Smart working prorogato fino al 31 dicembre per fragili e per chi ha figli under 14

Ad annunciarlo è stato, su Twitter, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La proroga è contenuta nell’emendamento al Dl aiuti bis. La possibilità di ricorrere al lavoro agile era scaduta il 31 luglio e non era stata rinnovata per problemi di copertura. Confermate anche le procedure semplificate di comunicazione.


È stato prorogato fino a fine anno lo smart working per i lavoratori fragili e per i genitori di figli con meno di 14 anni. Ad annunciarlo è stato, su Twitter, il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La proroga è contenuta nell’emendamento al Dl aiuti bis approvato dalle Commissioni riunite Bilancio e Finanze del Senato e passato all’esame dell’Aula di Palazzo Madama. Il testo contiene una serie di misure per aiutare famiglie e imprese a sostenere il caro energia.

“Prorogato fino al 31 dicembre lo smart working per i fragili e per i genitori di figli con meno di 14 anni”, ha scritto su Twitter il ministro Orlando. “In diverse occasioni, negli scorsi mesi, avevo proposto la proroga e mi ero impegnato affinché fosse approvata: promessa mantenuta”, ha aggiunto. La misura, ha spiegato, “rappresenta un intervento fondamentale per tutelare le persone più fragili, i genitori con figli piccoli e continuare a garantire migliore conciliazione del tempo vita-lavoro grazie alla modalità agile”.

Sia per i lavoratori fragili sia per i genitori con figli under 14, la possibilità di smart working era scaduta il 31 luglio e non era stata rinnovata per problemi di copertura. Ora l’emendamento sposta il termine al 31 dicembre 2022. Agli oneri derivanti da questa modifica – si legge nell’emendamento – si corrisponde con 18,66 milioni per il 2022, che verranno coperti per 8 milioni attraverso il Fondo sociale per l’occupazione del ministero del Lavoro, e 10,66 milioni con riduzione del Fondo per le politiche attive del lavoro.

L’emendamento conferma anche le procedure semplificate di comunicazione. Le due categorie, lavoratori fragili o con figli under 14, dal primo agosto erano quindi prive della tutela di legge per il ricorso allo smart working. In molte aziende questi lavoratori sono dovuti tornare in presenza. Oppure si sono dovuti attenere alle modalità previste dagli accordi aziendali sul lavoro agile che le imprese hanno firmato con le rappresentanze sindacali.

Nel periodo in cui non c’è stata la copertura, alcune aziende hanno quindi rimediato con degli accordi firmati con le rappresentanze sindacaliAltre hanno fatto riferimento al decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022 (articolo 4 lettera b): “I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi” per il lavoro in modalità agile sono tenuti “a riconoscere priorità alle richieste” di “lavoratori con figli fino a 12 anni, o senza limite di età in condizioni di disabilità”, e dei lavoratori “con disabilità in situazione di gravità accertata” o caregivers.

Le norme che regolano lo smart working, anche con la nuova proroga, sono le stesse che erano in vigore fino al 31 luglio. La possibilità di usufruire del lavoro da remoto deve essere compatibile con le caratteristiche della prestazione professionale. Per quanto riguarda i genitori di figli under 14, poi, in famiglia non deve esserci già un genitore che non lavora o che percepisce uno o più ammortizzatori sociali, come ad esempio la cassa integrazione. Per le persone fragili, i medici competenti devono accertare che siano maggiormente esposti a rischio di contagio.

 

Fonte: Sky Tg24




Fragili e genitori di under 14: lavoro agile verso la proroga

Il ministero del Lavoro sta studiando un emendamento, da presentare in sede di conversione del decreto Aiuti bis all’esame del Senato, per prorogare fino al 31 dicembre la modalità di lavoro agile per i lavoratori fragili e per i genitori con figli under 14; due categorie di lavoratori la cui normativa di maggior favore (che riconosceva una sorta di “diritto” a ottenere lo smart working) è scaduta il 31 luglio.

La norma è spinta dal titolare del dicastero di via Veneto, Andrea Orlando, dopo che il primo tentativo, a fine luglio, di inserirla nel provvedimento (allora in preparazione da parte del governo) è stato stoppato dalla Ragioneria generale dello Stato per via dei costi (specie per il settore pubblico). Proprio per prevenire quest’ultima obiezione, da quanto si apprende, per la relativa copertura si sarebbero trovati fondi propri del ministero del Lavoro.

In assenza di questo intervento, i lavoratori fragili e i genitori con figli under 14 devono tornare in presenza, nelle imprese che non hanno previsto lo smart working (ci sono comunque le protezioni più generali del Dlgs 105 del 2022, che riconosce una serie di priorità nelle richieste di lavoro agile anche per fragili e genitori con figli sotto i 12 anni). Nelle aziende dove c’è invece la contrattazione che ha disciplinato il lavoro agile questi lavoratori rientrano secondo le modalità previste dalle intese.

“Se l’emendamento allo studio di Andrea Orlando sarà presentato e poi approvato – spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all’università la Sapienza di Roma – la situazione cambierà così: per lavoratori fragili e genitori con figli sotto i 14 anni viene riconosciuto, come in passato in virtù delle proroghe dell’articolo 90 del Dl 34 del 2020, un diritto allo smart working, che potrà essere esercitato in tutte le realtà aziendali, incluse quelle che non prevedono smart working, sempre che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”.

Peraltro, sull’esercizio del diritto allo smart working per fragili e lavoratori con figli con meno di 14 anni, nei mesi scorsi, erano emerse due linee interpretative diverse, tra chi lo ha interpretato come un diritto al lavoro da remoto al 100% – anche se non espressamente previsto dalla normativa – e chi come diritto al 100% di svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile (dunque in parte da remoto e in parte in presenza, come previsto dalle singole intese individuali).

Del periodo emergenziale, resta invece la comunicazione semplificata degli accordi di lavoro agile al ministero del Lavoro. Si partirà domani, 1° settembre: l’accordo individuale rimane imprescindibile (anche laddove c’è un accordo aziendale), ma non dovrà più essere caricato sul portale del ministero del Lavoro, come prevedeva la normativa del 2017. Sarà sufficiente una mera comunicazione al ministero del Lavoro dei nominativi dei lavoratori e della data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile (ciò vale per i nuovi accordi di lavoro agile o la proroga di precedenti accordi che si perfezionano a partire dal 1° settembre). Le aziende, tuttavia, considerato che dovranno adeguare i sistemi informatici, in fase di prima applicazione potranno perfezionare la nuova procedura telematica entro il 1° novembre.

 

Fonte: Il Sole 24 Ore




Salari amari: disuguaglianze, retribuzioni, contrattazione

Sebbene sia sempre stato terreno di confronto, spesso aspro, all’interno del mondo politico ed accademico, l’interesse per la disuguaglianza economica si è intensificato in modo significativo a partire dalla grande recessione del 2008-2009.

Nel nostro lavoro ci siamo concentrati principalmente sulle due dimensioni analitiche classiche della disuguaglianza al singolare, rispettivamente disuguaglianza della ricchezza e disuguaglianza salariale. Siamo partiti dalle principali evidenze in termini di concentrazione della ricchezza a livello globale per poi entrare nello specifico del caso italiano e della sua comparazione con il livello europeo. Abbiamo, poi, riproposto la stessa tipologia di analisi concentrandoci però sulle disuguaglianze salariali. Il salario medio lordo annuale in Italia è circa 12.400 euro in meno rispetto alla Germania e oltre 9.000 euro in meno rispetto alla Francia. Questa distanza tra i salari di Germania e Francia rispetto a quelli italiani, preoccupante di per sé, è ulteriormente aggravata dalla lettura tendenziale. Negli ultimi venti anni i salari italiani sono stati pressoché stagnanti.

La crescita delle disuguaglianze è il frutto di scelte politiche: è da respingere una certa lettura deterministica delle disuguaglianze come male necessario che deve essere accettato e non corretto.
Pur avendo attirato maggiore attenzione negli ultimi tempi, ricchezza e distribuzione della ricchezza giocano un ruolo minore rispetto alla distribuzione del reddito nelle discussioni sulle disuguaglianze economiche. Tuttavia, il tema della polarizzazione della ricchezza è, nella realtà dei fatti, uno snodo cruciale da affrontare se si vuole inquadrare correttamente il fenomeno della crescita delle disuguaglianze a livello globale degli ultimi decenni. Negli ultimi quarant’anni la ricchezza è cresciuta in misura nettamente superiore al monte salari complessivo e questa stessa ricchezza si è distribuita in modo disuguale a vantaggio di una quota molto piccola della popolazione.

Nella nostra riflessione, infine, proponiamo due elementi cruciali che aggravano e in parte rendono possibile l’affermarsi dell’odiosa e problematica disuguaglianza, collegati all’ascesa della finanza globale e alle modificazioni nella struttura della tassazione.


Programma – scarica il PDF – scarica la versione orizzontale

09,30 Video introduttivo

  • Bruna Belmonte, Presidente Lab

09,45 Roberto Errico, Ricercatore Lab (contributo filmato con videografica)

09,50 Opinioni a confronto

conduce Natascha Lusenti, Giornalista

09,55 Primo panel
  • Maria Grazia Gabrielli, Segretaria generale Filcams
  • Maurizio Martina, Vice Direttore generale FAO
  • Giovanni Mininni, Segretario generale Flai
  • Mauro Paccione, Direttore Risorse Umane Reale Group
  • 10,35 Nicola Cicala, Direttore Lab (contributo filmato con videografica)
10,40 Secondo panel
  • Nino Baseotto, Segretario generale Fisac
  • Ilaria Dalla Riva, Responsabile People & Culture Italia, UniCredit
  • Stefano Malorgio, Segretario generale Filt
  • Leonello Tronti, Docente di Economia e politica del lavoro, Università Roma Tre

11,20 Video

11,25 Tavola rotonda conclusiva
  • Pierangelo Albini, Responsabile Relazioni Sindacali Confindustria
  • Rosy Bindi, già Presidente Commissione Parlamentare Antimafia
  • Maurizio Landini, Segretario generale CGIL
  • Rev. José Lombo, Docente di Etica alla Pontificia Università della Santa Croce
  • Patrizia Luongo, Economista, Forum Disuguaglianze Diversità
  • Andrea Orlando*, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali

*in attesa di conferma




Il piano di Confindustria: licenziare i più anziani e assumere precari

Se mettiamo in ordine le dichiarazioni pubbliche e le interviste rilasciate negli ultimi giorni da Carlo Bonomi e il tam tam del giornale di casa, viene fuori il programma completo della Confindustria sul tema del lavoro.

In sintesi estrema, è questo: nonostante siamo ancora nel pieno della pandemia, alle aziende bisogna permettere di licenziare perché, dice il leader degli industriali, “il blocco dei licenziamenti si sta trasformando in blocco delle assunzioni”. Quindi togliere il divieto darebbe via libera alla nascita di nuovi posti. Di che tipo? Intanto quelli con contratti precari, per i quali Bonomi chiede di togliere definitivamente l’obbligo di motivarne il ricorso con la causale e i vincoli imposti dal decreto Dignità che ne ha arginato l’esplosione avviata col decreto Poletti del governo Renzi. E poi con un misto di sgravi fiscali e “solidarietà espansiva”, riducendo cioè l’orario di lavoro e lo stipendio agli attuali dipendenti, così da usare quei risparmi per far entrare i nuovi. Come tutelare poi quelli mandati a casa? Riformando gli ammortizzatori sociali, rendendo universale la cassa integrazione, senza però specificare su chi dovrebbero ricadere i costi.

La parola d’ordine, quindi, è lasciare le imprese libere di tagliare gli organici e sostituirli con giovani a tempo determinato e, quindi, con salari inferiori. È ancora aperta la partita del decreto Sostegno, quello che prima si chiamava Ristori e da settimane viene rimandato. Bonomi si inserisce battendo cassa con il decalogo confindustriale, riproponendo lo strano sillogismo per cui, sbloccando i licenziamenti, le imprese assumerebbero.

Il divieto di mettere alla porta dipendenti per ragioni economiche – in tutti gli altri casi è consentito – è in vigore dal 17 marzo 2020 e scadrà a fine mese. L’idea del governo – a maggior ragione con la terza ondata del Covid – è prorogarlo fino al 30 giugno. Finora ha funzionato per proteggere quantomeno i posti a tempo indeterminato, come confermano i dati Istat, ma non sono mancati i datori che l’hanno ignorato: tra aprile e settembre, infatti, le tabelle Inps segnano comunque 127.330 licenziamenti economici, aumentati soprattutto a fine estate, quando sono stati permessi per cessazione delle attività o con accordi di incentivi all’esodo. Un numero lontano dagli oltre 343/mila del 2019, ma comunque alto. E se già la diga ha mostrato di avere qualche crepa, aprirla del tutto provocherebbe una catastrofe occupazionale. Nel 2020, stima la Banca d’Italia, la moratoria ha evitato 700 mila licenziamenti: ambienti sindacali ne prevedono oltre il milione con la fine del divieto in primavera.

È qui che dovrebbe intervenire la riforma – cara anche alla Confindustria – degli ammortizzatori sociali. Quelli disegnati nel 2015 dal Jobs Act hanno dimostrato di lasciare senza protezione una grossa fetta di lavoratori, tanto da rendere necessaria la cassa in deroga. L’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo aveva affidato a una commissione di esperti la redazione di un piano e il 25 gennaio era pronta a presentarlo alle parti sociali. La caduta del governo ha bloccato tutto, ma il suo successore Andrea Orlando sembra voler proseguire su quella strada: ha promesso ai sindacati una convocazione nei primi di marzo, che però ancora non è arrivata e non si sa quando arriverà. Il nodo sarà individuare chi dovrà pagare le nuove tutele, più o meno generose che siano. Bonomi glissa sull’argomento, eppure è fondamentale: se in fase iniziale la riforma potrà infatti essere finanziata con la fiscalità generale, subito dopo bisognerà renderla assicurativa, quindi dovrà comportare aumenti contributivi (difficile sia questa la proposta di Confindustria).

Come detto, in cambio della libertà di licenziare, Bonomi promette una staffetta generazionale nelle aziende, ma solo rivedendo (cioè cancellando) il “meccanismo delle causali” del dl Dignità, in parte sospeso causa Covid fino al 31 marzo. L’altra richiesta è il permesso per le aziende sotto i 250 dipendenti di usare il contratto di espansione: sistema col quale i lavoratori accettano una riduzione di orario e stipendio per favorire gli ingressi di giovani. Ovviamente accompagnato da sgravi: “Va rafforzato il bonus per giovani e donne”. Soldi pubblici, insomma: d’altronde si finisce in “Sussidistan” solo se vanno nelle tasche di poveri e disoccupati, mentre se a beneficiarne sono le imprese va tutto bene.

 

Articolo di Roberto Rotunno su “Il Fatto Quotidiano” dell’11/3/21