ABI: i finanziamenti del Decreto Liquidità non possono estinguere prestiti preesistenti.

ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA – COMUNICATO STAMPA DEL 24/4/2020

L’ABI ha inviato un’ulteriore circolare alle banche sui finanziamenti fino a 25.000 euro garantiti al 100 percento (decreto legge n.23 del’8 aprile 2020), autorizzato dalla Commissione europea il 14 aprile e le cui domande sono presentate dal 17 aprile.

L’ABI indica che il finanziamento fino a 25.000 euro prevede espressamente che l’inizio del rimborso non avvenga prima di 24 mesi dall’erogazione e che non può essere utilizzato per compensare alcun prestito preesistente, anche nella forma dello scoperto di conto corrente: la compensazione determinerebbe un avvio del rimborso prima dei 24 mesi, facendo decadere la garanzia.

Tale divieto di compensazione si applica anche per chi utilizza la sospensione prevista dall’art. 56 del decreto legge n.18 del 17 marzo 2020: anche in questo caso, è vietato l’utilizzo del nuovo finanziamento per ridurre un’esposizione preesistente sul conto corrente perché determinerebbe un avvio del rimborso prima del termine dei 24 mesi.

 

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In Abruzzo le mafie pronte per il dopo epidemia

La criminalità organizzata è già pronta a infiltrare le imprese abruzzesi per approfittare della pioggia di miliardi destinata dal Governo a risollevare l’economia italiana paralizzata dal lockdown. Dai 400 miliardi di euro di garanzie alle imprese, disponibili da due giorni, ai 50 miliardi annunciati ieri nel decreto aprile di prossima approvazione, passando per i 25 miliardi già messi a disposizione di aziende e famiglie nel decreto “Cura Italia” di marzo.
Una “potenza di fuoco”, come l’ha definita il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ingolosisce le mafie le quali anche in Abruzzo, mantenendo il proverbiale basso profilo assunto da anni, puntano sull’economia legale per riciclare il denaro sporco e ampliare il loro controllo sul territorio.

I colletti bianchi (avvocati, commercialisti, consulenti) aderenti alle organizzazioni mafiose – spiega Francesco Buzzetti, sociologo, criminologo ed esperto di criminalità economica – stanno già alacremente lavorando per organizzare questa entrata in grande stile nelle aziende, anche di piccole dimensioni, sopperendo alla contingente carenza di liquidità (che molto spesso serve al piccolo imprenditore, non avendo saputo o potuto programmare il futuro, per le esigenze familiari quotidiane) con le tonnellate di contante a loro disposizione, per poi cementarsi a queste realtà imprenditoriali e poterle utilizzare per attività di riciclaggio a vari livelli. Parliamo di cambi assegni rivenienti da usura, denaro contante proveniente da attività illecite, luoghi di ritrovo illecito e traffici di varia natura”.

Tutto questo in un contesto territoriale già di per sé permeabile dalla criminalità organizzata, essendo l’Abruzzo al centro della rotta Adriatica. C’è poi la piaga dell’usura che, in base alla classifica nazionale stilata nel 2019 da Il Sole 24 Ore, ha visto l’Aquila e Teramo calasificarsi rispettivamente al terzo e quarto posto, Chieti al nono e Pescara al quindicesimo.
Per non parlare del gioco d’azzardo che, secondo i dati provvisori del 2019 dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, vede Teramo (con 2.054 euro) al secondo posto nazionale per raccolta pro-capite.

Un altro punto debole è l’ “Emporio d’Abruzzo” nell’area metropolitana Chieti-Pescara, caratterizzato dalla presenza di sei centri commerciali racchiusi in 20 Km (tra le concentrazioni più alte d’Italia per numero di abitanti e Pil regionale), a rischio riciclaggioE infine c’è il business, in espansione, delle energie alternative.

Sarà pertanto necessario – ammonisce Buzzetti – che il legislatore imponga al sistema economico-finanziario, ma anche alle stesse Pubbliche Amministrazioni, robusti e/o rafforzati presìdi di controllo ai vari livelli della filiera. Dalla compliance (il rispetto delle norme specifiche), all’antiriciclaggio, all’audit interno per poter assicurare alla società, già disorientata da false culture esasperatamente liberiste, una qualità del prodotto finito il più possibile non inquinato dalla criminalità”.

 

Articolo di Davide De Amicis sul Messaggero del 23/4/2020

 

 

 

 

 




Perché dobbiamo continuare a festeggiare il 25 aprile?

Anche quest’anno, com’è ormai tradizione, la ricorrenza del 25 aprile porta con sé il suo carico di polemiche: è una festa divisiva, è superata, è il ricordo di qualcosa – il fascismo – che non esiste più.

Questo è un fatto curioso. In nessun altro Paese del mondo ci si sognerebbe di discutere la festa nazionale: noi invece abbiamo imparato a considerare normale, nel corso degli anni, vedere personaggi politici che occupano ruoli istituzionali anche importanti ma che non essendo “esattamente antifascisti” hanno preferito trovarsi altri impegni per sottrarsi alle celebrazioni.

Questo non potrebbero farlo se non ci fosse stato il 25 aprile: la loro libertà di criticare questa ricorrenza è nata proprio grazie al 25 aprile.

Proviamo a riflettere sul vero significato di questa data.

Nessuno di noi esiterebbe nel condannare Hitler, il Nazismo, l’orrore dei campi di sterminio, i folli progetti di conquista dell’Europa. Ma ce lo ricordiamo che siamo entrati in guerra come alleati di Hitler?
Che il regime fascista è stato complice di questo orrore? E questo è già un valido motivo per non dimenticare: oggi i nostri sovranisti accusano il Governo di essere succube della Germania, rimpiangendo quello che per loro era un periodo di grande prestigio. Ma la realtà è un’altra: il fascismo, quello sì che è stato un periodo di totale sottomissione alla Germania. Sottomessi al punto da accettare i lager, le leggi razziali, una guerra folle, gli ordini impartiti dal regime più spietato della storia.

Il 25 aprile 1945 è il momento in cui davvero l’orgoglio di un popolo riesce ad affermarsi, in cui l’Italia recupera la sua dignità. E arriva a conclusione di un periodo terribile, di quella che prima ancora che una guerra contro l’invasore straniero è stata una guerra fratricida.

La mia è una generazione che ha avuto la possibilità di sentir parlare del fascismo e della guerra da testimoni diretti: genitori e nonni ci hanno raccontato le loro esperienze, permettendoci di vedere attraverso i loro occhi e capire quanto sia stata difficile e dura la lotta che ci ha portato a liberarci dal nazifascismo. Per i ragazzi di oggi questa possibilità sta venendo meno, e presto non ci sarà più del tutto.

A loro abbiamo il dovere di ricordare, di insegnare. Di farli riflettere su quello che hanno vissuto ragazzi come loro, che nel giro di poco tempo sono passati dai banchi di scuola a dover imbracciare le armi e combattere, magari proprio contro quello che era stato il loro compagno di banco. Di raccontargli il coraggio con cui ragazzi come loro hanno lottato, sognando una libertà che in tanti non hanno mai potuto conoscere, perché sono morti prima di conquistarla.

Si dice che il fascismo sia un ricordo del passato, qualcosa che non può tornare; eppure basta guardarsi intorno per capire che non è così. Basta sentire i proclami infarciti di odio, di egoismo, di nazionalismo, di presunta supremazia di una cultura sulle altre per capire che tutto questo non è mai finito. Basta guardare cos’è successo in Ungheria per capire che ancora oggi, nel 2020, può nascere una dittatura in Europa. Per capire come la dittatura nasca sempre fingendo di ammantarsi di ideali, illudendo la popolazione di inseguire il bene comune.

Tutto questo va spiegato soprattutto alle giovani generazioni. Per questo il ricordo di ciò che è stato è indispensabile. E’ indispensabile celebrare il 25 aprile, più che mai in un paese nel quale – ancora oggi – esistono politci che chiedono pieni poteri.

Luca Copersini
Segretario Provinciale Fisac/Cgil L’Aquila

 




Perché l’Italia non si finanzia da sola invece di chiedere soldi all’Europa?

La proposta di Salvini di finanziare la risposta all’emergenza con bond riservati agli italiani è sbagliata e controproducente, figlia della propaganda più spregiudicata e della pericolosa incompetenza dei suoi consiglieri economici.
Non si sa da dove cominciare.

Emettere titoli del debito pubblico riservati ai risparmiatori italiani significa finanziarsi attraverso il mercato come sempre, ma esclusivamente quello locale.

All’emissione dei titoli corrisponde la promessa di restituire i soldi prestati con gli interessi. Tali interessi costituiscono il “rendimento” del titolo. Il rendimento è un premio per il rischio. Investimenti più sicuri hanno un basso premio per il rischio. Investimenti più rischiosi garantiscono un rendimento più alto. Per questo quando un gestore di fondi vi propone investimenti ad alto rendimento dovreste chiedervi: sono sicuri?

Se il prestatore (cioè i risparmiatori italiani, nella proposta di Salvini) teme che lo Stato non sarà in grado di restituirgli i soldi, per convincerlo sarà necessario offrire dei rendimenti più alti.
Se lo Stato è già pesantemente indebitato, in parte per aver gestito male le proprie finanze pubbliche in passato (per una breve storia del nostro debito pubblico si veda questo thread), la paura che non sia in grado di ripagare il debito aumenta, e i risparmiatori chiederanno rendimenti più alti.
Se uno Stato già pesantemente indebitato come il nostro chiede ingenti prestiti nel corso della peggiore crisi dal dopoguerra, il timore che non sia in grado di restituire i soldi è ancora più alto. Quindi i rendimenti aumentano ulteriormente.

I cittadini italiani sono disposti a correre questo rischio? Se hanno soldi da investire, non preferiscono rivolgersi a titoli più sicuri ancorché con rendimenti meno elevati?

Qui Salvini, e i sedicenti “economisti” che lo consigliano, puntano su due fattori:

  1. L’illusione di ricchezza che soffrirebbero gli elettori trovandosi in tasca titoli con un rendimento elevato, senza accorgersi che il tasso di interesse è alto proprio per convincerli a comprare carta straccia.
  2. La possibilità di costringere gli italiani a comprare quei titoli, convertendo forzosamente parte dei loro risparmi in debito pubblico.

L’oro alla patria insomma, il prestito forzoso di memoria fascista, un’idea tante volte accennata da Salvini e dai suoi “economisti”, come ho spiegato a suo tempo qui.

In parole povere, avremmo un’esplosione non solo del debito pubblico (che è comunque destinato ad aumentare, beninteso), ma anche dei tassi di interesse; la spesa per interessi aumenterebbe ulteriormente limitando la nostra capacità di finanziare le misure anticrisi, i nostri titoli diventerebbero sempre meno appetibili dal punto di vista di tutti i risparmiatori (non solo quelli italiani), perderemmo rapidamente l’accesso ai mercati internazionali, e gli italiani si troverebbero il portafoglio gonfio di carta straccia.

Un’illusione di autarchia che pagheremmo a caro prezzo.

Ora, tale prestito forzoso sarebbe migliore del finanziamento sui mercati internazionali con la “garanzia” della Bce o del ricorso al MES senza condizionalità, come proposto da altre parti politiche, non solo italiane?

No.

Sarebbe un disastro del tutto inutile, che ha l’unica funzione di consentire a Salvini qualche sparata televisiva per distogliere l’attenzione da un altro disastro: quello causato in Lombardia dagli amministratori della Lega.

Disegnare un meccanismo europeo di sostegno alla spesa in deficit contro il #Covid19 che sia equo ed efficiente è tutt’altro che facile, ma è l’unica strada che possiamo permetterci di seguire per affrontare la crisi.

Fabio Sabatini
Professore Associato di Economia e Direttore dell ‘European PH.D. in Socio-Economic and Statistical Studies presso l’Università “La Sapienza” di Roma

 

Leggi anche

https://www.fisaccgilaq.it/lavoro-e-societa/leconomia-secondo-matteo.html

 




BCC: nessuno pensi di mettere in quarantena il sindacato

Sabato 4 aprile scorso, su convocazione urgente di Federcasse, si è tenuto un incontro con la stessa Federcasse e le Capogruppo, finalizzato a ricercare una condivisione per l’attivazione dell’ammortizzatore di sistema in questa fase emergenziale.

Le OO.SS. hanno aderito all’invito, responsabilmente e coerentemente alle previsioni contenute nel DL “Cura Italia”, che in caso di riduzione o sospensione delle attività lavorative prevede infatti la possibilità di attivare la parte ordinaria del Fondo di Solidarietà di settore, anche ricorrendo, se necessario, ai finanziamenti previsti dallo stesso decreto.

Rispetto al senso di responsabilità delle OO.SS., Federcasse ha evidenziato solo la necessità di ricercare condivisione e consenso, per poter esclusivamente attingere ai finanziamenti previsti dalla legge, senza affrontare compiutamente le valutazioni sull’applicazione e l’efficacia degli strumenti preliminari e prioritari, da sviluppare prima di arrivare alla riduzione o alla sospensione delle attività lavorative.

Come OO.SS. siamo disponibili ad affrontare concretamente anche la necessità di attivare l’ammortizzatore di sistema, ma solo quale strumento estremo e non prioritario rispetto a quelli individuati e condivisi con il protocollo del 24 marzo, e ad altri che con lungimiranza e senso di responsabilità potranno essere individuati tenendo conto anche delle esigenze attuali e future.

Le Segreterie Nazionali hanno fortemente rimarcato, inoltre, l’alto ruolo e valore generato dalla costituzione dei Comitati Aziendali che vanno riconosciuti per la loro strategica importanza e valenza in questo periodo di assoluta criticità che stiamo vivendo.

Di più la loro stretta correlazione con la Commissione Nazionale Permanente deve rappresentare costantemente un faro acceso su tutte le realtà delle BCC siano aziende, società collegate e Capo Gruppo, al fine di assicurare ogni intervento per mettere in sicurezza la salute dei Collaboratori e Collaboratrici del settore Cooperativo.

Le Segreterie Nazionali non hanno mai assunto posizioni “notarili” di fronte alle richieste che Federcasse e i Gruppi hanno promosso di questi tempi e rilanciano alla controparte la volontà di misurarsi anche aspramente, ma chiaramente, su tutto quello che occorra per governare e superare con forza e determinazione questa complessa fase storica, che non deve comportare MINORI DIRITTI e MAGGIORI INCERTEZZE, ma l’OPPOSTO INVECE.

NELLE SITUAZIONI STRAORDINARIE OCCORRONO SOLUZIONI CORAGGIOSE E ALTRETTANTO STRAORDINARIE.

ROMA, lì 6/4/2020

Le Segreterie Nazionali
FABI FIRST/CISL FISAC/CGIL UGL/SINCRA UILCA

 

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Bonus “Covid” per dipendenti pubblici e privati. A chi spetta?

Il Governo ha introdotto un bonus di 100,00€ nei confronti di quei lavoratori dipendenti a cui non è stato possibile effettuare i propri servizi in modalità smart working e quindi hanno continuato a lavorare in sede nonostante l’allerta legata al contagio da Covid-19.

Il provvedimento economico con cui il Governo farà fronte alle emergenze provocate dal Coronavirus – decreto soprannominato Cura Italia – è stato ufficializzato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Diversi i provvedimenti attuati dal Governo per tutelare famiglie e lavoratori, come ad esempio un bonus da 600,00€ per le P.IVA ed i Co.Co.Co, o anche un aumento dei giorni di permesso riconosciuti dalla Legge 104; tra le novità c’è anche un premio per tutti quei dipendenti che nel mese di marzo, quindi in piena emergenza da Coronavirus, hanno continuato a prestare il loro lavoro in sede.

Come noto, tra le varie misure introdotte per limitare il contagio da Coronavirus, c’è quella che invita i datori di lavoro ad agevolare l’utilizzo dello smart working, limitando il più possibile la presenza dei lavoratori in sede. Non sempre, però, ciò è stato possibile ed è per questo che il Governo ha voluto introdurre un premio per tutti coloro che nonostante l’allerta Coronavirus, e il pericolo di contagio, hanno continuato a garantire la loro presenza in sede.

Coronavirus, bonus di 100,00€ ai lavoratori dipendenti: a chi spetta?

È stato il Ministro dell’Economia Gualtieri, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto, ad annunciare l’introduzione del bonus:

“Abbiamo anche un sostegno aggiuntivo al reddito per i lavoratori che andranno in ufficio in questo mese, durante l’emergenza Coronavirus. Uno strumento introdotto con una riduzione del cuneo fiscale.”

Il premio introdotto dal decreto del Governo interessa sia i dipendenti pubblici che quelli del settore privato. Requisito fondamentale per beneficiarne è quello di aver continuato a lavorare nella sede di lavoro per tutto il mese di marzo.

C’è un altro requisito, di tipo economico: affinché al lavoratore possa beneficiare del bonus di 100,00€ è necessario avere un reddito da lavoro annuo non superiore a 40.000,00€.

Il bonus spetta anche a coloro che hanno lavorato in sede per qualche giorno di marzo, non completando però il mese. In questo caso l’importo del premio sarà rapportato ai giorni lavorati in sede. Prendiamo un lavoratore impegnato dal lunedì al venerdì che ha lavorato in sede fino all’11 marzo, data in cui il Presidente del Consiglio ha annunciato nuove misure restrittive.

Ciò significa 8 giorni di lavoro in sede, su un totale di 22 giorni (nel caso in cui invece avesse completato il mese senza lavorare in smart working). Quindi, dal momento che i 100,00€ gli sarebbero stati riconosciuti con 22 giorni di lavoro in sede, per gli 8 giorni spetta un bonus di circa 36,00€.

Coronavirus: quando viene pagato il bonus di 100,00€?

Nella bozza del decreto si legge che il bonus da 100,00€ viene riconosciuto automaticamente dal datore di lavoro (ma è rimborsato dallo Stato).

Questo può decidere di pagarlo già nella busta paga di aprile, o comunque non più tardi del conguaglio di fine anno. È importante sottolineare che il bonus è esentasse, quindi i 100,00€ sono netti.

 

Fonte: www.money.it




ISP: ferie 2020, improvvisa decisione unilaterale dell’azienda. Non c’è nessun accordo!

Nel tardo pomeriggio di ieri abbiamo appreso le decisioni aziendali in merito alla programmazione delle ferie 2020, pubblicate nella news ai colleghi.

La news riporta una serie di disposizioni del tutto nuove, rispetto alle prassi in essere, che vengono applicate dall’azienda, motivate dal “contesto operativo determinato dall’emergenza sanitaria… e dall’esigenza di assicurare il completo godimento delle ferie entro la fine del 2020 come contrattualmente previsto”.

Le Lavoratrici e i Lavoratori del Gruppo sanno benissimo cosa sta succedendo nel Paese, così come ne sono altrettanto consapevoli le OOSS.

Quello che riteniamo penalizzante per i colleghi e che non condividiamo è il successivo salto logico, per il quale “tra il 1 gennaio ed il 2 giugno 2020 siano programmate e fruite almeno 8 giornate tra ex festività e/o ferie, di cui almeno 6 nel periodo 1 gennaio – 30 aprile 2020”.

Fin dall’inizio di questa emergenza sanitaria le Lavoratrici e i Lavoratori di Intesa Sanpaolo hanno messo in atto ogni sforzo per continuare a garantire l’erogazione del servizio, senza mai risparmiarsi, nonostante la paura e la preoccupazione per la propria salute.

Dopo un periodo di lavoro così difficile per i colleghi, sia dal punto di vista fisico che psicologico, ci aspetteremmo che ai Responsabili fosse data indicazione chiara di venire incontro alle esigenze dei colleghi e delle loro famiglie, in una situazione così drammatica, al fine di garantire il sacrosanto diritto del lavoratore al recupero psicofisico. Cosa questa che pare non stia succedendo, con la richiesta di programmare ferie in modo strumentale nei giorni di smart learning.

La decisione aziendale sembra inoltre già comportare forti disagi e difficoltà organizzative per garantire il servizio alla clientela e renderà ancora più problematico rispondere alle richieste in merito a anticipi Cassa Integrazione, Sospensione rate, finanziamenti per la liquidità alle aziende.

Chiediamo anche che siano al più presto fornite indicazioni sulle 6 giornate di ferie straordinarie aggiuntive annunciate ormai alcune settimane fa, visto che non potranno essere inserite ora nella pianificazione.

Chiediamo pertanto un incontro con l’Azienda per affrontare le indicazioni date ai Responsabili, che devono tener conto delle esigenze dei colleghi, prevedendo anche una programmazione che vada oltre il 30 aprile.

Decisioni improvvisamente imposte dall’alto non sono rispettose dello sforzo estremo prodotto sin qui dai lavoratori di Intesa Sanpaolo e non contribuiscono di certo a gestire tutti insieme questa difficile fase.

RITENIAMO FONDAMENTALE IL RISPETTO DELLE ESIGENZE DEI LAVORATORI NELLA PIANIFICAZIONE DELLE FERIE: NON ACCETTEREMO ALCUNA FORZATURA DA PARTE DEI RESPONSABILI AZIENDALI!

Milano, il 3 aprile 2020

Delegazioni Trattanti Gruppo Intesa Sanpaolo
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA –UNISIN

 

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Appalto assicurativo: (s)maschera il pirata

Nel tardo pomeriggio del 24 marzo u.s. Ebisep – Ente Bilaterale del CCNL “pirata” SNA – ha diramato ai propri associati una circolare con cui comunicava che: “Ciascun lavoratore potrà acquistare presidi medico sanitari per la protezione personale (gel, disinfettante, mascherine, guanti). Avrà cura di compilare il modulo allegato alla presente e disponibile sul sito alla sezione “Sussidi ai Lavoratori” allegando copia dello scontrino fiscale al fine di ottenere il rimborso della spesa sostenuta senza alcuna franchigia o scoperto” (la news è consultabile qui)

  1. Delegare al lavoratore della messa in sicurezza del proprio posto di lavoro è sicuramente una palese violazione delle norme di legge in materia.
  2. il Decreto Cura Italia prevede già il rimborso alle aziende di costi di sanificazione e per i presidi disinfettanti
  3. I milione di euro stanziato a favore dei/delle dipendenti non è altro che una minima parte di quanto è stato loro scippato con il CCNL “pirata”: non ci servono elemosine (peraltro a spese altrui in considerazione delle previsioni di cui al punto 2 sopra) ma vogliamo riconosciuto il “giusto” salario che ci spetta per il nostro lavoro!

Stanziare 1 milione di euro per acquisto da parte dei dipendenti di presidi sanitari conferma indirettamente quanto ci viene quotidianamente riferito da colleghi/e di agenzia: in troppe agenzie si sta ancora lavorando mettendo a rischio la vita e questo
NON è accettabile!!!

E lo è ancora meno dopo che – nella giornata del 24 marzo 2020 – Ania e le OO.SS. del settore (non Confsal, autrice con SNA del CCNL “pirata” per le agenzie, che del settore assicurativo mai si è occupata) è stato siglato un protocollo condiviso sulle misure per la prevenzione, il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro tra ANIA e le OO.SS. di settore.

Si tratta di un protocollo che la nostra categoria – tutta – attendeva da giorni e che valutiamo positivamente per il tratto inclusivo dell’intera filiera assicurativa (dalle rete distributiva/agenzie ai produttori) che lo caratterizza.

Rete Agenziale

Nel protocollo (a fine pag. 2) ANIA dichiara l’impegno a garantire la continuità del servizio erogato alla collettività a patto che sia rispettato il presupposto fondamentale de “la piena garanzia delle condizioni di salute e sicurezza per TUTTE le lavoratrici/lavoratori del settore” e afferma che “la prosecuzione delle attivita produttive puo avvenire solo in presenza di adeguati livelli di protezione” nella “rete distributiva, anche agenziale”.

Più avanti troviamo l’impegno di Ania a raccomandare puntualmente alla rete agenziale l’adozione di modalità di comportamento utili alla prevenzione e al contrasto dell’epidemia.
Alla luce di quanto sopra vi invitiamo a mettervi in contatto con i nostri uffici per segnalarci qualunque violazione delle norme di prevenzione e contenimento del contagio Covid19 in vigore provvederemo poi noi OO.SS. ad inviare la richiesta di intervento ad Ania ed al Prefettocompetente: le prime ispezioni dei tecnici SPISAL sono già avvenute dietro nostra segnalazione ieri a Vicenza città.

Produttori/Produttrici Generali Italia Spa

Al punto “8 – Organizzazione Aziendale” si prevede la possibilità per le imprese di ricorrere all’assegno ordinario del Fondo Intersettoriale di Solidarietà Ania anche per i produttori dipendenti. La possibilità di accedere alla parte ordinaria del Fondo per questa categoria di colleghi/colleghe che costituiscono il vero motore delle agenzie Generali costituisce un primo passo – molto importante – nell’azione sindacale portata avanti da tutte le sigle, e da Fisac in particolare, per tutelare il reddito presente e futuro della rete produttiva di Generali Italia (unica compagnia che ad oggi si sta avvalendo dell’organizzazione produttiva prevista dal CCNL Ania).

Documentazione da produrre per poter circolare

Ci è stato segnalato da alcune/i colleghe/i che sono ancora costrette a muoversi da casa per andare a prestare servizio nelle agenzie in deroga alle disposizioni dell’art. 1 dell’Ordinanza del Ministro della Salute 20 marzo 2020 concernenti le limitazioni alle possibilita di spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale, che nel corso dei controlli operati dalle forze dell’ordine sul territorio è stato chiesto nei giorni scorsi di produrre – oltre all’autodichiarazione corredata da busta paga:

  • una certificazione da rilasciare a cura del datore di lavoro del codice codice ATECO dell’attività che rientra tra quelle non sospese dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 marzo 2020 all’allegato 1.
  • una dichiarazione che, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 1 comma 7 del DCPM 11/3/2020, in azienda si sono organizzate dove possibile attività di smart working, si è ridotto il personale in forza in azienda con la riorganizzazione degli orari e turni e che, nel rispetto di quanto previsto dai provvedimenti riguardanti l’emergenza coronavirus, sono state adottate le necessarie misure igieniche ed si è ottemperato anche a tutte le altre disposizioni di legge emanate in relazione al contenimento del contagio.

Vi invitiamo ad attivarvi il prima possibile con i vostri datori di lavoro per richiedere tale certificazione.

Ognuno faccia la sua parte, solo così #andràtuttobene

 

Fisac Cgil Roma e Lazio

 




L’economia secondo Matteo

Il leader leghista, ospite di Bianca Berlinguer a CartaBianca, ha tolto tre zeri alle cifre del prodotto interno lordo e delle uscite dello Stato. Ma soprattutto da quei numeri ha tratto una conclusione del tutto sballata: che le entrate siano maggiori delle uscite e ci siano soldi da spendere a piacimento. Invece la differenza è negativa e va coperta indebitandosi.

Dobbiamo usare per gli italiani i soldi degli italiani. L’anno scorso il prodotto interno lordo degli italiani sono stati 1 miliardo e 800 milioni di euro, la spesa pubblica 800 milioni. I soldi ci sono.

Epic fail del leader leghista Matteo Salvini. Che martedì, ospite di Bianca Berlinguer a CartaBianca, parlando di come trovare le risorse necessarie per l’emergenza coronavirus non solo ha tolto tre zeri alle cifre del pil e delle uscite dello Stato – come molti hanno fatto notare su Twitter – ma soprattutto da quei numeri ha tratto una conclusione del tutto sballata. Cioè che ci sia un avanzo, una specie di “tesoretto” da spendere a piacimento.

Innanzitutto il pil – circa 1.800 miliardi, non 1,8 – è la ricchezza prodotta dall’intero Paese nel corso di un anno. Non corrisponde alle entrate dello Stato, che sono rappresentate dalle tasse più gli eventuali ricavi da vendita di parte del patrimonio pubblico. Le entrate fiscali hanno un collegamento diretto con il pil, visto che le imposte sono proporzionali al reddito o ai ricavi, ma sono una sua percentuale: l’anno scorso sono state, a spanne, oltre 500 miliardi. Sommati i contributi, si arriva a un totale superiore a 800 miliardi. 

La spesa pubblica invece – tra stipendi degli statali, pensioni, spese per consumi e corposi interessi sul debito – veleggia intorno agli 850 miliardi. Quindi: a parte la confusione tra milioni e miliardi, non esiste alcuna differenza positiva tra entrate e uscite da spendere liberamente, come affermato da Salvini. Anzi.

La differenza tra le entrate e le uscite è negativa: è deficit, che viene coperto emettendo titoli di Stato. Cioè indebitandosi ancora. Come l’Italia sta abbondantemente facendo in questa fase, stavolta con il via libera della Ue che ha deciso di sospendere l’applicazione del patto di Stabilità e non conteggiare nel deficit le spese sostenute per l’emergenza coronavirus. In attesa di decisioni sui coronabond.

Il video della puntata

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it




Aggiornamento permessi Legge 104 e Decreto “Cura Italia”

La circolare Inps nr 45 del 25/03/2020 corregge alcune indicazioni restrittive indicate nel messaggio Inps 1281 del 20/03/2020.

Ecco i principali chiarimenti riferiti ai permessi legge 104:

I  giorni aggiuntivi di permesso spettano sia a coloro che assistono un familiare con disabilità grave, sia ai lavoratori/lavoratrici a cui è stata riconosciuta una disabilità grave;

Chi assiste due persone riconosciute disabili gravi, raddoppia il numero di giornate aggiuntive, alle quali si aggiungono le giornate a cui aveva già diritto; ciò avviene anche nel caso di lavoratore/ lavoratrice disabile che assiste un familiare con disabilità grave.

I 12 giorni aggiuntivi possono essere fruiti anche consecutivamente nel corso di un solo mese (marzo o aprile), ferma restando la fruizione mensile  dei tre giorni ordinariamente previsti.

 12 giorni aggiuntivi sono frazionabili ad ore, così come avviene per i giorni mensili previsti normalmente dalla legge.

Nel caso dovessero aggiungersi ulteriori informazioni, chiarimenti, modifiche sulla materia, provvederemo ad aggiornare le informazioni.


Il Decreto Legge “Cura Italia” approvato dal Governo il 16 Marzo scorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2020 ed ha introdotto una importante novità riguardante i permessi lavorativi previsti dalla legge 104/1992.

L’articolo 24 del Decreto recita:  “Il numero di giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è incrementato di ulteriori complessive 12 giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020.”

La scelta del Decreto è avvenuta per le ovvie ragioni di necessità ed urgenza, il decreto legge entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e deve poi essere convertito in legge, ma potrebbe essere modificato dal Parlamento.

 Il testo necessita sicuramente di chiarimenti e perfezionamenti che potrebbero avvenire ragionevolmente nei prossimi giorni attraverso indicazioni operative di Inps o del Ministero del Lavoro.

In data 18 marzo il sito dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità (tale ufficio dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) precisa che:

“I lavoratori che assistono una persona con disabilità e quelli cui è riconosciuta disabilità grave hanno a disposizione, complessivamente per i mesi di marzo e aprile 2020, 18 giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa. “

 Il testo del Decreto si riferisce ai permessi previsti dal comma 3 dell’articolo 33 della legge 104/1992: sono le tre giornate di permesso    e ai genitori e familiari di persone con disabilità grave accertata e documentata, che possono essere utilizzate solo quando viene prestata loro assistenza sanitaria.

In attesa delle indicazioni operative si può concordare la fruizione con l’azienda facendo riferimento all’ “articolo 24, comma 1 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18”.

Si consiglia comunque di attendere le indicazioni operative che arriveranno dall’INPS.

Rimangono invariate le altre norme relative alla retribuzione, alla copertura previdenziale, al referente unico, la distanza massima rispetto al domicilio dell’assistito, ecc.

Anche i lavoratori riconosciuti disabili in situazioni di gravità possono beneficiare dell’estensione dei permessi.

Secondo  il comma 2 dell’art 26  Decreto “fino al 30 aprile ai  lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero ospedaliero”. 

Il medico curante dovrà redigere il certificato di malattia nelle consuete modalità telematiche. 

Importante: Il datore di lavoro dovrà avere indicazioni operative su come agire, per cui sembrerebbe necessario attendere le modalità operative.

La medesima possibilità (con le medesime avvertenze) è riconosciuta anche a coloro che sono in possesso di certificazione “rilasciata dai competenti organi medico legali” (servizi di medicina legale delle ASL), attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita anche se non sono in possesso della certificazione di handicap con connotazione di gravità (basta il comma 1 dell’articolo 3).

Come già indicato, non escludiamo la necessità di ulteriori disposizioni applicative  prima che tali strumenti siano fruibili.

Sarà nostra cura aggiornare la nota non appena saranno disponibili dettagli sulle modalità di fruizione dei permessi.

 

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