Lavoro agile: così i controlli su PC, email e traffico web

Lo smart worker deve essere informato su ragioni e modalità dell’intervento. Possibile esaminare la navigazione su Internet senza analizzare i siti visitati


La diffusione su larga scala dello smart working ha riportato l’attenzione, in questi mesi, sul tema del controllo a distanza dei lavoratori, che accompagna l’evoluzione della legislazione e della giurisprudenza fin dai tempi dell’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970).

Originariamente l’articolo 4 dello Statuto vietava l’uso di apparecchiature per controllo a distanza. L’uso di impianti e apparecchiature richieste da esigenze organizzative e di controllo o per la sicurezza sul lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza era consentito, previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

Nel 2015 è stato eliminato il divieto assoluto della legge del 1970. Rimane fermo il “divieto del controllo intenzionale e finalizzato al monitoraggio continuo e indiscriminato del lavoratore” (Ministero del Lavoro, nota del 10 maggio 2016). Rispetto alla precedente formulazione della norma, una novità è che per gli strumenti di lavoro e di registraizone degli accessi e delle presenze non sono necessari l’accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa.

Gli impianti e gli strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza del lavoro possono essere usati solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale con la necessità di un accordo sindacale o, in mancanza, dell’autorizzazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Le informazioni regolarmente raccolte possono essere usate a ogni scopo connesso al rapporto, anche ai fini disciplinari, purché sia data adeguata informativa ai dipendenti delle modalità d’uso degli strumenti e dell’effettuazione dei controlli.

Attualmente i controlli sono svolti spesso su computer aziendali e caselle di posta elettronica, che sono sicuramente qualificabili come strumenti di lavoro. La giurisprudenza ha in più occasioni confermato la loro validità, anche se il Garante della Privacy è arrivato ad assimilare la mail alla corrispondenza epistolare, salvo che sia adoperata per fini privati.

La Cassazione ha ritenuto legittimo il controllo della posta elettronica aziendale di un dipendente accusato di aver inviato una serie di email al rappresentante legale contenti espressioni volgari e scurrili (Sentenza 26682 del 2017).
E’ legittimo il controllo del PC aziendale per accertare attività extra-lavorative: nel caso specifico, il dipendente era stato sorpreso a giocare al PC (Sentenza 13266 del 2018).

Con la sentenza 476 del 28 giugno 2021, la Corte d’Appello di Venezia ha stabilito che sono pienamente utilizzabili le videoregistrazioni delle telecamere presenti all’interno di locali aziendali (un casinò), usate dal datore di lavoro per contestare a un dipendente una serie di condotte in violazione delle procedure aziendali e penalmente rilevanti (furto e appropriazione indebita).

E’ legittima la condotta del datore che esamini i dati del traffico internet del dipendente sul PC assegnatogli in dotazione, senza analizzare quali siti lo stesso abbia visitato durante la connessione né la tipologia dei dati scaricati, ma limitandosi a valutare i dettagli del traffico.
Tale comportamento non coinvolge né i profili di violazione della privacy (i dati non forniscono indicazioni riferibili alla persona dell’utente, alle sue scelte politiche, religiose, sessuali) né violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Isolate pronunce di merito hanno escluso la legittimità del controllo della posta elettronica. Per il Tribunale di Milano (sentenza 17778 del 13/5/2019) non può essere configurato come legittimo ai sensi dell’articolo 4 comma 2 dello Statuto dei Lavoratori il controllo effettuato sull’account email del dipendente in assenza dell’adeguata informativa prevista dall’articolo 4 comma 3 dello Statuto. “Le predette violazioni – si legge – comportano l’inammissibilità delle risultanze ottenute dai controlli occulti e, dunque, l’inutilizzabilità delle informazioni acquisite.

Nell’accordo individuale che regolamenta lo smart working (in base alla normativa generale, non con il regime semplificato in vigore fino al 31 dicembre 2021), devono essere stabilite le modalità del controllo a distanza.

 

Articolo di Marcello Floris su “Il Sole 24 Ore” del 30/8/2021

 

 




Bonus fiscale in busta paga? Forse…

Sulle pagine di molti quotidiani online si parla del nuovo Bonus Draghi 2021 in busta paga già da Agosto, ma la realtà è che ancora non ci sono certezze: ecco comunque tutte le ipotesi e gli scenari possibili.


Si tratta infatti di un argomento di diffuso interesse, sulla bocca di tutti i lavoratori dipendenti perché interessa da vicino la busta paga dei lavoratori.

Ma cosa sarebbe nello specifico questo tanto discusso Bonus Draghi? Cosa comporta?

E soprattutto, quanto c’è di vero nelle notizie e nei rumours di questi giorni?

Scopriamolo.

Bonus Draghi 2021: di cosa si tratta?

In parole povere si tratta di un’agevolazione da erogare in sostituzione degli attuali bonus previsti dalla normativa.

Quindi, nel dettaglio, questo nuovo emolumento sarebbe la naturale evoluzione di queste due misure:

  • il Bonus Renzi introdotto nel 2014 solo per un anno e poi erogato fino al 2020, ammontava a 80 euro mensili (960 euro annui ) ed era riconosciuto ai possessori di reddito complessivo non superiore a 24.600 euro (bonus pieno) o 26.600 euro (bonus ridotto);
  • il trattamento integrativo, introdotto con il decreto n.3/2020, ha visto un’ulteriore integrazione di chi già aveva diritto del bonus proposto dal governo Renzi. Si tratta di un incremento di 120€ mensili in 6 mesi e viene calcolato in base al reddito annuo e alle tasse pagate.

Il nuovo Bonus Draghi, secondo i rumors attuali, avrebbe natura fiscale e verrebbe aggiunto alle buste paga come un rimborso. Nello specifico si applicherebbe sotto forma di una maggiore detrazione, calcolata sulla base dei giorni lavorati nell’anno, e tenendo in considerazione anche reddito annuo e contratto del lavoratore.

Spetterebbe, inoltre, a tutti i lavoratori dipendenti (e potrebbe anche essere esteso ai pensionati) ma sempre a patto che rientrino in uno degli scaglioni di reddito coperti dalla misura.

Secondo le indiscrezioni attuali la soglia massima di questo bonus sarebbe 1880€: ma attenzione, a differenza degli altri bonus precedenti sarebbe una tantum, erogato cioè in un’unica soluzione e in una sola busta paga.

Questi 1880 euro, come detto prima, potrebbero subire una riduzione in base al reddito del lavoratore. In base alle ipotesi attuali gli scaglioni di reddito potrebbero essere i seguenti:

 

REDDITO RIMBORSO IRPEF
Inferiore a 8.000€ € 1.880
Inferiore a 8.000€ contratto a tempo determinato € 1.380
Superiore agli 8.000€ ma inferiore ai 28.000€ €   978
Superiore ai 28.000€ ma inferiore ai 55.000€ €   690
Uguale o superiore a 55.000€ zero

 

Attenzione: non c’è ancora nulla di certo

Gli articoli in Rete ne parlano come se fosse già stato approvato, ma in realtà al momento non c’è un Decreto o comunque una bozza che confermi l’erogazione a breve di questa misura.

In linea teorica il cosiddetto Bonus Draghi avrebbe dovuto essere parte del Decreto Sostegni. Tuttavia, alla fine, è rimasto escluso dal testo convertito in legge.

Non essendo una misura definita e definitiva, pertanto mancano gli estremi per erogare allo stato attuale le somme ai dipendenti.

Una riforma più organica dell’IRPEF

Si parla da tempo della volontà di rimodulare (e rivedere) gli scaglioni IRPEF per legge.

Il disegno del Bonus Draghi, dunque, sarebbe di portata più ampia e andrebbe a ricollocarsi nella più organica Riforma dell’IRPEF, che ancora esiste solo sulla carta.

Nello specifico ci si riferisce a una revisione delle aliquote Irpef, che attualmente prevedono una trattenuta che avviene direttamente sulle buste paga dei lavoratori dipendenti in Italia.

La proposta di rivedere questa tassa con un importante taglio Irpef è quindi allo stato attuale tra le proposte del Governo Draghi.

Il premier con i suoi ministri pertanto stanno valutando delle agevolazioni per ridurre il cuneo fiscale e altre misure che andrebbero ad agevolare i lavoratori, grazie ad una riduzione delle trattenute dirette in busta paga.

 

Fonte: www.lentepubblica.it




Fondo Solidarietà: come ottenere i rimborsi delle imposte versate

2 - First Cisl 3 - Fisac Cgil 6 - Uilca Unisin nuovo logo

Con riferimento agli assegni straordinari del Fondo di solidarietà del credito ordinario e di quello cooperativo, l’approvazione del Decreto Sostegni bis ha – con una specifica norma interpretativa – definitivamente escluso la riliquidazione degli importi a favore delle esodate e degli esodati.
Pertanto, nulla è dovuto su tali somme e l’Agenzia delle Entrate provvederà all’annullamento formale degli avvisi bonari inviati in precedenza e provvederà altresì al rimborso delle somme pagate dalle esodate e dagli esodati che hanno scelto la rateizzazione. Si precisa che per coloro che hanno scelto la rateizzazione degli importi in precedenza richiesti nessuna altra rata in scadenza è dovuta.

L’Agenzia delle Entrate, presumibilmente dal prossimo mese di settembre, avvierà la procedura automatica per l’accredito dei rimborsi direttamente sul conto corrente delle esodate e degli esodati dei quali è già in possesso del codice IBAN.
Coloro che invece non hanno in precedenza comunicato all’Agenzia delle Entrate il proprio codice IBAN dovranno comunicarlo, al più presto, collegandosi a questo indirizzo: www.agenziaentrate.gov.it

Occorre digitare “Area riservata” ed accedere ad “Entratel/Fisconline”. Per l’identificazione si può utilizzare SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), CIE (Carta di Identità Elettronica), CNS (Carta Nazionale dei Servizi). Quando si è entrati nell’Area riservata, sulla sinistra dello schermo appare un menù, nel quale occorre seguire il percorso: Servizi Fisconline – Servizi per – Richiedere – Accredito rimborso e altre somme su c/c. L’IBAN comunicato sarà utilizzato dall’Agenzia delle entrate per effettuare i rimborsi.

Infine, per coloro che non hanno comunicato e non comunicheranno il proprio codice IBAN tramite le modalità di cui sopra, potranno comunicare l’IBAN su cui fare accreditare il rimborso delle somme pagate utilizzando il modello allegato, compilato in tutte le sue parti e contenente i dati relativi a un conto corrente intestato al soggetto beneficiario del rimborso, che può essere presentato a un qualsiasi Ufficio Territoriale dell’Agenzia delle Entrate esibendo un documento d’identità in corso di validità.

Roma, 9 agosto 2021

 

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Bonus “Mamma domani” 2021: cos’è e quali sono i requisiti per ottenerlo

Nato nel 2017, con la Legge di Bilancio 2017, il Bonus mamma domani è un aiuto che viene corrisposto alle future mamme anche per il 2021.

Anche se dal 2022 sarà inglobato all’interno dell’Assegno Unico, per quest’anno sarà ancora possibile richiederlo.

Scopriamone di più.

Bonus mamma domani 2021

Si tratta di un beneficio di 800 euro per le future mamme che si può richiedere senza limiti di reddito. Spetta anche in caso di affidamento preadottivo o di adozione.

La prestazione è rivolta alle donne in gravidanza o alle madri per uno dei seguenti eventi verificatisi dal 1° gennaio 2021 fino alla fine del 2021:

  • compimento del settimo mese di gravidanza;
  • parto, anche se antecedente all’inizio dell’ottavo mese di gravidanza;
  • adozione nazionale o internazionale del minore, disposta con sentenza divenuta definitiva ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184;
  • affidamento preadottivo nazionale disposto con ordinanza ai sensi dell’art. 22, c. 6, l. 184/1983 o affidamento preadottivo internazionale ai sensi dell’art. 34, l. 184/1983.

Il beneficio è concesso in un’unica soluzione per ogni evento (gravidanza, parto, adozione o affidamento) e in relazione a ogni figlio nato, adottato o affidato.

L’importo è di 800 euro in un’unica soluzione e viene versato attraverso le seguenti modalità:

  • accredito su conto corrente bancario/postale
  • bonifico domiciliato presso un ufficio postale (solo in questo caso l’IBAN non è richiesto)
  • libretto postale
  • carta prepagata con IBAN
  • conto corrente estero dell’Area SEPA con IBAN extra Italia.

Quando fare domanda

La domanda può essere presentata dopo il compimento del settimo mese di gravidanza (inizio ottavo mese) oppure a nascita avvenuta o a seguito di uno degli altri eventi previsti dalla legge: adozione e affidamento preadottivo.

Si potrà fare domanda ogni mese durante il 2021, per nascite e adozioni avvenute dal 1 gennaio al 31 dicembre 2021.

Come fare domanda

La domanda deve essere presentata all’INPS tramite una delle seguenti modalità:

  • servizi telematici accessibili direttamente dalla richiedente, attraverso il servizio dedicato;
  • Contact Center (numero 803 164, gratuito da rete fissa, oppure 06 164164 da rete mobile);
  • enti di patronato, tramite i servizi telematici offerti dagli stessi.

Fonte: www.lentepubblica.it




Covid-19: proroga al 31/10 smart working per situazioni di fragilità e disabilità

Sono state prorogate le agevolazioni disposte in favore dei soggetti più esposti ai rischi legati ad un possibile contagio da Covid-19.

L’art. 9 del Decreto Legge n. 105 del 23/07/2021 prevede lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità smart fino al 31/10/2021per i lavoratori qualificati come fragili ai sensi del comma 2 dell’art. 26 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18.

(lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104).

 

Tale disposizione si applica anche:

  • ai colleghi che assistono familiari conviventi che si trovano in situazioni di fragilità o disabilità grave ai sensi del predetto comma 2,
  • ai colleghi che hanno ricevuto la certificazione di sorveglianza sanitaria eccezionale con prescrizione di lavoro flessibile da casa fino al 31/7.

 

Fonte: sito Fisac Intesa San Paolo




Lo stalking alla collega costituisce giusta causa di licenziamento

Il compimento di atti persecutori ai danni di una collega, pur avvenuto al di fuori dell’ambiente di lavoro, lede il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e può costituire giusta causa di licenziamento.


 

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1890/2020, ha ritenuto che costituisca giusta causa di licenziamento il compimento di molestie ai danni di una collega, anche se avvenute fuori dal luogo di lavoro, considerandole irreparabilmente lesive del rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro.
Il caso di specie vedeva protagonista un dipendente che, per diversi anni, aveva indirizzato reiterate molestie e minacce ad una collega di lavoro con cui aveva intrattenuto una relazione sentimentale. Tale condotta era infine sfociata in un invio assillante di messaggi minacciosi alla donna, nonché di foto e filmini a contenuto erotico al marito della stessa, fino ad arrivare alla diffusione del suo numero di telefono nei bagni di vari luoghi pubblici con l’invito a contattarla per prestazioni sessuali. Questa situazione aveva portato la donna a temere per la propria incolumità e per quella del marito, oltre ad averle provocato un malessere psico-fisico tale da costringerla a cambiare le proprie abitudini, risultandole intollerabilecontinuare a lavorare nello stesso ambiente dell’uomo. Quest’ultimo, peraltro, veniva condannato in sede penale per il delitto di atti persecutori ex art. 612 bis del c.p., c.d. stalking.

Il datore di lavoro, ritenendo il comportamento descritto irreparabilmente lesivo del rapporto di fiducia che lo legava al dipendente resosi colpevole degli atti descritti, provvedeva al suo licenziamento.

Tribunale e Corte d’Appello rigettavano l’impugnazione proposta dall’uomo contro il suo licenziamento. I giudici, infatti, giudicando la condotta dell’agente sufficientemente provata dall’esito del procedimento penale svoltosi a suo carico, e conclusosi con la sua condanna per il reato di atti persecutori, ritenevano proporzionato il suo licenziamento.

L’uomo, tuttavia, ricorreva in Cassazione, lamentando, in primo luogo, come i giudici di merito non avessero esaminato né la correttezza del comportamento da lui tenuto verso la collega sul posto di lavoro, né la richiesta, avanzata da entrambi, di essere trasferiti in un altro impianto.

Nel ricorso si eccepiva, inoltre, la falsa applicazione degli artt. 62 e 64 del CCNL di settore, nonché dell’art. 2119 del c.c. il quale, in caso di minacce, ingiurie gravi, condotte diffamatorie o calunniose verso altri dipendenti prevede la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da otto a dieci giorni. Secondo il ricorrente, infatti, alla luce di tali disposizioni, il datore avrebbe erroneamente disposto il licenziamento, previsto, invece, dalla legge soltanto qualora si verifichi una violazione dolosa di leggi, regolamenti o doveri “che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi.”

La Suprema Corte ha, però, rigettato il ricorso.

Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come i fatti dei quali il ricorrente ha eccepito il mancato esame, siano, in realtà, stati pienamente esaminati dai giudici di merito.

Quanto, poi, alla doglianza relativa alla falsa applicazione della norma contenuta nel contratto collettivo di settore, i giudici di legittimità hanno espresso il principio di diritto in base al quale “la nozione di giusta causa di licenziamento è nozione legale, rispetto alla quale non sono vincolanti (al contrario che per le sanzioni disciplinaricon effetto conservativo) le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione.

Ed infatti, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettivaai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando nel giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, purché vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.”

Fonte: www.brocardi.it



Cassazione: giusto licenziare chi usa legge 104 per fare la spesa e andare al mare

Dipendente licenziato da Poste italiane: usava permessi legge 104 per andare a fare la spesa o recarsi al mare in vacanza con la famiglia


La Cassazione ha deciso: è giusto licenziare un lavoratore che utilizza i giorni di permesso con la legge 104 per fare la spesa e recarsi al mare insieme alla propria famiglia. La pronuncia risale a due giorni fa, sabato 26 giugno 2021, e respinge, di fatto, il ricorso presentato da L., dipendente licenziato dalle Poste Italiane.

L’uomo aveva ricevuto il 20 settembre 2007 il provvedimento nel quale si diceva che

il lavoratore, il quale per le giornate del 24 e 25 agosto 2017 aveva usufruito di giorni di permesso ai sensi della legge 104 del 1992 per assistere la madre, si era intrattenuto in attività incompatibili con l’assistenza, essendosi recato presso il mercato, poi al supermercato e infine al mare con la famiglia, piuttosto che presso l’abitazione della madre, convivente col marito”.

Inoltre, il cambio della residenza della madre presso l’abitazione di L. non era mai stato comunicato a Poste Italiane spa, se non dopo le contestazioni disciplinari.

Nel ricorso, il dipendente delle Poste italiane, L., ha invocato una presunta lesione della privacy in violazione dello Statuto dei lavoratori che vieta“controlli lesivi dei diritti inviolabili” e prevede che i lavoratori debbano essere“informati adeguatamente circa le modalità di esercizio del controllo”.
Tuttavia, tale sottolineatura è stata prontamente rispedita al mittente, in quanto nel caso in disamina “il controllo del lavoratore al di fuori del luogo di lavoro era consentito perché finalizzato ad accertare l’utilizzo illecito del permesso”.

Infatti, l’assenza dal lavoro in base alla 104 “deve porsi in relazione diretta con lo scopo di assistenza al disabile, con la conseguenza che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere a esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e di buona fede, sia nei confronti del datore che dell’ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari”.

Insomma, a quanto pare la legge parla chiaro.

Fonte: ilsussidiario.net

 

 




Diritto alla pensione: anche per part-time verticale è utile il tempo non lavorato

Part-time verticale o ciclico: utile anche il tempo non lavorato per maturare il diritto alla pensione.


 

Infatti la legge di bilancio 2021 ha disposto nuove modalità di calcolo dell’anzianità contributiva maturata nei rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale di tipo verticale o ciclico, valorizzando ai fini del diritto pensionistico anche il tempo non lavorato, come già avviene nel part-time orizzontale.

Adesso, con la circolare INPS 4 maggio 2021, n. 74 l’Istituto fornisce le indicazioni sull’applicazione della norma nel settore privato, sui nuovi adempimenti per i datori di lavoro e sulla gestione delle posizioni assicurative dei lavoratori dipendenti diversi dagli operai agricoli.

Normativa

Il rapporto di lavoro a tempo parziale è stato organicamente disciplinato nel nostro ordinamento dall’articolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, destinato ai lavoratori disponibili a svolgere attività ad orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di lavoro o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno.

Detto testo normativo, nel disciplinare per la prima volta il lavoro a tempo parziale, ha tra l’altro previsto che siffatta fattispecie contrattuale debba necessariamente essere stipulata con atto scritto.

Diritto alla Pensione: anche per Part-Time verticale è utile il tempo non lavorato

Pertanto il legislatore riconosce il periodo non lavorato nell’ambito del rapporto part-time di tipo verticale o ciclico per i rapporti di lavoro part-time in essere alla data di entrata in vigore della nuova disciplina e per tutta la durata degli stessi, nonché per i rapporti di lavoro part-time esauriti.

L’Istituto procederà al riconoscimento, per l’intera durata del rapporto di lavoro part-time:

  • dei periodi assicurativi interessati dall’applicazione normativa
  • e riferiti a rapporti di lavoro part-time di tipo verticale o ciclico attivi alla data di entrata in vigore della disciplina in commento.

Va comunque considerata l’esclusione, nell’ambito dell’accredito dell’anzianità contributiva ai fini del diritto, dei periodi non lavorati e non retribuiti:

  • a causa del verificarsi di eventi sospensivi del rapporto di lavoro
  • e in considerazione della non disponibilità di dette informazioni negli archivi dell’Istituto.

Sarà necessario che l’assicurato presenti domanda alla Struttura territoriale competente per residenza, in fase di prima applicazione, tramite PEC ovvero attraverso il servizio on-line di segnalazione contributiva (c.d. FASE), secondo le consuete modalità.

La domanda dovrà essere corredata:

  • dall’attestazione del datore di lavoro compilata secondo il modello allegato (Allegato n. 1)
  • o da una dichiarazione sostitutiva di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 del 2000 (Allegato n. 2), sottoscritta dall’interessato. Con l’indicazione degli eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro senza retribuzione, completa della copia del contratto di lavoro part-time di tipo verticale o ciclico al quale la stessa si riferisce.

Le pensioni potranno essere liquidate in applicazione delle nuove disposizioni per decorrenze dal 1° gennaio 2021.

Le novità introdotte in materia di part-time di tipo verticale o ciclico non modificano le modalità di individuazione del diritto e della misura del Trattamento di Fine Servizio ( TFS) e del Trattamento di Fine Rapporto ( TFR) dei dipendenti pubblici.

Il testo completo della Circolare

A questo link potete consultare il testo completo della Circolare INPS.

Qui di seguito, invece potete consultare i due allegati alla Circolare:

 

Fonte: www.lentepubblica.it

 




Come vengono tassati i buoni pasto?

I buoni pasto sono sicuramente un benefit molto apprezzato dai lavoratori. Ma i buoni pasto sono tassati? Scopriamolo insieme.


Come funzionano i buoni pasto

I buoni pasto sono un mezzo di pagamento predeterminato che rientra nella categoria dei “fringe benefit”, ovvero i benefici accessori.

Vengono utilizzati dai lavoratori dipendenti o parasubordinati, sia del settore pubblico che del settore privato. Si tratta, infatti, di tagliandi alternativi alla mensa per il personale e possono essere spesi presso pubblici esercizi, come bar, ristoranti da asporto, gastronomie o supermercati convenzionati.

I buoni pasto sono un’agevolazione per il dipendente, che riesce a salvaguardare il proprio potere d’acquisto e sono utili anche per gli esercenti convenzionati, che riescono ad affiliare una propria clientela, che diventa sicura e abituale.

I buoni pasto sono destinati solamente ai dipendenti che lavorano a tempo pieno o parziale e solitamente vengono erogati con una cadenza di uno per ogni giorno lavorativo. Non possono essere ceduti o cumulati oltre alle 8 unità e non possono essere convertiti in denaro.

N.B. L’accordo di rinnovo CCNL ABI 19-12-2019, sottoscritto il 19/12/2019, prevede che il buono pasto non spetti ai lavoratori del settore bancario che svolgono lavoro agile, a meno che la loro prestazione non venga effettuata presso un Hub aziendale.

Tipi di buoni pasto

L’azienda può decidere se emettere al dipendente i buoni pasto cartacei o i buoni pasto elettronici (questi ultimi sono stati introdotti dal 2012).

Il funzionamento è lo stesso, ma ci sono delle piccole differenze che contraddistinguono i buoni elettronici:

  • Vengono caricati su una carta elettronica, dotata di microchip o banda magnetica.
  • La soglia di esenzione dalla tassazione è più alta, rispetto a quelli cartacei.
  • Coi buoni pasto elettronici è possibile tenere traccia delle spese e dei pagamenti fatti dai dipendenti.
  • In caso di smarrimento della carta, è possibile procedere al blocco e richiederne una nuova, recuperando, in questo modo, tutti i buoni pasto persi.

Tassazione buoni pasto

Ogni azienda ha a disposizione due tipi di benefit: i flexible benefits e i fringe benefits.

flexible benefits sono totalmente esenti dall’imposizione fiscale e contributiva, visto che sono considerati complementari alla retribuzione dovuta al dipendente.

I fringe benefits, invece, sono soggetti ad una tassazione parziale, perché sono aggiuntivi alla regolare retribuzione.

buoni pasto, essendo un bene aggiuntivo possono essere tassati, solamente se il loro valore non supera la soglia indicata dalla legge. Nel caso i buoni pasto abbiano un valore superiore a quello stabilito, la differenza risulterà nella busta paga e il dipendente dovrà pagare le tasse e i contributi relativi.

Limiti per la tassazione dei buoni pasto

I buoni pasto non sono tassati se non superano certi limiti, purché essi non superino giornalmente:

  • i 4 euro per i buoni pasto cartacei
  • gli 8 euro per i buoni pasto elettronici
  • i 5,29 euro per i buoni corrisposti “agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione”.

Queste limitazioni sono state fissate dalla Legge di Bilancio 2020, entrata in vigore lo scorso primo gennaio 2020.
Prima di questa decisione, il limite era stato fissato a 5,29 euro per i buoni cartacei e per tutti i lavoratori indistintamente.

Dopo la Legge di Bilancio 2020, il limite è rimasto solamente per le categorie di lavoratori sopra citate ed è stato immesso il limite a 7 euro per i buoni pasto elettronici.
Ricapitolando, le somme al di sotto delle soglie appena citate sono esenti dalle tasse, sia dai tributi che dai contributi previdenziali.

Quand’è che i buoni pasto sono tassati

Se i buoni pasto superano i limiti citati nel paragrafo precedente, entrano di diritto nella categoria dei fringe benefits, ovvero quei benefit che vengono parzialmente tassati, poiché rappresentano una retribuzione aggiuntiva a quella già ricevuta dal dipendente.

La differenza risulterà nella busta paga e costituirà il reddito del lavoro dipendente.
Poiché c’è una differenza tra buoni cartacei e buoni elettronici, visto che i primi sono esenti dalle tasse fino al limite di 4 euro e i secondi fino a 8 euro, c’è sicuramente un vantaggio che riguarda l’emissione digitale dei buoni pasto.

L’emissione dei buoni pasto in formato elettronico sarà un vantaggio sia per il lavoratore (che avrà un limite fissato a 8 euro) e sia per il datore di lavoro, poiché il costo sarà deducibile al 100% con un’IVA agevolata al 4% (a differenza dei buoni pasto cartacei, che presentano un’IVA al 10%).

 

Fonte: www.lentepubblica.it




Incentivo all’esodo, come si tassa?

Come sono calcolate le imposte sull’incentivo all’esodo: tassazione provvisoria del datore di lavoro e riliquidazione dell’Agenzia delle Entrate.


Attenzione alla tassazione dell’incentivo all’esodo, cioè di quella somma che il datore di lavoro riconosce al dipendente per agevolarlo nell’uscita anticipata dal lavoro.  La tassazione applicata dal datore di lavoro, infatti, non è quella definitiva, ma le imposte sono riliquidate, successivamente, dall’Agenzia delle Entrate: in questo modo, ci si può ritrovare, 4 anni dopo aver ricevuto l’incentivo, con un debito con il fisco, che può arrivare anche a migliaia di euro. Debito che il lavoratore è costretto a pagare senza potersi rivalere sul datore di lavoro: le imposte da quest’ultimo liquidate sono calcolate con un sistema differente, rispetto alla riliquidazione che viene effettuata dall’Agenzia delle Entrate, a causa di quanto disposto dalla normativa. La differenza d’imposta non è, dunque, frutto di un errore del datore di lavoro.

Ma procediamo per ordine e vediamo, nel dettaglio, come funziona la tassazione dell’incentivo all’esodo e come deve essere calcolata la sua riliquidazione.

Com’è tassato l’incentivo all’esodo

A partire dal 4 luglio 2006, è stato abolito il vecchio regime di tassazione agevolata degli incentivi all’esodo, che prevedeva per tali somme un’aliquota (la percentuale applicata sull’imponibile, dovuta a titolo d’imposta) pari alla metà dell’aliquota applicata per la tassazione del Tfr.

Secondo l’attuale normativa [1], la tassazione da applicare sulle somme d’incentivo all’esodo non è, comunque, quella ordinaria, ma la stessa tassazione separata applicata al Tfr. Questo, perché si è voluto comunque riconoscere un regime di favore alle somme erogate a titolo di incentivo all’esodo, per incentivare il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (come chiarito dalla Corte di Cassazione, con una nota sentenza [2]).

Calcolo tassazione provvisoria incentivo all’esodo

L’aliquota di tassazione viene dapprima determinata dal datore di lavoro con il seguente meccanismo :

  • si deve innanzitutto determinare il reddito di riferimento, dividendo l’ammontare del Tfr imponibile per il numero di anni di anzianità effettiva e convenzionale (i mesi hanno un valore pari a 0,83): negli anni di anzianità convenzionale non sono compresi gli anni di riscatto del titolo di studi o i periodi nel quale è stato prestato servizio militare, a meno che non sia disposto diversamente nel contratto collettivo di lavoro;
  • se il contratto di lavoro è di durata inferiore a un anno, al divisore deve essere indicato il numero 1 (come chiarito da un’importante circolare delle Entrate [3]);
  • bisogna poi moltiplicare il risultato ottenuto per 12, per ottenere il reddito di riferimento (secondo un’altra formulazione si può utilizzare come divisore il numero di mesi complessivi e come moltiplicatore 144, il risultato è il medesimo);
  • una volta calcolato il reddito di riferimento, si deve calcolare l’imposta sullo stesso, applicando al reddito di riferimento le aliquote Irpef (al netto delle addizionali locali) in vigore nell’anno in cui è maturato il diritto alla percezione della liquidazione (il diritto alla percezione del Tfr sorge il giorno successivo alla cessazione del rapporto);
  • infine, si determina l’aliquota media dividendo l’imposta sul reddito di riferimento (al netto degli oneri deducibili ma al lordo di eventuali crediti d’imposta) per il reddito di riferimento e moltiplicando il risultato per 100.

Applicando l’aliquota media all’incentivo all’esodo si ottiene l’imposta dovuta [4].

Tassazione definitiva dell’incentivo all’esodo

Successivamente alla liquidazione dell’imposta da parte del datore di lavoro, l’Agenzia delle Entrate riliquida l’imposta  in base all’aliquota media di tassazione dei 5 anni precedenti a quello della cessazione del rapporto.

La determinazione dell’aliquota media avviene rapportando la somma delle imposte calcolate con riguardo al reddito complessivo del contribuente, al netto degli oneri deducibili e senza considerare i crediti d’imposta, di ciascuno dei cinque anni precedenti e la somma dei redditi stessi considerati come sopra indicato” [5].

Se le maggiori o le minori imposte sono di importo non inferiore a  100 euro, l’Agenzia notifica la cartella di pagamento o rimborsa l’imposta a credito (entro il 31 dicembre del 4° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta).

Se in uno o più dei 5 anni considerati non vi è stato reddito imponibile, l’aliquota media si calcola con riferimento agli anni in cui vi è stato reddito imponibile; se non vi è stato reddito imponibile in alcuno di questi anni, si applica l’aliquota stabilita per il primo scaglione di reddito, pari al 23%. Se l’aliquota è variata nel corso del quinquennio, si deve tener conto della media delle aliquote del primo scaglione nei 5 anni considerati.

Incentivo all’esodo concordato al netto delle imposte

Purtroppo, dal punto di vista legale, non è possibile opporsi a queste previsioni, né stipulare accordi diversi col datore di lavoro: è stato confermato da una recente sentenza del Tribunale di Roma [6]. La sentenza trattava il caso di un lavoratore che aveva accettato l’incentivo all’esodo in quanto riteneva che la tassazione fosse a titolo definitivo e aveva concordato col datore un pagamento già al netto delle imposte. In seguito, avendo ricevuto la riliquidazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, aveva richiesto il pagamento della differenza d’imposta al datore di lavoro, ma il tribunale ha respinto il suo ricorso: per legge, infatti, il datore di lavoro è tenuto a versare le sole imposte determinate alla cessazione del rapporto di lavoro secondo l’aliquota provvisoria, nulla dovendo versare in caso di riliquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Questo, anche se l’accordo d’incentivo all’esodo prevede il pagamento di una determinata somma al netto delle imposte.

Per questo motivo, è opportuno che il lavoratore faccia dei conti a parte, considerando le aliquote di tassazione a titolo definitivo e non quelle provvisorie: si deve dunque considerare un netto diverso da quello che appare nel cedolino paga in cui figura l’incentivo all’esodo.


Note

[1] D.L.223/2006.

[2] Cass. Sent. n. 14821/2007.

[3] Circ. 78/E/2001.

[4] Art.19, comma 1 del Tuir.

[5] Circ. 29/E/2001.

[6] Tribunale di Roma, sent. n. 3636/2017.

 


 

Fonte: www.laleggepertutti.it