Prescrizione: nessuna pietà per i risparmiatori più smemorati


Ma è così grave che uno si scordi di soldi che ha? È giusto confiscarglieli come a un delinquente?

È la sorte di non pochissimi risparmiatori, dimenticatisi di un titolo di Stato, un buono fruttifero oppure altro, per distrazione o magari anche per spiacevoli deficit di lucidità. Lamenta la cosa l’Associazione Futurosereno di Torino e non si può darle torto, perché tutto ciò fa a pugni con la tutela del risparmio voluta dalla Costituzione Italiana (art. 47). Oltretutto sono situazioni più frequenti in persone inesperte, con pochi soldi da parte, cioè in cosiddetti soggetti deboli.

Titoli di Stato. 
A inizio Novecento nel Regno d’Italia la prescrizione della somma prestata allo Stato avveniva dopo 30 anni, ridotti progressivamente fino a soli cinque, tempo per nulla lunghissimo. Vedi chi a inizio 2000 ritrovò in casa Btp cartacei sei anni dopo la scadenza. Tutto perso, peggio per lui.

Buoni fruttiferi postali. 
I buoni cartacei passati dieci anni si prescrivono. Un buono di durata trentennale emesso nel 1980 non vale più nulla. In effetti, in passato le Poste rimborsarono ugualmente buoni prescritti, in particolare a termine. Ora non più. Dopo non più. Ma la prescrizione si giustifica nei rapporti privatistici, con lo Stato no. Pagare un debito resta comunque un dovere morale. A ciò si aggiunge che alcuni risparmiatori, rimasti con un pugno di mosche, sono poi finiti vittime di associazioni, ditte e avvocati disonesti che li hanno trascinati in cause perse, facendogli credere che avrebbero ottenuto la revoca della prescrizione.

Denaro contante. 
Poco grave quando va solo fuori circolazione, ma resta convertibile nelle nuove emissioni. Il guaio è quando perde ogni valore. In Germania banconote e monete in marchi non scadono mai, né si sono mai prescritti i dollari. In Italia già prima dell’euro diverse serie diventarono carta straccia. Poi ciò era previsto per tutte le lire dal 28 febbraio 2012. Ma Mario Monti, per un’operazione di cosmesi sul bilancio pubblico, proditoriamente ne anticipò l’annullamento al 6 dicembre 2011. Così fece fesso chi s’illudeva che lo Stato avrebbe rispettato la scadenza che aveva ufficialmente comunicato. La banca centrale tedesca, la Deutsche Bundesbank, avrebbe fatto fuoco e fiamme contro un simile provvedimento. La Banca d’Italia non batté ciglio.

Conti dormienti. 
A completare il brutto quadro si aggiunge la normativa voluta nel 2005 dall’allora ministro Giulio Tremonti, per cui lo Stato si accaparra di conti, titoli in deposito, crediti assicurativi ecc., se inattivi per oltre dieci anni. Né importa in questa sede per cosa poi li utilizzi. È il principio stesso che è discutibile. Per giunta fa specie che in Svizzera il tempo fosse di vent’anni e per giunta sia stato poi prolungato. Si ritiene che gli italiani siano più precisi, puntuali ecc. degli svizzeri?

Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano del 18/7/22

 

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