E’ evidente che nella società contemporanea l’andamento dell’economia è la conseguenza di una interazione tra potere politico e potere economico.
Ora il potere politico si basa sul consenso elettorale dei cittadini elettori, mentre il potere economico si fonda sull’attitudine a battere la concorrenza, ma riflettiamo: una volta realizzato il consenso o acquisito il mercato non si guadagna in entrambi casi la facoltà di controllo delle decisioni di altri soggetti senza essere a propria volta controllati? Ad esempio, il monopolista ha il potere di controllare la quantità che il mercato può consumare, il rappresentante politico ha il potere di decidere quale territorio possa essere beneficiato da un nuovo progetto di investimento. E’ evidente che il potere economico debba controllare il potere politico, in quanto con il potere politico si influenza l’attività economica tramite l’attività generale del potere legislativo ed esecutivo: ad esempio, la politica fiscale (pensiamo al potere di imposizione fiscale a cui si collega il potere di decidere la gestione della spesa pubblica in termini di volumi e di allocazioni: negli USA, il paese maggiormente orientato al mercato, hanno un’incidenza della spesa pubblica sul PIL pari ad 1/3) e la politica monetaria (indirettamente, ad esempio, attraverso la nomina degli organismi direttivi della banca centrale europea, formalmente indipendente nell’esercizio del potere decisionale in materia di politica monetaria, ma, il cui potere e la cui autonomia non sono legittimati da un voto popolare, ma, da un trattato: Maastricht).
Sappiamo che i partiti politici prendono il diritto di esercitare il potere politico grazie ad una competizione elettorale (che in Italia si svolge ogni 5 anni) e che il governo è inevitabilmente espressione degli interessi economici della maggioranza di elettori che hanno esercitato il loro diritto di voto a favore di un partito o dei partiti che formano la coalizione di governo. Per esclusione, l’opposizione rispecchia gli interessi economici di quella parte della popolazione che ha rinunciato al diritto di voto o che ha esercitato il diritto di preferire uno dei partiti che hanno ottenuto una quota di minoranza. Se ragioniamo, poi, sul fatto che le decisioni politiche del governo sono con maggiore probabilità a favore della maggioranza e spesso a svantaggio della minoranza (risultato inevitabile delle decisioni a maggioranza semplice a cui si associa la vita stessa della democrazia) ci rendiamo conto che la maggioranza può abusare in un contesto democratico del suo potere. In sostanza, possiamo dire che la tirannia di una maggioranza di governo può essere evitata semplicemente eliminando le eccessive disuguaglianze economiche e sociali.
Sicuramente il potere di un’economia sana ed in crescita aumenta la probabilità di vittoria di un governo e questo dovrebbe rappresentare un incentivo al buon governo dell’economia. Ma, in realtà, nella democrazia a casa nostra, la competizione elettorale sulla performance economica non rappresenta un incentivo sufficiente per il buon governo: al contrario è causa di squilibri, visto il forte aumento del debito pubblico e le contorte allocazioni della spesa pubblica.
Ma cosa accade quando si scivola nella tirannia della maggioranza? E’ fuor di dubbio che i problemi economici centrali coprano la vita di una intera generazione. Prendiamo la crescita del debito; ora, il disavanzo pubblico di un singolo anno può raffigurare uno squilibrio sopportabile, ma l’accumulo costante di disavanzi nell’arco di un ventennio può divenire un debito pubblico di dimensione non più sostenibile. Analogamente, se osserviamo i danni che l’attività economica provoca sull’ambiente; l’inquinamento annuo aggiuntivo può essere sopportabile, ma, la somma di tutti gli inquinamenti aggiuntivi può determinare un inquinamento complessivo che, nel lungo periodo, produce danni irreversibili alla salute dei cittadini. Quindi è evidente che gli errori economici di un governo autoritario vengono pagati dai figli e dai nipoti a causa degli effetti redistributivi associati alle decisioni politiche in materia di vantaggi di corporazioni e lobby.
Una soluzione spesso indicata da molti economisti era quella di seguire il criterio dell’efficienza paretiana (Vilfredo Federico Damaso Pareto, Parigi 15 luglio 1848 – Céligny 19 agosto 1923, è stato un economista e sociologo italiano). In pratica, se consideriamo due possibili distribuzioni di risorse tra due individui, se supponiamo che nella prima distribuzione ambedue gli individui prendano più beni rispetto alla seconda, possiamo dire che la prima allocazione è da considerare Pareto efficiente, perché in essa almeno un individuo ricava un guadagno, intanto che nessuno perde qualcosa. Al contrario, se un individuo ha un guadagno, mentre l’altro ha una perdita di qualcosa, il criterio dell’efficienza paretiana non è di nessuna utilità per la decisione ma, in questo caso, è però possibile decidere ugualmente sulla base di criteri di compensazione potenziali: ad esempio verificando se l’individuo che ha guadagnato riesce a convincere quello che perde ad accettare l’allocazione indennizzandolo con parte del suo guadagno. Un esempio: supponiamo che un hub interportuale realizzi un apprezzabile vantaggio della grande maggioranza dei cittadini di un comune, salvo che a quelli che vivono vicino alla struttura. Per un economista questo riproduce il caso di un potenziale miglioramento per la grande maggioranza, che trae un beneficio; ora per equità la società / ente che gestisce l’’interporto potrebbe potenzialmente compensare i residenti disagiati con un indennizzo.
Forse riscoprire i concetti del Pareto, il quale ebbe come studente il dittatore Mussolini, potrebbe essere utile a chi governa da destra questo paese, anche se poi si rischia di richiamare i suoi scomodi studi sulla distribuzione dei redditi, effettuati nel lontano 1897, dove fu messo in evidenza che in Italia, all’epoca, circa il 20% della popolazione possedeva l’80% delle terre (la proprietà fondiaria all’epoca era il principale simbolo di ricchezza e di potenza) e, di conseguenza, di ricordare che in tanti anni in Italia non è cambiato nulla (anche oggi una quota minoritaria di popolazione continua a possedere la quasi totalità del patrimonio nazionale).
Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti