Coronavirus, le banche: “Pronte ad anticipo immediato della cassa integrazione”

Dalle banche italiane arriva una risposta positiva all’idea di passare attraverso gli istituti di credito per erogare gli ammortizzatori sociali previsti dal decreto Cura Italia per i lavoratori coinvolti dallo stop alle attività per l’emergenza coronavirus.

 

 




I Segretari Generali scrivono al Presidente Conte dopo la risposta di ABI

 

Oggetto: Emergenza Covid-19 – Misure urgenti a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e della clientela

In questi giorni così delicati per il Paese, giorni di decisioni anche difficili prese al fine di tutelare nella misura massima la salute e la sicurezza di tutte le cittadine e i cittadini non possiamo non apprezzare l’impegno del Suo Governo nella gestione di questa così delicata ed inaspettata contingenza.

Come Organizzazioni Sindacali abbiamo gestito sino ad ora l’emergenza di concerto con ABI, sollecitando in misura massima il pieno utilizzo degli strumenti di lavoro alternativi come lo smart working, tuttavia ad oggi, considerate anche le decisioni assunte ai vari livelli anche circa l’interpretazione della mobilità abbiamo diverse e forti perplessità circa l’impatto che queste decisioni potrebbero avere rispetto al contenimento o l’incentivazione dei contagi.

Nella giornata del 12 Marzo ci siamo unitariamente rivolti al Ministro dell’Interno denunciando la massiccia affluenza di clientela presso gli sportelli bancari, anche per svolgere operazioni non urgenti, segnalando le code di anziani che come a tutti noto tra le categorie più fragile e a maggior rischio di contagio.

A tal punto, pur rientrando il settore bancario nel novero dei “servizi pubblici essenziali” ad oggi la situazione in tutte le agenzie bancarie risulta di assoluta emergenza, non solo per il numero di contagi che via via riscontriamo fra le lavoratrici e lavoratori ma per l’afflusso continuo di clientela che giornalmente le agenzie si trovano a dover gestire.

ABI ha raccolto il nostro appello, invitando con comunicato stampa del 15 Marzo tutta la clientela a recarsi in filiale solo se necessario ed indispensabile.

Nell’incontro in videoconferenza del 16 Marzo finalizzato a stilare un Protocollo di settore in materia di salute e sicurezza abbiamo altresì richiesto la chiusura per 15 giorni di tutti gli sportelli bancari su tutto il territorio nazionale, questo per massimizzare gli effetti di distanziamento sociale al fine di arginare il diffondersi dell’epidemia da Covid- 19 e tutelare massimamente lavoratrici, lavoratori e clientela evitando che le filiali si trasformino in luoghi di contagio e propagazione del virus.

All’esito della consultazione del Comitato Esecutivo del 18 Marzo ABI ha respinto la nostra richiesta invocando il rispetto della normativa in materia di servizi pubblici essenziali.

Riteniamo dunque necessario e non più procrastinabile rivolgerci direttamente a Lei rispetto alla perplessità e al dissenso che unitariamente manifestiamo rispetto alla interpretazione del DPCM 11 Marzo 2020.

Chiediamo pertanto al Suo Ufficio di procedere con l’adozione di un provvedimento straordinario in accoglimento della richiesta già formulata ad ABI, ovvero la chiusura per 15 giorni di tutti gli sportelli bancari su tutto il territorio nazionale.

In qualità di Segretari Generali delle categorie produttive del credito, siamo totalmente a disposizione nel contribuire a favorire la piena applicazione delle disposizioni governative e chiediamo a Lei ed al Suo Governo convinti però che in questa particolare fase la salute e la sicurezza del Paese sia di assoluta priorità.

Questo a tutela della salute e sicurezza delle lavoratrici dei lavoratori e della clientela tutta.

I Segretari Generali

Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – Unisin
Lando Maria Sileoni – Riccardo Colombani – Giuliano Calcagni – Massimo Masi – Emilio Contrasto


Di seguito la risposta di ABI ai Segretari Generali


Ai Segretari Generali di
Fabi | First-Cisl | Fisac-Cgil | Uilca | Unità Sindacale | Falcri Silcea Sinfub

Il Comitato esecutivo odierno ha rivolto la massima attenzione all’attuale situazione di emergenza correlata alla diffusione del virus COVID-19 ed ha confermato la priorità della tutela della salute delle persone interessate, lavoratrici/ lavoratori e clienti, per garantire la quale si stanno adottando anche misure ulteriori rispetto a quanto necessario per adempiere alle disposizioni delle Autorità, al fine di contenere i rischi di contatto agendo sulle diverse leve a disposizione, alla luce di quanto disposto nel DPCM 11 marzo 2020 in ordine alla prosecuzione dei servizi bancari.

Il Comitato esecutivo ha approvato all’unanimità, esprimendo pieno apprezzamento, il Protocollo ”Misure di prevenzione, contrasto e contenimento della diffusione del virus COVID-19 nel settore bancario” condiviso da ABI con Fabi, First­ Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin il 16 marzo 2020, che – alla luce di quanto disposto dal Dpcm 11 marzo 2020 in ordine alla prosecuzione dei servizi bancari – contiene le misure che devono essere rispettate per operare tutelando la sicurezza delle lavoratrici/lavoratori e dei clienti.

Tenuto anche conto di quanto da Voi rappresentato, il Comitato esecutivo ha condiviso che la situazione nelle aree caratterizzate da un elevatissimo livello di contagio pur senza essere qualificate come “zone rosse”, richiedano l’adozione di misure straordinarie ed eccezionali per la tutela delle persone con il massimo senso di responsabilità.

In aggiunta ai piani in corso di realizzazione di riduzione dell’operatività delle reti fisiche correlati all’emergenza sanitaria, le banche si impegnano ad adottare tutte le misure idonee a limitare l’accesso alle filiali da parte di clientela ai soli casi delle operazioni urgenti non realizzabili attraverso i canali remoti e gli sportelli automatici che offrono amplissime operatività, così da poter ridurre ulteriormente e drasticamente la presenza delle colleghe e dei colleghi all’interno delle stesse e ridurre il rischio di contagio. Nel contempo il personale presente – nel rispetto di tutte le prescrizioni igieniche sanitarie – assicurerà alla clientela l’erogazione dei servizi essenziali che non possono essere soddisfatti attraverso i canali “remoti” e gli sportelli automatici, attraverso anche l’attenta gestione del relativo accesso fisico alla filiale.

Il Comitato esecutivo, rappresentato dal Presidente Antonio Patuelli, rinnova il forte invito rivolto a tutti i cittadini a contribuire al massimo alla lotta al coronavirus evitando il rischio di contagio, utilizzando  per  le operazioni bancarie ‘i canali che non richiedono presenza fisica – disponibili da casa tramite computer  e telefono – nonché i bancomat all’esterno delle filiali. Per le inderogabili esigenze che richiedono di recarsi comunque in filiale,  l’invito è a telefonare prima alla propria banca per ricevere tutto il supporto necessario.

Con i più cordiali saluti.

Antonio Patuelli

 

 




Coronavirus, accordo ABI-Sindacati. Chiesta chiusura banche per 15 giorni.

Sottoscritto da Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca Unisin e Associazione bancaria un protocollo per garantire la tutela della salute e per arginare l’espansione dell’epidemia Covid-19. Nelle agenzie sarà garantita solo l’assistenza ai clienti, attività commerciale solo da remoto. Chiesta la chiusura delle filiali per 15 giorni. Paletti per accesso di fornitori, pulizia e sanificazione, precauzione igieniche e sanitarie, dispositivi di protezione individuale, servizi e contatto col pubblico, organizzazione aziendale, sorveglianza sanitaria.

Roma, 17 marzo 2020.

Nella tarda serata di ieri si è concluso il vertice tra i Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali di Settore – Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca, Unisin – e ABI al fine di gestire congiuntamente gli aspetti legati a salute e sicurezza in relazione all’emergenza epidemiologica del Paese. Al centro del protocollo sottoscritto è stata posta la tutela del diritto alla salute e l’impegno comune ad attivarsi e collaborare fattivamente per arginare l’espansione dell’epidemia Covid-19. Al fine di contribuire in via incisiva al controllo della diffusione del virus, i Segretari Generali delle cinque organizzazioni sindacali del credito hanno unitariamente prioritariamente richiesto la chiusura totale degli sportelli bancari su tutto il territorio nazionale, garantendo esclusivamente i servizi on line e l’operatività tramite Atm.

A fronte della nostra richiesta di chiusura di tutti gli sportelli sul territorio nazionale per 15 giorni il Presidente degli Affari Sindacali di ABI, Salvatore Poloni, si è detto non competente a sciogliere la riserva, attendiamo pertanto l’esecutivo ABI previsto per la giornata di mercoledì 18 marzo per il pronunciamento circa la nostra richiesta finalizzata a tutelare in modo deciso ed incisivo il diritto alla salute di lavoratrici e lavoratori in un così delicata fase emergenziale.

Nel merito del protocollo, occorre osservare che, fermo restando il rispetto delle prassi di profilassi governative, abbiamo ottenuto la limitazione dell’attività bancaria di sportello alla sola assistenza alla clientela, limitando ai soli canali remoti lo svolgimento dell’attività commerciale.

Sono stati fissati importanti paletti a tutela dei Colleghi su accesso fornitori, pulizia e sanificazione, precauzioni igieniche sanitarie, dispositivi di protezione individuale, servizi e contatto con il pubblico, organizzazione aziendale, sorveglianza sanitaria.

Abbiamo, infine, prevista la partecipazione nella gestione e nell’analisi congiunta di questa fase emergenziale al tavolo nazionale anche di un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza per organizzazione sindacale.


I Segretari Generali Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – Unisin
Lando Maria Sileoni – Riccardo Colombani – Giuliano Calcagni – Massimo Masi – Emilio Contrasto

Scarica il testo dell’accordo




Appello dell’ABI: non andate in banca se non è necessario

Un forte invito agli Italiani è stato rivolto dal Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Antonio Patuelli, e dal Direttore Generale dell’ABI, Giovanni Sabatini.

Domattina, lunedì, le banche riapriranno, come disposto dal Governo, con i previsti presidi sanitari. L’Associazione Bancaria invita i cittadini a contribuire al massimo alla lotta al coronavirus evitando ogni rischio di contagio.

Il Presidente  Patuelli e il Direttore Sabatini rilevano che sono diffusissime le operazioni bancarie possibili da casa tramite computer e telefono portatile; molto diffusi sono anche i Bancomat all’esterno delle filiali e operano anche Bancomat evoluti che fanno pure operazioni di versamento e pagamento anche di bollette.

Patuelli e Sabatini rivolgono un particolare invito a chi desiderasse andare comunque in banca, in particolare agli anziani che avessero meno confidenza con le tecnologie: invece e prima di andare nella filiale bancaria, telefonate da casa in banca per consigliarsi su come risolvere il problema che avete, ma senza uscire di casa. Ci sono tante possibilità che vanno ricercate e sono realizzabili facilmente per telefono con le filiali bancarie senza uscire di casa.

Vi invitiamo caldamente almeno a telefonare in banca.

Roma, 15 marzo 2020

 

Comunicato stampa dell’Associazione Bancaria Italiana

 

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Chiusura scuole? I Sindacati chiedono permessi retribuiti per i genitori

Settore ABI

Al Responsabile del CASL ABI

Dott. Salvatore Poloni

Nell’ambito degli interventi posti in essere a livello governativo al fine di gestire ed arginare le conseguenze della vasta epidemia causata dal Covid-19 è certamente apprezzabile il contributo di ABI quanto alle misure di natura economico finanziarie a beneficio di cittadini e imprese coinvolti in via diretta dall’emergenza in corso.

Tuttavia, nel dare anche seguito ai temi della genitorialità già sviluppati nel nuovo CCNL di Settore, i Segretari Generali delle cinque Organizzazioni Sindacali del credito, unitariamente  

CHIEDONO,

al fine di favorire le esigenze genitoriali connesse alla contingente fase emergenziale, la concessione di  giornate di permesso retribuite per tutte le lavoratrici/ lavoratori che abbiano uno o più figli frequentanti scuole di ogni ordine e grado coinvolti dalla chiusura degli istituti scolastici per effetto di ordinanze governative o territoriali legate all’emergenza sanitaria in corso sino alla cessazione della stessa, anche in via retroattiva, a far data quindi dalla promulgazione delle ordinanze di chiusura degli Istituti scolastici legate al contenimento della diffusione dell’epidemia.

Roma, 02 marzo 2020

 

I Segretari Generali Fabi – First Cisl – Fisac Cgil – Uilca – Unisin

Lando Maria Sileoni – Riccardo Colombani – Giuliano Calcagni – Massimo Masi – Emilio Contrasto

Scarica il volantino

 




ABI: accordo per sospensione mutui e finanziamenti per donne vittime di violenza

L’azione di contrasto alla violenza contro le donne e di sostegno per le vittime di violenza deve essere un impegno quotidiano e costante di tutti.

Per questo abbiamo unitariamente proposto ad ABI nel mese di ottobre di poter congiuntamente definire un protocollo che fosse un aiuto tangibile alle tante donne che coraggiosamente intraprendono un nuovo percorso di vita, per sé e per i propri figli, allontanandosi finalmente dagli abusi ed entrando nei percorsi di protezione, e che spesso sono in difficoltà economiche.

L’ABI ha fin da subito manifestato la sua volontà di dare un riscontro positivo ed oggi, nel giorno in cui ricorre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, abbiamo siglato un protocollo per la sospensione dei mutui e dei finanziamenti per le donne vittime di violenza inserite nei percorsi certificati.

Un altro passo in un percorso che vede le Organizzazioni Sindacali del settore ed ABI, insieme, da sempre impegnate su questa tematica sociale e culturale di grande rilevanza.

Questa comune sensibilità ha già questo anno portato alla sottoscrizione il 12 febbraio della Dichiarazione congiunta in materia di molestie e violenze di genere sui luoghi di lavoro, che, sul “presupposto di inaccettabilità” di ogni attoe comportamento che si configuri come molestia e violenza di genere, prevede una serie misure organizzative per la segnalazione, prevenzione, assistenza econtrasto del fenomeno, oltre all’elevazione a 4 mesi dell’utilizzo del congedoorario o giornaliero da parte di donne vittime di violenza.

Riteniamo il protocollo odierno un passo ancor più importante perché rivolto a tutte le donne che con il nostro settore hanno rapporti di finanziamento; donne che devono essere supportate nei loro percorsi di libertà e di ritrovata autonomia, e che da oggi potranno sospendere la rata capitale dei propri finanziamenti e mutui per il periodo di durata del proprio “percorso di protezione” fino ad un massimo di 18 mesi.

Il protocollo, che ha validità di due anni, prevede che l’ABI promuova una diffusa informazione dell’iniziativa presso le proprie associate al fine di favorirel’adesione.

Siamo certi che l’attenzione dimostrata fino ad oggi dal settore porterà nonsolo ad una diffusa adesione al protocollo da parte delle aziende ABI, ma anche alla predisposizione di adeguate indicazioni operative interne, affinché ad ogni singolo caso venga riservata la massima accoglienza, riservatezza e cura, nella dovuta considerazione delle difficoltà ma anche della grande determinazione che hanno portato queste donne ad intraprendere i loro percorsi di indipendenza, che con questo protocollo abbiamo inteso congiuntamente sostenere.

Oggi 25 novembre 2019, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, ancora una volta tutti i sindacati del settore sono dalla parte di coloro che subiscono molestie e violenze sia nei luoghi di lavoro che fra le mure domestiche.

Roma, 25 novembre 2019

Le Segreterie Nazionali

 

Scarica il testo dell’accordo

 

 




Perchè il salario minimo orario può essere dannoso

Improvvisamente la politica sembra essersi accorti dei cosidetti “working poors” : persone che pur lavorando guadagnano troppo poco per vivere in modo dignitoso. In Italia sono circa il 12% dei lavoratori.
Se n’è accorto il Movimento 5 Stelle, che in realtà il problema lo ha sempre posto, ma che rischia di affrontarlo con il dilettantismo e l’approssimazione che lo contraddistingue, finendo col fare ulteriori danni.
Se n’è accorto il PD, che pure fra Jobs Act, Decreto Poletti e norme varie a favore della precarizzazione, tanto ha fatto per aumentare il numero dei working poors.
Entrambi i partiti, in modo differente, sembrano aver trovato la formula magica che potrebbe risolvere tutti i problemi: il salario minimo orario.
Ma è davvero questa la soluzione giusta?

In realtà, una forma di salario minimo in Italia esiste già, e trae origine dall’art. 36 della costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Come si fa a quantificare la retribuzione in modo che sia proporzionata alla quantità e qualità del lavoro? La giurisprudenza ha un orientamento preciso: quando il lavoratore si rivolge al Giudice del Lavoro, quasi sempre il magistrato prende come base di riferimento il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore e stabilisce che uno stipendio inferiore a quello previsto nel contratto è illegittimo.
In questo caso l’azienda, oltre a dover risarcire il lavoratore, si troverà anche accusata di evasione contributiva, avendo versato contributi previdenziali calcolati su un importo inferiore al dovuto.

Messa così, la questione sembrerebbe risolvibile con facilità. Tutti i settori sono regolati da Contratti Collettivi, anzi ce ne sono pure troppi (il CNEL ne conta circa 370). Basta applicarli a tutti i lavoratori interessati e il problema è risolto. Giusto?

Purtroppo le cose non sono cosi semplici.

Uno dei problemi irrisolti da oltre 70 anni nella politica italiana è che non è mai stata data attuazione all’ Art. 39 della Costituzione, che disciplina l’attività dei sindacati. Senza entrare troppo in tecnicismi, la norma prevede che i contratti stipulati dai sindacati abbiano validità per tutti i lavoratori del settore (erga omnes), ma questo poteva succedere solo dopo aver emanato delle norme specifiche. Dal 1948 ad oggi questo non è stato fatto.

A causa della mancata emanazione di queste norma, c’è una conseguenza che potrà apparire sorprendente per molti: i contratti collettivi non valgono per tutti i lavoratori, ma solo per gli iscritti alle Organizzazioni Sindacali che li hanno firmati.
Ovviamente questo contrasta con il criterio della parità di trattamento dei lavoratori, quindi le aziende ovviano a questa problema inserendo, nelle lettere di assunzione individuale, il rimando al contratto collettivo di categoria.

Il problema è che anche le aziende sono iscritte ad Organizzazioni Sindacali: sono ad esempio Organizzazioni Sindacali Confindustria o, per restare nel nostro settore, ABI o Federcasse.
Ogni azienda è libera di decidere se essere o meno iscritta ad un’Associazione di Categoria: se non lo fa, o magari decide di uscirne dopo essere stata iscritta, il Contratto Collettivo Nazionale non per lei ha alcun valore.
Potrà eventualmente sottoscrivere, con i Sindacati più rappresentativi in azienda, un suo Contratto Collettivo che sarà l’unico a regolamentare i rapporti di lavoro: è quello che fece la FIAT nel 2011 quando uscì da Confindustria e si fece approvare un suo contratto aziendale, emarginando la FIOM/CGIL che rifiutò di prestarsi all’operazione.

L’attuale quadro normativo si presta ad abusi: un’azienda o un gruppo di aziende possono costituire una loro Organizzazione di Categoria, scriversi un loro Contratto Collettivo e farselo approvare da Sindacati di comodo appositamente costituti. Un comportamento del genere è formalmente legittimo, ma di fatto rappresenta un aggiramento fraudolento delle norme, dando vita al fenomeno dei “contratti pirata“. Nel nostro settore è quello che si è verificato nel comparto dell’appalto assicurativo.

Restando nell’ambito dei comportamenti al limite tra legalità e illegalità , in Italia esistono migliaia di micro imprese, senza rappresentanza sindacale tra i lavoratori, che semplicemente scelgono di non aderire a nessuna Associazione di Categoria, quindi non hanno nessun obbligo di applicare Contratti Collettivi e possono decidere in modo unilaterale quanto pagare i dipendenti.
I lavoratori possono rivolgersi al Giudice del Lavoro per chiedere, in base all’Art. 36 della Costituzione, di adeguare la loro retribuzione al salario minimo previsto dal Contratto Nazionale di settore, avendo la ragionevole certezza di vincere la causa, ma con il timore di dover poi subire future ritorsioni in aziende che, per le loro dimensioni, possono licenziarli con estrema facilità.
Non è un caso se, spesso, queste aziende che pagano stipendi inferiori al dovuto si adeguano invece alla contribuzione previdenziale prevista dai contratti: qualora venissero trascinate in tribunale avrebbero così evitato l’accusa, più grave, di evasione contributiva.

Questo è il quadro attuale: una situazione in cui è possibile – in modo più o meno lecito – per le aziende negare i diritti ai lavoratori: bisogna infatti considerare che un contratto collettivo prevede anche tutele che vanno oltre lo stipendio, e che ovviamente vengono a loro volta perse in caso di disapplicazione del contratto stesso.
Porre rimedio a questa situazione è assolutamente necessario oltre che doveroso, visto che esiste un pezzo importante della nostra Costituzione che da oltre 70 anni aspetta di essere applicato. La domanda da porsi è:
il salario minimo orario è la soluzione giusta?

Così come è stato prospettato sicuramente no. Vediamo perché.

  • Un eventuale salario di base non può essere uguale per tutti
    Se esistono tanti contratti collettivi (magari anche troppi) c’è un motivo ben preciso: ogni settore ha le sue esigenze e le sue peculiarità. Nel decidere quale dev’essere la giusta retribuzione non si può trascurare la differente produttività del lavoro nei vari comparti.
    La contrattazione tra le parti, che conoscono dettagliatamente ogni aspetto delle aziende, potrà portare a risultati a volte imperfetti ma rappresenta il miglior compromesso possibile tra le esigenze del datore di lavoro e del lavoratore.
    Un intervento del legislatore, che fissi un livello minimo reddituale uguale per tutti, comporterebbe l’azzeramento di anni di esperienze e contrattazione, sostituendosi in modo del tutto arbitrario alle parti e fissando importi che non hanno nessun riscontro nelle specifiche aziende.
    Un salario minimo uguale per tutti si rivelerebbe troppo alto in alcune realtà, troppo basso in altre.
  • Il salario di base non può essere troppo basso
    Abbiamo visto come i Contratti Collettivi vincolino solo le aziende iscritte ad Associazioni di Categoria firmatarie degli stessi. Un salario minimo orario inferiore alla maggior parte dei minimi tabellari previsti dai vari Contratti Collettivi metterebbe le aziende nella condizione di avere convenienza ad uscire dalle Associazioni Datoriali, non applicare più i contratti e pagare meno i propri dipendenti.
    L’effetto di una soglia troppo bassa sarebbe devastante: a fronte di un aumento di stipendio per chi oggi prende troppo poco, ci sarebbero milioni di lavoratori che vedrebbero ridursi il loro salario, ma soprattutto diritti e tutele conquistati in decenni di lotte sindacali.
  • Il salario di base non può essere troppo alto
    E’ fin troppo facile promettere un salario minimo orario superiore alla maggior parte dei Contratti Collettivi, come stanno facendo sia i 5 Stelle, sia il PD. Come abbiamo visto, le attività economiche non sono tutte uguali e il valore reale di una singola ora di lavoro può essere molto diverso a seconda delle aziende. Fissare un minimo di legge troppo alto potrebbe spingere molte aziende ad applicare, obtorto collo, i Contratti Collettivi, e questo sarebbe un aspetto positivo.
    Ma costituirebbe anche un forte incentivo verso il lavoro nero, fenomeno che questo governo, come quelli che lo hanno preceduto, non sembra particolarmente determinato a contrastare.
    Ancora una volta il rischio concreto è quello di ridurre i diritti dei lavoratori, in modo particolare di quelli più deboli, impiegati presso micro imprese che maggiormente possono ricattarli.
  • Non basta l’aumento di salario
    Il diritto ad una retribuzione dignitosa è sancito in Costituzione, quindi dev’essere assolutamente reso esigibile. Un Contratto Collettivo prevede però tanti altri diritti: tutela chi si ammala, tutela le mamme, tutela chi ha familiari infermi da accudire.
    Che senso ha dare qualche euro in più ai lavoratori, se poi devono vivere con il terrore di non potersi ammalare per non perdere il posto di lavoro?

Evidentemente la proposta del salario minimo di legge, sicuramente utile per prendere voti, non rappresenta invece la situazione di un problema che, ricordiamolo, nasce dall’inerzia della politica che da 71 anni non è riuscita a dare attuazione a quanto previsto dalla Costituzione in materia di rappresentanza sindacale.
Questo chi ci governa lo sa (o almeno dovrebbe saperlo) ma non lo dice mai.

Se si vuole procedere con il salario minimo orario, bisogna farlo come proposto dalla CGIL: facendo coincidere il salario minimo di ogni categoria con i minimi previsti dal Contratti Collettivi di settore.
Sarebbe un primo passo verso quello che dev’essere l’obiettivo da raggiungere, ossia l’estensione a tutti i lavoratori delle tutele previste dalla contrattazione collettiva.

Un dovere al quale da troppo tempo la politica si sottrae.

 

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La “Prestazione lavorativa” dei quadri direttivi

“Sono un quadro direttivo. Io non ho orari: posso autogestirmi liberamente”

Parlando con i lavoratori ci imbattiamo, a volte, in colleghi inquadrati nella categoria dei quadri direttivi che, partendo da questo ragionamento, arrivano alla conclusione di poter decidere, in totale autonomia, quando entrare ed uscire dal lavoro, senza preoccuparsi del numero di ore effettivamente trascorse in ufficio o in filiale.

Ma è davvero così? Vediamo cosa dice a tal proposito la normativa.

Per i quadri direttivi non si parla di orario di lavoro, ma di prestazione lavorativa.
I contratti collettivi applicati ai lavoratori bancari (art. 87 CCNL ABI), delle BCC (art. 98 CCNL Federcasse) ed esattoriali (art. 87 CCNL ex Equitalia) prevedono:

La prestazione lavorativa si effettua, di massima, in correlazione temporale con l’orario normale applicabile al personale inquadrato nella 3a area professionale addetto all’unità di appartenenza, con le caratteristiche di flessibilità temporale proprie di tale categoria e criteri di “autogestione” individuale che tengano conto delle esigenze operative.

Qualche considerazione su questo articolo. Il QD non ha effettivamente un orario rigido, potendo beneficiare di “flessibilità temporale”. Quindi per lui non sono previste un’ora di entrata e un’ora d’uscita, anche se deve tener conto delle esigenze operative.
Quindi, a titolo di esempio, un QD direttore di filiale deve comunque assicurare l’apertura dello sportello all’orario previsto: eventuali aperture ritardate non sarebbero giustificabili con la flessibilità d’orario.
Il QD è tenuto ad una prestazione lavorativa correlata all’orario normale applicabile agli impiegati dell’unità di appartenenza.
Quindi se nella sua filiale si applica l’orario standard, dovrà assicurare una prestazione lavorativa di 7 ore e mezzo giornaliere. Se si applicano orari diversi (6×6, orari estesi, turnazioni ecc.…) la sua prestazione sarà commisurata a quella dei colleghi.
Se il quadro direttivo si ferma in ufficio più a lungo avrà diritto al riposo compensativo. Se invece la sua prestazione lavorativa fosse inferiore a quella richiesta, sarebbe tenuto al recupero nei giorni successivi.

La norma sembrerebbe lasciare spazio a margini di interpretazione a causa dell’inciso “di massima”, dando l’impressione che anche il concetto di prestazione lavorativa possa essere letto in modo elastico. Come va interpretata questa postilla?

Di recente abbiamo avuto modo di confrontarci su questo argomento con l’Ufficio Consulenze del Lavoro dell’ABI, ottenendo una sorta di “interpretazione autentica”.
Per quanto superfluo, è bene ricordare che i QD sono comunque lavoratori dipendenti, soggetti pertanto al potere direttivo del datore di lavoro: questa semplice considerazione basta ad escludere la possibilità di decidere in autonomia la misura della prestazione lavorativa individuale.
Deroghe relative alla quantificazione ed alle modalità di esecuzione della prestazione lavorative sono consentite dal contratto, ma solo se concordate ed espressamente autorizzate dall’Azienda.

 

RICAPITOLANDO:

Un quadro direttivo è tenuto ad entrare e uscire dal lavoro agli stessi orari dei suo colleghi inquadrati nella categoria impiegatizia?
No, a patto che questo sia compatibile con le esigenze operative dell’Unità alla quale è assegnato.

Un quadro direttivo può decidere in autonomia la quantificazione della sua prestazione lavorativa?
No. La sua prestazione lavorativa dev’essere equiparabile a quella dei colleghi che operano nella stessa Unità Operativa.
E’ importante sottolineare che una prestazione lavorativa significativamente inferiore rappresenterebbe a tutti gli effetti un’inadempienza contrattuale, tale da giustificare provvedimenti disciplinari che possono portare anche al licenziamento.