Il Tesoro prepara l’uscita da Mps e rinuncia alla regia sul terzo polo


La vendita della prossima tranche del Tesoro darà più peso alle scelte dei soci privati. Si guarda al piano di agosto e all’accordo bancassicurativo con Axa, che può aprire la via a nuove alleanze strategiche: Unipol in primis.


 

Inizia l’estate della verità per Mps. In cui la banca svelerà il volto “riprivatizzato”, e il Tesoro primo socio lascerà ai manager le redini strategiche, e al mercato la (eventuale) scelta del partner con cui formare il “terzo polo” creditizio.

Il 2 luglio scadono i tre mesi presi dal socio pubblico dall’ultima vendita di un 12,5% a dozzine di fondi istituzionali. Da allora il Tesoro può tornare a vendere: e nelle retrovie una terza tranche si profila. Un pacco del 10% circa, in base alle richieste e alla tenuta del titolo, che dopo il picco di €5,29 il 17 maggio nel mese del taglio ai tassi e dell’onda nera alle elezioni UE ha perso quasi un euro. Ma la fase di correzione, comune al settore, lascia il titolo vicino a un multiplo del 60% del patrimonio tangibile: e benché le rivali quotino quasi al 90%, Deutsche Bank ha ricordato che a “quota 60%” sono avvenute tutte le recenti acquisizioni italiane. Come dire che MPS è banca “da sposare”: benché il Tesoro sia più propenso a venderla in piccoli tagli, per rispettare gli impegni del 2017 di uscire dal capitale (l’ultima proroga dice nel 2024).

La coincidenza di date, vista con occhi senesi, schiude una finestra ideale per la terza tranche: l’intervallo tra il Palio della Madonna di Provenzano, proprio il 2 luglio, e quello dell’Assunta, il 16 agosto. In quei 45 giorni i contradaioli pensano quasi solo alle corse, l’attenzione al resto rasenta lo zero. Ma Luigi Lovaglio, da due anni sempre più leader di MPS, ha un’agenda poco senese oggi. In città si vede poco: mentre gira molto tra Roma, Milano e Londra, dove secondo più fonti incontra i vertici del Tesoro e invita tanti investitori nell’azionariato. Lo schema che avrebbe in testa l’ex manager di Unicredit ha due livelli di lettura: rimpolpare la quota dei fondi per poter navigare anche in solitaria – trovando magari qualche “traghettatore” di medio termine. Sempre di public company si tratta: ma non è uguale. Al primo livello ci siamo già, dopo che il tesoro ha ceduto in sei mesi il 37,5% a centinaia di fondi. Gestori che chiedono capital gain e dividendi, ma non si mettono a battagliare con un eventuale “scalatore”. Se invece si formasse un nocciolo duro, tipo quello creato in Banco BPM tra Fondazioni, Casse previdenziali e privati per arginare il Crédit Agricole, la valenza sarebbe doppia: perché se è vero che il ballo delle fusioni vive una pausa di studio, è probabile (lo ha appena detto l’AD di Banco Bpm, Giuseppe Castagna) che riparta in 18-24 mesi: e Siena è attesa sul palco. Ma dal 2025, con il Tesoro sceso intorno al 15% e la Lega indebolita sulla scena politica, sarà più arduo che il governo abbia un ruolo attivo nel consolidamento.

Non sono mancati i tentativi. Da quelli di tre anni fa del governo Draghi, pronto a offrire circa 7 miliardi di dote a Unicredit per indurla a rilevare MPS, alla moral suasion di Meloni (specie con la sponda dei leghisti, forti a Siena e nel nord “bancario”) per convincere Banco Bpm a impalmare il Monte. Inviti sempre respinti al mittente da Castagna & C. Secondo altre fonti un annetto fa il Tesoro cercò soci anche altrove. Nella valle lombarda ben nota al ministro Giancarlo Giorgetti, eletto nel collegio di Sondrio, e pure da Lovaglio, per anni a capo di Creval nella ridotta valtellinese, poi espugnata dall’Opa francese del Crédit Agricole.

La (ex) Popolare di Sondrio, con dimensioni e sviluppo geografico adatti a essere comprata da MPS, aderiva alla nuova narrazione “autonomista” diffusa dai senesi un anno fa, allorché l’impennata dei tassi ne gonfiava i ricavi, mentre le procure di mezza Italia assolvevano tanti ex manager decimando il petitum chiesto dagli investitori (salito fino a 10 miliardi). Cominciava il “Rinascimento” senese e la dirigenza spolverava il blasone, proponendosi come polo aggregante, non più zitella da maritare. Il 12 giugno, al congresso Fabi, Lovaglio cambiò la vulgata: “Il tema non è fare il terzo polo per salvare MPS, non ne abbiamo bisogno. Il terzo polo siamo noi, con logica aggregativa, non per farci salvare”.

A Sondrio, però, aveva già piantato un paletto la Unipol di Carlo Cimbri, rilevando il 9,9% della neonata Spa e forte dell’accordo per distribuire le sue polizze sui 500 sportelli di BPS. Proprio in quelle settimane Unipol chiedeva alla BCE di salire fino al 19,9% in BPS, a ciò autorizzata il 6 settembre così da raddoppiare la quota in breve. Due mesi dopo il Tesori iniziava i collocamenti in Borsa di MPS, sfruttando il decollo delle quotazioni. Venti giorni fa, al G7 di Stresa, Giorgetti ha avuto buon gioco a rivendicare la strategia con cui il Tesoro ha recuperato gli 1,6 miliardi sborsati nell’aumento 2022: “Andiamo avanti con il nostro programma. Il risanamento è un grande successo che fa piacere alle casse pubbliche, e la banca mostra una solidità di cui possiamo andare fieri“.

L’operazione “terza tranche” va peraltro inserita nell’agenda estiva, che prevede un doppio passaggio il 5 agosto, quando il CdA MPS esaminerà i conti dei semestrali e la revisione del piano strategico 2022-26 a cui collabora Mc Kinsey. Nasceva, il piano, a complemento dell’ennesima ricapitalizzazione obbligata, ma a metà percorso molti obiettivi sono già colti (come i dividendi, appena erogati e due anni in anticipo). Chi lavora al dossier non attende grandi soprese, salvo qualche ritocco all’insù delle entrate da commissioni – per fronteggiare la discesa dei tassi BCE – e degli investimenti tecnologici, che la BCE vuole veder salire, per operare con efficienza anche senza quella fusione che la vigilanza prima imponeva.

Ma il vero nodo “strategico”, al di fuori del piano, è la bancassicurazione. Lovaglio ha già detto che l’accordo con Axa, che scade fra tre anni, si potrebbe rivedere, per internalizzare la società comune che vende polizze alla rete MPS. Costerebbe circa un miliardo, ma MPS ha circa 2,5 miliardi di capitale libero. Come ha scritto l’ufficio studi di Deutsche Bank c’è un chiaro razionale operativo a negoziare con Axa, emulando la strategia di rivali come Banco BPM, Intesa Sanpaolo e Unicredit, di accentrare a ampliare i ricavi da polizze. Solo che, se MPS prendesse questa via, potrebbe diventare un campo da arare per Unipol, che ha fatto dell’incrocio tra vendite di polizze a banche come BPER e BPS e investimenti nel loro capitale un pilastro del proprio rilancio.

Se MPS si ricomprasse la quota di Axa, insomma, diventerebbe appetibile per nuovi fornitori di polizze; e in caso di futura gara da bandire a Siena e probabile che Unipol partecipi con una buona offerta, magari corredata dall’acquisto di una quota di azioni MPS (proprio ciò che ha fatto a Modena e a Sondrio).

Qui occorre chiedersi  se il governo più a destra della Repubblica Italiana intenda agevolare l’avvicinamento di Unipol-Bper a Siena. Non è questione oziosa: perché se è vero che Carlo Cimbri è ormai una figura di prima grandezza nella finanza italiana, che naviga sicuro unendo logiche di mercato a salde sponde con Intesa Sanpaolo e Mediobanca, e pure vero che le coop emiliane sue socie hanno una storia e un network diversissimi da chi siede al governo. Cimbri peraltro ha forte stima di Lovaglio, cui propose la guida di Bper, poi affidata a Luigi Montani e ora a Gianni Papa. E la scelta, sulle polizze MPS, spetta al banchiere lucano e al CdA che lo ha nominato.

 

Articolo di Andrea Greco su Repubblica del 17/6/2024

 

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