La male-distribuzione tra i bisogni pubblici e i consumi privati in Italia


Se ragioniamo sulla base di interessi economici egoistici (self interest), possiamo affermare con una certa tranquillità che i consumi pubblici superiori sono caratteristici dei componenti delle masse popolari e di una porzione dei ceti medi, nonché del campo degli intellettuali, ma non sono di interesse alcuno per la classe alta e ricca della popolazione. Quando, sui mezzi di informazione di massa, apprendiamo che nel centro e nel sud gli ospedali e gli ambulatori ASL sono insufficienti, spesso antiquati, poveri di personale qualificato, in corso di chiusura sistematica, con tutti i servizi medici sociali che lasciano in parecchi aspetti a desiderare, veniamo subito a chiederci le motivazioni per cui i partiti di governo del nostro paese sembrano non preoccuparsi di tale degrado sociale, alla pari di quei ricchi a cui non importa un fico secco, in quanto minimamente non toccati o preoccupati visto che hanno a disposizione per curarsi le migliori cliniche private e i più esperti medici.

Certamente le classi più alte si preoccupano, data la facilità delle comunicazioni mondiali dei trasporti per via aerea, solo di pretendere dallo Stato un servizio efficiente per l’isolamento da malattie infettive e per la vaccinazione contro di esse, non avendo bisogno di altro, visto che hanno la possibilità di far crescere igienicamente i loro bambini, di provvedere ai loro vecchi, alle malattie dei loro uomini d’affari ipertesi e delle loro signore con i disturbi dell’età, agli infortuni per gli incidenti sportivi dei loro giovani quarantenni in cerca di popolarità virile. Quando poi apprendiamo che, nel centro e nel sud, le scuole pubbliche sono carenti di aule e di attrezzature, con un personale insegnante non remunerato adeguatamente (con la conseguenza che sarà difficile ingaggiarli con attenzione per far rimanere i migliori o cercare di pretendere, da quelli che inevitabilmente vi restano, un impegno ed un attaccamento sicuro, anziché una presenza frustrante) veniamo di nuovo a chiederci le motivazioni per cui i partiti di governo del nostro paese sembrano non preoccuparsi neanche di questo aspetto di regresso civile, mantenendosi in linea con quei ricchi a cui non importa il solito  fico secco, visto che essi hanno a loro disposizione per i loro figli le scuole private, dove possono scegliere i migliori educatori.

Ora, l’importanza del verde pubblico, la difesa del decoro della città, l’eliminazione dei quartieri malsani, non sono questioni di chi abita nei quartieri alti, al riparo dalla sporcizia e dalla decadenza edilizia e dall’affollamento della periferia, lontani dallo smog, dai secchi pieni di spazzatura ammassati sulle strade. Quindi, il problema dei beni pubblici, che servono al progresso civile, salvo alcune voci, come la ricerca scientifica e la protezione del paesaggio, è in gran parte un problema che non tocca personalmente i ricchi, ma il popolo dei lavoratori dipendenti, dei precari, dei co.co.co, dei disoccupati e dei pensionati. Di conseguenza, possiamo arrivare ad affermare che è un problema di redistribuzione dei redditi, un problema di governo del paese, perché desiderare una società più civile significa desiderare la solidarietà, che esprime l’amore della civiltà autentica, ma anche allargamento delle soddisfazioni e ampliamento delle opportunità economiche, politiche e sociali per tutti. Ovviamente, da parte dei politici, non si tratta di possedere tanta apertura intellettuale, visto che, chi è in grado di crederci compiutamente, non ne ha bisogno per motivare le proprie scelte di una civiltà superiore, poiché vi arriva ex ante, direttamente per desiderio di questa medesima e non ex post, per conoscenza dei suoi effetti.

Data la distribuzione del carico fiscale in Italia, caratterizzata da un grande predominio delle imposte indirette e, tra le dirette, dal peso effettivo gravato sui lavoratori dipendenti/pensionati e sulle piccole proprietà, sembra evidente che l’aumento delle spese pubbliche per il progresso civile in Italia debba essere finanziato per una larga parte con una nuova tassazione a carico dei ricchi patrimoni se si vogliono espandere in misura massiccia i beni statali per soddisfare degnamente i bisogni pubblici e nello stesso tempo sostenere il saggio di crescita globale dell’economia nazionale. Ma certi consumi pubblici hanno un senso profondo solo se sono realmente voluti da chi deve effettuarli, ed è sicuramente un’impresa ardua attendersi di divulgare la cultura, l’istruzione di base, l’amore per l’arte, per il paesaggio, per la ricerca scientifica, attraverso un maggior volume di spese pubbliche, se la gente queste cose non le sente interiormente. Potrebbe accadere come quando a scuola i maestri di vecchia generazione cercavano di diffondere l’amore per la poesia obbligando i ragazzi ad imparare a memoria tante poesie, che ad essi assolutamente non importava conoscere. Ora la male-distribuzione tra i bisogni pubblici e i consumi privati, che si è negli ultimi decenni massicciamente affermata in Italia, deriva dal fatto che i consumi del settore del mercato partono da un atto individuale: l’acquisto, quindi da un costo, e chi lo sostiene ha la certezza di aver acquisito un bene o un servizio per sé, mentre quelli del settore pubblico traggono origine da un processo collettivo, che vede la messa a disposizione del pubblico di certi beni e servizi gratuiti o semi gratuiti, grazie al pagamento delle imposte e tasse per la copertura del loro acquisto.

Un pagamento di imposte rappresenta un onere per chi le sopporta, ma non ha alcun collegamento diretto con i servizi che con queste imposte si possono finanziare. Vogliamo dire che chi spende di più sul mercato acquista di più, ma chi paga più imposte non gode più servizi pubblici in aggiunta. Questo significa che investire del capitale nella produzione di beni e servizi che la gente compra è sempre conveniente, e che se vi è una disposizione all’acquisto non soddisfatta, per ogni domanda sul mercato, vi è presto tardi qualche impresa disposta ad esaudirla. Al contrario, cercare di saturare certi bisogni pubblici insoddisfatti non dà alcun profitto direttamente, salvo se vogliamo considerare quelle poche imprese che investono nella produzione di beni da vendere agli enti pubblici. Sappiamo che fare pubblicità per eccitare nuovi bisogni privati, anche se folli, può essere un eccellente affare per chi pensa di produrre i beni destinati a soddisfare quei bisogni artificialmente creati, ma fare pubblicità per i bisogni pubblici non è impresa remunerativa e, senza pubblicità, la produzione dei beni pubblici è destinata a rimanere indietro irrimediabilmente rispetto ai beni privati che, viceversa, procedono con l’ausilio del meccanismo del mercato.

Pensiamo ad una persona di grande cultura che vive in una società capitalista come la nostra e che è convinta che sarebbe meglio destinare più denaro alla pubblica istruzione e meno ad automobili di lusso: questa persona probabilmente alla fine andrà anche lui a destinare i suoi risparmi per cambiare la sua automobile, anziché donare soldi per l’incremento della pubblica istruzione, perché questa persona anche se regalasse allo Stato la somma risparmiata non avrebbe alcuna garanzia che questo atto di solidarietà si risolverebbe veramente in un aumento delle spese di istruzione anche nel caso in cui lo Stato veramente usasse il denaro ricevuto per quello scopo. Senza un Governo che prenda cognizione di quanto accade in Italia oggi, che non agisca per la difesa della sanità pubblica, dell’istruzione, dell’ambiente e del benessere sociale, che preferisce ricollocare le poche risorse disponibili all’acquisto di armi, al sostegno di paesi in guerra, si cade in una grottesca situazione di assenza dello stato sociale. Se aggiungiamo che sembra diffondersi una incapacità di far rispettare le leggi o l’abitudine di imporre leggi continuamente cangianti, ci accorgiamo che non vi può essere libertà ma solo arbitrio, solo anarchia, che porta alla legge del caso o peggio, del più forte, e dalla legge, che è baluardo di libertà e presupposto di una società civile, si rischia di passare alle leggi che distruggono la democrazia e le varie libertà, che erigono lo stato autoritario, lo proteggono, mettendo al bando ogni azione diretta a rivendicare la libertà.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti

image_pdfScarica PDF di questo articoloimage_printStampa articolo
,