e mobilitazioni che saranno organizzate a livello territoriale.

GLI OBIETTIVI E LE RAGIONI DELLO SCIOPERO SONO:

 

1. ZERO MORTI SUL LAVORO

  • La salute e la sicurezza sul lavoro devono diventare un vincolo per poter esercitare l’attività d’impresa;
  • Cancellare le leggi che negli anni hanno reso il lavoro precario e frammentato;
  • Superare il subappalto a cascata e ripristinare la parità di trattamento economico e normativo per le lavoratrici e i lavoratori di tutti gli appalti pubblici e privati;
  • Rafforzare le attività di vigilanza e prevenzione incrementando le assunzioni nell’Ispettorato del Lavoro e nelle Aziende Sanitarie Locali;
  • Mai al lavoro senza un’adeguata formazione e diritto alla formazione continua per tutte le lavoratrici e i lavoratori;
  • Una vera patente a punti, per tutte le aziende e per tutti i settori, che blocchi le attività alle imprese che non rispettano le norme di sicurezza;
  • Diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere in tutti i luoghi di lavoro i propri Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza;
  • Obbligo delle imprese ad applicare i CCNL firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative ed al rispetto delle norme sulla sicurezza; quali condizioni per poter accedere a finanziamenti/incentivi pubblici.

 

2. PER UNA GIUSTA RIFORMA FISCALE

Lavoratori dipendenti e Pensionati pagano oltre il 90% del gettito IRPEF, mentre intere categorie economiche continuano a non pagare fino al 70% delle imposte dovute. L’evasione complessiva continua ad essere pari a 90 miliardi all’anno.

  • La delega che il governo sta applicando invece di combattere l’evasione fiscale e contributiva introduce nuove sanatorie, condoni e concordati. Non tassa gli extraprofitti, favorisce le rendite finanziare e immobiliari, il lavoro autonomo benestante e le grandi ricchezze; Questa impostazione del governo va contrastata ed invertita:
  • È necessario ridurre la tassazione sul lavoro dipendente ed i pensionati, tassare le rendite e contrastare l’evasione;
  • Promuovere così un fisco progressivo abolendo la flat tax, estendendo la base imponibile dell’IRPEF a tutti i redditi;
  • Indicizzare all’inflazione reale le detrazioni da lavoro e da pensione e detassare gli aumenti contrattuali;
  • Occorre andare a prendere le risorse dove sono per finanziare sanità istruzionenon autosufficienzadiritti sociali e investimenti pubblici.

 

3. PER UN NUOVO MODELLO SOCIALE E DI FARE IMPRESA

Vogliamo rimettere al centro delle politiche economiche e sociali del governo e delle Imprese il valore del lavoro a partire dal rinnovo dei CONTRATTI NAZIONALI e da una legge sulla rappresentanza, la centralità della salute e della persona, la qualità di un’occupazione stabile e non precaria, una seria riforma delle pensioni, il rilancio degli investimenti pubblici e privati per riconvertire e innovare il nostro sistema produttivo e puntare alla piena e buona occupazione a partire dal Mezzogiorno.

 

Scarica il volantino




Il 9 marzo a Roma manifestazione nazionale: “Libertà di manifestare, cessate il fuoco a Gaza, impedire il genocidio”

La Cgil insieme all’ANPI, alle associazioni democratiche, cattoliche e studentesche organizza  per sabato  9 marzo una manifestazione nazionale a Roma, per sostenere una serie di richieste:

  • difendere il diritto e la libertà di manifestare;
  • cessate il fuoco a Gaza;
  • impedire il genocidio;
  • garantire assistenza umanitaria alla popolazione;
  • liberare ostaggi e prigionieri;
  • fine dell’occupazione; riconoscimento dello Stato di Palestina sulla base delle risoluzioni ONU;
  • conferenza internazionale per la pace e la giustizia in Medio Oriente.

INIZIO CORTEO IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA: ORE 12.45
ARRIVO AI FORI IMPERIALI E CONCLUSIONE: ORE 17.30

La Cgil Abruzzo Molise organizza dei pullman gratuiti da tutte le Province. Chi fosse interessato a partecipare può contattarci all’indirizzo [email protected].