Referendum popolari 2025: firma anche tu contro morti sul lavoro e precariato

Il lavoro in Italia è troppo precario e i salari sono troppo bassi. Tre persone al giorno muoiono lavorando. Per realizzare il massimo profitto possibile appalti, subappalti, finte cooperative, esternalizzazioni di attività sono diventati normali modelli organizzativi di ogni azienda privata e pubblica.

Il frutto di vent’anni di leggi sbagliate è un netto peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone che per vivere devono lavorare.

È il momento di ribellarci e di cambiare.

Il lavoro deve essere tutelato perché è un diritto costituzionale. Deve essere sicuro perché di lavoro si deve vivere e non morire. Deve essere dignitoso e perciò ben retribuito. Deve essere stabile perché la precarietà è una perdita di libertà. Per questo ti chiediamo di firmare per poter poi cancellare attraverso il referendum alcune di queste leggi sbagliate.


Quesito 1

Per dare a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.

Cosa vogliamo cancellare?

Le norme sui licenziamenti del Jobs Act che consentono alle imprese di non reintegrare una lavoratrice o un lavoratore licenziata/o in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015.


Quesito 2

Per innalzare le tutele contro i licenziamenti illegittimi per le lavoratrici e i lavoratori che operano nelle imprese con meno di quindici dipendenti

Cosa vogliamo cancellare?

Il tetto massimo all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato nelle piccole aziende, affinché sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite


Quesito 3

Per superare la precarietà dei contratti di lavoro

Cosa vogliamo cancellare?

La liberalizzazione dei contratti a termine per limitare l’utilizzo a causali specifiche e temporanee


Quesito 4

Per rendere il lavoro più sicuro nel sistema degli appalti

Cosa vogliamo cancellare?

La norma che esclude la responsabilità solidale delle aziende committenti nell’appalto e nel subappalto, in caso di infortunio e malattia professionale della lavoratrice o del lavoratore

 


 

COME FACCIO A FIRMARE?

 

Puoi recarti presso la Sede Cgil più vicina a te. Oppure puoi farlo online, accedendo con la tua identità Spid o tramite CIE (Carta d’Identità Elettronica) cliccando su questo link:

www.cgil.it/referendum




“Adesso basta!”: manifestazione nazionale il 20 aprile a Roma

Sabato 20 aprile a Roma è in programma una manifestazione organizzata da Cgil Nazionale e UIL Nazionale per rivendicare salute e sicurezza, diritto alla cura e sanità pubblica, riforma fiscale e tutela dei salari e delle pensioni.

Il concentramento è fissato per le ore 9.00-9.30 presso Piazzale Ugo La Malfa (Circo Massimo) e la partenza del corteo è prevista da Viale Aventino per le ore 10.30. Il comizio conclusivo si terrà in Piazzale Ostiense con Maurizio Landini, Segretario generale nazionale CGIL e Pierpaolo Bombardieri, Segretario generale nazionale UIL.

Questo il percorso del corteo:

  • Piazzale Ugo La Malfa
  • Via del Circo Massimo
  • Viale Aventino
  • Piazza Albania
  • Viale della Piramide Cestia
  • Piazza di Porta San Paolo
  • Piazzale Ostiense.

La manifestazione si concluderà alle ore 13.30 circa.

Saranno organizzati pullman e treni dalle principali località abruzzesi e molisane. Contattate il vostro rappresentante Fisac per prenotarvi.


 

Per approfondire le ragione della mobilitazione:

Cgil e Uil, giovedì 11 aprile sciopero generale di 4 ore per tutti i settori privati

 




Cgil e Uil, giovedì 11 aprile sciopero generale di 4 ore per tutti i settori privati

Cgil e Uil proclamano per tutti i settori privati 4 ore di sciopero generale per giovedì 11 aprile 2024 ed invitano tutte le lavoratrici e i lavoratori a aderire e a partecipare alle iniziative e mobilitazioni che saranno organizzate a livello territoriale.

GLI OBIETTIVI E LE RAGIONI DELLO SCIOPERO SONO:

 

1. ZERO MORTI SUL LAVORO

  • La salute e la sicurezza sul lavoro devono diventare un vincolo per poter esercitare l’attività d’impresa;
  • Cancellare le leggi che negli anni hanno reso il lavoro precario e frammentato;
  • Superare il subappalto a cascata e ripristinare la parità di trattamento economico e normativo per le lavoratrici e i lavoratori di tutti gli appalti pubblici e privati;
  • Rafforzare le attività di vigilanza e prevenzione incrementando le assunzioni nell’Ispettorato del Lavoro e nelle Aziende Sanitarie Locali;
  • Mai al lavoro senza un’adeguata formazione e diritto alla formazione continua per tutte le lavoratrici e i lavoratori;
  • Una vera patente a punti, per tutte le aziende e per tutti i settori, che blocchi le attività alle imprese che non rispettano le norme di sicurezza;
  • Diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere in tutti i luoghi di lavoro i propri Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza;
  • Obbligo delle imprese ad applicare i CCNL firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative ed al rispetto delle norme sulla sicurezza; quali condizioni per poter accedere a finanziamenti/incentivi pubblici.

 

2. PER UNA GIUSTA RIFORMA FISCALE

Lavoratori dipendenti e Pensionati pagano oltre il 90% del gettito IRPEF, mentre intere categorie economiche continuano a non pagare fino al 70% delle imposte dovute. L’evasione complessiva continua ad essere pari a 90 miliardi all’anno.

  • La delega che il governo sta applicando invece di combattere l’evasione fiscale e contributiva introduce nuove sanatorie, condoni e concordati. Non tassa gli extraprofitti, favorisce le rendite finanziare e immobiliari, il lavoro autonomo benestante e le grandi ricchezze; Questa impostazione del governo va contrastata ed invertita:
  • È necessario ridurre la tassazione sul lavoro dipendente ed i pensionati, tassare le rendite e contrastare l’evasione;
  • Promuovere così un fisco progressivo abolendo la flat tax, estendendo la base imponibile dell’IRPEF a tutti i redditi;
  • Indicizzare all’inflazione reale le detrazioni da lavoro e da pensione e detassare gli aumenti contrattuali;
  • Occorre andare a prendere le risorse dove sono per finanziare sanità istruzionenon autosufficienzadiritti sociali e investimenti pubblici.

 

3. PER UN NUOVO MODELLO SOCIALE E DI FARE IMPRESA

Vogliamo rimettere al centro delle politiche economiche e sociali del governo e delle Imprese il valore del lavoro a partire dal rinnovo dei CONTRATTI NAZIONALI e da una legge sulla rappresentanza, la centralità della salute e della persona, la qualità di un’occupazione stabile e non precaria, una seria riforma delle pensioni, il rilancio degli investimenti pubblici e privati per riconvertire e innovare il nostro sistema produttivo e puntare alla piena e buona occupazione a partire dal Mezzogiorno.

 

Scarica il volantino




Il 9 marzo a Roma manifestazione nazionale: “Libertà di manifestare, cessate il fuoco a Gaza, impedire il genocidio”

La Cgil insieme all’ANPI, alle associazioni democratiche, cattoliche e studentesche organizza  per sabato  9 marzo una manifestazione nazionale a Roma, per sostenere una serie di richieste:

  • difendere il diritto e la libertà di manifestare;
  • cessate il fuoco a Gaza;
  • impedire il genocidio;
  • garantire assistenza umanitaria alla popolazione;
  • liberare ostaggi e prigionieri;
  • fine dell’occupazione; riconoscimento dello Stato di Palestina sulla base delle risoluzioni ONU;
  • conferenza internazionale per la pace e la giustizia in Medio Oriente.

INIZIO CORTEO IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA: ORE 12.45
ARRIVO AI FORI IMPERIALI E CONCLUSIONE: ORE 17.30

La Cgil Abruzzo Molise organizza dei pullman gratuiti da tutte le Province. Chi fosse interessato a partecipare può contattarci all’indirizzo [email protected].




Bonus mamme: ingannevole e iniquo. Ecco perché

Parte il “bonus mamme” previsto dalla legge di bilancio 2024. La misura, che si applica per tre anni fino al 2026, consiste nell’esonero contributivo fino ad un massimo di 3mila euro annui (250 euro al mese), per le lavoratrici che hanno almeno tre figli a carico e il più piccolo sotto i 18 anni. Per quest’anno, in via sperimentale, l’esonero contributivo è attribuito anche alle lavoratrici con due figli a carico e il più piccolo sotto i 10 anni. Ma per la Cgil Abruzzo Molise «l’agevolazione è solo uno specchietto per le allodole: esclude le lavoratrici precarie e cresce d’importo con l’aumentare del reddito. Un paradosso». A conti fatti, il contributo pieno previsto dal governo andrà solo alle mamme lavoratrici con redditi superiori a euro 2.692 euro mensili. Vediamo perché è così.
Partendo dal presupposto che «più che di bonus una tantum che variano di anno in anno c’è bisogno di misure strutturali di sostegno alla genitorialità», la Cgil fa i conti in tasca alle mamme per capire quanto percepiranno realmente.
«La legge di bilancio 2024 prevede l’esonero della contribuzione previdenziale che generalmente ammonta al 9,19% della retribuzione, fino a un massimo di 3.000 euro annui da riparametrare su base mensile, per le lavoratrici che hanno almeno tre figli», spiegano Carmine Ranieri, segretario generale Cgil Abruzzo Molise e Alessandra Tersigni, segretaria Politiche di genere, «l’agevolazione riguarda tutte le dipendenti del settore pubblico e privato (anche agricolo, in somministrazione e in apprendistato) con contratto a tempo indeterminato. Sono escluse, invece, le lavoratrici domestiche. Dobbiamo, innanzitutto, considerare che dal bonus sono escluse tutte le lavoratrici precarie e quelle autonome: una scelta totalmente insensata se pensiamo che proprio le lavoratrici più fragili dovrebbero ottenere la maggior tutela».
Una seconda considerazione viene espressa sullo strumento utilizzato per il calcolo del bonus «che consiste in un esonero dei contributi previdenziali. Pertanto», dicono Ranieri e Tersigni, «all’aumentare del reddito della lavoratrice aumenta anche l’importo del sostegno. Ma la misura dovrebbe operare esattamente al contrario e aiutare le mamme con redditi più bassi. La vera beffa del Governo Meloni è però rappresentata dal fatto che le mamme che decideranno di richiedere il bonus perderanno l’agevolazione accordata alla generalità dei lavoratori dipendenti relativa all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, il cosiddetto taglio del cuneo contributivo. Dunque, la scelta del bonus mamma fa perdere l’analogo taglio contributivo già percepito».
In particolare, l’esonero contributivo incide nella misura del 7% fino ad un reddito mensile massimo di 1.923 euro e del 6% fino a 2.692 euro. «Tirando le somme», spiega la Cgil, «ad usufruire in maniera piena del bonus mamme saranno soltanto le lavoratrici che percepiscono un reddito mensile superiore ad euro 2.692 al mese». Come si evince anche dalla tabella le lavoratrici madri con una retribuzione media di 700 euro avranno, a fronte di un bonus teorico di 64,33 euro, un’agevolazione reale di 15,33 euro considerando i 49 euro di esonero contributivo. E così, a salire: con 1.100 euro di retribuzione il bonus spettante è di 101,09 euro, quello reale di 24,09; con 1.600 euro spettano 147,04 euro ma se ne otterranno 35,04. Con 2mila euro di stipendio, a fronte di un bonus di 183 euro, le lavoratrici ne percepiranno 63 fino ad arrivare a 2.692 euro di stipendio: in tal caso il bonus è di 247 euro, ma in busta paga ne arriveranno 85,48. Sopra tale cifra il bonus viene percepito integralmente: 250 euro al mese.
«Per poter accedere al bonus le mamme lavoratrici devono, infatti, comunicare al datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero dei contributi previdenziali», spiega la Cgil, «dai calcoli effettuati lo sgravio dovrebbe interessare solo il 6% delle lavoratrici. Una platea volutamente ridotta, che non considera le lavoratrici con un solo figlio persino nei casi in cui questo sia affetto da disabilità. Paradossalmente del bonus mamme beneficeranno nella sua totalità le lavoratrici con stipendi medio alti, le altre solo in misura irrisoria. Più volte abbiamo espresso un giudizio critico sulla misura che, ancora una volta, conferma l’incapacità di mettere in campo un intervento ampio e strutturato nel tempo, che affronti con serietà ed efficacia i problemi del divario retributivo di genere e del calo della natalità», affermano Ranieri e Tersigni che criticano «le scelte compiute dal Governo in tema di lavoro. Scelte», dicono, «che continuano ad essere condizionate negativamente da coperture limitate e insufficienti. Una serie di provvedimenti tutti nel segno dell’attivazione della sola leva economica e tutti con caratteristiche che, lungi dall’essere strutturali, ci riportano invece indietro alla stagione dei bonus che l’assegno unico e universale per i figli aveva tentato di smantellare, nell’intento di offrire alle famiglie strumenti di carattere non temporaneo e tanto più consistenti quanto peggiore fosse la condizione economica del nucleo familiare».
Articolo di Monica Pelliccione su Il Centro del 7 febbraio 2024
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Si sblocca il bonus mamme. A chi spetta e in cosa consiste. E perché ci lascia perplessi.




Storica sentenza a Firenze su origine professionale stress lavoro-correlato

Dalla Corte d’appello riconosciuto la “costrizione lavorativa” come causa esclusiva di malattia professionale dopo ricorso dei legali del Patronato INCA CGIL


Un’importante sentenza apre la strada per il riconoscimento dell’origine professionale dello stress lavoro correlato. La pronuncia (n. 559 del 21 settembre 2023) è della Corte d’appello di Firenze che, accogliendo un ricorso promosso dai legali di Inca, ha infatti riconosciuto la “costrizione lavorativa” come causa esclusiva di malattia professionale. “Finalmente qualcosa si sta concretamente muovendo verso la giusta tutela di quella che la comunità scientifica ha iniziato a definire come la ‘malattia del secolo‘”, è il commento del Patronato della Cgil.

Gli ambienti di lavoro non sempre rispondono ai bisogni dei lavoratori in termini di benessere: molto spesso – spiega in una nota l’Inca – sono presenti fattori di pressione legati a un eccessivo carico e a ritmi insostenibili che, nel lungo termine, possono avere conseguenze negative sulla salute dei lavoratori”. Tra le problematiche maggiormente lamentate rientrano le malattie psicosomatiche, disturbi del sonno, ansia e depressione che causano disarmonia fra sé stessi e il proprio lavoro, conflitti fra il ruolo svolto in azienda e al di fuori di essa e un grado insufficiente di controllo sulla propria attività.

Alcuni dei rischi che si sono rivelati più nocivi per la salute psichica dei lavoratori sono rappresentati dalla intensità e da orari di lavoro, ma anche dalle condizioni ambientali (rumorosità, escursioni termiche, posture viziate ecc.); fattori che rappresentano un’altra importante sfida per la sicurezza e per la salute nei luoghi di lavoro. È importante sottolineare che la valutazione dello stress lavoro-correlato è parte integrante e fondamentale del Documento di valutazione dei rischi (dvr) e deve quindi essere effettuata da tutte le aziende che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. 81/2008.

Il caso esaminato in giudizio, spiegano da Inca Cgil, riguarda appunto un lavoratore della grande distribuzione (gdo) con ruolo dirigenziale da oltre 20 anni che, a seguito di reiterate vessazioni, pressioni e contestazioni disciplinari, messe in atto dai suoi superiori e protrattesi per oltre un anno, ha iniziato a manifestare disturbi psichici che lo hanno costretto a lunghi periodi di malattia. Da qui la decisione del lavoratore di rivolgersi all’Inca Cgil di Pisa per avviare la richiesta di riconoscimento del nesso causale; in fase amministrativa però, nonostante le evidenti condizioni di stress cui era stato sottoposto sul posto di lavoro, l’Inail ha ritenuto di dover rigettare la domanda. È stato pertanto necessario adire le vie legali e, grazie all’avvocato Marco Canapicchi, convenzionato con il patronato Inca Cgil, si è arrivati alla sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Pisa accoglieva le ragioni del lavoratore riconoscendo l’origine occupazionale della patologia.

Il dispositivo della sentenza è stato successivamente confermato anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Firenze che, poiché non è stato impugnato dall’Inail, ha reso definitivo il riconoscimento giudiziario.

Come Inca Cgil -commenta Sara Palazzoli del collegio di presidenza – riteniamo fondamentale questa sentenza che rappresenta un grande passo in avanti per l’emersione dello stress- lavorativo come causa di danno cronico alla salute. Quanto deciso dai giudici di merito di primo grado e secondo grado conferma che lo stress derivante dall’organizzazione del lavoro e dalle condizioni ambientali ad esso collegate hanno conseguenze negative per la salute dei lavoratori. Lo stress può anche influire sull’attenzione del lavoratore durante lo svolgimento delle sue mansioni e quindi aumentare il rischio di infortuni. I danni da lavoro che ne derivano sono ancora ampiamente sottostimati e spesso sono confusi con una qualsiasi malattia comune tutelata da Inps; il che espone i lavoratori ad affrontare enormi difficoltà per l’ottenimento delle tutele di Inail“, spiega ancora.

Noi, come Patronato ci adoperiamo – continua Palazzoli – affinché i lavoratori si rendano conto dell’importanza di attenzionare il loro benessere psicologico e in caso di necessità o di dubbi, occorre rivolgersi all’Inca Cgil che, con l’aiuto di medici specialisti convenzionati, è in grado di assicurare un’adeguata assistenza medico legale e legale, ed avviare l’eventuale percorso per il giusto riconoscimento del danno da parte di Inail”.

Su questo specifico tema, il Patronato Inca Cgil è da tempo impegnato e ha anche attivato una collaborazione con l’Università Cattolica di Roma per l’emersione dello stress lavoro-correlato, con il fine di mettere in campo la giusta tutela per chi si ammala di questa patologia, che pare essere un po’ ‘figlia del nostro tempo’.

 

Fonte: Adn Kronos

 




Assalto sede Cgil, condannati i leader di Forza Nuova Fiore e Castellino

Le pene, anche per l’ex Nar Luigi Aronica, Pamela Testa, Salvatore Lubrano e Lorenzo Franceschi, vanno da 8 anni a 8 anni e sette mesi. Dopo la lettura della condanna urla in aula. Anpi: “Perché non è considerato il reato di ricostituzione partito fascista?”


La Cgil venne assaltata da un commando di fascisti il 9 ottobre del 2021. Adesso non c’è più dubbio, il tribunale di Roma ha condannato sette persone, tra cui i principali esponenti del partito di estrema destra Forza Nuova con pene che vanno da 8 anni a 8 anni e sette mesi.

Si tratta di Roberto Fiore, il leader del movimento, Giuliano Castellino, all’epoca numero uno di Fn a Roma, e poi l’ex Nar Luigi Aronica, Pamela Testa, Salvatore Lubrano e Lorenzo Franceschi anche loro esponenti del neofascismo.

Dopo la lettura della sentenza è esploso il caos in aula. Un gruppo di neofascisti rivolti verso il giudice ha iniziato a cantare “la gente come noi non molla mai“. Poi, in molti, hanno rivolto il saluto romano verso la Corte.
Le forze dell’ordine li hanno portati a forza fuori dall’aula.

“Quel giorno la città venne messa a ferro e fuoco”, ha detto durante la sua requisitoria il pm Gianfederica Dito.
Nei confronti degli imputati, a seconda delle posizioni, la Procura contesta i reati di istigazione a delinquere, devastazione e resistenza pluriaggravata. Nel corso della requisitoria il pm ha ricostruito quanto avvenuto quel giorno. “Emerge dai video, che hanno cristallizzato i fatti, che siamo in presenza di eventi drammatici e cruenti con il tragico epilogo della devastazione della sede del sindacato. Quel giorno la parte centrale di Roma è stata in mano a sconsiderati. Un giorno funesto per la città e un attacco ad un simbolo dei lavoratori e della democrazia“, ha aggiunto il pm.

 

Anpi: “Perché non è considerato il reato di ricostituzione partito fascista?”

C’è senz’altro da essere soddisfatti per la condanna di Fiore, Castellino ed altri accoliti a più di otto anni di carcere dopo l’assalto alla sede della Cgil il 9 ottobre 2021. Stupisce però, a quanto leggo, che i capi d’imputazione siano solo devastazione aggravata in concorso e istigazione a delinquere. Non è stato neppure considerato il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista, laddove la legge Scelba del 1952 ne definisce il profilo con inequivocabile chiarezza; tale reato si compie, fra l’altro, ‘quando una associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico’. La plateale conferma di questo reato è avvenuta proprio, dopo la sentenza, dalla reazione di tanta parte del pubblico che fra fischi e urla si è distinta nell’ostentare il saluto romano. Che altro si aspetta per mettere fuori legge le organizzazioni neofasciste?“, è il commento di Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi, in merito alle condanne degli esponenti di estrema destra.

 

Fonte: La Repubblica




Fringe benefit e mutui: ulteriori iniziative parlamentari

È stato presentato in Senato un emendamento che ripropone (con un bel “copia e incolla”) uno degli emendamenti presentati dalla CGIL nello scorso mese di maggio (ve ne avevamo dato notizia qui):

Se venisse recepita la modifica a suo tempo da noi elaborata e proposta, con decorrenza 1° gennaio 2023 e per gli anni a venire verrebbe assunto come tasso di riferimento (anziché il tasso MRO in vigore alla fine dell’anno) l’MRO vigente.

  • al momento della stipula o della rinegoziazione del mutuo/prestito,

o, in alternativa,

  • alla fine del mese precedente a quello di pagamento delle singole rate,

adottando tempo per tempo la soluzione di maggior favore per la/il dipendente.

La modifica consentirebbe una soluzione (adeguata nel tempo e già efficace per il 2023) rispetto a un problema su cui come FISAC e come CGIL non abbiamo mai smesso di sollecitare le forze politiche attraverso le varie iniziative di cui vi abbiamo dato via via conto.

Senza peccare di trionfalismi (che al momento sarebbero prematuri) sembrerebbe quindi che grazie a tali iniziative qualcosa si possa finalmente muovere.

Ovviamente vi terremo costantemente informati sull’evoluzione del confronto parlamentare.

 

Fonte: Fisac Intesa Sanpaolo




Adesso basta! Il 17 novembre 8 ore di sciopero generale

Venerdì 17 novembre 8 ore di sciopero: per alzare i salari, per estendere i diritti e per contrastare una legge di bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati e non offre futuro ai giovani


  • Non c’è alcuna risposta all’emergenza salariale: hanno annunciato “100 euro in più nelle buste paga”, ma si limitano a confermare quelle in essere, già falcidiate – in media del 17% – da un’inflazione da profitti e speculazione.
  • Hanno detto di “rilanciare la contrattazione collettiva”, ma non stanziano le risorse necessarie a rinnovare i contratti del pubblico impiego e a sostenere e detassare i rinnovi nei settori privati.
  • Hanno dichiarato di voler incrementare la spesa sanitaria, ma continuano a indebolire il Servizio Sanitario Nazionale spingendo cittadini e personale verso la sanità privata.
  • Tagliano le risorse alla scuola pubblica, alle politiche sociali (casa, affitti, bollette, povertà), alla disabilità e non mettono nulla per la non autosufficienza e sul trasporto pubblico locale.
  • Avevano promesso di “cancellare la Legge Fornero” e invece la confermano e la peggiorano: restringendo le già limitate misure di flessibilità in uscita (quota 103, opzione donna, ape sociale); tagliando i futuri assegni dei pubblici e la rivalutazione delle pensioni in essere; e di fatto stabilendo – dal 2024 – le uscite per tutti con i 67 anni di vecchiaia, i 42 anni e 10 mesi di anticipata (uno in meno per le lavoratrici) e i 71 anni per giovani e donne nel sistema contributivo.
  • Non fanno nulla per il lavoro stabile e di qualità e non intervengono contro la precarietà, anzi: reintroducono i voucher e liberalizzano il lavoro a termine.
  • Nessun investimento concreto per migliorare la vita e il lavoro delle donne: solo propaganda patriarcale e regressiva.
  • Portano avanti una riforma fiscale che – a parità di reddito – tassa di più i salari e le pensioni dei profitti, delle rendite finanziarie e immobiliari, del lavoro autonomo benestante, dei grandi patrimoni e dei redditi alti e altissimi.
  • Non tassano gli extraprofitti e incentivano un’evasione fiscale che, ogni anno, sottrae 100 miliardi di euro alle politiche sociali e di sviluppo del paese.
  • Non investono in salute e sicurezza, nonostante la strage che si consuma ogni giorno nei luoghi di lavoro.
  • Non ci sono politiche industriali e di investimento in grado di creare lavoro buono e ben retribuito soprattutto peri giovani; dare risposte a lavoratrici e lavoratori coinvolti nelle tante crisi aziendali aperte a cui il governo non dà soluzioni; e governare la transizione ambientale, digitale ed energetica: si continua con gli incentivi a pioggia alle imprese e si rilanciano le privatizzazioni.
  • Tagliano gli investimenti pubblici e sulle infrastrutture, dimenticano il Mezzogiorno

 

8 ore di sciopero generale a sostegno di un’altra politica economica, sociale e contrattuale, che non solo è possibile, ma necessaria e urgente

  • LAVORO Aumentare stipendi e pensioni; rinnovare i contratti nazionali rafforzando il potere d’acquisto e detassando gli aumenti; abbattere i divari che colpiscono le donne.
  • FISCO Combattere l’evasione fiscale: basta sanatorie, basta condoni e basta premiare settori economici che presentano una propensione all’evasione fino al 70%; indicizzazione automatica all’inflazione delle detrazioni da lavoro e da pensione; promuovere un fisco progressivo: no alla flat tax; riportare all’interno della base imponibile irpef tutti i redditi oggi esclusi e tassati separatamente con aliquote più basse; tassare gli extraprofitti e le grandi ricchezze.
  • GIOVANI Favorire il lavoro stabile a tempo indeterminato; cancellare la precarietà; introdurre una pensione contributiva di garanzia; garantire il diritto allo studio attraverso investimenti per servizi, alloggi e borse di studio.
  • PENSIONI Approvare una vera riforma delle pensioni, che superi la legge Monti-Fornero; garantire la piena tutela del potere d’acquisto delle pensioni in essere.
  • STATO SOCIALE Difendere e rilanciare il servizio sanitario nazionale anche aumentando i livelli sala riali; approvare un piano straordinario di assunzioni nella sanità e in tutti i settori pubblici e della conoscenza; finanziare le leggi su non autosufficienza e disabilità; aumentare le risorse per il trasporto pubblico locale; rifinanziare il fondo sostegno agli affitti.
  • SALUTE E SICUREZZA Investire su salute e sicurezza: basta morti sul lavoro!!
  • POLITICHE PER L’ACCOGLIENZA Abbandonare la politica securitaria a partire dalla cancellazione della legge Bossi-Fini e di tutti i recenti provvedimenti in materia di immigrazione e definire nuove politiche di accoglienza e integrazione dei cittadini migranti.
  • POLITICHE INDUSTRIALI Serve una nuova strategia e un nuovo intervento pubblico per affrontare le crisi vecchie e nuove, puntare sulla transizione ambientale ed energetica, riconvertire e innovare il nostro sistema produttivo governando i processi di digitalizzazione, difendere e incrementare la qualità e la quantità dell’occupazione a partire dal mezzogiorno.

 

Per Abruzzo e Molise sono previste manifestazioni a Lanciano e Campobasso. 

 

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Salario minimo, la Cassazione sopperisce alla mancanza di una legge

Dopo le 6 sentenze della Cassazione che hanno dato ragione ai lavoratori si sono moltiplicate le cause: “C’è meno paura”


Le sei sentenze (depositate il 3 e il 10 ottobre) con cui la Corte di Cassazione ha ribadito che il salario del lavoratore deve essere dignitoso, rispettoso dell’art. 36 della Costituzione, e quindi alzato dai giudici qualora il contratto collettivo nazionale applicato preveda un minimo troppo basso, possono sembrare tecnicismi ai non addetti ai lavori. Soprattutto se il governo è impegnato ad affossare la legge sul salario minimo proposta dalle opposizioni, con continui rimandi, prima al Cnel, poi con un rinvio alle commissioni in un’eterna pilatesca melina. Ma, come chiariscono al Fatto anche sindacalisti e avvocati giuslavoristi, il quadro che si sta delineando in realtà è ben diverso dal precedente. In estrema sintesi, prima delle multiple sentenze di Cassazione un lavoratore che fosse inquadrato con un contratto collettivo povero, intorno ai 5, 6 o 7 euro lordi orari, ma firmato dai sindacati maggiormente rappresentativi, poteva rischiare di incontrare sulla sua strada un giudice che respingesse l’idea (già maggioritaria nei tribunali) che il salario dovesse essere alzato dal tribunale, condannando l’azienda a pagare gli arretrati: un caso che s’è presentato nelle corti di appello di Milano e Torino, che hanno spinto alcuni ricorsi fino in Cassazione (con le sentenze ora ribaltate) o in diversi Tar del Sud, che hanno ritenuto la paga del vigilanza privata e servizi fiduciari congrua rispetto al costo della vita locale.

Ma con le ultime sentenze per i giuslavoristi, che ricorsi simili ne fanno, con successo, da anni, le carte in tavola sono cambiate: “È molto difficile che un giudice ignori una sentenza di Cassazione, e anche qualora accadesse, portando il caso in appello e poi in Cassazione con queste sentenze alle spalle è più semplice vedersi riconosciute le differenze retributive”, spiega l’avvocato giuslavorista Lorenzo Venini, che rifiuta di parlare di vittoria certa, data l’autonomia dei giudici, ma ammette che una sconfitta ad oggi diviene piuttosto improbabile. Questa settimana un primo caso al Tar di Bari, su un ricorso della Cgil: il tribunale ha di nuovo ritenuto inadeguata la retribuzione di un lavoratore, condannando il datore di lavoro ad applicare un altro trattamento retributivo (1.218 euro netti al mese). Sentenza che assomiglia a tante altre registrate nel recente passato, ma con una differenza: cita le sentenze di Cassazione, spazzando via ogni dubbio sulla decisione da prendere.

Il cambio di paradigma, o meglio l’accelerazione, sta passando anche tra le fila dei lavoratori, in particolare quelli inquadrati col poverissimo Ccnl Servizi fiduciari, circa 5,5 euro lordi l’ora di minimo e pochi straordinari notturni: sono più di 60 mila. Se ne sono accorti anche i sindacati che già da tempo avevano imboccato la strada dei ricorsi al Tar. Usb vigilanza privata, subodorando un interesse crescente tra i propri iscritti, qualche giorno fa ha pubblicato sui social una chiamata pubblica: “Volete fare ricorso? Contattateci!”. La risposta è stata sorprendente, racconta Vincenzo Lauricella, con diverse decine di mail in pochi minuti: “Già da tre anni facciamo decine di ricorsi simili l’anno, in queste nuove condizioni è probabile che diventino centinaia”. Il processo è lungo: un ricorso collettivo si può fare solo con un datore di lavoro in comune, ma l’idea del sindacato è quella di procedere a diversi ricorsi simili in parallelo: la sensazione di Lauricella è che la vittoria sia pressoché scontata ora, con il rischio di dover arrivare in Cassazione, allungando il procedimento “e i lavoratori lo capiscono, si tratta di più di 300 euro di differenza retributiva al mese, cifre allettanti”.

Usb non sarà l’unico sindacato a muoversi in maniera simile: tutti quelli che già in questi anni hanno proposto ricorsi stanno ricevendo più richieste e con esse gli studi legali di riferimento, dai sindacati di base come Adl Cobas a quelli che hanno pur firmato il contratto servizi fiduciari, ma non ne negano l’inadeguatezza, come la già citata Cgil e Uiltucs, che ha promosso anche i ricorsi arrivati poi in Cassazione. E il ritornello è sempre più spesso lo stesso: sotto una certa cifra non si può andare, per cui, pur rispettando tutti i contratti collettivi, il salario non sarà meno di 1.218 euro mensili. Il grosso dei lavoratori è ancora paralizzato dalla paura di ritorsioni, ma anche poche migliaia di loro potrebbero provocare una valanga che può creare più di un imbarazzo al governo.

 

Articolo di Leonardo Bison su “Il Fatto Quotidiano” del 22/10/2023