Carichieti, Etruria, Banca Marche e Carife potevano essere salvate!

“Tercas, non furono aiuti di Stato”.
Così anche Carife poteva salvarsi

La Corte di Giustizia europea sentenzia la legittimità dell’intervento del Fitd previsto anche per Ferrara


Una sentenza tonante ma che purtroppo non sposta indietro le lancette della storia: non erano ’aiuti di stato’ quelli utilizzati dal Fondo Interbancario per garantire il rifinanziamento di Banca Tercas. E per proprietà drammaticamente transitiva, il castello edificato nel 2015 per evitare la liquidazione della Cassa di Risparmio di Ferrara, aveva dunque basi solide. Ieri infatti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto l’impugnazione proposta dalla Commissione “contro la sentenza del Tribunale relativa alle misure adottate da un consorzio di banche italiane a sostegno di uno dei suoi membri”. Per i giudici, il Tribunale “ha correttamente dichiarato che tali misure non costituiscono aiuti di Stato in quanto non sono imputabili allo Stato italiano”. Il Fondo Interbancario, che aveva travasato 300 milioni di euro, è infatti una sorta di consorzio tra gli istituti di credito; lo stesso organismo – e la stessa formula – che come si ricorderà si era proposto per il salvataggio di Carife. Nel 2015, a costo di un primo bagno di sangue per gli azionisti (visto che per consentire l’intervento del Fitd l’assemblea dei soci aveva approvato la riduzione del valore dei titoli a una quota praticamente simbolica), era stato impostato un piano di salvataggio, in seguito utilizzato per garantire la continuità della Cassa di Risparmio di Cesena.

Ma nell’estate di cinque anni fa, dopo la deliberazione del Fitd e l’avvio delle procedure tecniche per arrivare, nel corso di pochi mesi, alla ristrutturazione della banca cittadina, si erano originati intoppi di carattere essenzialmente politico. Dalla commissaria alla Dg Competition Margarethe Vestager era scattato un richiamo al governo italiano, indicando proprio l’impossibilità di battere quella strada (fotocopia di quella utilizzata per la banca molisana) in quanto i fondi sarebbero risultati ’aiuti di stato’, violando la normativa comunitaria. A nulla erano valsi i richiami alla ragionevolezza partiti, all’epoca, anche dall’allora sindaco Tiziano Tagliani (che ora si dice “tristemente confortato dall’idea di vedere riconosciuta la giustezza della linea per la quale ci eravamo battuti assieme alla Fondazione Carife”); la sostanziale arrendevolezza del governo Renzi aveva fatto scivolare la situazione verso l’esito che migliaia di risparmiatori ferraresi stanno ancora pagando. Con il ’decreto salvabanche’ che nel novembre 2015 ha spazzato via, assieme a Carife, anche la Popolare dell’Etruria, Banca Marche e Carichieti.

Carife però poteva non finire nel calderone; è quanto emerge – pur di riflesso – dalla sentenza che arriva dal Lussemburgo. Dove già nello scorso mese di novembre l’avvocato generale della Corte di Giustizia, Evgeni Tanchev, aveva stabilito che l’intervento italiano per Banca Tercas non era un aiuto di stato. Se è vero che la storia non si può riscrivere, perché non è dato sapere cosa sarebbe avvenuto con il rifinanziamento da parte del Fitd, la sensazione di una terribile beffa ora è certificata dai bolli del tribunale europeo: “Carife poteva essere salvata – si dice sicuro il sindacalista Samuel Paganini della Fisac Cgil – e quasi 500 posti di lavoro mantenuti. Per non parlare dei danni ai risparmiatori e del costo per tutto il sistema”. A nulla, si ricorderà, erano valsi anche i ricorsi al Tar contro il ’decreto Salvabanche’ presentati dalla Fondazione Carife, e appoggiati anche da Tagliani: per la banca cittadina la ’sentenza’ era stata scritta sull’altare della politica. Peccato che ora sia arrivato il più clamoroso degli appelli.

 

Fonte: Il Resto del Carlino – Ferrara




Intesa-Ubi, l’Antitrust mette in stand-by l’operazione.

L’Antitrust rileva che l’accordo per la cessione a Bper di una serie di attività al dettaglio non può essere preso in considerazione perché non è chiaro quali siano gli asset che sarebbero ceduti.


Nell’attesa di avere chiarimenti sulla cessione di asset a Bper, l’Antitrust mette in stand-by l’acquisizione di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo. In una nota l’Authority guidata da Roberto Rustichelli precisa che “non è stata assunta alcuna decisione” in merito alla “compatibilità” della concentrazione tra Intesa e Ubi Banca “con le regole della concorrenza”.
Allo stato”, spiega ancora l’Authority, “è stata trasmessa alle imprese interessate la sola Comunicazione delle Risultanze Istruttorie, che rappresenta la valutazione preliminare degli uffici dell’Autorità in ordine alle possibili criticità concorrenziali dell’operazione di concentrazione”.

Una comunicazione, quest’ultima, con cui l’Ente precisa la propria posizione dopo le indiscrezioni che riportavano stralci della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie. Nel documento, inviato nei giorni scorsi, l’Authority afferma che alla luce delle criticità emerse l’operazione non è «allo stato degli atti suscettibile di essere autorizzata».

Dopo l’avvio del procedimento, e la Comunicazione alle parti delle risultanze dell’istruttoria, il documento ora dovrà essere oggetto di controdeduzioni e chiarimenti da parte dei soggetti coinvolti. Peraltro va segnalato che nella sua valutazione dell’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, l’autorità Antitrust non ha preso in considerazione la prevista cessione di 400-500 sportelli a Bper perché «in base alle informazioni fornite da Intesa Sanpaolo, non è stato in alcun modo possibile enucleare il ramo di azienda Ubi oggetto di cessione a Bper, senza che permanessero significative incertezze in merito al suo perimetro».

Operazione al momento non autorizzabile

Realistico, dunque, che Intesa voglia precisare con maggiore dettaglio il perimetro di attività oggetto di cessione. Dal documento emerge anche che lo scorso primo giugno Intesa ha chiesto tempo fino al 10 giugno per «fornire la specificazione del ramo di azienda» che sarà ceduto a Bper. Istanza che tuttavia l’Antitrust ha rigettato il 3 giugno. Le parti avranno ora tempo di presentare memorie e documentazioni entro il 15 giugno. Il 18 giugno è invece prevista l’audizione finale di tutti i soggetti coinvolti.
La decisione finale attesa nella seconda metà di luglio

Dopo l’audizione collegiale il procedimento entrerà nella fase decisoria, rispetto alla quale le risultanze istruttorie non precludono alcun esito. Una volta acquisito il parere non vincolante dell’Ivass, per il quale c’è un termine massimo di 30 giorni, il collegio dovrà chiudere entro i 60 giorni lavorativi dall’avvio dell’istruttoria il procedimento, per cui una decisione è attesa nella seconda metà di luglio. L’Antitrust può approvare l’operazione, rigettarla nella sua interezza o approvarla chiedendo però dei correttivi. “E’ ragionevole attendersi che Intesa presenti le proprie controdeduzioni e/o eventuali piani alternativi di cessione in modo da garantirsi il rispetto delle condizioni richieste rimuovendo un ostacolo che non consente la partenza dell`Ops sul mercato”, ha scritto oggi Equita Sim in un suo report.

Concentrazione in molti mercati

Nelle conclusioni delle «risultanze istruttorie» l’Antitrust, come riportato da Radiocor, rileva che la concentrazione è in grado di ridurre «in maniera sostanziale e durevole la concorrenza» su una serie di mercati «in ragione dell’elevata quota di mercato e livello di concentrazione raggiunta, accompagnati da una distanza significativa dal secondo operatore di ciascuna area e in considerazione della capacità ‘disciplinante’ di Ubi nei confronti delle maggiori banche».

L’Antitrust ha identificato «639 aree critiche nel mercato della raccolta bancaria, 782 negli impieghi alle famiglie consumatrici e 218 negli impieghi alle famiglie produttrici-piccole imprese, nelle quali l’operazione in esame conduce alla costituzione o al rafforzamento di una posizione dominante». Le “aree” citate sono lo cosiddette “catchment area”, vale a dire i bacini di utenza dei 1.064 sportelli Ubi, la cui ampiezza è stata determinata, secondo la prassi Antitrust, «considerando un tempo di percorrenza massimo di 30 minuti in auto, calcolato sulla base della mobilità della domanda dei clienti bancari». L’autorità sottolinea inoltre che il numero totale di aree problematiche è naturalmente inferiore alla somma delle cifre riportate, dato che in molti casi la stessa area può essere critica in due o più mercati. Sono state identificate come critiche le aree in cui la banca nata dall’aggregazione avrebbe, tra le altre cose, «una quota di mercato congiunta maggiore o uguale al 35%» e «un distanziamento dal secondo operatore, in termini di quota di mercato, non inferiore a 10 punti percentuali».

I dubbi sulla cessione di filiali a Bper

L’Antitrust ritiene inoltre che «non possa essere preso in considerazione, quale intervento volto a risolvere le criticità concorrenziali dell’operazione in specifici mercati e aree territoriali, il contenuto dell’accordo sottoscritto» da Intesa e Bper, che prevede la cessione a quest’ultima di un pacchetto di 400-500 filiali. Ciò, scrive l’Antitrust, per tre ragioni: in primo luogo per la «sostanziale indeterminatezza del perimetro del ramo di azienda di Ubi, oggetto di cessione in favore di Bper»; in secondo luogo per le «incertezze in merito all’effettiva attuazione di tale accordo» qualora Intesa detenga a valle dell’offerta pubblica di scambio «il mero controllo al 50% più 1 azione del capitale sociale di Ubi»; infine per la «sostanziale inefficacia di tale accordo rispetto alle criticità in altre aree del territorio italiano, diverse dalle province del nord-ovest, su cui parimenti le quote post merger» di Intesa e Ubi «risultano di indubbia rilevanza, con specifico riferimento ad alcune CA (catchment area, mercati locali circoscritti ai bacini d’utenza, ndr) della regione Calabria e della regione Marche, nonché dell’Abruzzo».

Per Ubi operazione punta a eliminare concorrente

Ubi Banca «ha sostenuto che l’operazione notificata», vale a dire l’ops lanciata da Intesa Sanpaolo, «eliminerebbe dal mercato non solo un operatore capace già oggi di esercitare una significativa pressione concorrenziale, ma anche l’unico competitor tra quelli di medie dimensioni capace di avviare un percorso di consolidamento nel mercato bancario nazionale in modo indipendente e, dunque, di creare nel breve/medio periodo un terzo polo alternativo a Intesa e UniCredit».

Secondo Ubi «che questo sia il reale fine dell’operazione» sarebbe provato anche dalla decisione di Intesa di procedere con «un’ops ostile, scegliendo un percorso proceduralmente molto più complesso» rispetto a un negoziato. Una modalità «atipica per il settore bancario». «In un mercato nel quale vi sono molti operatori che sarebbero disponibili a valutare ipotesi di integrazione – conclude Ubi, secondo quanto riportato dall’Antitrust – tale modo di procedere cela la volontà di eliminare un operatore temibile e conferma l’assoluto valore competitivo di Ubi».

Nel quadro delle audizioni all’Antitrust, emergono poi schermaglie tra i due gruppi, e in particolare in merito all’ipotesi, evocata da Ubi, che la banca guidata da Victor Massiah faccia da pivot per la creazione di un terzo polo bancario in Italia. Nella Comunicazione delle risultanze istruttorie dell’Antitrust, Ubi ha spiegato «di aver valutato, a livello progettuale, la possibilità di procedere a forme di aggregazione con altri istituti bancari di medie dimensioni (segnatamente Mps, Bper, Bpm), e in particolare con Bper, con la quale risultato agli atti tavoli tecnici con Bper e Unipol». Sul tema la stessa Bper ha chiarito che «nell’autunno 2019 hanno avuto luogo alcuni contatti esplorativi», ma l’interlocuzione si è interrotta alla fine dell’anno per scelta di Ubi, che ha comunicato «di volersi focalizzare su altre priorità, quali l’elaborazione del proprio piano industriale poi presentato in febbraio». Intesa, da parte sua, rileva quindi che «non risultano elementi di fatto da cui possa desumersi che Ubi stesse effettivamente procedendo ad aggregazioni con altri operatori, né tantomeno che tali aggregazioni le avebbero consentito di raggiungere le dimensioni di Intesa Sanpaolo e UniCredit».

Intesa: Ubi non aveva altri interlocutori

L’istituto guidato dall’a.d. Carlo Messina ricorda infatti che in passato le acquisizioni di Ubi hanno riguardato solo «piccole realtà locali in condizioni molto particolari», cioè le cosiddette good banks di Banca Marche, Etruria e Carichieti, e che il piano industriale presentato da Ubi il 17 febbraio, «vale a dire lo stesso giorno dell’annuncio dell’ops», è «stato concepito in ottica “stand alone”». «Pertanto – conclude Intesa – le dichiarazioni di Ubi secondo cui la società avrebbe avuto contatti preliminari con altre banche appaiono manifestamente inidonee a supportare il requisito della “ragionevole certezza” e della sussistenza di evidenze specifiche e convergenti di uno scenario controfattuale, ma confermano semmai come Ubi, all’epoca dell’ops, non avesse individuato uno specifico interlocutore con cui realizzare un’operazione di integrazione».

Intesa: senza Bper valuta operazione diversa da nostra ops

Infine, dal documento emerge come Intesa segnali all’Antritust come, escludendo dalle sue valutazioni la prevista cessione di sportelli a Bper, l’Authority stia valutando un’operazione diversa da quella presentata dalla stessa Intesa, che ha tra le sue condizioni di efficacia quella di ottenere una «autorizzazione incondizionata» dall’autorità. Lo ha sottolineato la stessa Intesa all’Antitrust, secondo quanto riportato da quest’ultima nella Comunicazione delle risultanze istruttorie. «Ad avviso di Intesa Sanpaolo – si legge nel documento – l’Autorità starebbe valutando nella presente istruttoria un’operazione differente rispetto a quanto notificato dalla stessa Intesa Sanpaolo, con conseguenze rilevanti anche sull’ops, posto che l’operazione è subordinata all’autorizzazione incondizionata dell’Autorità».
A quanto si legge nel documento, inoltre, lo scorso primo giugno Intesa aveva chiesto tempo fino al 10 del mese per «specificare il ramo di azienda» da vendere a Bper. Una richiesta, respinta dall’Antitrust il 3 giugno, che secondo quanto risulta a Radiocor metteva sul piatto anche una possibile revisione del perimetro oggetto di cessione, secondo criteri di massima cautela e peggiorativi per Intesa, con una conseguente modifica degli accordi con Bper, per garantire di ridurre le quote di mercato al di sotto della soglia del 35% in tutte le province italiane.

Fonte: www.ilsole24ore.it

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