Donne che hanno cambiato il mondo: Billie Jean King


La “Festa della Donna” non esiste. Non è mai esistita.

Quella che si celebra l’8 marzo non è una festa ma la “Giornata Internazionale della Donna”. Non si tratta di voler essere pignoli sulle parole. Lo scopo della Giornata Internazionale della Donna è proprio ricordarci che non c’è nulla da festeggiare.

Siamo nel 2022 ma ancora oggi, praticamente in tutto il mondo, le donne sono in una condizione d’inferiorità rispetto agli uomini. Nel nostro Paese possiamo avere l’impressione di essere più avanti rispetto ad altre aree del mondo, e questo è vero se guardiamo a nazioni dove, per ragioni religiose o nel rispetto di assurde tradizioni, il valore delle donne è assimilabile a quello di oggetti, di proprietà dei loro uomini.
Ma ancora oggi, nel 2022, le donne italiane hanno più difficoltà a trovare lavoro, percepiscono stipendi più bassi, hanno minori prospettive di carriera rispetto ai loro colleghi maschi.
Ancora oggi, nel 2022, le donne italiane sono oggetto di violenze e vengono uccise da uomini che ritengono di avere su di loro diritto di vita o di morte.

La storia ci insegna che, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale, i progressi fatti sono stati spesso dovuti al coraggio e alla determinazione di donne straordinarie, che non hanno voluto rassegnarsi allo stato di fatto.

Oggi raccontiamo la storia di una di loro.

Siamo all’inizio degli anni 70, e il tennis è divenuto uno sport popolarissimo in tutto il mondo, con enorme seguito di pubblico e sulla carta stampata. In effetti, però, non è proprio tutto il tennis a beneficiare di tanta attenzione, ma solo quello maschile. I tennisti più forti sono professionisti, guadagnano tanto e godono di fama paragonabile a quella dei divi del cinema. Le tenniste donne sono invece considerate come una specie di fenomeno da baraccone, gradevoli da vedere con i loro gonnellini ma lontane anni luce dai loro colleghi uomini, loro sì veri sportivi. Ovviamente i guadagni delle tenniste donne sono molto diversi: per loro non esiste professionismo, e vincendo un trofeo ottengono un premio 10 volte inferiore rispetto al vincitore del medesimo trofeo maschile.

La protagonista della nostra storia è Bille Jean King, una delle migliori tenniste di sempre, sicuramente tra le migliori della sua epoca, capace di vincere il suo primo Wimbledon, in doppio, a soli 18 anni. Eppure anche lei era costretta a mantenersi tenendo lezioni di tennis, visto che gli introiti derivanti dalla sua attività agonistica sarebbero stati del tutto insufficienti.

Fu lei a capeggiare il movimento di protesta del circuito tennistico femminile, che portò nel 1973 alla fondazione della Woman’s Tennis Association (WTA, tutt’ora esistente) ed al boicottaggio dei tradizionali tornei, a partire dagli Open degli Stati Uniti.

La ribellione era inaccettabile: Billie Jean e le ribelli dovevano essere rimesse al loro posto. E per farlo, saltò fuori Bobby Rigs, ex campione di qualche decennio prima, per tre volte numero uno del ranking.
Ma soprattutto, Bobby Rigs era una sorta di stereotipo vivente, con le sue dichiarazioni fortemente maschiliste: “le donne devono stare in cucina, non sopportano lo stress, è giusto che siano pagate meno perché inferiori geneticamente”. E tanto per rincarare la dose, si autodefiniva “Maiale maschilista”. Riggs lanciò una sfida: pur avendo 55 anni, sarebbe stato in grado di sfidare e sconfiggere con facilità le migliori tenniste donne, tanto inferiore era il livello del tennis femminile.

La prima a raccogliere la sfida fu Margaret Court: bersaglio ideale in quanto temporaneamente giunta al numero uno della classifica mondiale, ma emotivamente impreparata alla sfida che avrebbe affrontato. La Court subì infatti la pressione dell’evento, ma soprattutto il carisma del suo avversario, finendo con l’essere sconfitta con facilità.

Ma non era lei il vero obiettivo: Rigs puntava alla tennista più forte, alla più importante, a Billie Jean King. Che a quel punto non poté fare a meno di raccogliere la sfida.

L’incontro fu preceduto da un lancio giornalistico senza precedenti, in cui l’arroganza e le dichiarazioni maschiliste ed irridenti di Rigs trovavano ampio spazio, tanto da portare la King a dichiarare, dopo l’incontro, “Ho pensato che saremmo tornati indietro di 50 anni se non avessi vinto quella partita. Avrebbe rovinato il circuito femminile e fatto perdere l’autostima a tutte le donne.”

Fu un grande evento: 30.000 presenti intorno al campo, oltre 90 milioni di telespettatori. Ma stavolta l’esito fu molto diverso: Billie Jean aveva una forza morale che le consentiva di gestire le pressioni, oltre ad una splendida tecnica tennistica. In più, aveva fatto tesoro dell’incontro perso da Margaret Court, evitando di ripetere gli stessi errori. E quindi il risultato del match fu netto: 6-4, 6-3, 6-3 per Billie Jean King.

Può una partita di tennis cambiare la storia? Evidentemente sì, avendo dimostrato che le donne non sfiguravano rispetto ai loro colleghi uomini. Questo conferirà alla WTA una notevole forza contrattuale, consentendo di ottenere, in tutti i principali tornei del circuito, l’equiparazione dei premi tra uomini e donne, a partire dagli open USA ed arrivando a Wimbledon, ultimo ad adeguarsi nel 2007.

Tutto è bene quel che finisce bene allora? No perché la King si era esposta troppo, e in qualche modo avrebbe dovuto pagare. E l’occasione arrivò da un suo atto ancor più clamoroso: fu la prima atleta a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità, divorziando dal marito per vivere alla luce del sole il suo amore con un’altra donna.

Per la società moralista e bacchettona degli Stati Uniti questa era una provocazione davvero intollerabile. Billie Jean fu costretta a ritirarsi dal circuito professionistico che pure aveva fatto nascere, rassegnandosi a partecipare a tornei minori per guadagnare qualcosa.

Ma anche questa partita la giocò per vincere, con la determinazione ed il coraggio che l’avevano sempre contraddistinta, diventando una paladina dei diritti LGBT. E nel 2006 la struttura nella quale si svolgono gli US Open fu stata rinominata “Billie Jean King National Tennis Center” in suo onore.

Alla fine ha vinto lei. Ha dimostrato che si possono combattere stupidità e pregiudizi avendo come uniche armi una racchetta da tennis ed un’enorme determinazione. Ed è una lezione da ricordare sempre.

E’ a questo che serve la ricorrenza della Giornata Internazionale della Donna: a non farci mai dimenticare che la lotta per i diritti delle donne non è finita e va combattuta ogni giorno. Perché tutte le donne meritano rispetto, senza dover essere costrette a vincere il torneo di WImbledon per conquistarselo.

 

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