Fisac e Cgil contro l’abbandono bancario in Abruzzo e Molise

 

ABRUZZO MOLISE

 

Negli ultimi 5 anni in Molise è stato chiuso più o meno un terzo delle filiali bancarie presenti: un dato che ne fa la regione italiana più penalizzata dalle politiche dei grandi gruppi bancari.
In Abruzzo le cose sono andate appena meno peggio: in un quinquennio oltre 1 sportello su 4 ha abbassato le saracinesche.

Quando si citano questi numeri sembra che si parli di questioni che non incidono sulla qualità di vita delle persone. Poi si scopre che in 8 comuni su 10 nel Molise, e in 6 comuni su 10 in Abruzzo, chi deve fare un’operazione bancaria è costretto a spostarsi, perché nella località in cui abita non ci sono più banche. Un dato che contribuisce pesantemente allo spopolamento delle aree interne e che ci impone di includere le nostre due regioni tra quelle del Meridione. 

La mancanza di filiali rende più difficile il finanziamento alle piccole e medie imprese, ed i dati Bankitalia lo dimostrano in modo chiaro: nel solo 2022 il taglio è stato del 4,6% in Abruzzo e del 3,2% in Molise. Sono dati che hanno conseguenze pesanti. Una piccola azienda che non riesce a trovare finanziamenti ha due possibilità, entrambe drammatiche: o ricorre agli usurai, o chiude 

Nella classifica dei reati pubblicata dal Sole24Ore e relativa al 2022, tre delle province abruzzesi figurino ai primi posti per quanto riguarda l’usura. Nella classifica manca solo la provincia di Teramo: guarda caso l’unica ad aver mantenuto una presenza di sportelli bancari in linea con la media nazionale. 

 Molto significativo anche il dato delle chiusure delle imprese artigiane: nei primi tre mesi del 2023 il Molise è stata la regione che ha fatto registrare il peggiore saldo tra cessazioni e nuove aperture, con l’Abruzzo al secondo posto. Nel secondo trimestre l’Abruzzo ha effettuato il “sorpasso”, conquistando il poco invidiabile primato. 

Quello della desertificazione bancaria dovrebbe essere un problema in cima all’azienda dei partiti politici, in particolare nelle regioni del centro sud: e invece sembra che la politica se ne disinteressi completamente.

Per sensibilizzare sulle tematiche del Credito nel Centro Sud, la Fisac Cgil ha organizzato per il 28 e 29 settembre l’evento “Sud in Credito – Un nuovo ruolo del sistema finanziario  per lo sviluppo del Mezzogiorno”. L’evento, che si svolgerà a Napoli alla presenza del Segretario Generale CGIL Maurizio Landini, vedrà tra gli ospiti Carlo Cimbri (presidente Unipol Gruppo), Antonio Decaro (presidente ANCI), Massimiliano Fedriga (presidente Conferenza delle Regioni), Antonio Patuelli (presidente ABI), Augusto Dell’Erba (Presidente Federcasse). In rappresentanza di Abruzzo e Molise interverranno Carmine Ranieri (Segretario Regionale CGIL) e Luca Copersini (Segretario Regionale Fisac). 

 Nel corso delle due giornate di lavori la Segretaria Nazionale Fisac, Susy Esposito, illustrerà le proposte del Sindacato  per un sistema bancario e finanziario più rispondente alle esigenze del Paese e delle Regioni Meridionali. 

 

Carmine Ranieri
Segretario Generale Cgil Abruzzo Molise 

Luca Copersini
Segretario Regionale Fisac Abruzzo Molise 

 

Il servizio mandato in onda dalla TGR Abruzzo

 

 

 

 




Cgil e Fisac, 28 e 29 settembre iniziativa a Napoli “Sud in Credito”

All’Hotel Ramada, tra gli ospiti: Cimbri, Decaro, Dell’Erba, Fedriga, Landini, Patuelli


 

Sud in Credito. Un nuovo ruolo del sistema finanziario per lo sviluppo del Mezzogiorno”.

È il titolo dell’iniziativa promossa dalla Fisac e dalla Cgil nazionale in programma a Napoli il 28 e il 29 settembre presso l’Hotel Ramada in via Galileo Ferraris 40. Una due giorni per riflettere e avanzare proposte concrete, in vista della manifestazione del 7 ottobre “La Via Maestra – Insieme per la Costituzione”, sulla necessità di insediare poli specialistici, da parte dei grandi gruppi del credito e delle assicurazioni, nelle regioni meridionali, all’interno di una strategia precisa di politica industriale.

Una proposta – “Un nuovo ruolo del sistema finanziario per lo sviluppo del Mezzogiorno”, che sarà avanzata dalla segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito – che pone particolare enfasi alle nuove professionalità del digitale, all’intelligenza artificiale e ai radicali cambiamenti che ancora ci attendono. Banche, Assicurazioni e Bcc devono essere protagoniste nel superamento delle disparità territoriali, mettendo al centro l’economia reale e sostenendo il sistema delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno e le esigenze dei suoi cittadini.

Per farlo Fisac e Cgil organizzano questa iniziativa, lunga due giorni, che si articolerà in 4 tavole rotonde per riflettere su AutonomiaOccupazione e Infrastrutture e tirare poi le somme nel tavolo finale il 29 settembre che ragionerà sulla proposta di Fisac e Cgil alla presenza del presidente di Unipol, Carlo Cimbri; del presidente di Federcasse, Augusto Dell’Erba; del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini; e del presidente di Abi, Antonio Patuelli.

Tra gli ospiti, oltre a segretari generali della Cgil di categorie e territori, da segnalare: il 28 settembre saranno presenti Pier Paolo Baretta, assessore al Bilancio del Comune di Napoli; Antonio Decaro, presidente dell’Anci; e Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni. Il 29 settembre: Adriano Giannola, presidente di Svimez; Vito Grassi, vice presidente di Confindustria.

Nel dettaglio il programma prevede l’avvio dei lavori, giovedì 28 settembre all’Hotel Ramada di Napoli, alle ore 10 con i saluti di di Michele Cervone, segretario generale Fisac Cgil Campania, e l’intervento di Bruna Belmonte, segretaria nazionale Fisac Cgil, con delega al Mezzogiorno. A seguire la presentazione di una ricerca, a sostegno dei lavori della giornata, affidata a Roberto Errico, responsabile dipartimento Mezzogiorno Fisac Cgil Nazionale. Intorno alle ore 10.30 prevista la relazione introduttiva di Susy Esposito, segretaria generale Fisac Cgil Nazionale.

Subito dopo, intorno alle ore 11.30, anticipata dagli interventi video di Mimma Argurio e Laura Urgeghe, rispettivamente segretaria generale Fisac Cgil Sicilia e Sardegna, la prima tavola rotonda dal titolo: ‘AUTONOMIA – Dal Mezzogiorno al Paese, lo sviluppo tra autonomia e unità’. Previsti gli interventi di: Pier Paolo Baretta, assessore Bilancio Comune di Napoli; Michele De Palma, segretario generale Fiom Cgil Nazionale; Fausto Durante, segretario generale Cgil Sardegna; Massimiliano Fedriga, presidente Conferenza delle Regioni; Christian Ferrari, segretario confederale Cgil Nazionale; Alfio Mannino, segretario generale Cgil Sicilia; Mariella Volpe, economista e componente Forum Disuguaglianze Diversità. A moderare i lavori Roberta Lisi, giornalista Collettiva.it.

Nel pomeriggio, alle ore 15, dopo gli interventi video di Paolo Carravetta e Bruno Lorenzo, rispettivamente segretario generale Fisac Cgil Calabria e Basilicata, la seconda tavola rotonda dal titolo ‘OCCUPAZIONE – Il lavoro è sviluppo, occupazione stabile e di qualità nel Mezzogiorno’ con ospiti: Andrea Ciarini, professore associato Sociologia dei processi economici, organizzativi e del lavoro Università La Sapienza Roma; Antonio Decaro, presidente Anci; Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale Cgil Nazionale; Fernando Mega, segretario generale Cgil Basilicata; Nicola Ricci, segretario generale Cgil Campania; Serena Sorrentino, segretaria generale Fp Cgil Nazionale; Angelo Sposato, segretario generale Cgil Calabria. Modera Roberta Lisi di Collettiva.it.

La seconda giornata di ‘Sud in Credito’, venerdì 29 settembre, si aprirà con la seconda ricerca, centrata sul settore, a cura di Davide Riccardi, responsabile Ufficio Studi & Ricerche Fisac Cgil Nazionale. Seguiranno gli interventi video di Francesco Balducci e Luca Copersini, rispettivamente segretario generale Fisac Cgil Puglia e Abruzzo Molise. Sarà poi il momento della proposta di Fisac e Cgil ‘Un nuovo ruolo del sistema finanziario per lo sviluppo del Mezzogiorno’ nelle parole della segretaria generale Fisac Cgil Nazionale, Susy Esposito.

Per le ore 10.30 la terza tavola rotonda dal titolo ‘INFRASTRUTTURE – Il settore finanziario per lo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno’ con: Gigia Bucci, segretaria generale Cgil Puglia; Pino Gesmundo, segretario confederale Cgil Nazionale; Adriano Giannola, presidente Svimez; Vito Grassi, vice presidente Confindustria e presidente Consiglio rappresentanze regionali e politiche di coesione territoriale; Stefano Malorgio, segretario generale Filt Cgil Nazionale; Ferdinando Natali, regional manager Sud UniCredit; Carmine Ranieri, segretario generale Cgil Abruzzo Molise; Roberto Torrini, capo Servizio struttura economica Banca d’Italia. Modera i lavori Nica Ruggiero, giornalista responsabile Comunicazione Cgil Puglia e Bari.

Alle 14, infine, sempre dalla giornata di venerdì 29 settembre, la quarta e ultima tavola rotonda dal titolo ‘AUTONOMIA. OCCUPAZIONE. INFRASTRUTTURE.- Un nuovo ruolo del sistema finanziario per lo sviluppo del Mezzogiorno’ con la partecipazione di Carlo Cimbri, presidente Unipol; Augusto Dell’Erba, presidente Federcasse; Maurizio Landini, segretario generale Cgil Nazionale; Antonio Patuelli, presidente Abi. Modera la discussione Janina Landau, Giornalista Class CNBC.

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MPS & c. morti di freddo: i crac bancari senza padri

In fumo 35 mld, ma nessun colpevole. Sollievo per Draghi e per Bankitalia. Che, come con Etruria e le altre, non vide nulla


Il delitto perfetto? In Italia esiste, paga moltissimo (ma ad altri costa altrettanto), resta quasi sempre senza colpevoli. È il crac bancario. Lo attesta l’ultima sentenza della Corte di Appello di Milano, che l’altroieri ha ribaltato la sentenza di primo grado del novembre 2019 e ha assolto i 13 imputati per i derivati Alexandria e Santorini, il prestito ibrido Fresh e la cartolarizzazione Chianti Classico. I reati ipotizzati erano manipolazione di mercato, falso in bilancio e prospetto, ostacolo alla vigilanza. Secondo l’accusa, le operazioni sarebbero servite per occultare nei conti del Monte le perdite causate dall’acquisizione di AntonVeneta del 2008.
Ma per la corte d’appello invece “il fatto non sussiste”: per l’ex presidente Giuseppe Mussari e l’ex dg Antonio Vigni tre capi d’imputazione sono prescritti, a Deutsche Bank e Nomura sono state revocate le confische per oltre 150 milioni. In attesa delle motivazioni e dell’eventuale timbro della Cassazione, molte domande restano senza risposte certe.
Una su tutte: il Monte dei Paschi di Siena è dunque “morto di freddo”?
Forse, ma solo forse, è proprio andata così.

Il collasso di Siena è costato oltre 32 miliardi, ai quali secondo la banca stessa nei prossimi mesi dovranno aggiungersene altri 2 e mezzo (almeno) per ricapitalizzarla ancora. A salvare il Monte non è bastato piazzare aumenti di capitale a ripetizione: sono andati bruciati quello da 5 miliardi del 2008, da 2 del 2011, da 2,5 del 2012, da 5 del 2014 e da 3 del 2015. Anche la “ricapitalizzazione prudenziale” del 10 agosto 2017 è ormai scialacquata, se la banca (che ormai in Borsa capitalizza appena 726 milioni) reclama a breve un’ulteriore iniezione di capitale da almeno 2,5 miliardi.
A rimetterci non sono stati solo gli azionisti privati ma anche il Tesoro (dunque i contribuenti), primo azionista con il 64,23%, che su 6,9 miliardi investiti ne sta perdendo 5,74 (quasi il 90%) e ora dovrà rimettere mano al portafoglio. In fumo anche le obbligazioni subordinate: da quelle degli investitori istituzionali al bond retail da oltre 2,16 miliardi piazzato a 37 mila piccoli risparmiatori, spesso anziani, a tagli da mille euro durante l’operazione del 2008 per acquistare AntonVeneta.
Era ben prima che esistesse la direttiva europea sul bail in e agli albori del recepimento in Italia della direttiva Mifid sulla tutela dei risparmiatori. Eppure questa devastante distruzione di valore non ha un responsabile. Gli imputati sono stati assolti più volte dall’accusa di ostacolo alla Vigilanza di Banca d’Italia. Non hanno commesso falso in bilancio o prospetto né, tantomeno, manipolazione di mercato. Con Mussari, Vigni e colleghi assolti, la condanna di primo grado dei loro successori, l’ex presidente Alessandro Profumo e l’ex ad Fabrizio Viola potrebbe essere ribaltata in appello. In attesa delle motivazioni della sentenza, la crisi dell’istituto per la legge è stata causata (e non aggravata dopo la mala gestio) dalla grande crisi finanziaria globale innescata nel 2007 dai mutui subprime Usa e dalla recessione che ne derivò. Nessun reato nelle scelte disastrose compiute.

Il falò delle vanità creditizie italiane però non si è limitato a incenerire Rocca Salimbeni. Per restare agli istituti maggiori, negli ultimi due decenni analoghi incendi hanno colpito BiPop-Carire, Italease, Carige, Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara, CariChieti, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Bari. Sinora ben poche son state le condanne per quei crac, nessuna delle quali è definitiva, mentre tutte le accuse paiono indirizzate verso la prescrizione. Parrebbe dunque essersi trattato di un incredibile filotto di rarissimi casi di autocombustione bancaria. D’altronde la crisi bancaria, sempre negata dall’Abi, fu poi dichiarata “superata”: strano esempio di problema inesistente e poi risolto.
Solo qualche mela marcia”, ebbe a dire il presidente Antonio Patuelli a chi gli chiedeva ragguagli sulle responsabilità nei dissesti degli istituti. Affermazione giustizialista, letta col senno di oggi, perché ormai sono sparite pure le mele marce.

Ma la sentenza d’appello di Milano sul crac Mps non è stata accolta con gioia solo dai 13 imputati assolti. A tirare un sospiro di sollievo c’è anche Banca d’Italia la quale, regnante il Governatore Mario Draghi, diede via libera all’acquisizione di AntonVeneta: paradossale esempio di controllore che viene graziato per non aver controllato e tuttavia potrà ora affermare di aver sempre vigilato con attenzione.
In questa galleria dell’assurdo, di sicuro sul campo restano solo le vittime. Tra queste la Procura di Milano, sconfitta in appello dopo indagini e due processi durati un decennio. C’è, soprattutto, la via crucis di famiglie e piccole imprese: alla faccia dell’articolo 47 della Costituzione (“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”), da inizio secolo i collassi bancari sono costati oltre 72 miliardi a quasi un milione di azionisti e bondisti subordinati. Nessuna mala gestio, la vigilanza non ha colpa e non è stata neppure ostacolata. Chissà però se la fiducia, unico vero carburante del credito, tornerà mai a riprendersi.

 

Articolo di Nicola Borzi su Il Fatto Quotidiano dell’8/5/2022




Prestiti garantiti, bomba da 27 miliardi

Decreto liquidità – Le imprese non riescono a rimborsare, le banche chiedono aiuto a Draghi



Tra i 25 e i 27 miliardi: un valore superiore alla prima rata dei fondi Ue (24,1 miliardi) concessi all’Italia il 23 dicembre scorso. È l’enorme dimensione della “bomba” che grava sui conti dello Stato per i prestiti garantiti alle imprese per superare l’emergenza Covid, una somma che secondo Confindustria e MedioCredito Centrale rischia di non poter essere rimborsata dalle aziende, già in difficoltà per la recessione pandemica e oggi alle prese con la recrudescenza della variante Omicron che torna a mettere in ginocchio l’economia italiana.

L’allarme trova la sponda dell’Associazione bancaria italiana: il 4 gennaio il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, e il direttore generale, Giovanni Sabatini, hanno scritto al presidente del Consiglio Mario Draghi, ai ministri e al governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, per chiedere che siano “tempestivamente riconfermate nella loro interezza” tutte le misure di sostegno alle imprese previste dal decreto Liquidità dell’8 aprile 2020.

In sostanza, l’Abi chiede che sia estesa la garanzia pubblica sulle operazioni di ristrutturazione di finanziamenti già erogati, innanzitutto per le piccole e medie imprese, sia quanto prima attivata la garanzia Sace a “prezzi di mercato” anch’essa prevista dal decreto Liquidità ai finanziamenti garantiti e soprattutto siano prorogate le moratorie sui rimborsi, scadute il 31 dicembre. Per ottenere questa proroga occorre però modificare la legge di Bilancio. Il governo ritiene che gli aiuti già in vigore siano sufficienti, ma le banche e le aziende non sono per nulla d’accordo.

A dicembre, secondo la Task Force per la liquidità, le moratorie alle imprese ammontavano ancora a 43 miliardi. Confindustria ha reso noto al Sole 24 Ore che sono 25 i miliardi erogati ad aziende “non in grado di riprendere i pagamenti”. Una somma simile di moratorie, 27 miliardi, risulta al Fondo di garanzia per le Pmi (gestito da Mcc) in mano ad imprese che prima hanno chiesto i prestiti garantiti e poi hanno fatto la moratoria perché non riuscivano a pagare nemmeno le rate di pre-ammortamento, composte solo da interessi, e molto inferiori, a quelle che includono la quota capitale, che dovranno rimborsare da quest’anno.

Ecco perché l’Abi chiede al governo di sollecitare le istituzioni europee a ripristinare “le flessibilità inizialmente consentite dall’Autorità bancaria europea – Eba – in materia di trattamento dei crediti soggetti a misure di concessione, come le moratorie, e a modificare la soglia oltre la quale queste misure comportano la riclassificazione dell’intera posizione del debitore nella categoria crediti deteriorati”.

Il rischio è che, in caso di mancato rimborso dei prestiti garantiti e in moratoria, tutti i crediti erogati alle aziende in difficoltà, compresi quelli bancari non garantiti, vadano subito considerati sofferenze e scatenino un’ondata di chiusure velocizzate dalle nuove regole Ue. Si scatenerebbe un violento credit crunch che si abbatterebbe come una mazzata su un sistema produttivo già alle prese con le difficoltà della quarta ondata della pandemia e boccheggiante per la necessità di dover fare i conti con i rincari monstre di materie prime ed energia. La patata bollente è ora nelle mani di Mario Draghi e dei suoi ministri.

 

Articolo di Nicola Borzi sul fatto Quotidiano del 7 gennaio 2022

 




Patuelli (ABI): i bancari fanno superlavoro ma vengono criticati

“Coloro che lavorano in banca stanno facendo un superlavoro, quindi, invece di criticarli in anticipo bisognerebbe ringraziarli“. Lo ha detto il presidente di Abi Antonio Patuelli intervistato da Radio Radicale.

“Quando c’è un incendio – ha spiegato – non bisogna discutere ma correre con i secchi a spegnerlo e il coronavirus è peggio di un incendio”. “Bisogna constatare però – ha sottolineato – che i pompieri e i volontari vengono ringraziati, i bancari invece criticati.

L’emergenza coronavirus comporta un “rischio doppio” dovuto alla “crisi emergenziale che si sovrappone a una situazione economico-produttiva non di grandi numeri per il Pil, di stagnazione”.
Patuelli sottolinea come “le banche stavano finendo di smaltire i costi di una crisi economico-finanziaria nata nel 2008 e scoppiata in Italia nel 2011, i numeri di Bankitalia non sono frivoli ma corretti, quindi vi è il rischio di un cataclisma”.




I Segretari Generali scrivono al Presidente Conte dopo la risposta di ABI

 

Oggetto: Emergenza Covid-19 – Misure urgenti a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e della clientela

In questi giorni così delicati per il Paese, giorni di decisioni anche difficili prese al fine di tutelare nella misura massima la salute e la sicurezza di tutte le cittadine e i cittadini non possiamo non apprezzare l’impegno del Suo Governo nella gestione di questa così delicata ed inaspettata contingenza.

Come Organizzazioni Sindacali abbiamo gestito sino ad ora l’emergenza di concerto con ABI, sollecitando in misura massima il pieno utilizzo degli strumenti di lavoro alternativi come lo smart working, tuttavia ad oggi, considerate anche le decisioni assunte ai vari livelli anche circa l’interpretazione della mobilità abbiamo diverse e forti perplessità circa l’impatto che queste decisioni potrebbero avere rispetto al contenimento o l’incentivazione dei contagi.

Nella giornata del 12 Marzo ci siamo unitariamente rivolti al Ministro dell’Interno denunciando la massiccia affluenza di clientela presso gli sportelli bancari, anche per svolgere operazioni non urgenti, segnalando le code di anziani che come a tutti noto tra le categorie più fragile e a maggior rischio di contagio.

A tal punto, pur rientrando il settore bancario nel novero dei “servizi pubblici essenziali” ad oggi la situazione in tutte le agenzie bancarie risulta di assoluta emergenza, non solo per il numero di contagi che via via riscontriamo fra le lavoratrici e lavoratori ma per l’afflusso continuo di clientela che giornalmente le agenzie si trovano a dover gestire.

ABI ha raccolto il nostro appello, invitando con comunicato stampa del 15 Marzo tutta la clientela a recarsi in filiale solo se necessario ed indispensabile.

Nell’incontro in videoconferenza del 16 Marzo finalizzato a stilare un Protocollo di settore in materia di salute e sicurezza abbiamo altresì richiesto la chiusura per 15 giorni di tutti gli sportelli bancari su tutto il territorio nazionale, questo per massimizzare gli effetti di distanziamento sociale al fine di arginare il diffondersi dell’epidemia da Covid- 19 e tutelare massimamente lavoratrici, lavoratori e clientela evitando che le filiali si trasformino in luoghi di contagio e propagazione del virus.

All’esito della consultazione del Comitato Esecutivo del 18 Marzo ABI ha respinto la nostra richiesta invocando il rispetto della normativa in materia di servizi pubblici essenziali.

Riteniamo dunque necessario e non più procrastinabile rivolgerci direttamente a Lei rispetto alla perplessità e al dissenso che unitariamente manifestiamo rispetto alla interpretazione del DPCM 11 Marzo 2020.

Chiediamo pertanto al Suo Ufficio di procedere con l’adozione di un provvedimento straordinario in accoglimento della richiesta già formulata ad ABI, ovvero la chiusura per 15 giorni di tutti gli sportelli bancari su tutto il territorio nazionale.

In qualità di Segretari Generali delle categorie produttive del credito, siamo totalmente a disposizione nel contribuire a favorire la piena applicazione delle disposizioni governative e chiediamo a Lei ed al Suo Governo convinti però che in questa particolare fase la salute e la sicurezza del Paese sia di assoluta priorità.

Questo a tutela della salute e sicurezza delle lavoratrici dei lavoratori e della clientela tutta.

I Segretari Generali

Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – Unisin
Lando Maria Sileoni – Riccardo Colombani – Giuliano Calcagni – Massimo Masi – Emilio Contrasto


Di seguito la risposta di ABI ai Segretari Generali


Ai Segretari Generali di
Fabi | First-Cisl | Fisac-Cgil | Uilca | Unità Sindacale | Falcri Silcea Sinfub

Il Comitato esecutivo odierno ha rivolto la massima attenzione all’attuale situazione di emergenza correlata alla diffusione del virus COVID-19 ed ha confermato la priorità della tutela della salute delle persone interessate, lavoratrici/ lavoratori e clienti, per garantire la quale si stanno adottando anche misure ulteriori rispetto a quanto necessario per adempiere alle disposizioni delle Autorità, al fine di contenere i rischi di contatto agendo sulle diverse leve a disposizione, alla luce di quanto disposto nel DPCM 11 marzo 2020 in ordine alla prosecuzione dei servizi bancari.

Il Comitato esecutivo ha approvato all’unanimità, esprimendo pieno apprezzamento, il Protocollo ”Misure di prevenzione, contrasto e contenimento della diffusione del virus COVID-19 nel settore bancario” condiviso da ABI con Fabi, First­ Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin il 16 marzo 2020, che – alla luce di quanto disposto dal Dpcm 11 marzo 2020 in ordine alla prosecuzione dei servizi bancari – contiene le misure che devono essere rispettate per operare tutelando la sicurezza delle lavoratrici/lavoratori e dei clienti.

Tenuto anche conto di quanto da Voi rappresentato, il Comitato esecutivo ha condiviso che la situazione nelle aree caratterizzate da un elevatissimo livello di contagio pur senza essere qualificate come “zone rosse”, richiedano l’adozione di misure straordinarie ed eccezionali per la tutela delle persone con il massimo senso di responsabilità.

In aggiunta ai piani in corso di realizzazione di riduzione dell’operatività delle reti fisiche correlati all’emergenza sanitaria, le banche si impegnano ad adottare tutte le misure idonee a limitare l’accesso alle filiali da parte di clientela ai soli casi delle operazioni urgenti non realizzabili attraverso i canali remoti e gli sportelli automatici che offrono amplissime operatività, così da poter ridurre ulteriormente e drasticamente la presenza delle colleghe e dei colleghi all’interno delle stesse e ridurre il rischio di contagio. Nel contempo il personale presente – nel rispetto di tutte le prescrizioni igieniche sanitarie – assicurerà alla clientela l’erogazione dei servizi essenziali che non possono essere soddisfatti attraverso i canali “remoti” e gli sportelli automatici, attraverso anche l’attenta gestione del relativo accesso fisico alla filiale.

Il Comitato esecutivo, rappresentato dal Presidente Antonio Patuelli, rinnova il forte invito rivolto a tutti i cittadini a contribuire al massimo alla lotta al coronavirus evitando il rischio di contagio, utilizzando  per  le operazioni bancarie ‘i canali che non richiedono presenza fisica – disponibili da casa tramite computer  e telefono – nonché i bancomat all’esterno delle filiali. Per le inderogabili esigenze che richiedono di recarsi comunque in filiale,  l’invito è a telefonare prima alla propria banca per ricevere tutto il supporto necessario.

Con i più cordiali saluti.

Antonio Patuelli

 

 




Appello dell’ABI: non andate in banca se non è necessario

Un forte invito agli Italiani è stato rivolto dal Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Antonio Patuelli, e dal Direttore Generale dell’ABI, Giovanni Sabatini.

Domattina, lunedì, le banche riapriranno, come disposto dal Governo, con i previsti presidi sanitari. L’Associazione Bancaria invita i cittadini a contribuire al massimo alla lotta al coronavirus evitando ogni rischio di contagio.

Il Presidente  Patuelli e il Direttore Sabatini rilevano che sono diffusissime le operazioni bancarie possibili da casa tramite computer e telefono portatile; molto diffusi sono anche i Bancomat all’esterno delle filiali e operano anche Bancomat evoluti che fanno pure operazioni di versamento e pagamento anche di bollette.

Patuelli e Sabatini rivolgono un particolare invito a chi desiderasse andare comunque in banca, in particolare agli anziani che avessero meno confidenza con le tecnologie: invece e prima di andare nella filiale bancaria, telefonate da casa in banca per consigliarsi su come risolvere il problema che avete, ma senza uscire di casa. Ci sono tante possibilità che vanno ricercate e sono realizzabili facilmente per telefono con le filiali bancarie senza uscire di casa.

Vi invitiamo caldamente almeno a telefonare in banca.

Roma, 15 marzo 2020

 

Comunicato stampa dell’Associazione Bancaria Italiana

 

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Ma alla fine, che cos’è questo MES?

In questi giorni è sicuramente l’argomento più caldo sulla scena politica. Lo scorso 7 dicembre c’è stata l’iniziativa della Lega che ha raccolto le firme contro il MES: un mostro di cui tutti parlano, ma del quale nessuno sa dire davvero cosa sia.

Secondo Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) è un meccanismo che serve a salvare le banche tedesche a spese dei cittadini italiani.
Matteo Salvini lo definisce un fondo privato che mette nelle mani di sette burocrati europei, due tedeschi, due francesi, un olandese, un belga e un irlandese il destino dei paesi dell’Eurozona.
Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista lo definiscono un pericolo per i risparmi dei nostri connazionali.

In tanti cavalcano la paura, presentando il MES come un meccanismo da burocrati che peggiorerà le nostre vite e limiterà la nostra libertà.
Ma cosa c’è di vero in tutto questo?

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM se riferito al nome in inglese) è un’organizzazione intergovernativa dei paesi dell’Area Euro, nata per aiutare i paesi che si trovano in difficoltà economica.
E’ un’istituzione basata sulla solidarietà: tutti si tassano in proporzione alle loro possibilità per evitare che gli stati più deboli diventino insolventi. Ma è anche un sistema indispensabile per difendere l’euro, visto che il fallimento di un Paese può avere ripercussioni da tutti gli altri.

Il MES, nella sua formulazione attuale, esiste dal 2012. Cioè da sette anni.
E questa forse è una notizia che risulterà sorprendente per molti. E tanto per rinfrescare la memoria, la sua istituzione fu negoziata durante il governo Berlusconi-Lega ed entrò in vigore durante il Governo Monti sostenuto, tra gli altri, dalla Meloni.

L’attuale dotazione del MES è di circa 80 miliardi. A costituirla sono stati tutti i Paesi dell’Eurozona in proporzione al loro peso economico. Questo fa sì che la Germania sia il primo contributore, sfiorando il 27% del capitale, oltre ad essere lo Stato che ha le minori probabilità di usufruire degli aiuti.
Il MES può emettere titoli garantiti dagli Stati dell’Eurozona, arrivando a raccogliere liquidità fino a 700 miliardi di euro, da utilizzare per effettuare prestiti alle nazioni che ne facciano richiesta.

Per le regole attuali, cioè quelle in vigore dal 2012 delle quali finora nessuno sembrava essersi accorto, gli Stati che chiedono l’aiuto del MES devono sottostare ai controlli di un comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale (la cosidetta Troika) e mettere in campo una serie di riforme imposte dal comitato.
Il piano di riforme prevede di solito misure molto impopolari come tagli alla spesa pubblica, – in particolare alle pensioni – privatizzazioni, liberalizzazioni e maggiore flessibilità delle leggi sul lavoro, puntando al risanamento dei conti.
La logica è: “Se mi chiedo dei soldi io te li presto, ma siccome voglio essere sicuro di riaverli indietro devi fare tutto quello che dico io”.
Può essere un criterio più o meno discutibile, ma sono regole che esistono da 7 anni e sono state già applicate in occasione degli aiuti a Cipro, Portogallo, Irlanda e Grecia (la nazione che ne è uscita più pesantemente segnata).

Dalla sua creazione il MES ha ricevuto grossi apprezzamenti, essendosi rivelato uno strumento adatto ad affrontare le crisi, vista la sua capacità di prestare denaro a Stati che altrimenti non avrebbero potuto ottenere prestiti.
Ma le critiche non sono mancate.
C’è chi accusa il fondo di pretendere sacrifici troppi pesanti in cambio degli aiuti, deprimendo così le economie degli Stati che dovrebbe sostenere. Ma c’è anche l’accusa opposta, cioè di sostenere chi non lo merita, concedendo denaro con troppa facilità ed incoraggiando così Stati meno seri a spendere oltre i propri mezzi. Come si può facilmente intuire, la prima critica arriva dalle Nazioni più a rischio, la seconda arriva da quelle più solide, che sono anche quelle che contribuiscono in modo più consistente.

 

Cosa prevede la riforma

A questo punto dovrebbe essere chiara l’esistenza di due diverse correnti che chiedono riforme del MES: da una parte quella dei Paesi più indebitati che vogliono alleggerire il peso degli adempimenti richiesti a chi si avvale degli aiuti, dall’altra quella dei Paesi ricchi del Nord Europa, che chiedono un inasprimento.
La riforma, discussa a partire dal 2018, cerca di conciliare entrambe le richieste.

La richiesta dei Paesi meno solidi, finalizzata a consentire la concessione di prestiti agli stati che ne avessero bisogno senza obbligarli a riforme pesanti ed impopolari è stata accolta.
Peccato che sia stata accolta anche l’altra richiesta, quella degli stati più ricchi del Nord, che di fatto la rende inutile. Per ottenere credito sarà infatti sufficiente una lettera d’intenti, ma solo a patto di rispettare i parametri di Maastricht. Considerando che 10 stati su 19 membri dell’eurozona non rispettano questi parametri, e che tra questi figura anche l’Italia, per quanto ci riguarda la situazione resterà invariata rispetto alle attuali normative.

Un risultato concreto ottenuto dai paesi più indebitati (Italia in primis) è il meccanismo del backstop.
Di cosa si tratta? Di un fondo comune costituito tra le banche europee, capace di agire autonomamente quando una banca di un Paese dell’eurozona è in crisi, evitando di utilizzare risorse pubbliche per il salvataggio.
Salvini e la Meloni sostengono che il MES porterà via soldi agli Italiani per salvare le banche tedesche: la verità è che i Tedeschi sono stati i più fieri oppositori di questa riforma, sostenendo che fossero le banche di Paesi in difficoltà come l’Italia ad aver bisogno di questi soldi, e che la Germania si sarebbe trovata a finanziare salvataggi in questi Paesi.
Il MES contribuirà a finanziare il Fondo di risoluzione, potendo stanziare fino a 55 miliardi; le banche diventeranno così più sicure.

Un risultato ottenuto dai “rigoristi” del Nord Europa rappresenta invece un effettivo peggioramento dell’accordo, se considerato dal nostro punto di vista, tanto da spingere sia il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, sia il presidente dell’ABI Antonio Patuanelli ad esprimere preoccupazione.
La nuova norma è finalizzata a rendere più facile la “ristrutturazione” del debito pubblico di un Paese che chiede sostegno al MES. Per effetto di questa modifica, i privati che hanno sottoscritto titoli del debito pubblico (quindi di fatto hanno prestato dei soldi allo Stato), potrebbero, nel momento in cui scatterà il pacchetto di aiuti alla Nazione in difficoltà, vedersi rimborsati i titoli sottoscritti solo parzialmente e non per l’intero valore nominale.

Stiamo parlando delle Clausole di Attivazione Collettiva (CACS), della quali Salvini ha dimostrato di non sapere assolutamente nulla, pur utilizzandole come spauracchio per terrorizzare i suo elettori.

Le istituzioni Europee hanno rassicurato i Paesi membri spiegando che la ristrutturazione del debito non sarà automatica e che la riforma nasce per proteggere i governi in caso di default. Il meccanismo prevede la possibilità di ridurre il capitale da rimborsare o gli interessi, oppure posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze.
Le vecchie clausole presupponevano un accordo tra uno Stato alle prese con la ristrutturazione del suo debito e la maggioranza degli investitori. Poiché gli Stati emettono debito in tante emissioni, era finora necessaria una doppia maggioranza: a livello di debito complessivo e in ogni singola emissione.
La riforma del Mes richiede la sola maggioranza a livello complessivo, cioè la single limb. Tutto questo crea una condizione di rischio per i privati.
Come spiegato in precedenza, per accedere agli aiuti del MES bisogna essere in regola con determinati parametri. Gli Stati non in regola potranno beneficiare degli aiuti a patto di impegnarsi ad attuare riforme impopolari per risanare il bilancio. La possibilità di ristrutturare il debito, scaricando sui risparmiatori privati parte del peso, rende più facile l’accesso agli aiuti ma meno sicuro l’investimento in titoli di stato.
Anche senza arrivare ad un provvedimento del genere, la sola esistenza di questa norma potrebbe scoraggiare gli investitori a sottoscrivere titoli dei Paesi più indebitati, costringendoli ad aumentare i tassi per continuare a finanziarsi.

Il MES è un circolo privato?

Questo trattato mette 124 miliardi di Euro degli Italiani nella mani di sette burocrati europei: due tedeschi, due francesi, un olandese un belga e un irlandese che possono discrezionalmente decidere chi aiutare e non aiutare con quei soldi.          MATTEO SALVINI

Cosa c’è di vero in questa affermazione? Niente.

Intanto le somme versate dall’Italia al MES si limitano a poco più di 14 miliardi, pari al 17% del fondo. I 124 miliardi rappresentano il capitale sottoscritto ma non versato. Se davvero si rendesse necessario per l’Italia versare i residui 110 miliardi, questo vorrebbe dire che la Germania ne verserà 160, la Francia 120 e così via.

Chi comanda nel MES?
Il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 Ministri delle finanze dell’area dell’euro. Il Consiglio assume all’unanimità tutte le principali decisioni (incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono).
Le decisioni meno importanti richiedono comunque una maggioranza pari all’85% del numero di quote sottoscritte.
Considerando che l’Italia detiene il 17% delle quote, ha di fatto potere di veto: questo vuol dire che il MES non potrà mai prendere una decisione che non sia condivisa anche dal Governo Italiano.

Già, ma il Governo conosce le proprie decisioni? A questo punto si dovrebbe rispondere che non è sempre così, o almeno non lo è per tutti i Governi, considerando che le attuali modifiche sono state concordate nel 2018 dal Governo Conte 1 e dai vice premier Salvini e Di Maio.

Cioè gli stessi che adesso alzano barricate e raccolgono firme chiedendo di non ratificare le modifiche concordate dal loro Governo.