CGIL L’Aquila: in Provincia famiglie e giovani sempre più poveri

Nell’economia della Provincia dell’Aquila esiste un problema strutturale, che coincide con l’impoverimento crescente delle famiglie e delle giovani generazioni.

Emerge dal report della Cgil su economia, lavoro e pensioni.

In una realtà in cui la famiglia è ancora un’istituzione centrale, “i dati evidenziano la condizione media di povertà dei pensionati ed il mancato accesso al reddito da lavoro della popolazione attiva“, spiega il sindacato; al netto di chi non cerca lavoro o ha rinunciato a farlo, “gli occupati percepiscono redditi piuttosto bassi e molte persone che sono disoccupate o inoccupate sopravvivono grazie agli strumenti di sostegno al reddito”.

Oggi siamo in un fase di blocco dei licenziamenti, per cui a fronte di una mancata ripresa delle attività produttive è lecito aspettarsi una fase di grande sofferenza economica e sociale.

“Nel 2020 la crisi ha colpito duramente il nostro territorio, ad una già fragile economia provinciale si è aggiunta una situazione di estrema difficoltà generata dalla pandemia” chiarisce la Cgil. “Il nostro territorio, già provato dal susseguirsi di eventi catastrofici e da crisi economiche cicliche, vede un pesante arretramento sul fronte economico con una ulteriore riduzione di reddito per centinaia di famiglie e l’espulsione di migliaia di lavoratori precari dal mondo produttivo. Si assiste ad un continuo scivolamento verso una condizione di povertà per interi nuclei familiari, si accentuano le differenziazioni tra reddito femminile e quello maschile e tra le tre macro aree dell’Aquila, Avezzano e Sulmona”.

Per la nostra provincia l’importo medio mensile della pensione di vecchiaia vigenti al 1 gennaio 2020 è di 855,48 euro, “con una importante differenziazione tra uomini e donne: per i primi il valore medio è pari ad euro 995,88, mentre per le donne è pari ad euro 651,34, cioè il 34,5% in meno rispetto agli uomini. Tale importo medio risulta essere il più basso tra tutte le provincie abruzzesi per un valore percentuale dell’11,5% in meno rispetto alla media Abruzzo”.

E all’interno della nostra provincia si accentuano le differenziazioni tra territori: il tasso di disoccupazione nel 2019 per Sulmona era pari al 13,3%, per Avezzano all’11,8% e per L’Aquila al 9,6%.

Anche il reddito da lavoro dipendente nel 2018, per i principali comuni della provincia, si colloca al di sotto della media nazionale con importanti oscillazioni percentuali. “Per l’Aquila il valore medio del reddito da lavoro dipendente è pari ad euro 21375,9, con un 4,36% in meno rispetto al valore medio nazionale (valore medio calcolato per fasce demografiche), mentre per Avezzano 19855,9, con meno 3,95% e per Sulmona 19580, con un meno 5,2%”.

Per migliaia di lavoratori il reddito a seguito della pandemia ha subito una drastica riduzione “dovuta alla sospensione dei rapporti di lavoro tramite l’utilizzo degli ammortizzatori sociali; il confronto della variazione percentuale sull’andamento delle ore di cassa integrazione ordinaria per gli anni 2019-2020 fa registrare un incremento del 1779%”.

La grave sofferenza sociale riscontrata nella nostra provincia viene evidenziata anche dall’utilizzo di prestazioni di contrasto alla povertà: il reddito di cittadinanza interessa oggi il 5,44% della popolazione. “È necessario, pertanto – ribadisce la Cgil – invertire immediatamente la tendenza che da troppo tempo insiste sui nostri territori, partendo da concrete azioni di sostegno ai redditi delle persone, passando per l’incremento dell’occupazione stabile ed il miglioramento della qualità della vita attraverso un potenziamento quantitativo e qualitativo dei servizi alla collettività, quali: sanità, istruzione, trasporti, costruzione di reti materiali e immateriali”.




CGIL AQ: chiusura scuole scelta arrogante e non condivisa

Siamo di nuovo alle prese con l’arroganza e l’approssimazione di decisioni prive di condivisione e partecipazione che, in quanto tali, generano conseguenze pesantissime per studentesse e studenti, alunni e alunne, genitori, personale scolastico, lavoratrici e lavoratori.
Di nuovo è mancata la capacità di ascolto, di interlocuzione, di confronto, come se chiudere la scuola fosse un puro atto amministrativo senza conseguenze. Continuiamo a vivere in una costante emergenza, ma è trascorso più di un anno dall’inizio della pandemia e sono mancati il coraggio e la capacità di programmare serie azioni a tutela della salute e della possibilità di garantire alla scuola le attività didattiche in presenza e in sicurezza.

Una chiusura così repentina, come quella dell’ordinanza n. 11 della giunta regionale di Marsilio, senza l’indicazione di un termine, non tiene minimamente in considerazione il disagio materiale e immateriale della popolazione. Questo tipo di scelta imporrebbe una larga condivisione se non altro tesa a bilanciarne i danni con misure compensative per la tranquillità e la quotidianità di tutte le categorie sociali su cui ricade. Una scelta del genere non può essere fatta nell’arco di una giornata e su dati non omogenei e contrastanti.

Strafottenza e strapotere sono le basi di quello che è accaduto. Cosa dovrebbero fare le famiglie che non possono fruire di congedi parentali speciali? Utilizzare come ultima alternativa le proprie ferie e permessi? Oppure addirittura ridurre l’orario di lavoro a proprie spese? Siamo in attesa di atti normativi che possano garantire immediatamente le agibilità oggi non riconosciute, ma nelle more, sarebbe stato opportuno riflettere sulle conseguenze e gli sugli effetti sociali, economici e psicologici, che il ritorno alla Dad per la scuola primaria avrebbe provocato.
Lavoratrici e lavoratori sono sottoposti all’ennesima scelta tra lavoro e famiglia, tra obblighi contrattuali e necessità familiari. In una fase di contrazione di lavoro e di salario non è ammissibile lasciare sole le persone, privandole di un sistema di protezione che consenta loro di vivere una esistenza dignitosa, nell’istruzione, nel lavoro, in famiglia ed in ogni azione quotidiana.

Sarebbero altre le scelte da fare, legate ai tempi, ai ritmi e alle priorità della vaccinazione. Se la scuola è tra le criticità di questa pandemia (e ci perdoni la scuola) forse deve avere un accesso prioritario, sicuro e regolare alla vaccinazione. Un piano di vaccinazione coerente e diffuso, ben gestito e trasparente che dia tra le priorità assolute attenzione al personale tutto della scuola, ai ragazzi e alle ragazze e alle loro famiglie. Personale tutto perché a scuola non lavorano solo docenti e Ata, ma vi sono gli assistenti educativi, gli operatori e le operatrici della mensa, le assistenti e gli autisti degli scuolabus che, ogni volta che la scuola va in Dad, si trovano a dover affrontare un’interruzione di lavoro e di salario che non è più sostenibile.

L’emergenza economica è sotto gli occhi di tutti, quella sociale sta crescendo giorno per giorno.

È il momento della partecipazione, un uomo solo al comando non può decidere per tutti. Occorre un profondo ripensamento di metodo e di merito.

 

Comunicato stampa della CGIL Provinciale L’Aquila




Se vai in questi Paesi, BPER Banca non la trovi più

In questi giorni sulle reti televisive nazionali, sui giornali e sui siti internet capita frequentemente di imbattersi nella campagna pubblicitaria di BPER Banca. Si tratta di spot molto accattivanti, che puntano a lanciare il messaggio di una banca vicina alle persone e allo loro esigenze.

Questo lo slogan dalla campagna:

 

 

In realtà, BPER Banca non la trovi se vai a Pisticci. O a Pacentro. O a Consandolo. O in una delle decine di località e Comuni che la BPER ha deciso di abbandonare.

Non si tratta, ovviamente, di una scelta che riguarda solo il nostro Istituto. C’è stato un passato in cui le banche facevano a gara per aprire nuove filiali, sforzandosi di coprire capillarmente l’intero territorio nazionale. Oggi la sfida è a chi chiude più sportelli: chiusure concentrate ovviamente nelle zone meno floride economicamente.

Apparentemente la scelta non fa una grinza: una filiale chiusa significa risparmiare molti soldi, tanto chi vuole può utilizzare i servizi online. E se poi non è in grado, pazienza, il problema è suo: è il mercato, baby!

Ma siamo sicuri che sia una scelta vincente?

Chiudere una filiale in un paesino di una zona interna significa escludere dai servizi bancari diverse categorie di persone: anziani, stranieri che non conoscono bene la lingua, soggetti economicamente fragili che non hanno accesso alla rete. Pensiamo solo al disagio di un anziano che vive da solo in una località di montagna ed ha il problema di andare a ritirare la pensione: anche uno spostamento di pochi chilometri diventerebbe un ostacolo insormontabile.
Chiudere una filiale in un paesino di una zona interna significa accelerarne lo spopolamento, contribuendo a trasformarlo in una città fantasma.

Dal punto di vista delle banche è indubbiamente una mossa vantaggiosa nel breve periodo: dal prossimo bilancio le voci di spesa diminuiranno in modo significativo, e anche se questo comporterà una lieve flessione dei ricavi provenienti dalle zone abbandonate il saldo sarà fortemente positivo. Peccato che quella “lieve flessione” arrivi da persone che saranno costrette a trasferirsi, da piccole aziende che dovranno spostare la sede o cessare l’attività, da posti di lavoro che verranno a mancare. Dietro i freddi numeri c’è la desertificazione di aree del paese sempre più ampie, con la perdita irrimediabile di un patrimonio culturale, storico, ed economico.

Quella che può sembrare una buona idea nel breve periodo diventa una scelta suicida se si guarda più in là nel tempo. Perché l’idea di un’Italia con zone ricche sempre più concentrate, e zone disagiate e abbandonate a sé stesse sempre più estese, non appare compatibile con i progetti di aziende che anche in futuro vorranno continuare a produrre utili.
Pensare di ottenere ricchezza diffondendo povertà è a dir poco folle.

Tempo fa, quando a comandare non era la legge del profitto immediato a tutti i costi, si parlava di responsabilità sociale dell’impresa. Il concetto è semplice: un’azienda deve contribuire a creare e diffondere benessere nel contesto in cui opera. E non deve farlo perché è buona e brava, ma perché le conviene: nessuna azienda può prosperare se tutt’intorno aumenta il disagio sociale. Per chiarire il concetto pensiamo ad un lussuosissimo negozio di abbigliamento, pieno di luci e di colori, posto tra le baracche di una favela: quanto potrebbe durare?

In realtà i manager delle banche non sono impazziti. Il punto è che a loro interessa solo il prossimo bilancio: di quello che accadrà da qui a qualche anno non gli importa assolutamente nulla. E questo perché da un lato puntano ad ottenere i ricchi premi che derivano dal raggiungimento degli obiettivi loro assegnati, dall’altro perché sanno che da qui a qualche anno l’assetto del sistema bancario sarà molto diverso viste le continue fusioni e incorporazioni, e quindi in definitiva perché stare a preoccuparsi del futuro di aziende che tra qualche anno potrebbero non esistere più?

Nei giorni scorsi ha creato enorme scalpore l’Assessora alla Sanità della Regione Lombardia quando ha proposto di dare priorità, per le vaccinazioni contro il Covid, alle Regioni che maggiormente contribuiscono a produrre PIL. Come dire che chi non è utile allo sforzo produttivo ha meno diritto di curarsi e vivere rispetto a chi produce. Un concetto aberrante, che ha suscitato reazioni tali da spingere l’improvvida assessora a fare marcia indietro con l’abusata formula di rito: “Sono stata fraintesa”.

Ma questo è esattamente ciò che le banche stanno ponendo in essere da anni: se sei nato in una regione che non produce abbastanza PIL, o sei colpevole di risiedere in un comune isolato, non hai il diritto di accedere ad una serie di servizi che in altre zone si considerano scontati. E questo perché con te la banca non guadagna a sufficienza.

Tra qualche settimana partirà il progetto “Gemini”, l’accorpamento in BPER di oltre 500 filiali ex UBI Banca, sforzo che vedrà tutti noi impegnati in un modo o nell’altro. Diamo ovviamente il benvenuto ai nuovi colleghi, che siamo felici di accogliere nella nostra Azienda, ma qualche preoccupazione per il futuro c’è. L’acquisizione di tante filiali rischia seriamente di produrre un’ accelerazione nelle chiusure degli sportelli, ovviamente concentrandole laddove l’Azienda ritiene di avere minori margini di guadagno.
Col risultato di contribuire a rendere più povere e disagiate zone del Paese sempre più vaste.

Speriamo di sbagliarci. Speriamo che come dice lo spot, BPER voglia davvero aiutare Bianca ad aprire il suo ortofrutta, anche se dovesse ostinarsi a non voler risiedere in una grande città.
Altrimenti dovremmo pensare che questo spot non sia altro che una foglia di fico, un modo per celare la realtà mostrando qualcosa che non esiste.

E’ il mercato, baby!




L’Aquila: BPER apre un bancomat sotto i portici

Una nuova luce illumina da qualche giorno i portici, appena riaperti dopo la ristrutturazione post sisma, del palazzo ex Carispaq in corso Vittorio Emanuele.

Da qualche giorno è stato infatti aperto un bancomat della Bper (ex Carispaq).

 

Fonte: Il Centro

 




La BCC del Gran Sasso si fonde con il Banco Marchigiano

Il 23 dicembre, a Civitanova Marche, il Banco Marchigiano e la Banca del Gran Sasso d’Italia Bcc hanno siglato il protocollo d’intesa con il quale si dà il via all’aggregazione tra i due istituti di credito. Nascerà il 1° ottobre 2021, sotto l’egida della capogruppo di entrambe (Cassa Centrale), una nuova banca interregionale.

La nuova banca avrà 11.400 soci, frutto dei 9.000 del Banco e dei 2.400 della Bcc abruzzese; i dipendenti saranno 188 (171 marchigiani e 17 abruzzesi); il patrimonio complessivo sarà di 71 milioni (66 Banco, 5 Gran Sasso) e l’attivo patrimoniale sarà di un miliardo e 100 milioni (64 milioni dell’istituto abruzzese).
Alle 25 filiali del Banco Marchigiano, articolate tra le province di Pesaro, Ancona, Macerata e Fermo, si aggiungeranno le tre filiali dell’istituto abruzzese di Pineto, Montorio e L’Aquila.

La Banca del Gran Sasso d’Italia, presieduta dall’ex deputato rosetano Giulio Sottanelli, è stata l’ultima Banca di credito cooperativo autorizzata in Italia, nata ufficialmente nel 2015 come Banca del Vomano e poi diventata Banca del Gran Sasso nel 2017 a seguito dell’incorporazione del comitato promotore della costituenda Banca dell’Aquila.

 

Da “Il Centro” del 24/12/2020




Natale Solidale: i numeri della campagna

Siamo in grado di tirare le somme in merito all’iniziativa che ha visto la CGIL impegnata assieme a UnionsProgetto Viva e Coop Centro Italia, che avevamo pubblicizzato sulle pagine.

E’ stata l’occasione per toccare con mano gravi situazioni di povertà emergente con la quale forse non ci saremmo confrontati in modo così forte, e che sarà sicuramente oggetto di future iniziative.

 

I NUMERI DELLA CAMPAGNA

Grazie all’impegno di un gruppo di giovani che si sono messi a disposizione in modo del tutto gratuito, è stato possibile acquistare e consegnare buoni spesa dell’importo di € 40 l’uno a 160 persone, per una raccolta superiore ad € 6.000.

Sono state raggiunte famiglie in 8 diversi Comuni. Per 55 bambini, conviventi con le famiglie dei beneficiari dei buoni, sono stati acquistati o donati dei regali di Natale.

Ringraziamo tutti coloro che, attraverso una donazione o impegnandosi in prima persona, hanno dato il loro contributo per l’ottenimento di questo risultato che ci ha dato la possibilità di dare al Natale un valore più profondo e sganciato dal consumismo che lo caratterizza.

 

Questo l’appello che avevamo lanciato

https://www.fisaccgilaq.it/lavoro-e-societa/natale-solidale-assieme-alla-cgil-laquila-aiutateci-ad-aiutare.html

 




Natale solidale con la CGIL L’Aquila: AIUTATECI AD AIUTARE!

A causa dell’emergenza Covid una grave crisi economica ha colpito milioni di persone. Anche nel nostro territorio le situazioni d’indigenza sono notevolmente aumentate.

Per questo motivo abbiamo deciso di lanciare una campagna di solidarietà alimentare che ha riunito alcuni soggetti. Abbiamo costruito un’alleanza tra Unions, Progetto Viva, Cgil L’Aquila e Coop Centro Italia che distribuirà dei buoni spesa della Coop, a ridosso delle festività natalizie, a famiglie in difficoltà nel Comune dell’Aquila e alcuni comuni del comprensorio.
I buoni saranno spendibili nei Supermercati Coop e riguarderanno prodotti alimentari e beni di prima necessità.

In più, vogliamo regalare un sorriso alle bambine ed ai bambini che sono capitati in un contesto difficile. E proprio per questo motivo nasce “Adotta un regalo”.
È l’occasione di fare un regalo ad un bambino che altrimenti non lo avrebbe avuto. Noi c’impegneremo a consegnarli alle bambine e ai bambini che fanno parte delle famiglie che stiamo aiutando con i buoni spesa della campagna.


“Natale solidale” contattare:
William Giordano 3282930295

“Adotta un regalo” comtattare:
Lorenzo Rotellini 3402865596
Tommaso Cotellessa 3480427657

 




Sanità colabrodo in Abruzzo, responsabili paghino

Di seguito riportiamo il comunicato stampa pubblicato in data 1/12 dalle Segreterie Regionali di Cgil, Cisl, Uil


COVID, SINDACATI: “SANITÀ COLABRODO IN ABRUZZO,
RESPONSABILI PAGHINO”

Cgil, Cisl, Uil: “Vaccini introvabili, medici in rivolta, ospedali in condizioni
indecenti, tracciamento inefficiente. Danni alla salute dei cittadini.
La Regione dica la verità”


PESCARA, 1 dicembre – “Sanità colabrodo in Abruzzo, i responsabili paghino per i danni alla salute dei cittadini abruzzesi. Vaccini introvabili, medici di famiglia in rivolta, condizioni di alcuni presidi ospedalieri non degne di un paese civile, inefficacia
del sistema di tracciamento, mobilità sanitaria passiva alle stelle”. Questo il quadro che emerge sul sistema sanitario abruzzese secondo Cgil, Cisl, Uil Abruzzo, i quali sottolineano che “mentre il presidente Marsilio continua a dire che tutto va bene e
risponde con supponenza ai tanti giornalisti, associazioni, cittadini, che lamentano una condizione grave, tace sulle tante verità che stanno emergendo circa lo stato di degrado di alcuni nosocomi”.

In particolare, i sindacati citano il caso dell’ospedale di Avezzano, per cui “l’Abruzzo ha tristemente raggiunto le cronache  nazionali per lo stato indecente in cui era costretto ad operare il personale sanitario ed il conseguente stato di incuria dei
pazienti ricoverati. Stranamente – osservano le tre sigle -sui fatti che si sono verificati, il silenzio del Presidente Marsilio e dell’assessore Verì è assordante, nonostante sia proprio compito dell’ente Regione porre in essere l’attività di vigilanza e controllo sulle aziende Usl abruzzesi”.

“Non ci risulta che la Regione stia prendendo provvedimenti nei confronti dei responsabili della gestione del nosocomio di Avezzano – aggiungono – mentre sembra avallare la politica della direzione Asl di aprire un’indagine contro quei lavoratori che
hanno avuto il coraggio di denunciare il degrado nel quale versava quella struttura al fine di proteggere e ridare dignità agli operatori ed ai pazienti ospedalizzati”.

“Così come è assordante il silenzio del Presidente e dell’assessore alla Salute sul ritardo nelle vaccinazioni antinfluenzali che, dopo le prime risposte evasive – proseguono Cgil, Cisl e Uil – oggi vedono il silenzio del Governo Regionale su tematiche
troppo importanti per la vita delle persone perché non si pretenda la assoluta chiarezza di quanto è accaduto e si individuino le responsabilità di vertice. Di fronte ai cittadini giustamente infuriati che si vedono negare diritti fondamentali, di fronte
alle denunce dei medici di medicina generale e delle associazioni sindacali non si può tacere”.

“Il quadro – affermano i tre sindacati – è oramai evidente: la Regione è responsabile della carenza dei vaccini per i cittadini abruzzesi. Ad oggi mancano oltre 150mila dosi. Si proceda a sanare al più presto questa ingiustificata inadempienza, che impedisce di fatto ai cittadini abruzzesi il loro sacrosanto diritto a vaccinarsi come il resto del Paese senza lasciar fuori nessuno, e si individuino le responsabilità. Le Procure faranno di certo il loro lavoro, ma i cittadini devono avere risposte da coloro che sono stati eletti per programmare e per vigilare sulla sanità abruzzese”.

Secondo le tre sigle, “in una fase complicata come questa, un’informazione trasparente e dettagliata è quanto mai necessaria: non solo annunci e parole, ma dati e fatti. I sindacati ed i cittadini – proseguono – hanno diritto di conoscere i dati relativi
al tracciamento dei contatti Covid-19, alle attività svolte dalle Usca ed in generale a tutte le informazioni utili a valutare le azioni messe in campo ed i risultati ottenuti. I sindacati, tra l’altro, dopo numerose segnalazioni, sono ancora in attesa che la
Regione e le Asl abruzzesi costituiscano il Comitato ristretto per la sicurezza degli operatori sanitari”.

“Allo stato attuale l’Abruzzo sta vivendo una forte penalizzazione derivante dall’essere tra le cinque regioni d’Italia ancora in zona rossa. Di certo, quanto più funzionerà il servizio sanitario, dalla prevenzione alla cura, tanto più saremo in grado di svolgere una vita ‘quasi normale’ e di tutelare l’occupazione, le imprese ed il tessuto economico della nostra regione. Mai come oggi – concludono Cgil, Cisl e Uil Abruzzo – la tutela della salute è intimamente collegata al benessere economico delle persone, al punto che curare i cittadini significa garantire loro la salute, ma anche il benessere economico e sociale dell’intera comunità”




INCA CGIL L’Aquila: Covid-19 è infortunio sul lavoro

La diffusione del Covid-19 in Provincia dell’ Aquila ha raggiunto livelli di assoluta gravità .

“Negli ambienti di lavoro si respira una grandissima preoccupazione tra i lavoratori e le lavoratrici e ogni giorno si registrano nuovi contagi, che nella maggior parte dei casi non vengono neanche denunciati come infortunio e trattati come semplice malattia, spiega il direttore di Inca Cgil L’Aquila Dario Angelucci.

“Facciamo fatica a gestire le paure e la preoccupazione dei nostri associati, perché quando emerge un positivo sul proprio posto di lavoro sale il panico. Si ha paura di essere contagiati e le possibilità  di accesso ai tamponi sono piuttosto limitate. Al netto dell’utilizzo dei dispositivi individuali di sicurezza, resta una componente oggettiva di rischio, che mina alle fondamenta la tenuta delle relazioni sociali. Il tracciamento è saltato e nei luoghi di lavoro ogni giorno accade che, a fronte di un avvenuto contagio, si comincia a fare la spunta delle occasioni di possibile trasmissione del virus. Il lavoro di assistenza e di cura alla persona, l’attività  di insegnamento, il lavoro in linea e quello nel terziario, la fruizione degli spazi comuni o dei servizi igienici diventa il luogo potenziale del contagio, che può avere origine ogni giorno nell’ordinarietà  delle azioni individuali”.

In ogni caso non c’è nulla da nascondere perché non bisogna provare vergogna per una condizione che si tende a stigmatizzare come fatto negativo per la società . “C’è una tendenza a considerare il Covid-19 come semplice malattia, noi non siamo d’accordo. Stabilire se il virus sia stato contratto in occasione di lavoro, a casa o in altri luoghi non rientra nei doveri del medico certificatore e tanto meno del datore di lavoro. Pertanto riteniamo che debba essere aperto un infortunio, sempre e comunque in caso di contagio, a prescindere dalla mansione svolta. Si tratta di tutti quei lavoratori che ogni giorno contribuiscono a mandare avanti il Paese e per questo motivo rischiano di contrarre il virus. La maggior parte dei loro non ha scelto la via del sacrificio, ha solo bisogno di portare a casa il salario. La salute tuttavia non ha prezzo ed è fondamentale per continuare a vivere e lavorare”.
Inca Cgil insiste sull’importanza di denunciare poiché, trattandosi di un virus per lo più sconosciuto, non è dato sapere l’effetto che lo stesso potrebbe avere sull’organismo nel medio lungo termine“Un Covid-19 trattato come malattia comune potrebbe lasciare il lavoratore privo di tutte quelle tutele, non solo economiche, garantite da INAIL. I nostri uffici sono a disposizione dei lavoratori, che abbiano avanzare la denuncia di infortunio sul lavoro. Siamo stati sempre in prima linea nella tutela dei nostri assistiti e non ci siamo mai tirati indietro. Ora vogliamo continuare a farlo, con grande convinzione, dalla parte dei più deboli”.

 

Fonte: www.newstown.it




BPER chiude 5 filiali in Provincia: l’allarme del “Passo Possibile”

Siamo venuti a conoscenza della determinazione di BPER di chiudere, a partire dal prossimo 23 ottobre, alcune filiali sul territorio aquilano, nello specifico quella cittadina di San Bernardino oltre alle Agenzie di riferimento a Coppito, Campo di Giove, Rivisondoli e Ofena, che si aggiungerebbero a quelle già chiuse negli ultimi mesi a Bazzano, Introdacqua e Pacentro”.

Così interviene in una nota l’associazione civico-politica Il Passo Possibile, per voce del Presidente Fabrizio Ciccarelli e di Marcello De Carolis, responsabile dell’Area Attività Produttive, manifestando forte preoccupazione per la situazione che si sta venendo a creare nel sistema bancario di L’Aquila e Provincia.

“Le banche hanno un’importante responsabilità sociale, motivo per cui riteniamo fondamentale mantenere e difendere sia la capillarità del servizio offerto, con particolare riferimento alla presenza di presidi nelle zone più decentrate, come per esempio le aree periferiche e di montagna, che le opportunità di lavoro sul territorio che da esso promanano”.

La rete dei servizi si sta impoverendo sempre più, gli sportelli bancari di vari Istituti di credito diminuiscono a vista d’occhio, e a farne le spese sono soprattutto i centri abitati più piccoli, dove spesso rappresentano l’ultimo punto di riferimento economico presente: “basti pensare ai tanti pensionati che li abitano che, per gestire la pensione e i propri risparmi, sono poco propensi ad accettare un progressivo abbandono del modello di banca del territorio per uno con servizi automatizzati e a distanza, evidentemente utili e comodi solo per le nuove generazioni e che, peraltro, necessitano di una effettiva copertura della linea internet veloce”.

Un dato incontrovertibile è quello sulle filiali cittadine e sugli uffici interni di Bper attualmente ubicati nello stabile ‘Strinella 88’: “si pensi che nel 2013, anno della fusione per incorporazione di Carispaq in Bper, l’organico complessivo presente nel solo comune dell’Aquila era di circa 240 unità, mentre oggi se ne contano soltanto circa 145” sottolinea Il Passo Possibile.

“È necessario, in tal senso, che la politica e le forze sociali si facciano carico del problema, trovando soluzioni per frenare l’impoverimento del tessuto economico del nostro territorio, la progressiva diminuzione dei posti di lavoro e la forzata mobilità cui saranno sottoposti i dipendenti, così umiliando un patrimonio di risorse professionali, oltre che la conseguente delocalizzazione degli interessi economici e finanziari dalla nostra Provincia altrove, preferendo soluzioni solo apparentemente più convenienti e remunerative”.

Fonte: www.newstown.it

 

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https://www.fisaccgilaq.it/banche/bper/piani-industriali-grandi-gruppi-bancari-ulteriore-impoverimento-del-territorio.html