Mr. Orcel e i suoi fratelli: il banchiere non va in crisi

La parte fissa del salario dell’AD di Unicredit è 7,5 mln, la più alta in Italia: ora vuole un aumento del 40%. Da Nagel in giù: nessuno fa la fame


 

Questa è la storia di Andrea e dei suoi stipendi. Andrea di cognome fa Orcel e di mestiere fa il banchiere. Da quasi due anni è amministratore delegato di Unicredit, dopo una carriera di 20 anni negli Stati Uniti a Merrill Lynch, poi in Svizzera al vertice dell’Ubs, troncata dopo quattro anni nel settembre 2018 con l’annuncio del passaggio alla guida del colosso spagnolo Banco de Santander. Il fidanzamento è stato rotto prima del matrimonio e ne è sorto uno strascico giudiziario nel quale è stato finora riconosciuto a Orcel un risarcimento di decine di milioni di euro.

Orcel è stato ingaggiato da Unicredit il 15 aprile 2021 con l’indicazione di uno stipendio “ordinario” di 7,5 milioni di euro lordi, il più alto tra i banchieri italiani. Ma già nel 2021 ha guadagnato di più, in totale 8,38 milioni lordi tra stipendio monetario e controvalore delle azioni gratuite. Sull’onda del miglioramento dei risultati finanziari della banca, adesso Unicredit sta esaminando la proposta di dare al banchiere romano un significativo aumento della busta paga.
Ne aveva parlato per primo il Financial Times all’inizio di dicembre. Il Sole 24 Ore ieri ha scritto che “l’istituto di piazza Gae Aulenti sta ragionando su una ‘forchetta’ di remunerazione che implica un incremento compreso tra il 20 e il 40% rispetto allo stipendio attuale: la paga annua di Orcel passerebbe infatti dagli attuali 7,5 milioni a una cifra compresa tra i 9 e i 10,5 milioni”. La decisione sarà presa dal cda entro fine mese e sarà portata al voto degli azionisti nell’assemblea di fine marzo.

Il tema dello stipendio di Orcel da tempo fa discutere. Lui rivendica i risultati della banca, migliorati da quando ha preso le redini (ovviamente ci si basa sulle cifre che lo stesso banchiere porta al cda). Secondo i numeri pubblicati da Unicredit, il 2022 si è chiuso con un utile netto di 5,2 miliardi (6,5 miliardi a livello contabile), +47,7% rispetto al 2021. Risultati che escludono la Russia. C’è stata tensione con la Bce, che ritiene lenta l’uscita dal rischio russo. Il titolo ha raddoppiato il valore negli ultimi sei mesi (+93%), dai 9 euro di agosto ai 18,3 euro di oggi.

La storia del banchiere, nato nel 1963, è scandita dai turbostipendi. Clamoroso il precedente della rottura con la presidente del Santander, Ana Botin, che nel 2019 ritirò l’offerta che gli aveva fatto per lasciare Ubs prima che si insediasse a Madrid. Orcel ha chiesto un risarcimento di 76 milioni. Un giudice spagnolo il 9 dicembre 2021 ha dichiarato valido il contratto del 24 settembre 2018 tra il Santander e Orcel, condannando l’istituto a pagare un risarcimento di 68 milioni. Nel gennaio 2022 la magistratura ha fissato il risarcimento a 51,4 milioni. Il 6 febbraio scorso un tribunale di Madrid ha di nuovo dato ragione a Orcel, ma l’importo del risarcimento è stato ridotto a 43,4 milioni. Santander ha annunciato ricorso alla Corte Suprema.

La crisi non intacca gli stipendi dei banchieri. Nel 2021, secondo l’Autorità bancaria europea (Eba), 351 manager e dipendenti di banche italiane hanno guadagnato oltre un milione di euro lordi, su un totale di 1.957 banchieri in Europa (1.383 nel 2020). E il 2022 andrà sicuramente meglio per la gran parte di loro.

Il Financial Times ha riferito che i “sostenitori” di Orcel dicono che dovrebbe essere pagato come l’ad di Jp Morgan, Jamie Dimon, il quale l’anno scorso ha ricevuto 34,5 milioni di dollari lordi, cifra invariata rispetto al 2021. L’anno scorso gli azionisti della banca hanno respinto la proposta di pagare a Dimon un incentivo straordinario futuro di 50 milioni.
L’ad di Goldman Sachs, David Solomon, è stato pagato 25 milioni di dollari, il 30% in meno rispetto al 2021. I risultati della banca sono peggiorati e la banca ha lanciato un piano di 3.200 licenziamenti. Morgan Stanley ha tagliato del 10% la paga dell’ad, James Gorman, al quale è andata comunque una somma stellare, 31,5 milioni.

Gli stipendi 2022 dei banchieri italiani non sono ancora stati pubblicati. Mediobanca, che conclude l’esercizio di bilancio al 30 giugno, nell’ultimo anno ha aumentato del 31% la remunerazione complessiva dell’amministratore delegato Alberto Nagel a 4,96 milioni lordi e quella del dg Francesco Saverio Vinci a 3,95 milioni.

Dietro Orcel, nella classifica dei banchieri italiani nel 2021, c’è Carlo Messina, numero uno di Intesa Sanpaolo, con 6,12 milioni tra stipendio, bonus e azioni gratuite. Quindi Nagel (3,79 milioni), Massimo Bellingheri (ad di Bff, 3,66 milioni), poi Vinci (3,01 milioni) e Giuseppe Castagna, ad di Banco Bpm, 2,606 milioni, che ha superato di un soffio Fabio Paratici, l’ex capo della Football area della Juventus, con 2,6 milioni.

 

Articolo di Giulio Da Silva sul Fatto Quotidiano del 26 febbraio 2023




Sant’Andrea e la terza lettera a Unicredit

Per la terza volta in cinque mesi, Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit, l’altroieri ha scritto agli 80.879 dipendenti del gruppo. È uscita di scena Elkette, l’alce di peluche cara al suo predecessore Jean Pierre Mustier, i toni però restano più quelli del fervorino da oratorio che non della comunicazione di un top manager.

La terza epistola di Sant’Andrea ai fedeli ha dei passaggi notevoli:
“Spero che siate tutti riusciti a prendervi un momento di pausa e vi sentiate carichi di energia ed entusiasmo per quello che ci aspetta nei prossimi mesi”
(traduzione: “Siete stati in ferie, ora sgobbate”);
“Solo quando lavoreremo in sintonia come un’unica UniCredit saremo in grado di esprimere tutto il potenziale della nostra banca”
(traduzione: “Vi tengo d’occhio, non remate contro”);
“Ciascuno di voi gioca un ruolo essenziale per la trasformazione della nostra organizzazione e per questo desidero che continuiate a concentrarvi sul raggiungimento dei nostri obiettivi”
(traduzione: “Parte del mio stipendio da 7,5 milioni l’anno è legata a target finanziari, non mi fate perdere i bonus o sarà peggio per voi”).

Ma è nel finale che si tocca il misticismo:
“Il processo di due diligence relativo a Mps procede come stabilito dal protocollo d’intesa. Vi esorto a volare più in alto dei pettegolezzi che sentite o leggete e vi assicuro che continuerò ad aggiornarvi ogni volta che avremo nuove e concrete informazioni da condividere”.
Traduzione: “Cari sindacati, smettetela di chiedere rassicurazioni sui rischi che l’operazione crei nuovi esuberi oltre le 5.200 uscite già previste dal piano 2020-2023. A tempo debito vi farò sapere di che morte dovrete morire”.

Sant’Andrea, ora pro nobis!

 

Articolo di Nicola Borzi su “Il fatto Quotidiano” del 4/9/2021




Banche: la ripresa giova ai bilanci semestrali

Ben 5 miliardi e 958 milioni, il triplo del 2020. È questa la somma degli utili netti semestrali dei sei grandi gruppi bancari nazionali Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Banco Bpm, Bper e Carige. A soffiare nelle vele delle banche è soprattutto il rimbalzo rispetto al disastro del periodo gennaio-giugno dello scorso anno, flagellato dalla recessione innescata dalla prima ondata della pandemia. Ma dietro i numeri positivi ci sono anche fattori non meramente congiunturali.

Buone notizie da Mps che ha chiuso il primo semestre con un utile di 202 milioni che batte le attese e torna in “nero” dopo la perdita di 1,09 miliardi dello stesso periodo del 2020. Al 30 giugno i ricavi assommano a 1,56 miliardi (+7,7% su base annua), mentre le rettifiche nette calano a 89 milioni (-14,8%). I crediti deteriorati lordi sono pari a 4,2 miliardi, in lieve aumento rispetto ai 4 di dicembre.

Anche Carige va meno male di quanto si temesse e perde solo 49,9 milioni rispetto ai 97,8 milioni dello stesso periodo del 2020. Secondo l’ad Francesco Guido i ricavi sono cresciuti a 203,2 milioni dai 148,2 milioni del periodo febbraio-giugno 2020, con l’aumento della raccolta diretta (+0,4 miliardi).

A brindare più di tutti è Intesa Sanpaolo: l’istituto mette a segno un balzo dell’utile netto semestrale a 3,023 miliardi ( +17,8%), con il risultato del periodo aprile-giugno pari a 1.507 milioni, il miglior trimestre di sempre. Tra le altre voci del conto economico, il risultato della gestione operativa è in aumento del 5,9% e il rapporto costi-ricavi è al 49,2%, tra i migliori delle maggiori banche europee. L’ad Carlo Messina annuncia il nuovo piano di impresa e “un livello minimo di utile netto 2002 sicuramente a 5 miliardi”.

UniCredit archivia il primo semestre dell’era Orcel con un utile netto di 1,92 miliardi grazie al balzo delle commissioni (+21,4% su base annua a 1,7 miliardi) e al calo dei costi operativi a 4,9 miliardi (-1,2%).

Al 30 giugno Bpm ha registrato un utile netto di 361,3 milioni e Bper chiude il primo semestre, in cui dal 22 febbraio ha consolidato le filiali di Ubi Banca, con un utile netto di 502 milioni.

 

Da Il Fatto Quotidiano del 6/8/2021

 




MPS verso Unicredit: spezzatino e costi per lo Stato fino a 8 mld

Alla fine UniCredit ha rotto gli indugi e avviato una trattativa “in esclusiva” con il ministero dell’Economia per rilevare la polpa del Monte dei Paschi di Siena. Ieri, a sorpresa, il consiglio d’amministrazione della banca, convocato per approvare i conti trimestrali, ha dato l’ok anche all’ingresso in data room per esaminare i conti della banca senese in vista di un’eventuale acquisizione.
Il negoziato tra il Tesoro, primo azionista del Monte, e i vertici di UniCredit dura da tempo e si è intensificato da aprile dopo l’arrivo di Andrea Orcel alla guida del gruppo milanese e sotto la presidenza di Pier Carlo Padoan. L’ex ministro dell’Economia ha fatto sapere di essersi “astenuto” in Cda sul tema. Una mossa formale che però non oscura un dato che fa impallidire il concetto di porte girevoli: Padoan è l’uomo che al Tesoro nel 2017 ha nazionalizzato Mps a caro prezzo e ora presiede la banca che tratta con il Tesoro imponendogli una svendita a “costo zero” e con pulizia dei conti a carico dello Stato. L’operazione, infatti, si concretizzerà solo se “avrà impatto neutrale sul capitale di UniCredit”, si legge in una nota diffusa dal gruppo. “Tutti i crediti deteriorati di Mps saranno lasciati indietro – ha spiegato Orcel – come anche i rischi legali.

Quella che si profila è un’operazione complessa e che costerà cara allo Stato. UniCredit rileverà solo un “perimetro selezionato di Mps”, che, a quanto filtra, subirà uno spezzatino: le attività al Sud (a partire dall’ex Banca del Salento) dovrebbero finire al MedioCredito Centrale, l’istituto controllato dalla pubblica Invitalia che poco più di un anno fa ha salvato la Popolare di Bari, mentre gli sportelli toscani (e verosimilmente il marchio) rimarranno per un periodo in vita in via autonoma, per evitare l’implosione della classe politica locale, Pd in testa. Il resto dovrebbe finire a UniCredit, che, come detto, non spenderà un euro e non vuole nessun rischio.
Al di là dei tecnicismi, tra pulizia dei crediti deteriorati (4 miliardi lordi, 2,1 al netto delle coperture a bilancio), destinati a essere rilevati dalla pubblica Amco, accollo dei rischi legali (oggi ridotti a 6,2 miliardi) e il bonus fiscale previsto dal governo per le fusioni bancarie finalizzate entro giugno 2022 (3 miliardi), il conto finale per lo Stato potrebbe sfiorare gli 8-10 miliardi. La stessa cifra, tra garanzie ed esborso diretto dello Stato, ottenuta da Intesa Sanpaolo nel 2016 per rilevare le Popolari venete in dissesto. Anche allora, manco a dirlo, Padoan sedeva al Tesoro.

 

Articolo di Carlo Di Foggia su “Il Fatto Quotidiano” del 30/7/2021

 

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https://www.fisaccgilaq.it/banche/mps/mps-lora-della-responsabilita.html




Il super regalo fiscale per le fusioni bancarie

L’esecutivo giallorosa ha previsto un beneficio fiscale per le banche che si fondono consentendo, a chi le ha, di trasformare le imposte differite attive (Dta) in crediti fiscali. A essere trasformate sono le Dta della banca più piccola delle due che si fondono. La norma era valida per le fusioni deliberate entro il 2021. La modifica inserita nel nuovo decreto proroga la scadenza a giugno 2022 e alza il bonus. Se una grande banca si accollerà Mps, avrà in dote un bonus fiscale da 4,4 miliardi lordi. La principale indiziata è Unicredit, dove si è appena insediato l’ad Andrea Orcel che non ha chiuso a eventuali fusioni. I grandi azionisti dalla banca sono però contrari all’ipotesi Mps ed è per questo che si è ipotizzato di alzare il regalo fiscale permettendo a Orcel di convincere i soci riottosi. Tra le modifiche c’è anche quella che permetterebbe di usare fin dal primo anno parte del bonus fiscale ed è questo uno dei nodi che ha bloccato la norma, che peraltro deve essere autorizzata dall’Antitrust europeo.

A ogni modo, se passasse, il regalo fiscale non sarebbe solo per l’acquirente del Montepaschi. Anche BancoBpm garantirebbe una “dote” fiscale da 5,5 miliardi in caso di fusione con un gruppo di maggiori dimensioni; l’altro istituto nei rumors su un possibile risiko bancario è Bper, che ha in pancia un potenziale bonus da 3,9 miliardi lordi. Negli ambienti finanziari circola anche l’ipotesi di una fusione a tre Unicredit-Mps e una delle altre due banche. L’unica cosa certa, al momento, è che qualunque operazione avverrà sarà accompagnata da un regalo a carico dello Stato.

 

Da “Il Fatto Quotidiano” del 13/5/2021




I manager bancari: strapagati a prescindere dai risultati

Le critiche al mega stipendio del futuro Ad di UniCredit non sono un caso. Dall’Italia alla Svizzera, le paghe dei manager ormai slegate dai risultati


Deve ancora entrare in ca­rica, ma il nuovo ammini­stratore delegato di Uni­Credit Andrea Orcel ha già scatenato un putiferio. Le so­cietà di consulenza Glass Lewis e Iss consigliano agli azionisti della banca milanese di bocciare la po­litica di remunerazione nell’as­semblea del 15 aprile per protesta­re contro i 7,5 milioni di paga del nuovo capo azienda. La banca chiede però di modificare anche le politiche sulle liquidazioni, au­mentandone il tetto da 7,2 a 15 mi­lioni (sei volte lo stipendio annua­le).

Dunque il “Ronaldo dei ban­chieri” già prima di scendere in campo s’è accaparrato almeno 22,5 milioni. Il suo predecessore Jean Pierre Mustier nel 2020 ha ricevuto “solo” 900 mila euro più stock option per altri 4,4. Molto meno della mega-liquidazione da 40 milioni pagata nel 2010 ad A­lessandro Profumo. A far discu­tere è il fatto che nel primo anno Orcel sarà pagato senza alcun col­legamento coi risultati aziendali.

Prima dell’arrivo di Orcel, in Italia divario tra stipendi dei vertici e quelli dei dipendenti delle banche era in calo. Secondo la Uilca, il sin­dacato dei bancari della Uil, nel 2007 i ceo delle banche quotate guadagnavano in media 139 volte lo stipendio medio dei dipendenti (28mila euro lordi l’anno), nel 2019 “appena” 44 volte. C’è chi, come Carlo Messina di Intesa San­paolo, dall’entrata in carica a set­tembre 2013 a oggi ha ricevuto ol­tre 23,5 milioni ottenendo però u­tili netti per 21,4 miliardi. Il ceo di Unipol Carlo Cimbri nel 2019 è stato pagato 5,6 milioni, il 26% in più dei 4,47 del 2018, ma a fronte di utili netti cresciuti del 73% da 0,63 a 1,09 miliardi.

Tuttavia non sono mancati manager la cui retribuzio­ne è stata una “variabile indipen­dente” rispetto ai risultati. Victor Massiah, Ad di Ubi dal primo di­cembre 2008 al 3 agosto scorso, ha ricevuto oltre 19,2 milioni mentre la banca nello stesso periodo ne perdeva 952. Nonostante la perdi­ta netta di 57 milioni, nel 2018 la paga di Giuseppe Castagna, ceo di Banco Bpm dal primo gen­naio 2017, è aumentata di 124mila euro a 1,63 milioni.

Marco Morelli, ad di Mps da settembre 2 016 a maggio 2020, per volere della Bce dovette ridursi lo stipendio da ol­tre un milione a 488mila euro ma dal 2017 al 2019 perse 4,2 miliardi. Quisquilie rispetto a quanto avviene nella finanza all’estero. Charles Lowrey, presidente e AD Prudential, nel 2019 è stato pagato circa 16 milioni. Larry Fink, ceo di Blackrock il maggior gestore di fondi mondia­le, nel 2020 di milioni ne ha otte­nuti 25 e 7,9 Mario Greco, ceo del­le assicurazioni Zurich. Il numero uno di Allianz Oliver Bate ha gua­dagnato 5,35 milioni, il ceo di Axa Thomas Buberl e quello di Gene­rali, Philippe Donnet, 3,1 più a­zioni per 2,3. Il capo azienda di Credit Suisse Thomas Gottstein nel 2020 ha ottenuto 7,6 milioni. Il fenomeno parte da lontano.

A Wall Street nel 1965 un ammini­stratore delegato riceveva 20 volte la paga media dei suoi dipendenti. Nel 2000 era a 344 volte, scese a 188 con la crisi finanziaria del 2009 per tornare a 312 nel 2017, quando la retribuzione dei ceo del­le 350 maggiori aziende era in me­dia di 18,9 milioni di dollari. Ma le prime cinque banche Usa (Gol­dman Sachs, Citigroup, JP Mor­gan Chase, Bank of America e Morgan Stanley) pagavano i loro ceo in media 25,3 milioni. Secondo un report della società di head hunting Willis Towers Watson su­gli stipendi dei ceo di 429 società quotate, nel 2019 negli Stati Uniti i capi azienda guadagnavano in me­dia 11,88 milioni, nel Regno Unito 5, in Germania 5,7, in Francia 4,1 e in Giappone appena 1,55. Ma a fare la differenza sono i bonus: nel 2019 negli Usa gli incentivi variabili valevano il 72% della paga totale dei ceo. Quest’anno però Bank of A­merica (Bofa) e Citigroup hanno ridotto i compensi degli ad per il 2020 a causa della pandemia e di errori di gestione. Bofa ha ridotto la paga di Brian Moynihan del 7,5% a 24,5 milioni; Citigroup quella dell’uscente Michael Cor­bat del 21% a 19 milioni.

LA FISAC, il sindacato dei bancari Cgil, ha calcolato che tra il 2008 e il 2019 il personale dell’intero siste­ma bancario italiano è costato 292,2 miliardi, in media 25,1 l’anno, dai 26,6 del 2008 ai 23,5 del 2019. Il da­to comprende stipendi e al­tri costi come oneri di ri­strutturazione e incentivi all’esodo. Nello stesso pe­riodo infatti i bancari sono calati di 46 mila unità, uno su sette, da 328 a 282mila.

Nell’ultimo decennio non è che le azioni delle banche abbiano brillato: l’indice settoriale a Milano è passa­to dai 19mila punti dell’a­prile 2011 agli attuali 8.745. Una frenata analoga ha ri­guardato anche le banche svizzere e quelle di altri Pae­si. Le elvetiche Credit Suisse e Ubs hanno pagato i dipen­denti oltre 297miliardi, più di tutte le banche italiane. A fare la differenza è il peso della finanza: Cs e Ubs pa­gano mega-bonus legati ai risultati, mentre le banche italiane restano dipendenti dalle vendite allo sportello. Quand’era capo del Corporate and Investment ban­king di Ubs, Orcel otteneva premi annuali per decine di milioni, più dello stesso AD Ermotti. Ora in U­niCredit nessuno prenderà più di lui, ma molti temono la sua scure sui costi del personale.

Articolo di Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano del 3/4/2021




UniCredit: Andrea Orcel sarà il nuovo AD

Il Consiglio di amministrazione di UniCredit ha identificato oggi 27 gennaio all’unanimità Andrea Orcel come prossimo Amministratore Delegato, da inserire nella lista dei candidati per il rinnovo del Consiglio, in sostituzione dell’a.d uscente, Jean Pierre Mustier. La lista, si legge in una nota, sarà presentata per l’approvazione alla prossima assemblea degli azionisti del 15 aprile. Ottenuta l’approvazione da parte dell’assemblea, il board confermerà la sua nomina ad Amministratore Delegato.

«Dopo un’intensa ricerca fondata su un accurato processo di valutazione dei possibili candidati, sono lieto di comunicare che il consiglio ha scelto all’unanimità un banchiere di assoluta caratura internazionale con un ragguardevole track record – ha notato da parte sua il presidente uscente Cesare Bisoni -. L’esperienza di Andrea Orcel include un’ampia gamma di ruoli in diverse aree geografiche, con responsabilità sia nel corporate che nell’investment banking, così come nel global banking e nel wealth management. In questa occasione – ha aggiunto – anche a nome del consiglio di amministrazione vorrei ringraziare Jean Pierre Mustier per gli anni di servizio dedicato e l’eccezionale contributo profuso al nostro gruppo».

UniCredit sottolinea inoltre che il comitato nomine, supportato da Spencer Stuart, «ha preso in considerazione candidati con un’ampia esperienza e capacità di guidare in modo inclusivo organizzazioni complesse nel loro percorso di cambiamento». Il comitato ha quindi «evidenziato in particolare le straordinarie competenze di Andrea Orcel, la forte leadership e la profonda conoscenza delle sfide e delle opportunità nei servizi finanziari internazionali». La nomina di tutti i membri del consiglio verrà sottoposta alla verifica per la valutazione di fit&proper da parte della Bce dopo l’assemblea degli azionisti.

Orcel è stato individuato come nuovo capoazienda superando l’altro “finalista” Fabio Gallia, direttore generale di Fincantieri ed ex a.d. di Bnl e Cdp. Romano, 57 anni, Orcel è noto soprattutto come “deal maker” per aver condotto in porto molte operazioni di M&A nel settore bancario, tra cui quella tra Unicredito e Credito Italiano che diede vita proprio a UniCredit. Dopo 20 anni in Merrill Lynch, Orcel è stato a capo dell’investment banking di Ubs fino al 2018.

Era poi stato scelto da Santander ma la sua nomina ai vertici della banca spagnola non è mai andata in porto per un contenzioso contrattuale.

 

Padoan, Orcel leader di respiro internazionale

Andrea Orcel è un solido leader di respiro internazionale, molto rispettato e impegnato a raggiungere risultati insieme alla sua squadra”. Lo sottolinea il presidente designato di Unicredit, Pier Carlo Padoan. Orcel “ha una vasta esperienza e una straordinaria capacità di visione strategica, che sarà essenziale per guidare UniCredit nel futuro. Non vedo l’ora di lavorare con lui”, aggiunge Padoan.