Intesa-Ubi, l’Antitrust mette in stand-by l’operazione.

L’Antitrust rileva che l’accordo per la cessione a Bper di una serie di attività al dettaglio non può essere preso in considerazione perché non è chiaro quali siano gli asset che sarebbero ceduti.


Nell’attesa di avere chiarimenti sulla cessione di asset a Bper, l’Antitrust mette in stand-by l’acquisizione di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo. In una nota l’Authority guidata da Roberto Rustichelli precisa che “non è stata assunta alcuna decisione” in merito alla “compatibilità” della concentrazione tra Intesa e Ubi Banca “con le regole della concorrenza”.
Allo stato”, spiega ancora l’Authority, “è stata trasmessa alle imprese interessate la sola Comunicazione delle Risultanze Istruttorie, che rappresenta la valutazione preliminare degli uffici dell’Autorità in ordine alle possibili criticità concorrenziali dell’operazione di concentrazione”.

Una comunicazione, quest’ultima, con cui l’Ente precisa la propria posizione dopo le indiscrezioni che riportavano stralci della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie. Nel documento, inviato nei giorni scorsi, l’Authority afferma che alla luce delle criticità emerse l’operazione non è «allo stato degli atti suscettibile di essere autorizzata».

Dopo l’avvio del procedimento, e la Comunicazione alle parti delle risultanze dell’istruttoria, il documento ora dovrà essere oggetto di controdeduzioni e chiarimenti da parte dei soggetti coinvolti. Peraltro va segnalato che nella sua valutazione dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, l’autorità Antitrust non ha preso in considerazione la prevista cessione di 400-500 sportelli a Bper perché «in base alle informazioni fornite da Intesa Sanpaolo, non è stato in alcun modo possibile enucleare il ramo di azienda Ubi oggetto di cessione a Bper, senza che permanessero significative incertezze in merito al suo perimetro».

Operazione al momento non autorizzabile

Realistico, dunque, che Intesa voglia precisare con maggiore dettaglio il perimetro di attività oggetto di cessione. Dal documento emerge anche che lo scorso primo giugno Intesa ha chiesto tempo fino al 10 giugno per «fornire la specificazione del ramo di azienda» che sarà ceduto a Bper. Istanza che tuttavia l’Antitrust ha rigettato il 3 giugno. Le parti avranno ora tempo di presentare memorie e documentazioni entro il 15 giugno. Il 18 giugno è invece prevista l’audizione finale di tutti i soggetti coinvolti.
La decisione finale attesa nella seconda metà di luglio

Dopo l’audizione collegiale il procedimento entrerà nella fase decisoria, rispetto alla quale le risultanze istruttorie non precludono alcun esito. Una volta acquisito il parere non vincolante dell’Ivass, per il quale c’è un termine massimo di 30 giorni, il collegio dovrà chiudere entro i 60 giorni lavorativi dall’avvio dell’istruttoria il procedimento, per cui una decisione è attesa nella seconda metà di luglio. L’Antitrust può approvare l’operazione, rigettarla nella sua interezza o approvarla chiedendo però dei correttivi. “E’ ragionevole attendersi che Intesa presenti le proprie controdeduzioni e/o eventuali piani alternativi di cessione in modo da garantirsi il rispetto delle condizioni richieste rimuovendo un ostacolo che non consente la partenza dell`Ops sul mercato”, ha scritto oggi Equita Sim in un suo report.

Concentrazione in molti mercati

Nelle conclusioni delle «risultanze istruttorie» l’Antitrust, come riportato da Radiocor, rileva che la concentrazione è in grado di ridurre «in maniera sostanziale e durevole la concorrenza» su una serie di mercati «in ragione dell’elevata quota di mercato e livello di concentrazione raggiunta, accompagnati da una distanza significativa dal secondo operatore di ciascuna area e in considerazione della capacità ‘disciplinante’ di Ubi nei confronti delle maggiori banche».

L’Antitrust ha identificato «639 aree critiche nel mercato della raccolta bancaria, 782 negli impieghi alle famiglie consumatrici e 218 negli impieghi alle famiglie produttrici-piccole imprese, nelle quali l’operazione in esame conduce alla costituzione o al rafforzamento di una posizione dominante». Le “aree” citate sono lo cosiddette “catchment area”, vale a dire i bacini di utenza dei 1.064 sportelli Ubi, la cui ampiezza è stata determinata, secondo la prassi Antitrust, «considerando un tempo di percorrenza massimo di 30 minuti in auto, calcolato sulla base della mobilità della domanda dei clienti bancari». L’autorità sottolinea inoltre che il numero totale di aree problematiche è naturalmente inferiore alla somma delle cifre riportate, dato che in molti casi la stessa area può essere critica in due o più mercati. Sono state identificate come critiche le aree in cui la banca nata dall’aggregazione avrebbe, tra le altre cose, «una quota di mercato congiunta maggiore o uguale al 35%» e «un distanziamento dal secondo operatore, in termini di quota di mercato, non inferiore a 10 punti percentuali».

I dubbi sulla cessione di filiali a Bper

L’Antitrust ritiene inoltre che «non possa essere preso in considerazione, quale intervento volto a risolvere le criticità concorrenziali dell’operazione in specifici mercati e aree territoriali, il contenuto dell’accordo sottoscritto» da Intesa e Bper, che prevede la cessione a quest’ultima di un pacchetto di 400-500 filiali. Ciò, scrive l’Antitrust, per tre ragioni: in primo luogo per la «sostanziale indeterminatezza del perimetro del ramo di azienda di Ubi, oggetto di cessione in favore di Bper»; in secondo luogo per le «incertezze in merito all’effettiva attuazione di tale accordo» qualora Intesa detenga a valle dell’offerta pubblica di scambio «il mero controllo al 50% più 1 azione del capitale sociale di Ubi»; infine per la «sostanziale inefficacia di tale accordo rispetto alle criticità in altre aree del territorio italiano, diverse dalle province del nord-ovest, su cui parimenti le quote post merger» di Intesa e Ubi «risultano di indubbia rilevanza, con specifico riferimento ad alcune CA (catchment area, mercati locali circoscritti ai bacini d’utenza, ndr) della regione Calabria e della regione Marche, nonché dell’Abruzzo».

Per Ubi operazione punta a eliminare concorrente

Ubi Banca «ha sostenuto che l’operazione notificata», vale a dire l’ops lanciata da Intesa Sanpaolo, «eliminerebbe dal mercato non solo un operatore capace già oggi di esercitare una significativa pressione concorrenziale, ma anche l’unico competitor tra quelli di medie dimensioni capace di avviare un percorso di consolidamento nel mercato bancario nazionale in modo indipendente e, dunque, di creare nel breve/medio periodo un terzo polo alternativo a Intesa e UniCredit».

Secondo Ubi «che questo sia il reale fine dell’operazione» sarebbe provato anche dalla decisione di Intesa di procedere con «un’ops ostile, scegliendo un percorso proceduralmente molto più complesso» rispetto a un negoziato. Una modalità «atipica per il settore bancario». «In un mercato nel quale vi sono molti operatori che sarebbero disponibili a valutare ipotesi di integrazione – conclude Ubi, secondo quanto riportato dall’Antitrust – tale modo di procedere cela la volontà di eliminare un operatore temibile e conferma l’assoluto valore competitivo di Ubi».

Nel quadro delle audizioni all’Antitrust, emergono poi schermaglie tra i due gruppi, e in particolare in merito all’ipotesi, evocata da Ubi, che la banca guidata da Victor Massiah faccia da pivot per la creazione di un terzo polo bancario in Italia. Nella Comunicazione delle risultanze istruttorie dell’Antitrust, Ubi ha spiegato «di aver valutato, a livello progettuale, la possibilità di procedere a forme di aggregazione con altri istituti bancari di medie dimensioni (segnatamente Mps, Bper, Bpm), e in particolare con Bper, con la quale risultato agli atti tavoli tecnici con Bper e Unipol». Sul tema la stessa Bper ha chiarito che «nell’autunno 2019 hanno avuto luogo alcuni contatti esplorativi», ma l’interlocuzione si è interrotta alla fine dell’anno per scelta di Ubi, che ha comunicato «di volersi focalizzare su altre priorità, quali l’elaborazione del proprio piano industriale poi presentato in febbraio». Intesa, da parte sua, rileva quindi che «non risultano elementi di fatto da cui possa desumersi che Ubi stesse effettivamente procedendo ad aggregazioni con altri operatori, né tantomeno che tali aggregazioni le avebbero consentito di raggiungere le dimensioni di Intesa Sanpaolo e UniCredit».

Intesa: Ubi non aveva altri interlocutori

L’istituto guidato dall’a.d. Carlo Messina ricorda infatti che in passato le acquisizioni di Ubi hanno riguardato solo «piccole realtà locali in condizioni molto particolari», cioè le cosiddette good banks di Banca Marche, Etruria e Carichieti, e che il piano industriale presentato da Ubi il 17 febbraio, «vale a dire lo stesso giorno dell’annuncio dell’ops», è «stato concepito in ottica “stand alone”». «Pertanto – conclude Intesa – le dichiarazioni di Ubi secondo cui la società avrebbe avuto contatti preliminari con altre banche appaiono manifestamente inidonee a supportare il requisito della “ragionevole certezza” e della sussistenza di evidenze specifiche e convergenti di uno scenario controfattuale, ma confermano semmai come Ubi, all’epoca dell’ops, non avesse individuato uno specifico interlocutore con cui realizzare un’operazione di integrazione».

Intesa: senza Bper valuta operazione diversa da nostra ops

Infine, dal documento emerge come Intesa segnali all’Antritust come, escludendo dalle sue valutazioni la prevista cessione di sportelli a Bper, l’Authority stia valutando un’operazione diversa da quella presentata dalla stessa Intesa, che ha tra le sue condizioni di efficacia quella di ottenere una «autorizzazione incondizionata» dall’autorità. Lo ha sottolineato la stessa Intesa all’Antitrust, secondo quanto riportato da quest’ultima nella Comunicazione delle risultanze istruttorie. «Ad avviso di Intesa Sanpaolo – si legge nel documento – l’Autorità starebbe valutando nella presente istruttoria un’operazione differente rispetto a quanto notificato dalla stessa Intesa Sanpaolo, con conseguenze rilevanti anche sull’ops, posto che l’operazione è subordinata all’autorizzazione incondizionata dell’Autorità».
A quanto si legge nel documento, inoltre, lo scorso primo giugno Intesa aveva chiesto tempo fino al 10 del mese per «specificare il ramo di azienda» da vendere a Bper. Una richiesta, respinta dall’Antitrust il 3 giugno, che secondo quanto risulta a Radiocor metteva sul piatto anche una possibile revisione del perimetro oggetto di cessione, secondo criteri di massima cautela e peggiorativi per Intesa, con una conseguente modifica degli accordi con Bper, per garantire di ridurre le quote di mercato al di sotto della soglia del 35% in tutte le province italiane.

Fonte: www.ilsole24ore.it

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ISP: Ferie 2020. Le belle parole e la triste realtà dei fatti

Il tema che sta monopolizzando la vita lavorativa in Intesa Sanpaolo rimane la necessità di incrementare adeguatamente la prevenzione della salute e sicurezza dei colleghi che si recano in filiali ed uffici, a cui si aggiunge, in questi giorni, la programmazione delle ferie per il 2020, o, per essere più precisi, l’applicazione “forzata” delle disposizioni emanate dall’azienda il 2 aprile scorso in materia di fruizione delle ferie 2020.

In tempo di emergenza sanitaria e di imminenti carichi di lavoro esagerati collegati ai decreti del Governo, l’Azienda invece di fornire ulteriori DPI, di adoperarsi per snellire le procedure ed agevolare lo svolgimento del lavoro, produce nuove regole per la pianificazione delle ferie.

Una decisione improvvisa, unilaterale, che non ha precedenti nelle regole del Gruppo, che quel giorno ha attraversato i mezzi di informazione aziendali, stravolgendo in pochi minuti modalità e prassi consolidate nel tempo e scaricando sui colleghi, sia chi i piani ferie li dovrà presentare sia chi sarà chiamato nell’arduo compito di farli stare in piedi e di validarli, imposizioni calate dall’alto, che tra l’altro palesano evidenti contraddizioni ed incongruenze.

Un tema caldo quello delle ferie, a tal punto da portare i Segretari Generali Nazionali delle Organizzazioni Sindacali del Settore a richiedere nella giornata di ieri, unitariamente, “un intervento di ABI in sospensione di qualsiasi iniziative unilaterali attuate o in attuazione da parte di alcune aziende sul tema”.

Lascia stupefatti che, in un momento di emergenza sanitaria così grave e tragica che sta sconvolgendo la vita delle persone, una situazione che sta vedendo le Lavoratrici ed i Lavoratori del Gruppo impegnati ad assicurare, nonostante i rischi per la propria salute e le paure di ogni giorno, la prosecuzione dell’attività produttiva ed i servizi essenziali alla clientela, l’Azienda decida di imporre loro la fruizione di 8 giorni di ferie entro il 2 di giugno, dei quali almeno 6 entro il 30 aprile.

E’ un atto di forza che non considera minimamente cosa stanno vivendo i colleghi, che non si cura delle loro esigenze personali e familiari in una fase che lo richiede, con un approccio formale e burocratico che porta ad un utilizzo delle ferie tutt’altro che finalizzato al recupero psico-fisico, dato anche il contesto che non permette di uscire dalle proprie abitazioni.

L’imposizione, l’unilateralità e la decisione di non concordare con il Sindacato le modalità di programmazione e fruizione delle ferie, rappresentano un comportamento aziendale che contrasta fortemente con lo spirito (e magari anche con la “lettera”) dei Decreti emanati.

In più, questo modo di fare aziendale stride fortemente con il “ringraziamento speciale” e con l’elogio, rivolti alle Persone della Banca da parte del Consigliere Delegato Carlo Messina per il “grande senso di responsabilità dimostrato in questa fase di straordinaria complessità”.

Che distonia tra le belle parole e la triste realtà dei fatti!

Sembra quasi, che nelle nuove modalità delle relazioni, tra call conferenze e piattaforme digitali, l’Azienda abbia qualche “sfasatura comunicativa”!

In questo modo, anche il “bel gesto” dei 6 giorni di ferie aggiuntive riconosciuti per l’impegno di quei colleghi che non hanno potuto fruire dello smart working viene malamente vanificato da questo atteggiamento; a ciò si aggiunge l’obbligo di fissare ulteriori 2 giorni entro giugno e i 3 giorni di chiusura obbligatoria di tutte le filiali previsti successivamente: il saldo è negativo.

L’azienda prima dà e poi riprende, ovviamente con gli interessi!

E poi ci sono anche tutti quei colleghi che stanno continuando, a portare avanti il lavoro in smart working che dovranno fissare i 6 + 2 giorni pur non beneficiando delle ferie aggiuntive, come se dovessero in un qualche modo ripagare l’Azienda di una “gentile” concessione.

In entrambi i casi, l’effetto che l’Azienda sta provocando con questi comportamenti, è quello di mortificare sia i colleghi che si sono recati al lavoro, correndo rischi per la propria salute, sia quelli che hanno lavorato da casa, anche in condizioni di emergenza, magari allestendosi postazioni di rimedio, ma tutti quanti per far sì che la Banca potesse continuare ad essere un riferimento, in questo momento di difficoltà e smarrimento per la clientela.

Le “Persone della Banca” si sentono prese in giro!

Se poi passiamo agli aspetti gestionali, appare evidente che questo DIKTAT aziendale non potrà che provocare forti problemi organizzativi, considerato che, a breve, oltre ai servizi pubblici essenziali, la Banca ed i colleghi avranno un ruolo vitale nel garantire la predisposizione e l’erogazione delle misure di supporto all’economia fissate dai Decreti Governativi, tra i quali, quelle per i lavoratori delle aziende in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria, attraverso l’anticipazione della Cassa Integrazione, nonché l’attivazione della sospensione delle rate di mutuo e ulteriori altre forme di sostegno.

Pensare di dimezzare, nelle ultime 2 settimane di aprile, gli attuali organici, già ridotti nelle presenze fisiche a causa delle turnazioni, è un’assurdità che avrebbe già dovuto far ripiegare l’Azienda almeno verso un più intelligente slittamento della programmazione degli 8 giorni.

Anche perché il maggior impegno lavorativo nelle filiali e negli uffici, derivante dall’incremento della mole di lavoro per alcune delle nuove attività, ha già reso necessaria la creazione di task force di colleghi per poter supportare l’azione richiesta; mettere, ora, in ferie i colleghi significa rischiare di compromettere la funzione sociale che la Banca è chiamata a fornire, venendo meno al ruolo importantissimo che le è stato assegnato per aiutare le fasce più deboli ed in difficoltà della società, del nostro Paese.

Queste contraddizioni non potranno che emergere in questi prossimi giorni e dovranno indurre l’Azienda ad un significativo passo indietro.

Sempre che qualcuno non continui a pensare ad inaccettabili forzature quali l’idea che si debbano fissare le ferie per poi continuare comunque a lavorare, in smart working, visto che non si potrà ancora uscire di casa, nonostante ciò sia assolutamente vietato; oppure pensare di imporre le ferie solo nei giorni previsti per lo smart learning o altro ancora di fantasioso, che ci è stato segnalato in questi giorni. A quanto pare, il diritto alla disconnessione sembra ancora lontano dall’essere metabolizzato nella cultura aziendale. Di certo va respinta al mittente ogni forma di elusione delle normative contrattuali e di legge!

Si tratta di forzature che l’Azienda, nell’incontro del 6 aprile, di fronte alle Delegazioni Sindacali di Gruppo, si è impegnata a rimuovere, ma rispetto alle quali vigileremo, così come, fin da subito anche su tutto il processo di pianificazione, per garantire la massima tutela ai colleghi.

Vi invitiamo a segnalarci prontamente ogni scorrettezza o tentativo di costrizione, in violazione delle normative, sui quali provvederemo a fare gli opportuni interventi e le denunce del caso.

Parma, 10 aprile 2020

 

FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN
Intesa Sanpaolo – Area Emilia Ovest

 




Intesa Sanpaolo lancia un’offerta per UBI Banca

Intesa Sanpaolo ancora protagonista del risiko bancario con una offerta a sorpresa su Ubi banca, che ha appena presentato il suo nuovo piano industriale al 2022. La banca guida da Carlo Messina ha lanciato una offerta pubblica di scambio volontario sulla totalità delle azioni di Ubi banca. Una operazione, non concordata ma nemmeno ostile, con Ubi che non commenta l’offerta, finalizzata a “consolidare la leadership” di Cà de Sass nel settore bancario con un gruppo in grado di realizzare utili superiori ai 6 miliardi di euro al 2022. Per ogni 10 azioni di Ubi banca portate in adesione all’offerta saranno corrisposte 17 azioni ordinarie di Intesa Sanpaolo di nuova emissione, valorizzando quindi Ubi 4,86 miliardi di euro.

La cifra corrisponde ad un premio del 27,6% sui valori di Borsa di venerdì 14 febbraio pari a 3,3333 euro. Il consiglio d’amministrazione di Intesa Sanpaolo sottoporrà all’assemblea straordinaria, convocata per il 27 aprile, la proposta di aumento di capitale a servizio dell’offerta. Con il perfezionamento dell’offerta, Intesa avrà accesso ad oltre 3 milioni di clienti, tra retail, pmi e private distanding, di Ubi banca. UnipolSai ha già raggiunto un accordo con Cà de Sass per rilevare, in caso di successo dell’Opa, i rami d’azienda delle compagnie assicurative Banca Assurance Popolari, Lombarda Vita e Aviva Vita, partecipate da Ubi banca. Il gruppo assicurativo bolognese sosterrà poi un aumento da un miliardo di euro per Bper di cui è primo socio per il 19,9%.

La banca guidata da Alessandro Vandelli ha sottoscritto con Intesa un contratto che prevede l’acquisto di un ramo d’azienda composto da 1,2 milioni di clienti distribuiti su 400/500 filiali ubicate prevalentemente nel nord dell’Italia. Entro venti giorni dalla data del 17 febbraio, Intesa Sanpaolo presenterà a Consob il documento d’offerta e allo stesso tempo le istanze per l’ottenimento delle autorizzazioni da parte di Bce, Banca d’Italia, Ivass e le autorità straniere interessate all’operazione. L’obiettivo dell’offerta è acquisire l’intero capitale sociale di Ubi ed il successivo delisting e fusione. Intesa Sanpaolo ritiene che la revoca delle azioni favorirà gli “obiettivi di integrazione, di creazione di sinergie e crescita del gruppo”.

 

Fonte: ANSA