Consumatori vittime delle imprese o dei Governi?


Spesso, quando siamo in cassa per pagare la spesa al supermercato, la cassiera ci porge la solita domanda: come stai oggi? Ora, non è il caso di iniziare una conversazione sulla nostra vita con la cassiera, pure se appare amabile, perché lei sta solo facendo il suo lavoro e probabilmente non è in realtà interessata a come scorre la nostra vita, e inoltre ci sono sempre altri clienti in coda a cui verrà rivolta la stessa domanda. Comprendiamo che quelle parole gentili sono solo strumentali a maggiori vendite del supermercato, ma anche se siamo consapevoli di tutto ciò, la domanda ci fa piacere analogamente, perché conosciamo il principio che nella vita economica vince chi fa meglio i propri interessi privati, ma allo stesso tempo aderiamo al concetto che ci piacerebbe vivere in un mondo più gentile.

Sul piano teorico ci si basa spesso sul concetto del così chiamato “Homo Economicus” il cui comportamento è indirizzato da un egoismo utilitarista con il quale, di regola, viene fatta coincidere l’idea di razionalità economica (da notare che il sostantivo egoismo, che nella lingua italiana ha un’implicita valutazione etica negativa viene, in senso economico, utilizzato con un significato neutrale, analogo al termine inglese del self-interest, cioè interesse per sé stesso). Quindi, Homo Economicus è la convenzionale visione dell’uomo che decide solo in funzione del proprio interesse privato, il cui comportamento è guidato da un egoismo utilitarista.

E’ lecito pensare che mettere l’egoismo razionale come unico fondamento del comportamento raffiguri una notevole semplificazione della molteplicità di motivazione umana, ma se ci si pone il problema di prevedere il comportamento di un soggetto economo, accettando l’ipotesi che egli sia guidato esclusivamente dal proprio interesse individuale, possiamo cercare di prevedere con una certa attenzione il suo effettivo comportamento futuro, consapevoli che il comportamento umano sia in realtà molto più difficile da prevedere. Ora, ogni possibile scelta di azione di un soggetto economico, cioè ogni decisione, implica una conseguenza; se, ad esempio, dobbiamo scegliere se passare le nostre vacanze al mare o in montagna, la nostra scelta scaturirà da una pluralità di fattori, come le nostre esigenze fisiche, le preferenze sportive, le distanze da percorrere eccetera e, nell’ambito della nostre disponibilità, andremo a scegliere quell’azione, mare o montagna, che corrisponde alla migliore conseguenza misurata convenzionalmente in termini di utilità, cioè di benessere, dati i nostri vincoli (di bilancio e di risorse disponibili). Ad esempio, la famiglia con i bambini piccoli tendenzialmente opterà per le vacanze al mare, in un posto tranquillo, per ragioni di riposo e di salute. E’ ovvio che in presenza di un’incertezza a ogni decisione si associano più conseguenze possibili. Come è pacifico ipotizzare che in molte situazioni elementari, ad esempio, il mangiare a colazione i biscotti, non esiste l’incertezza sulla conseguenza della decisione.

Il problema del consumatore che entra al supermercato consiste nello scegliere un paniere di beni, ad esempio banane e mele, in modo tale da massimizzare la sua utilità, senza spendere più denaro; vediamo ordinatamente come questo comportamento individuale può essere tradotto. Supponiamo che, sulla base di preferenze, il consumatore sia in grado di mettere in ordine possibili pannelli di consumo, dal più al meno preferito. In altre parole, di fronte a possibili panieri di banane e mele possiamo fare una graduatoria, ad esempio, sostenere di preferire il paniere A (di 3 banane e 3 mele) al paniere B (2 banane e 3 mele) e quest’ultimo al paniere C (2 banane e 2 mele); la graduatoria delle preferenze vede, quindi, al primo posto il paniere A, al secondo posto il paniere B, al terzo posto il paniere C. Possiamo perciò attribuire un numero a ciascun paniere in modo tale da rispecchiare e ordinare la Utilità, assegnando il numero 5 ad A, il 4 al paniere B e il numero 3 al paniere C. Questi numeri vanno a rappresentare la funzione di utilità, che rispecchia le preferenze sottostanti del consumatore, nella logica che possiamo usare qualunque altra terna di numeri a patto di rispettare l’ordine delle preferenze dell’esempio (noi ordiniamo le preferenze: non attribuiamo un valore, ma solo un ordine). Nel ragionamento escludiamo gli acquisti di impulso (quante volte si esce dal supermercato con spese diverse da quelle programmate, spesso a causa di sconti oppure per la gentilezza del personale o per altre motivazioni che influenzano i comportamenti individuali dei consumatori). Ora, il concetto di utilità è comodo, ma, evidentemente non basta ed è inadeguato per comprendere comportamenti individuali di rilevanza collettiva, come il rispettare l’ambiente, l’aiutare i profughi, il votare alle elezioni a chi promette incentivi ai consumatori o alle imprese.

Se ci chiediamo il perché il consumatore mette nel suo carrello il latte e non il caffè, vediamo che le ragioni possono essere molte: il consumatore può preferire il sapore del latte al caffè, oppure il fare colazione con il latte e biscotti può essere meno costoso rispetto al caffè. Il consumatore che fa la spesa al supermercato segnala le sue preferenze alle imprese unicamente con le sue scelte e tali scelte derivano da numerosi fattori ma, in particolare, dai prezzi, oltre che dal suo reddito disponibile. Il problema del consumatore, quindi, si inquadra nella migliore scelta di un paniere di consumo, dati i prezzi e i redditi disponibili (è un linguaggio della teoria economica del consumatore quello che recita che il consumatore massimizza la sua utilità, dato il suo vincolo di bilancio). Il vincolo di bilancio del consumatore, che paga la sua spesa alla cassa di supermercato, può essere il denaro contante, che ha nel portamonete o, se usa una carta di plastica, il credito disponibile sul suo conto corrente e, se la banca gli ha concesso un fido, un credito aggiuntivo. Quindi, possiamo affermare che stabilire quale sia il nostro vincolo di bilancio non è un esercizio banale e che questo comportamento, così abituale nella vita quotidiana di tutti, è al centro della teoria economica. In realtà, il consumatore ha il potere di scegliere, preferendo un’impresa concorrente; ad esempio, se egli va al negozio dove fa solitamente acquisti per comprare un nuovo tablet e questo non è in grado di consegnarglielo, egli facilmente si sposta in un negozio concorrente: questo motivo obbliga ogni impresa in concorrenza a mantenere uno stock di beni per rispondere alla domanda dei consumatori. In questo quadro deve essere interpretata l’ipotesi di sovranità del consumatore. Se si afferma questa ipotesi, l’impresa potrà vendere sul mercato solo se si comporta sulla base del principio che il cliente ha sempre ragione, naturalmente a patto che vi sia un reddito sufficiente per gli acquisti.  Nel caso in cui esista l’impresa monopolistica, come spesso nel capitalismo contemporaneo, la situazione si rovescia e il consumatore (soggetto economico con bisogni illimitati) subisce la vendita e sono le imprese a stabilire i prezzi.

Il potere di mercato dell’impresa è una caratteristica centrale dei mercati moderni, dove le imprese hanno il potere di fare i prezzi attraverso una procedura di mark-up e dove, come ulteriore conseguenza dell’esistenza di potere di mercato delle imprese, esse hanno l’interesse a produrre, come nel caso del monopolista, una quantità inferiore a quella socialmente utile. Il capitalismo fonda la sua crescita sulla prospettiva di bisogni sempre crescenti da appagare con nuovi beni prodotti, e questo è incompatibile con il vincolo delle risorse sempre più limitate di cui dispongono i lavoratori-consumatori. Inoltre, spesso si dimentica che la sfera di bisogno si esprime sia sul piano della quantità che su quella della qualità della vita e che, con le attuali tecnologie, la crescita quantitativa senza limite non è possibile mentre, invece, è possibile una crescita senza limiti della qualità della vita.

Questi problemi economici (e sociali) posti dal processo di globalizzazione furono oggetto di riflessione da oltre due secoli, da parte di filosofi ed economisti. Carlo Marx denuncia che il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terreste: ”Sfruttando il mercato mondiale la borghesia (il capitalismo) ha reso cosmopolita la produzione del consumo di tutti i paesi, e le antichissime industrie nazionali vengono soppiantate da nuove industrie, che non lavorano più materie prime indigene, bensì, materie prime provenienti dalle regioni più remote, e i prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in tutte le parti del mondo; subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi più lontani. In luogo dell’antico isolamento locale e nazionale, per cui ogni paese è bastato a sé stesso, subentrò un traffico universale, una universale dipendenza per le nazioni l’una dall’altra e come nella produzione materiale, così anche nella spirituale, i prodotti spirituali delle singole nazioni diventano patrimonio comune, la unilateralità della ristrettezza nazionale diventa sempre più impossibile e dalle molte letterature nazionali locali esce una letteratura mondiale” (riformulazione abbreviata).

Le critiche sulla globalizzazione non sono roba nuova, anche se nuovi sono alcuni dei problemi di oggi rispetto a due secoli fa. Occorre richiamare concetti di equità sociale, da non confondere con quelli di uguaglianza, anche se è tanto importante quanto difficile da definire l’idea di equità, che è molto spesso associata a ciò che nel nostro tempo ci pare giusto o ingiusto. Ad esempio, è giusto che chi ha bisogno di cure mediche e non dispone di soldi per curarsi non debba essere abbandonato senza cure e trascurato, così come ci appare ingiusto che vi siano famiglie povere che non dispongono di mezzi economici adeguati per vivere e che, spesso, arrivano a indebitarsi per sopravvivere. Il problema economico nasce quando si consigliano le possibili soluzioni a queste situazioni ingiuste con particolare riferimento alle modalità di finanziamento di un’eventuale intervento pubblico. E’ palese che ci sono situazioni nelle quali l’obiettivo di una maggiore equità ha come conseguenza una minore efficienza economica misurata, ad esempio, in termini di prodotto interno lordo; ciò non significa tuttavia che l’obiettivo dell’efficienza economica debba essere sempre e comunque prioritario; l’efficienza economica, infatti, è compatibile con situazioni di sistema di disuguaglianze nella distribuzione delle risorse ed è, quindi, possibile in alcuni casi che la minore efficienza sia desiderabile per consentire di perseguire l’obiettivo di una maggiore equità. Esiste quindi spesso un trade-off tra efficienza ed equità, ma è importante sottolineare che, in alcune situazioni, questo trade-off scompare; la tassazione dei grandi patrimoni per finanziare la sanità pubblica e l’istruzione aumenta anche l’efficienza fisica e intellettuale del lavoro; in questo caso, è evidente che all’aumento dell’equità sociale corrisponde un aumento dell’efficienza.

Questo sembra non interessare a chi governa nell’interesse della maggioranza di elettori che hanno esercitato il loro diritto di voto, e contro gli interessi economici di quella parte della popolazione che ha rinunciato al diritto di voto o che ha esercitato il diritto di preferire uno dei partiti che hanno ottenuto una quota di minoranza. Come sembra non interessare uno dei concetti più importanti, ossia che il buon governo della distribuzione del reddito richiede che non ci si dimentichi del reddito permanente dei lavoratori, anche se è difficile da misurare. Il reddito stabile è quello sul quale è possibile far conto, quando si tratta di formarsi una famiglia o di acquistare una casa; è il reddito stabile che ci consente di finanziare un investimento a lungo termine con i risparmi di reddito da lavoro dipendente, che possono derivare solo da un contratto di lavoro a tempo indeterminato e non da un reddito transitorio, variabile ed incerto nel tempo.

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti
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