Festività soppresse: attenzione al 30 maggio

Il prossimo 30 maggio, festa dell’Ascensione, coincide con una delle festività soppresse per le quali è previsto il diritto ad una giornata di permesso retribuito.

Ricordiamo che il diritto ai permessi per ex festività spetta solo qualora in quel giorno il lavoratore abbia diritto alla retribuzione piena. Bisogna pertanto fare attenzione ad evitare, per quanto possibile, di richiedere permessi non retribuiti o aspettative che cadano in queste date per non perdere il corrispondente giorno di ex festività.

Analoga situazione si verificherà il prossimo 20 giugno (Corpus Domini) ed il 4 novembre (Unità Nazionale).

 

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Elezioni 26 maggio 2019: le norme per i lavoratori impegnati ai seggi

Com’è noto, il prossimo 26 maggio si svolgeranno le elezioni alla carica di Parlamentare Europeo. Nella stessa data sono previste le elezioni amministrative per eleggere alcuni Sindaci e i relativi consigli comunale e, dove indette, le elezioni amministrative regionali/provinciali.

Ricordiamo il trattamento da riservare ai lavoratori impegnati presso i seggi, ivi compresi i rappresentanti di lista. (DPR 30 marzo 1957, n. 361 e successive modifiche).

  • per la giornata di sabato, nel corso della quale vengono espletate le operazioni preparatorie alla votazione, il lavoratore ha la facoltà di scegliere, alternativamente, tra il pagamento di una quota aggiuntiva della normale retribuzione e una giornata di riposo compensativo, con possibilità per l’azienda, in questo secondo caso, di individuare, in relazione alle proprie esigenze organizzative, tecniche e produttive, la data in cui il suddetto riposo dovrà essere effettuato.
  • per la giornata di domenica, resta fermo il diritto del lavoratore a fruire di una giornata di riposo compensativo, che il datore di lavoro dovrà accordare, di massima, immediatamente dopo la chiusura delle operazioni elettorali (ivi compreso lo scrutinio).
  • Con riferimento ai giorni feriali nei quali si svolgeranno le operazioni, trattandosi di normali giornate di lavoro, ai lavoratori interessati è riconosciuto il diritto all’ assenza retribuita dal servizio.
  • I lavoratori interessati daranno preventiva comunicazione all’Azienda, curando di farsi rilasciare, a conclusione dell’impegno presso il seggio elettorale, apposita certificazione dal Presidente di seggio, con l’indicazione, ove occorra, anche dell’orario definitivo di termine delle operazioni.

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Agevolazioni 2019 per il riscatto della laurea

Ai fini della legge 28/03/2019, si possono riscattare:

•i diplomi universitari, i cui corsi non siano stati di durata inferiore a due e superiore a tre anni;
•i diplomi di laurea i cui corsi non siano stati di durata inferiore a quattro e superiore a sei anni;
•i diplomi di specializzazione conseguiti successivamente alla laurea e al termine di un corso di durata non inferiore a due anni;
•i dottorati di ricerca i cui corsi sono regolati da specifiche disposizioni di legge;
•i titoli accademici introdotti dal decreto 3 novembre 1999, n. 509 ovvero Laurea (L), al termine di un corso di durata triennale e Laurea Specialistica (LS), al termine di un corso di durata biennale propedeutico alla laurea.

I periodi che non danno possibilità di riscatto sono quelli:
•di iscrizione fuori corso;
•già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto che sia non solo presso il fondo cui è diretta la domanda stessa, ma anche negli altri regimi previdenziali (Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, ecc…).

I periodi di studio universitario compiuti all’estero sono riscattabili qualora siano stati riconosciuti da università italiane o, comunque, abbiano valore legale in Italia. Per verifiche più approfondite sul proprio caso specifico si consiglia una consulenza al Patronato INCA, per le sedi fare riferimento al proprio Delegato Sindacale o RSA locale.

 

Il riscatto può riguardare l’intero periodo di studi o singoli periodi.

Il costo del riscatto per il contribuente è detraibile in dichiarazione dei redditi dall’imposta lorda IRPEF al 50% e la detrazione (eventuale credito d’imposta) è ripartita in modo fisso in 5 quote annuali di pari importo, a partire dall’anno di spesa.

N.B.: Il limite alla detraibilità del costo del riscatto è dato dall’ammontare dell’imposta IRPEF pagata annualmente dal contribuente, quindi non si può detrarre la parte eventualmente eccedente tale importo, che si può verificare dal CUD. È fondamentale rivolgersi al Patronato INCA e/o al CAF CGIL di riferimento per tutti i conteggi del caso.

Per calcolare il costo del riscatto l’Inps ha creato un apposito strumento denominato “Riscatto Laurea” sul proprio sito (www.inps.it) e per accedervi bisogna inserire le proprie credenziali di accesso.

Si può scegliere di rateizzare il costo del riscatto, senza tasso di interesse, da un minimo di 1 rata a un massimo di 120 rate.

•La legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26 ha eliminato la soglia dell’età anagrafica dei 45 anni per essere ammessi alle nuove modalità di calcolo. Per effetto della modifica, a partire dal 30 marzo 2019, data di entrata in vigore della legge 26/2019, si potrà quindi accedere alla facoltà di riscatto con i nuovi criteri di calcolo indipendentemente dall’età anagrafica posseduta dal richiedente alla data di presentazione della relativa domanda di riscatto, sempre che siano soddisfatti gli ulteriori requisiti prescritti.

Alcune considerazioni finali:

•Il riscatto della laurea serve solo per l’incremento dell’anzianità contributiva, e non per l’incremento dell’assegno pensionistico, quindi gli anni riscattati non daranno vita ad un contributo concreto che alzi l’importo della pensione mensile.

Per poter valutare adeguatamente l’opportunità di effettuare la scelta del riscatto laurea vi invitiamo a rivolgervi al Patronato INCA, presente nella maggior parte delle sedi CGIL.

Maggio 2019

 

A cura del Dipartimento Comunicazione Fisac CGIL del Gruppo Unicredit




Quota 100, la NASPI decade?

L’approvazione della misura pone una serie di numerose questioni di coordinamento con gli altri ammortizzatori sociali. Ad esempio, con Quota 100, la Naspi decade?

Una delle tematiche più calde è il destino di quei lavoratori che si trovano in disoccupazione indennizzata, cioè che percepiscono la naspi, la nuova assicurazione sociale per l’impiego, partita con riferimento agli eventi di disoccupazione involontaria intervenuti dal 1° maggio 2015 con il Dlgs 22/2015.

Molti di questi soggetti potrebbero maturare (o aver già maturato) i requisiti pensionistici per la quota 100, cioè i 62 anni e 38 di contributi durante le fruizione della Naspi, prima della sua scadenza. In questo caso il titolare dell’ammortizzatore rischia di vedersi interrotta l’erogazione della prestazione di disoccupazione avendo l’interessato maturato il diritto a pensione. Tra le cause di decadenza dallo strumento il Dlgs 22/2015 prevede, infatti, la maturazione di un diritto a pensione di vecchiaia o anticipato.

Quota 100, Naspi decade?

Prima dell’approvazione del DL 4/2019 la corresponsione della Naspi cessava, quindi, al perfezionamento di 67 anni e 20 anni di contributi oppure al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi di contributi le donne) a prescindere dall’età anagrafica. Con l’approvazione del decreto legge 4/2019, pertanto, anche il raggiungimento dei requisiti di 62 anni e 38 di contributi potrebbe dar luogo a decadenza dall’ammortizzatore sociale.
La cessazione dalla Naspi, come noto, si realizza dal momento in cui si verifica l’evento che la determina, con conseguente obbligo di restituire l’indennità che eventualmente si sia continuato a percepire oltre la data del verificarsi dell’evento interruttivo. Dunque i lavoratori potrebbero essere chiamati a restituire i ratei di naspi percepiti dopo la maturazione del diritto a pensione con la quota 100 ancorché non abbiano fatto domanda di pensionamento. Sul punto l’Inps ed il Ministero del Lavoro dovranno fornire opportuni chiarimenti.

Finestra mobile

A questo punto occorrerà anche chiarire sin da subito che, in realtà, la decadenza della naspi dovrebbe verificarsi non dal momento in cui sono maturati i requisiti anagrafici e contributivi, cioè i 62 anni e 38 di contributi ma a partire dall’apertura della finestra mobile (di regola trimestrale) cioè alla prima decorrenza utile della pensione. Discorso simile vale per i titolari di mobilità in deroga la cui attribuzione è subordinata, generalmente, al mancato perfezionamento del diritto a pensione.

Nulla muta per quanto riguarda il conseguimento dell’assegno ordinario di invalidità: qui il lavoratore continua a mantenere il diritto di scegliere di continuare a percepire la Naspi oppure optare per l’AOI nel caso in cui vengano accertati i relativi requisiti contributivi e sanitari. Anche per le lavoratrici che hanno i requisiti per l’opzione donna non cambia nulla: l’Inps correggendo precedenti istruzioni ha chiarito con Circolare 142/2015 che essendo questo regime facoltativo la decadenza dalla naspi si verifica solo al momento della prima decorrenza utile successiva all’esercizio dell’opzione donna e non retroattivamente, al momento della maturazione dei requisiti per l’opzione.

 

Fonte: www.pensionioggi.it




Perchè il salario minimo orario può essere dannoso

Improvvisamente la politica sembra essersi accorti dei cosidetti “working poors” : persone che pur lavorando guadagnano troppo poco per vivere in modo dignitoso. In Italia sono circa il 12% dei lavoratori.
Se n’è accorto il Movimento 5 Stelle, che in realtà il problema lo ha sempre posto, ma che rischia di affrontarlo con il dilettantismo e l’approssimazione che lo contraddistingue, finendo col fare ulteriori danni.
Se n’è accorto il PD, che pure fra Jobs Act, Decreto Poletti e norme varie a favore della precarizzazione, tanto ha fatto per aumentare il numero dei working poors.
Entrambi i partiti, in modo differente, sembrano aver trovato la formula magica che potrebbe risolvere tutti i problemi: il salario minimo orario.
Ma è davvero questa la soluzione giusta?

In realtà, una forma di salario minimo in Italia esiste già, e trae origine dall’art. 36 della costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Come si fa a quantificare la retribuzione in modo che sia proporzionata alla quantità e qualità del lavoro? La giurisprudenza ha un orientamento preciso: quando il lavoratore si rivolge al Giudice del Lavoro, quasi sempre il magistrato prende come base di riferimento il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore e stabilisce che uno stipendio inferiore a quello previsto nel contratto è illegittimo.
In questo caso l’azienda, oltre a dover risarcire il lavoratore, si troverà anche accusata di evasione contributiva, avendo versato contributi previdenziali calcolati su un importo inferiore al dovuto.

Messa così, la questione sembrerebbe risolvibile con facilità. Tutti i settori sono regolati da Contratti Collettivi, anzi ce ne sono pure troppi (il CNEL ne conta circa 370). Basta applicarli a tutti i lavoratori interessati e il problema è risolto. Giusto?

Purtroppo le cose non sono cosi semplici.

Uno dei problemi irrisolti da oltre 70 anni nella politica italiana è che non è mai stata data attuazione all’ Art. 39 della Costituzione, che disciplina l’attività dei sindacati. Senza entrare troppo in tecnicismi, la norma prevede che i contratti stipulati dai sindacati abbiano validità per tutti i lavoratori del settore (erga omnes), ma questo poteva succedere solo dopo aver emanato delle norme specifiche. Dal 1948 ad oggi questo non è stato fatto.

A causa della mancata emanazione di queste norma, c’è una conseguenza che potrà apparire sorprendente per molti: i contratti collettivi non valgono per tutti i lavoratori, ma solo per gli iscritti alle Organizzazioni Sindacali che li hanno firmati.
Ovviamente questo contrasta con il criterio della parità di trattamento dei lavoratori, quindi le aziende ovviano a questa problema inserendo, nelle lettere di assunzione individuale, il rimando al contratto collettivo di categoria.

Il problema è che anche le aziende sono iscritte ad Organizzazioni Sindacali: sono ad esempio Organizzazioni Sindacali Confindustria o, per restare nel nostro settore, ABI o Federcasse.
Ogni azienda è libera di decidere se essere o meno iscritta ad un’Associazione di Categoria: se non lo fa, o magari decide di uscirne dopo essere stata iscritta, il Contratto Collettivo Nazionale non per lei ha alcun valore.
Potrà eventualmente sottoscrivere, con i Sindacati più rappresentativi in azienda, un suo Contratto Collettivo che sarà l’unico a regolamentare i rapporti di lavoro: è quello che fece la FIAT nel 2011 quando uscì da Confindustria e si fece approvare un suo contratto aziendale, emarginando la FIOM/CGIL che rifiutò di prestarsi all’operazione.

L’attuale quadro normativo si presta ad abusi: un’azienda o un gruppo di aziende possono costituire una loro Organizzazione di Categoria, scriversi un loro Contratto Collettivo e farselo approvare da Sindacati di comodo appositamente costituti. Un comportamento del genere è formalmente legittimo, ma di fatto rappresenta un aggiramento fraudolento delle norme, dando vita al fenomeno dei “contratti pirata“. Nel nostro settore è quello che si è verificato nel comparto dell’appalto assicurativo.

Restando nell’ambito dei comportamenti al limite tra legalità e illegalità , in Italia esistono migliaia di micro imprese, senza rappresentanza sindacale tra i lavoratori, che semplicemente scelgono di non aderire a nessuna Associazione di Categoria, quindi non hanno nessun obbligo di applicare Contratti Collettivi e possono decidere in modo unilaterale quanto pagare i dipendenti.
I lavoratori possono rivolgersi al Giudice del Lavoro per chiedere, in base all’Art. 36 della Costituzione, di adeguare la loro retribuzione al salario minimo previsto dal Contratto Nazionale di settore, avendo la ragionevole certezza di vincere la causa, ma con il timore di dover poi subire future ritorsioni in aziende che, per le loro dimensioni, possono licenziarli con estrema facilità.
Non è un caso se, spesso, queste aziende che pagano stipendi inferiori al dovuto si adeguano invece alla contribuzione previdenziale prevista dai contratti: qualora venissero trascinate in tribunale avrebbero così evitato l’accusa, più grave, di evasione contributiva.

Questo è il quadro attuale: una situazione in cui è possibile – in modo più o meno lecito – per le aziende negare i diritti ai lavoratori: bisogna infatti considerare che un contratto collettivo prevede anche tutele che vanno oltre lo stipendio, e che ovviamente vengono a loro volta perse in caso di disapplicazione del contratto stesso.
Porre rimedio a questa situazione è assolutamente necessario oltre che doveroso, visto che esiste un pezzo importante della nostra Costituzione che da oltre 70 anni aspetta di essere applicato. La domanda da porsi è:
il salario minimo orario è la soluzione giusta?

Così come è stato prospettato sicuramente no. Vediamo perché.

  • Un eventuale salario di base non può essere uguale per tutti
    Se esistono tanti contratti collettivi (magari anche troppi) c’è un motivo ben preciso: ogni settore ha le sue esigenze e le sue peculiarità. Nel decidere quale dev’essere la giusta retribuzione non si può trascurare la differente produttività del lavoro nei vari comparti.
    La contrattazione tra le parti, che conoscono dettagliatamente ogni aspetto delle aziende, potrà portare a risultati a volte imperfetti ma rappresenta il miglior compromesso possibile tra le esigenze del datore di lavoro e del lavoratore.
    Un intervento del legislatore, che fissi un livello minimo reddituale uguale per tutti, comporterebbe l’azzeramento di anni di esperienze e contrattazione, sostituendosi in modo del tutto arbitrario alle parti e fissando importi che non hanno nessun riscontro nelle specifiche aziende.
    Un salario minimo uguale per tutti si rivelerebbe troppo alto in alcune realtà, troppo basso in altre.
  • Il salario di base non può essere troppo basso
    Abbiamo visto come i Contratti Collettivi vincolino solo le aziende iscritte ad Associazioni di Categoria firmatarie degli stessi. Un salario minimo orario inferiore alla maggior parte dei minimi tabellari previsti dai vari Contratti Collettivi metterebbe le aziende nella condizione di avere convenienza ad uscire dalle Associazioni Datoriali, non applicare più i contratti e pagare meno i propri dipendenti.
    L’effetto di una soglia troppo bassa sarebbe devastante: a fronte di un aumento di stipendio per chi oggi prende troppo poco, ci sarebbero milioni di lavoratori che vedrebbero ridursi il loro salario, ma soprattutto diritti e tutele conquistati in decenni di lotte sindacali.
  • Il salario di base non può essere troppo alto
    E’ fin troppo facile promettere un salario minimo orario superiore alla maggior parte dei Contratti Collettivi, come stanno facendo sia i 5 Stelle, sia il PD. Come abbiamo visto, le attività economiche non sono tutte uguali e il valore reale di una singola ora di lavoro può essere molto diverso a seconda delle aziende. Fissare un minimo di legge troppo alto potrebbe spingere molte aziende ad applicare, obtorto collo, i Contratti Collettivi, e questo sarebbe un aspetto positivo.
    Ma costituirebbe anche un forte incentivo verso il lavoro nero, fenomeno che questo governo, come quelli che lo hanno preceduto, non sembra particolarmente determinato a contrastare.
    Ancora una volta il rischio concreto è quello di ridurre i diritti dei lavoratori, in modo particolare di quelli più deboli, impiegati presso micro imprese che maggiormente possono ricattarli.
  • Non basta l’aumento di salario
    Il diritto ad una retribuzione dignitosa è sancito in Costituzione, quindi dev’essere assolutamente reso esigibile. Un Contratto Collettivo prevede però tanti altri diritti: tutela chi si ammala, tutela le mamme, tutela chi ha familiari infermi da accudire.
    Che senso ha dare qualche euro in più ai lavoratori, se poi devono vivere con il terrore di non potersi ammalare per non perdere il posto di lavoro?

Evidentemente la proposta del salario minimo di legge, sicuramente utile per prendere voti, non rappresenta invece la situazione di un problema che, ricordiamolo, nasce dall’inerzia della politica che da 71 anni non è riuscita a dare attuazione a quanto previsto dalla Costituzione in materia di rappresentanza sindacale.
Questo chi ci governa lo sa (o almeno dovrebbe saperlo) ma non lo dice mai.

Se si vuole procedere con il salario minimo orario, bisogna farlo come proposto dalla CGIL: facendo coincidere il salario minimo di ogni categoria con i minimi previsti dal Contratti Collettivi di settore.
Sarebbe un primo passo verso quello che dev’essere l’obiettivo da raggiungere, ossia l’estensione a tutti i lavoratori delle tutele previste dalla contrattazione collettiva.

Un dovere al quale da troppo tempo la politica si sottrae.

 

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Assenze per malattia: istruzioni per l’uso

Cosa devo fare se mi ammalo?

Devo darne tempestivamente comunicazione al datore di lavoro, di norma entro l’orario di inizio della giornata lavorativa. Preferibilmente con comunicazione scritta ( ad es. mail, sms). Comunicherò inoltre il numero di protocollo del certificato medico digitale, trasmesso dal medico curante all’Inps e da quest’ultimo messo a disposizione dell’azienda.
Se mi trovo presso un domicilio diverso da quello conosciuto dal datore di lavoro lo devo comunicare.
Per il CCNL ANIA il certificato va prodotto per malattie che si protraggano oltre il secondo giorno, per il CCNL ABI valgono le prassi aziendali.

Quali altri obblighi ho?

Ho l’obbligo di essere reperibile, per l’eventuale visita fiscale, presso il mio domicilio o presso quello che ho eventualmente comunicato; per i nostri settori
le fasce orarie vanno dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.

Quindi dopo la visita fiscale posso uscire?

No, perché è possibile ricevere anche due visite fiscali nello stesso giorno; quindi il fatto che sia passato il medico dell’Inps non giustifica un’uscita di casa prima della fine della reperibilità.

Ma anche il sabato e la domenica o nei giorni festivi devo
rispettare la reperibilità?

Certamente, perché è possibile ricevere la visita fiscale anche nei giorni festivi o il sabato.

Che succede se non vengo trovato in casa alla visita fiscale?

Che il datore di lavoro mi può chiedere di giustificare i motivi della mia assenza con una specifica contestazione disciplinare.

Posso giustificarmi adducendo una motivazione qualsiasi?

No, per giustificare la mia assenza devo indicare motivi di urgenza e improcrastinabilità: ad esempio dire di essersi recati in farmacia, dal proprio medico curante per una visita ordinaria, che il citofono non funzionava o la
mancanza della targhetta del nome e cognome, non costituiscono, di solito, motivazioni adeguate.

Ma fuori delle fasce di reperibilità posso fare quello che
voglio?

Si e No; posso uscire di casa quando la reperibilità è terminata, ma a patto di non svolgere attività che possano pregiudicare la mia guarigione.
Come detto prima, durante la malattia non posso uscire fuori dagli orari di reperibilità. Successivamente sono relativamente libero di fare quel che voglio, a condizione però che questo non rallenti la guarigione. Ad esempio, se sono in malattia per una bronchite non posso andare a fare il bagno al mare in pieno inverno o partecipare a un torneo di calcetto. Se ho un problema di ernia del disco non posso sollevare pesi in giardino.

Ma il datore di lavoro mi può fare controllare anche al di fuori
delle fasce di reperibilità?

Si, purché si mantenga nell’ambito di controlli volti ad accertare miei comportamenti non corretti sempre inerenti all’attività lavorativa (cd. controlli difensivi), anche mediante l’utilizzo di un investigatore.
Potrebbe pure utilizzare elementi dei quali è venuto accidentalmente a conoscenza, ad esempio, filmati o foto che io ho postato sui social network.

E se mi ammalo durante le ferie?

Lo comunico al datore di lavoro, con le stesse modalità che abbiamo detto sopra, e gli comunico dove mi trovo per consentire l’eventuale visita fiscale. La comunicazione di malattia interrompe le ferie.

 

Maurizio Mancuso – Consulta Giuridica Fisac/Cgil

 

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Non solo quota 100: le pensioni spiegate in parole semplici

Dopo mesi d’attesa vede la luce la riforma pensionistica, che rende attuativa quota 100, nell’ambito della manovra 2019.
Si tratta, è bene precisare fin da subito, di una finestra per il momento “sperimentale” e della durata di soli tre anni: non si esclude dunque l’ipotesi di una quasi certa “manovra bis”.
Requisiti e vincoli sono contenuti nel decreto attuativo approvato dal Consiglio dei ministri insieme al reddito di cittadinanza: la misura, per cui sono stati investiti 22 miliardi di euro, riguarda il periodo di tre anni, dal 2019 al 2021 e una platea stimata in un 1 milione di lavoratori.
La base è la così detta “Quota 100”, che si può centrare solo con la combinazione 62 anni + 38 di contributi, anche cumulando gratuitamente gesrioni separate ma sempre in ambito Inps.

Il secondo addendo (quello contributivo ) non è modificabile, per cui si potrà accedere all’anticipo salendo a quota 101 (63 anni + 38 di contributi), 102, 103 e 104.
Arrivati a questo punto, scattano i normali requisiti per la pensione di vecchiaia della riforma Fornero: 67 anni di età (con almeno 20 di contributi). Tale requisito, resta agganciato alla “speranza di vita” ed è dunque destinato a salire nei prossimi anni.

L’altra via normale d’accesso al pensionamento è l’anticipata, che prevede i requisiti di 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne), bloccati invece fino al 2026 senza applicazione degli adeguamenti in base alla “speranza di vita”. L’incasso dell’assegno pensionistico arriva tre mesi dopo la maturazione dei requisiti che, come detto, fino al 2026 non saranno dunque adeguati alla speranza di vita.

Ai lavoratori precoci non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita e potranno quindi andare in pensione con 41 anni di contributi

Ecco le novità sostanziali che riguardano le uscite pensionistiche:

 

AL VIA DAL PRIMO APRILE 2019

Per accedere al pensionamento anticipato con decorrenza del trattamento pensionistico al primo aprile 2019 si parte dai lavoratori privati che hanno maturato i requisiti nel periodo dal 1° gennaio 2019 alla data di entrata in vigore del Decreto-legge. Per i lavoratori che maturano i requisiti pensionistici dopo tale periodo il trattamento pensionistico decorre dopo tre mesi.
Maturati i requisiti, i lavoratori e le lavoratrici riceveranno quindi l’assegno pensionistico dopo tre mesi.

 

APE SOCIALE

Resta anche per il 2019 l’Ape Social; l’accesso all’indennità sostitutiva della pensione viene prorogata dal 1° gennaio al 31 dicembre 2019 e durerà fino al conseguimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia.
Per usufruirne occorrerà avere almeno 63 anni di età e 30 o 36 anni, a seconda dei casi, con bonus di un anno per figlio (max 2) per le lavoratrici.

 

RISCATTO LAUREA

La cosiddetta “pace contributiva”, il condono previdenziale per chi ha versamenti solamente dal 1996 in avanti, prevede la possibilità di riscattare, su richiesta, periodi di buco contributivo non obbligatori per massimo 5 anni.
Anche in questo caso vale un triennio (dal 2019 al 2021):
Si potranno riscattare periodi di mancati versamenti fino a un massimo di cinque anni, portando in detrazione la metà delle spese.
Fino a 45 anni si potranno riscattare anche i periodi di studio per la laurea.
La detrazione spettante anche qui sarà detraibile in cinque quote annuali con una possibilità di rateizzazione fino a 60 mesi.

Si apre anche alle aziende che potranno aderire all’iniziativa, spesando i contributi dei dipendenti e deducendoli.

 

DIVIETO DI CUMULO

La pensione “Quota 100” non è cumulabile con redditi da lavoro dipendente o autonomo ma solo con redditi da lavoro occasionale (5mila euro lordi max).

 

RICAMBIO GENERAZIONALE

A questo quadro si deve aggiungere una ulteriore ipotesi, che permette appunto di anticipare l’uscita a 59 anni di età e 35 di anzianità contributiva. Per farlo, dovranno essere attivati i fondi bilaterali di solidarietà delle aziende e si dovrà sottoscrivere un nuovo accordo sindacale a livello aziendale. Da una parte, infatti, il testo prevede che gli attuali lavoratori in prepensionamento o “accompagnati” alla pensione non possano fruire delle regole di “Quota 100”. Dall’altra, però, si prevede che i fondi possono riconoscere al lavoratore l’assegno straordinario e la contribuzione relativa, a condizione che il lavoratore maturi i requisiti per l’accesso a “Quota 100” nei tre anni successivi. In pratica, le aziende potranno finanziare l’uscita dei 59enni con 35 anni di contributi (che nel giro di tre anni ed al massimo entro il 31.12.2021 dovessero maturare i requisiti previsti per “Quota 100”), con i fondi bilaterali. Questi soldi sono deducibili per le aziende, che però devono garantire il mantenimento dei livelli occupazionali tra entrate e uscite.

 

OPZIONE DONNA

Conferma anche per l’Opzione donna, che prevede per le donne almeno 58enni (almeno 59enni, se autonome) e con almeno 35 anni di contributi di anticipare l’uscita: il prezzo da pagare è un ricalcolo contributivo dell’assegno e attendere una finestra di almeno 12 mesi tra la maturazione del diritto e l’accredito della pensione.

 

LAVORATORI BENEFICIARI DI PRESTAZIONI (ASSEGNI STRAORDINARI) EROGATE DAI FONDI DI SOLIDARIETA’

Sulla base di una prima analisi delle indicazioni contenute nella Circolare n.10 del 29.01.2019 emanata dalla Direzione Centrale Pensioni dell’INPS, si desumer quanto segue.
Le previsioni relative a “Quota 100” (art.14 commi 1 e 2 del citato Decreto-legge) non si applicano alle prestazioni erogate (Assegni Straordinari) dai Fondi di Solidarietà.

Gli Assegni Straordinari aventi decorrenza entro il 1° gennaio 2019 continueranno a essere erogati fino alla scadenza prevista in base alle norme tempo per tempo vigenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro (ferma restando la facoltà per il titolare di presentare domanda di pensione anticipata secondo i requisiti contributivi previsti dall’ art.15 del D.L. in argomento, di seguito illustrati)

Gli Assegni Straordinari aventi decorrenza successiva al 1° gennaio 2019 saranno certificati ed erogati – nel caso di Assegno finalizzato al raggiungimento della pensione  anticipata – fino al raggiungimento del trattamento pensionistico individuato secondo i requisiti previsti dall’art.15 del Decreto-legge. Questi Assegni Straordinari saranno quindi:

  • erogati al Lavoratore fino alla decorrenza del trattamento pensionistico che interviene tre mesi dopo la maturazione del diritto alla prestazione pensionistica.
  • la contribuzione correlata sarà invece versata solo fino alla maturazione del diritto alla prestazione pensionistica, che corrisponde a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne (come si può notare è stato quindi sospeso – fino al 2026 – per quanto riguarda la pensione anticipata, l’adeguamento del requisito/diritto pensionistico in base alla “speranza di vita” ed è stata introdotta una “finestra” di tre mesi)

Per quanto riguarda gli Assegni Straordinari finalizzati al raggiungimento della pensione di vecchiaia – non prevedendo il Decreto-legge, per la pensione di vecchiaia, alcuna variazione circa gli attuali criteri che prevedono l’applicazione degli adeguamenti alla “speranza di vita” – continueranno a essere erogati fino alla scadenza prevista in base alle norme tempo per tempo vigenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

 

La Segreteria FISAC/CGIL del Gruppo Unicredit

Milano, 04.02.2019

 

Fonte: Fisac Unicredit




Detrazioni fiscali 2018: le novità

Con una nota pubblicata sul proprio sito internet, l’Agenzia delle Entrate rende noto che sono state approvate e pubblicate le bozze del modello 730/2019 per la dichiarazione dei redditi del 2018. Vediamo quali sono le novità in tema di detrazioni e deduzioni.

In analogia a quanto già previsto in materia di detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici, occorre trasmettere per via telematica all’ENEA le informazioni sugli interventi terminati nel 2018, che accedono alle detrazioni fiscali del 50% per le ristrutturazioni edilizie che comportano risparmio energetico e/o utilizzo delle fonti rinnovabili.
L’invio della documentazione all’ENEA va effettuato attraverso il sito: http://ristrutturazioni2018.enea.it.

L’invio deve avvenire entro il termine di 90 giorni a partire dalla data di ultimazione dei lavori o del collaudo.
Soltanto per gli interventi la cui data di fine lavori (collaudo) è compresa tra il 01/01/2018 e il 21/11/2018, il termine dei 90 giorni decorre dal 21/11/2018. Per fine lavori o collaudo fino al 31/12/2017 l’invio della documentazione ad ENEA NON è necessario.
A differenza di quanto già in atto per alcune casistiche, con la medesima norma vengono fatti rientrare nel beneficio anche gli impianti di climatizzazione, gli infissi, le caldaie e gli eventuali elettrodomestici di classe A/A+ collegati all’acquisto di mobili a seguito di ristrutturazione.

 

ULTERIORI NOVITA’ SULLE DETRAZIONI E DEDUZIONI

Nel nuovo modello 730/2019 è ora possibile detrarre anche:

  • il 19% delle spese sostenute per l’acquisto di strumenti compensativi e di sussidi tecnici e informatici necessari all’apprendimento, nonché per l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento delle lingue straniere, per chi soffre di disturbi dell’apprendimento. Le spese che si possono detrarre sono quelle sostenute in favore dei minori o di maggiorenni con diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado. Per detrarre le spese sostenute per gli studenti con disturbi dell’apprendimento, è necessario un certificato medico che attesti il collegamento funzionale tra i sussidi e gli strumenti acquistati, il tipo di
    disturbo dell’apprendimento diagnosticato e il documento di spesa che attesti l’esborso sostenuto;
  • Le spese sostenute per la sistemazione di aree verdi private (bonus verde). Si tratta di una detrazione IRPEF legata alla casa, ma a essere agevolato questa volta è il verde. L’agevolazione riguarda, infatti, le spese sostenute per i giardini, per le recinzioni, per gli impianti di irrigazione, i pozzi, le terrazze, e le pertinenze varie. Si tratta di una detrazione IRPEF del 36% sulle spese sostenute da ripartire in 10 quote annuali di pari importo. L’agevolazione fiscale, concessa fino a un limite massimo di spesa di 5.000 euro per ogni unità immobiliare, consente una detrazione che può arrivare fino a un massimo di 1.800 euro in 10 anni;
  • Anche gli abbonamenti per i mezzi pubblici come treni e bus trovano posto nel modello 730/2019 con una detrazione fiscale IRPEF del 19%. La detrazione fiscale spetta per le spese sostenute sia per i familiari fiscalmente a carico sia per il contribuente stesso per un importo complessivo non superiore a 250 euro;
  • È prevista inoltre una detrazione fiscale per i premi di assicurazione che hanno a oggetto il rischio di eventi calamitosi per le unità immobiliari a uso abitativo. I premi relativi alle assicurazioni aventi a oggetto il rischio di eventi calamitosi devono essere stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2018 e la detrazione fiscale prevista ammonta al 19%.

È necessario quindi fare attenzione alla documentazione da presentare in fase di elaborazione del 730/2019 per poter usufruire delle detrazioni sopra richiamate.

5 febbraio 2019

 

Dipartimento Comunicazione FISAC CGIL di Unicredit




Riscatto laurea: la pensione si avvicina ma l’assegno non cresce

Il primo requisito è evidente: non aver compiuto i 45 anni di età. Riscattare gli anni di studio universitari pagando un forfait annuo di poco più di 5mila euro sarà consentito (ammettendone la domanda) fino al compimento del quarantacinquesimo anno di età.

La misura è prevista all’interno del capitolo sulla “pace contributiva” del decretone pensioni-reddito di cittadinanza, che dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale la settimana prossima.

A differenza della “pace contributiva”, la nuova agevolazione sui riscatti della laurea è “stabile” e prevede un costo contenuto. Si tratta di una opzione che non stravolge le forme di riscatto tradizionali – che restano in vita – ma piuttosto aggiunge una possibilità in più, come quella già accessibile a prezzo ridotto a condizione però di non aver mai lavorato prima (per i cosiddetti inoccupati).

 

Riscatto agevolato: l’assegno non cresce

Per chi sta valutando l’ipotesi di chiedere il riscatto agevolato degli anni all’università bisogna però fare attenzione a una condizione: il nuovo riscatto della laurea è valido solo per arrivare prima al traguardo della pensione ma non incide minimamente sulla misura dell’assegno. In altre parole, si recuperano anni per avvicinarsi alla pensione, ma i contributi versati per questi anni non consentono di aumentare l’importo della stessa.

Il primo requisito, come detto, per accedere alla nuova possibilità di riscattare la laurea è quello anagrafico: avere meno di 45 anni di età. Ciò taglia fuori chi aspira a quota 100, perché dovrà aver compiuto, entro il 31 dicembre 2018, 62 anni (e nel 2021 ci sarà un adeguamento alla speranza di vita di circa 3 mesi aggiuntivi).

Il secondo requisito è che il riscatto agevolato è possibile solo per i periodi da valutare con il sistema di calcolo pensionistico contributivo.

Gli eventi riscattabili (laurea e dottorato di ricerca privo di contribuzione) dovranno quindi collocarsi in periodi che per l’assicurato siano di competenza del metodo contributivo.

Chi dunque abbia meno di 45 anni, ma intenda riscattare un periodo anteriore al 1996 che sia di competenza del metodo di calcolo retributivo, non potrà chiedere il riscatto agevolato.

Facciamo due esempi. Per un lavoratore che ha meno di 45 anni e ha studiato all’università cominciando nel 1994 per 4 anni il riscatto potrà essere richiesto in forma agevolata solo per i periodi a partire dal 1° gennaio 1996:  dunque in totale 2 anni e 10 mesi (fine anno accademico a ottobre 1998).
Un lavoratore che studiava negli stessi anni del precedente, ma abbinava agli studi lavoretti stagionali nei mesi di luglio e agosto di ogni estate potrà riscattare solo 2 anni e 4 mesi visto che perde due mesi di riscattabilità nel 1996, 1997 e 1998 e troverà comunque applicazione la regola generale secondo cui non si può riscattare un periodo già coperto da contributi obbligatori.

 

Come si calcola il riscatto

Va sottolineato che nel calcolo del riscatto si parte dal novembre del primo anno di immatricolazione e si va avanti solo del numero di anni della durata legale del corso anche se per arrivare alla laurea vengono impiegati più anni.

Il costo del riscatto agevolato è calcolato con le modalità oggi previste per quello laurea per gli inoccupati: moltiplicando l’aliquota Ivs vigente (33%) per il reddito minimo soggetto a imposizione della Gestione Inps di artigiani e commercianti, pari a 15.710 euro nel 2018, per una spesa di € 5.185 circa per ogni anno riscattato. Un metodo meno costoso di quello tradizionale per i periodi contributivi, che prende invece come riferimento non una base forfettaria ma l’ultima retribuzione imponibile del lavoratore prima della richiesta per applicare la percentuale del 33 per cento.

 

Anche in questo caso facciamo due esempi.

Un lavoratore in regime contributivo, che guadagna circa 40.000 euro lordi con il metodo ordinario pagherebbe poco più di 13mila euro l’anno. Con quelle previste dal decreto pagherà poco più di 5mila euro l’anno.Un lavoratore con 43 anni di età nel 2019 e con uno stipendio di 28mila euro lordi , con cinque anni di studio in ingegneria non riscattati, con le regole ordinarie pagherebbe 46.200 euro complessivi, con il riscatto agevolato spenderebbe 26.200 euro, con un risparmio di circa il 44%.

 

Riscatto della laurea: come fare le simulazioni

Chi è interessato a valutare l’opzione del riscatto può collegarsi al sito dell’Inps, dove con le proprie credenziali, si può accedere a una sezione dedicata al riscatto della laurea e calcolare quanto costerebbe l’operazione con le regole vigenti finora. Il costo dipende da due fattori: il reddito e l’età anagrafica. Il riscatto risulta più conveniente appena terminati gli studi, versando un importo fisso se non si hanno ancora contributi da lavoro. La domanda di riscatto va presentata online, attraverso il sito Inps, utilizzando il proprio Pin personale.

 

Fonte: www.ilsole24ore.it

 




Quota 100: approvato il decreto, ecco cosa cambia

Le novità annunciate nel corso della conferenza stampa di Palazzo Chigi. Confermata quota 100 da aprile. Opzione donna estesa anche alle nate nel 1960

Il Governo ha dato oggi il definitivo via libera al decreto legge sulla quota 100 e sul reddito di cittadinanza.  Le misure annunciate nei giorni scorsi su PensioniOggi sono tutte più o meno confermate anche se la versione definitiva contiene alcuni correttivi rispetto alle bozze circolate nelle scorse settimane.Confermata la quota 100  con 62 anni e 38 anni di contributi (per tutti i lavoratori assicurati presso l’Inps, pubblici, dipendenti ed autonomi) per il triennio 2019-2021 (senza penalità sulla misura della pensione o tetti particolari alla contribuzione figurativa); lo stop retroattivo e definitivo agli adeguamenti alla speranza di vita delle pensioni anticipate (con 42 anni e 10 mesi di contributi, 41 anni e 10 mesi le donne; 41 anni i precoci); la proroga di un anno dell’ape sociale (le platee dei beneficiari restano quelle note sino al 31 dicembre 2018); la proroga dell’opzione donna alle lavoratrici con 58 anni di età (59 anni le autonome) a condizione di aver maturato 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018. Vediamo nel dettaglio i principali punti annunciati dal Governo in attesa della definitiva stesura e pubblicazione del decreto legge.

Quota 100

C’è la quota 100 con 62 anni e 38 di contributi. Ai fini della quota 100, o meglio al perfezionamento dei 38 anni di contributi, si potrà cumulare la contribuzione mista nelle sole gestioni previdenziali pubbliche (resterà esclusa, invece, il cumulo della contribuzione nelle casse previdenziali private). Il requisito anagrafico di 62 anni rimane, inoltre, adeguabile alla speranza di vita istat dal 2021. Tornano poi le finestre mobili per l’accesso alla quota 100: tre mesi dalla maturazione dei requisiti, con la prima uscita il 1° aprile 2019 per chi ha maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2018.

Per i dipendenti pubblici la prima uscita sarà il 1° agosto 2019 (se i requisiti della quota sono maturati entro l’entrata in vigore del DL) e la finestra sarà di sei mesi se i requisiti sono maturati successivamente tale data.  Il dipendente pubblico dovrà formulare domanda di collocamento a riposo all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi. Per il comparto scuola e Afam l’uscita per chi matura i requisiti della quota 100 entro il 31 dicembre 2019 sarà il 1° settembre 2019. In tal caso vengono riaperti i termini per produrre la domanda di collocamento al riposo: l’istanza di cessazione dal servizio dovrà avvenire entro il 28 febbraio 2019. Oculatamente poi il decreto solleva dalla risoluzione obbligatoria del rapporto di lavoro le amministrazioni pubbliche nei confronti dei dipendenti che abbiano maturato i requisiti per la quota 100. La quota 100 non sarà, comunque, disponibile per quei soggetti che già si trovano in un programma di esodo volontario (es. isopensione o con l’assegno straordinario di solidarietà erogato dai fondi settoriali).

Pensione anticipata

Dal 1° gennaio 2019 si potrà continuare ad andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne; 41 anni di contribuzione per i lavoratori precoci). Gli adeguamenti alla speranza di vita vengono fermati in via definitiva, anche dopo il 2020. Tornano però anche qui le finestre di tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Nello specifico per i soggetti che maturano i requisiti tra il 1° gennaio 2019 e la data di entrata in vigore del Decreto Legge, la prima decorrenza utile sarà il 1° aprile 2019. Per chi matura i requisiti dopo l’entrata in vigore del decreto legge la decorrenza della pensione avverrà decorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti. La  finestra trimestrale vale, in questo caso, anche per i dipendenti pubblici e per i lavoratori precoci.

Opzione donna

Si prevede la proroga dell’opzione donna alle lavoratrici che hanno raggiunto 58 anni (59 anni le autonome) unitamente a 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018. Rispetto alla prima bozza vengono, quindi, incluse anche le nate nel 1960. Resta la finestra mobile di 12/18 mesi.

Fondi di solidarietà

I fondi di solidarietà potranno erogare l’assegno straordinario di solidarietà anche ai fini del raggiungimento dei requisiti pensionistici per la quota 100 nei successivi tre anni (quindi a partire dall’età di 59 anni con 35 anni di contributi). L’opzione però potrà essere attivata solo nel caso in cui le imprese stipulino accordi per l’assunzione di giovani lavoratori, in un’ottica di ricambio generazionale. I fondi di solidarietà, inoltre, potranno farsi carico del versamento degli oneri per il riscatto o la ricongiunzione dei periodi assicurativi in favore dei lavoratori che godranno dell’assegno straordinario di solidarietà. La facoltà potrà essere esercitata a prescindere dal fatto che l’operazione si renda necessaria per maturare i requisiti per l’accesso all’assegno straordinario di solidarietà.

Riscatti agevolati

Nel decreto c’è anche lapace contributivaper il triennio 2019-2021, una disposizione che consente ai soli lavoratori nel sistema contributivo puro (cioè i giovani privi di anzianità assicurativa al 31.12.1995) di riscattare i buchi contributivi tra un periodo lavorativo e l’altro entro un massimo di cinque anni. Il testo definitivo contiene anche una novità: I giovani che hanno meno di 45 anni e hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 potranno riscattare gli anni di laurea con uno sconto del 50% in forma di detrazione dalle imposte.

Le altre misure

Il provvedimento contiene anche una disposizione sul massimale contributivo per il pubblico impiego, un correttivo sulla prescrizione dei contributi per i dipendenti pubblici e il pagamento immediato almeno di una parte del TFS/TFR (sino a 30mila euro) per i dipendenti pubblici.

Fonte: www.pensionioggi.it

 

Per maggior chiarezza pubblichiamo un riepilogo preparato dall’ Inca di Cremona