Guida maternità, paternità e adozione

Da oggi è disponibile on line la Guida alla genitorialità, aggiornata alla normativa vigente. Nella guida vengono illustrati i momenti fondamentali previsti per un genitore a partire dal concepimento alla gestione della bimba o bimbo in età scolare.

A CHI SI RIVOLGE

La Guida si rivolge ad ogni genitore dipendente nel nostro settore, assicurativo e del credito.

 

COME È ORGANIZZATA

La guida è suddivisa in capitoli, ciascuno dei quali consultabile in modo indipendente.

 

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Guide Fisac Cgil: responsabilità disciplinari e patrimoniali

Pubblichiamo la versione 2024 della guida, a cura di Alberto Massaia ed Enrica Crimi .

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ARTICOLI PUBBLICATI AD INTEGRAZIONE:




Banche: Report Fisac Cgil, utili e dividendi record, calano occupazione e sportelli

Banche con utili record a 22,2 miliardi per effetto della crescita del margine di interesse e dividendi riconosciuti agli azionisti ai massimi storici per 10,5 miliardi. Eppure continua inesorabile la riduzione di dipendenti (-4.300) e sportelli (-1.000), come leva per la gestione di costi operativi in leggero aumento, mentre continuano a calare i finanziamenti alla clientela (-3,8%).


È un bilancio a luci e ombre quello che fornisce un report dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil relativo ai risultati dei primi 7 gruppi bancari tra il 2022 e il 2023 dal titolo ‘Bilanci bancari: il biennio d’oro’. Luci per pochi, ovvero banche e azionisti che registrano risultati e incassi in forte aumento, ombre per tanti, tra dipendenti e filiali che “spariscono”, lasciando cittadini e imprese sprovvisti di presidi fisici del credito

Gli straordinari risultati raggiunti dai gruppi bancari, osserva la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “non hanno avuto un pari riflesso sul fronte dell’occupazione, dell’insediamento sui territori e sui finanziamenti, che continuano a calare generando una forte preoccupazione. È un grave limite, specie per il bisogno, nonché la funzione stessa delle banche, di sostenere un’economia che fatica e arranca. C’è bisogno di una visione per il sistema bancario che da una parte valorizzi e incrementi la forza lavoro, sulla quale impatterà il processo di digitalizzazione, e dall’altra sostenga la transizione ecologica del sistema industriale”.

Utili record – Il 2023 è un anno di risultati record per i grandi gruppi bancari. I primi sette gruppi bancari (Intesa, Unicredit, Bpm, Bper, Mps, Credem e Popolare di Sondrio) con sede legale nel nostro paese hanno chiuso lo scorso anno con un utile netto di 22,2 miliardi di euro, in aumento del 77,4% rispetto al 2022. Il dato, si osserva nel report della Fisac Cgil, è spinto in alto dalla crescita del margine d’interesse, che ritorna dopo un decennio a rappresentare quasi il 60% del totale dei ricavi a quota 39,5 miliardi. Tengono le commissioni e i ricavi da attività assicurativa, mentre il risultato netto delle attività finanziarie proprie si riduce di circa un terzo. L’utile per addetto medio sfiora i 92 mila euro/addetto, in aumento dell’83,5% rispetto ai 50 mila euro/addetto del 2022.

Costi operativi in lieve aumento – I costi operativi sono in leggero aumento a quota 29,6 miliardi di euro (+1,4% sul 2022). L’impatto della prima tranche del rinnovo del contratto nazionale di settore, fa sapere il rapporto della Fisac Cgil, ha determinato un aumento medio del costo del personale impiegato in Italia pari al 5,2%, per un costo medio per dipendente che si attesta a quota 83 mila euro. Tuttavia, i grandi gruppi sono stati in grado di contenere l’aumento del costo del personale complessivo intorno all’1,5%.

Dipendenti in calo – Per la Fisac Cgil la principale leva utilizzata in questa strategia di gestione dei costi continua a essere la riduzione del personale. A livello globale, il calo dei dipendenti nel 2023 è pari a 7.327 unità (-3% annuo); di questi, 4.292 unità (-2,4% annuo) riguardano il nostro paese. Alla fine dello scorso anno i dipendenti dei primi sette gruppi bancari in Italia ammontano a 171 mila unità; tuttavia, stima la Fisac, a fine 2026 si prevede un dato inferiore alle 170 mila unità, attorno a quota 168 mila dipendenti.

Sportelli che diminuiscono – Anche le filiali continuano a diminuire. Lo scorso anno, sottolinea la Fisac Cgil, i primi sette gruppi bancari hanno chiuso quasi 1.000 filiali, una riduzione pari all’8,3%. In due anni sono ‘scomparsi’ 1.385 sportelli, pari a una banca delle dimensioni di Mps o Banco Bpm. Va inoltre segnalato che la quota percentuale degli sportelli di proprietà dei primi sette gruppi bancari italiani sul totale delle rete bancaria in Italia continua a diminuire: in due anni è scesa dal 55,2% al 52,4%. La strategia ‘digital first’ operata dai grandi gruppi negli ultimi anni sta determinando una riconfigurazione spaziale della presenza delle banche sui territori. Vuoto che viene colmato, anche se in modo parziale, dai gruppi emergenti di medie dimensioni (Credem e Bp Sondrio nel nostro campione) e dalle banche di Credito Cooperativo.

Dividendi in aumento – Il 2023 sorride agli azionisti, si legge nel report Fisac. I primi sette gruppi bancari distribuiranno a breve 10,5 miliardi di dividendi, un aumento dell’83,6% rispetto ai 5,7 del 2022. Inoltre, i due gruppi più importanti del nostro paese, Intesa e Unicredit, offriranno una ulteriore remunerazione agli azionisti sotto forma di buyback, portando la remunerazione complessiva degli azionisti dei primi 7 gruppi bancari a quota 18 miliardi di euro, in aumento di 7,5 miliardi (+71,5%) rispetto al 2022.

Stato patrimoniale, sempre meno credito – L’ottimo stato di salute dei grandi gruppi bancari si conferma anche osservando le metriche relative allo stato patrimoniale. L’attivo, fa sapere la Fisac Cgil, si riduce del 9% in un anno per effetto soprattutto della riduzione degli accantonamenti legati alle normative sugli RWA (Risk Weighted Assets). In sostanza migliora la qualità del credito, come confermato anche dal dato sulle rettifiche, in riduzione del 45,1% rispetto al 2022 a quota 3,8 miliardi di euro.

I grandi gruppi bancari continuano l’opera di riduzione lenta dello stock creditizio, con i finanziamenti alla clientela che scendono sotto quota 1.200 miliardi di euro, pari ad un -3,8% anno su anno. Aumenta il peso della raccolta diretta, che supera quota 1.485 miliardi di euro, determinando un Loan to Deposit Ratio pari all,80,8%. Ciò significa che per ogni euro depositato presso i grandi gruppi bancari italiani, solo 0,8 euro vengono effettivamente impiegati sotto forma di credito a famiglie e imprese.

Produttività ai massimi livelli –  Il 2023 è anche l’anno dell’incremento record della produttività per i grandi gruppi bancari. Tra il 2021 e il 2023, sottolinea il rapporto della Fisac Cgil, la produttività per addetto è raddoppiata: il Valore aggiunto rettificato per addetto (Var/d) nel 2023 è pari a 147.600 euro, un dato superiore a quelli medi di tutti gli altri settori e che addirittura supera il dato da record del settore farmaceutico italiano nel biennio del Covid (145.000 euro per addetto). Al momento, non c’è settore in Italia che raggiunga livelli di produttività così alti come quello bancario.

Il commento di Susy Esposito (segretaria generale Fisac Cgil) – “I dati del nostro report – commenta la segretaria generale della Fisac Cgil – ci indicano una strada da perseguire: nella contrattazione di secondo livello i risultati straordinari messi a segno dal sistema bancario dovranno essere redistribuiti anche alle lavoratrici e ai lavoratori. Non solo, in linea con quanto previsto dal contratto nazionale, dovremmo sempre al secondo livello procedere nei gruppi e nelle aziende anche sul fronte della riduzione dell’orario di lavoro. Così come per quanto riguarda il tasso di sostituzione ci dovrà essere una correlazione alla pari tra entrate ed uscite”, conclude Esposito.

⇒ Scarica il report dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil

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Banche: continua la fuga dall’Abruzzo e dal Molise. Ed è sempre più veloce




La desertificazione bancaria in Abruzzo su Rai3

Di seguito pubblichiamo il link al servizio andato in onda su Rai3 lo scorso 22 aprile,  basato sullo studio redatto dalla Fisac Abruzzo Molise in collaborazione con l’Ufficio Studi e Ricerche Fisac.




Emanuela Marini è la nuova Segretaria Provinciale Fisac Cgil L’Aquila

Il 24 aprile si è svolta, presso la CdLT dell’Aquila, l’Assemblea Generale della Fisac Cgil della Provincia dell’Aquila, avente tra i punti all’OdG l’elezione del nuovo Segretario Territoriale.

Su proposta del Segretario Regionale, Luca Copersini, è stata eletta quale Segretaria Provinciale della Fisac Cgil L’Aquila Emanuela Marini. Emanuela è dipendente della Banca d’Italia ed è attualmente componente della Segreteria di coordinamento Fisac Bankitalia.

Successivamente, su proposta della neo Segretaria, si è provveduto all’elezione della nuova Segreteria Provinciale che comprenderà, oltre alla Segretaria, Antonella Barbone e Pierfrancesco Tatozzi.

Alla nuova Segretaria ed ai componenti la Segreteria Provinciale i migliori auguri di buon lavoro dalla Fisac Abruzzo Molise.




Banche: continua la fuga dall’Abruzzo e dal Molise. Ed è sempre più veloce

A primavera, come ogni anno, arrivano i dati di Bankitalia relativi all’occupazione bancaria ed alla presenza degli istituti nei territori. E ogni anno, per quanto riguarda Abruzzo e Molise, la situazione appare peggiorata rispetto a quello precedente.

Detto in estrema sintesi: le banche non solo abbandonano i nostri territori, ma sembrano avere una gran fretta di farlo, con chiusure che procedono una velocità maggiore rispetto a quanto avviene nelle altre regioni.

Vediamo nel dettaglio l’andamento delle chiusure di sportelli nelle nostra regioni, suddiviso per provincia.

NUMERO SPORTELLI BANCARI PER PROVINCIA
Totale 2022 Totale 2023 Differenza % diff. Var. a 5 anni
ITALIA 20.985 20.161 -824 -3,9% -20,6%
ABRUZZO 429 407 -22 -5,1% – 25,9%
Provincia
AQ 93 84 -4 -4,3% – 29,4%
CH 117 111 -6 -5,1% – 23,5%
PE 105 100 -5 -4,8% – 24,3%
TE 114 107 -7 +6,1% – 26,7%
 
MOLISE 81 78 -3 -3,7% – 28,4%
Provincia
CB 62 59 -3 -4,8% – 32,2%
IS 19 19 = = – 13,6%
dati Banca d’Italia

Molise e Abruzzo sono rispettivamente la peggiore e la seconda peggior regione d’Italia per quanto riguarda la percentuale di sportelli chiusi negli ultimi 5 anni. Non inganni il dato del Molise relativo all’ultimo anno, leggermente migliore rispetto alla media nazionale: con 78 filiali residue c’è rimasto ben poco da chiudere.


 

La seconda tabella evidenzia l’effetto di queste chiusure sulle singole province

NUMERO COMUNI CON ALMENO UNO SPORTELLO BANCARIO 
Tot. 2022 % su tot comuni Tot. 2023 % su tot comuni Differenza % diff.
ITALIA 4.785 60,6% 4.651 58,9% -134 -2,8%
ABRUZZO 126 41,3% 119 39,0% -7 -5,6%
Provincia
AQ 31 28,7% 29 26,9% -2 -6,5%
CH 38 36,5% 36 34,6% -2 -5,3%
PE 25 54,4% 24 52,2% -1 -4,0%
TE 32 68,1% 30 63,8% -2 -6,3%
 
MOLISE 24 17,6% 24 17,6% = =
Provincia  
CB 18 21,4% 18 21,4% = =
IS 6 11,5% 6 11,5% = =
 
dati Banca d’Italia

In Abruzzo in oltre 6 comuni su 10 non si trova più una filiale di banca. La provincia peggiore è quella dell’Aquila, priva di sportelli bancari in quasi 3 comuni su 4.
A dir poco sconfortanti i numeri del Molise: non esistono banche in oltre 8 comuni su 10, arrivando al dato di Isernia che vede gli abitanti di quasi il 90% dei comuni costretti a spostarsi se vogliono effettuare operazioni bancarie.

La tabella evidenzia due situazioni ben distinte: ad una situazione tutto sommato accettabile nelle province di Pescara e Teramo fa da contraltare il dato relativo alle province di Chieti e L’Aquila, caratterizzate da tanti comuni ubicati nelle aree interne.
Purtroppo il Molise fa storia a sé: i dati sono impietosi per la provincia di Campobasso, e ancor di più per quella di Isernia.
Lo ribadiamo per l’ennesima volta: la chiusura degli sportelli bancari nei piccoli comuni non sarà probabilmente la causa principale dello spopolamento, ma è sicuramene un fattore che lo accelera. Non è azzardato affermare che il subentro dei grandi gruppi nazionali, al posto dalle banche locali che fino a qualche anno fa erano al servizio del territorio, abbia contribuito in modo tangibile alla fuga dalle aree più problematiche delle due regioni.

La lettura dei dati complessivi ci dice che oltre il 40% delle filiali bancarie è concentrato in sole 3 regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Nel Nord si concentra il 57% delle filiali, nel Sud e Isole (area nella quale Abruzzo e Molise sono ricompresi) appena il 22%. Il tutto è ben rappresentato da questa immagine:

 

Fonte: Banca d’Italia – Banche e Articolazione territoriale

 

Si parla tanto, e con legittima preoccupazione, dell’autonomia differenziata. In realtà le banche hanno già realizzato una secessione di fatto tra le regioni ricche e quelle povere.


 

La tabella che segue indica l’andamento degli occupati nel settore bancario in Abruzzo e Molise, suddiviso per provincia.

NUMERO DIPENDENTI SETTORE BANCARIO PER PROVINCIA
Totale 2022 Totale 2023 Differenza % diff. Var. a 5 anni
ITALIA 264.288 261.976 -2.312 -0,9% – 5,8%
ABRUZZO 2.870 2.797 -73 -2,5% – 19,5%
Provincia
AQ 626 603 -23 -3,7%  – 19,5%
CH 763 763 = = – 22,1%
PE 780 752 -28 -3,6% – 9,2%
TE 702 679 -23 -3,3% – 26,0%
 
MOLISE 533 505 -28 -5,3% – 14,7%
Provincia
CB 446 412 -34 -7,6% – 13,5%
IS 87 93 +6 +6,9% – 19,8%
dati Banca d’Italia

Questi dati, se possibile, sono ancor più preoccupanti rispetto a quelli relativi alle chiusure. Perché evidenziano uno scostamento, rispetto alla media nazionale, molto più significativo. In Abruzzo il calo di addetti procede ad una velocità più che tripla rispetto al resto del paese; in Molise lo scostamento è di 2,5 volte.

Il dato relativo alle chiusure di filiali ci dice invece che la percentuale di sportelli chiusi in Abruzzo è sì superiore alla media, ma solo di un terzo, mentre quella del Molise è pari all’incirca ad 1,4 volte la media nazionale.

Come si spiega il diverso andamento di questi numeri?

Le ragioni sono diverse. La prima è di carattere storico. Nel nostro territorio avevano sede due banche locali fortemente radicate, che oltre alla rete di filiali avevano tutti i centri direzionali ubicati prevalentemente in Abruzzo. L’acquisizione da parte di banche di dimensione nazionale ha portato allo svuotamento di queste strutture ed al trasferimento delle lavorazioni presso le sedi delle aziende subentrate. A riprova di questo fenomeno – che ovviamente ha riguardato non solo Abruzzo e Molise ma tutte le regioni nelle quali avevano sede istituti locali – ci sono i dati in controtendenza delle regioni nella quali i grandi istituti hanno le loro sedi operative: l’occupazione risulta in aumento in Piemonte e in Emilia Romagna.

La seconda è da ricercarsi nel fatto che le nostre due regioni siano più “avanti” delle altre nel processo di abbandono da parte dei grandi istituti. Quindi, mentre in altre regioni le chiusure riguardano prevalentemente agenzie piccole, in Abruzzo e Molise gli sportelli di dimensioni minori sono stati già chiusi, ed ora le chiusure  riguardano le filiali più grandi.

La terza è che nei centri più importanti, dove restano aperte filiali storiche, il loro organico viene ridimensionato. Così, capita di vedere grandi filiali, un tempo affollate di lavoratori e lavoratrici, nelle quali oggi si trovano pochi colleghi a presidiare una distesa di scrivanie vuote o di stanze chiuse.

 

QUALI SONO LE CONSEGUENZE DELL’ABBANDONO BANCARIO?

Le banche sostengono che la chiusura delle filiali non abbia alcun impatto sull’economia locale in quanto l’avvento del digitale rende superflua la presenza fisica sul territorio. I dati relativi all’andamento dei crediti dimostrano una realtà ben diversa: dove chiudono le filiali cala anche il credito alle piccole imprese (non a quelle di dimensioni più grandi, che le banche assistono tramite strutture dedicate).

La tabella che segue è tratta da un’approfondita analisi dell‘Uffici Studi & Ricerche Fisac Cgil che pubblicheremo integralmente nei prossimi giorni.

 

Osservando l’andamento dei prestiti erogati ai singoli settori della clientela, ed indicizzati con base 100 nel 2017,  si rileva che ad eccezione dei prestiti alle famiglie consumatrici (sostanzialmente mutui), aumentati nel periodo 2017-2022 salvo poi ridursi nell’ultimo anno per effetto dei rialzi dei tassi, tutte le categorie mostrano una riduzione degli affidamenti rispetto al 2017, ad eccezione dei prestiti bancari alle imprese medio-grandi nel Molise che sono aumentati di oltre il 28% negli ultimi sei anni.

Cosa ci dicono questi numeri? Che quando non trovano filiali bancarie sul territorio le piccole imprese non riescono più a finanziarsi. Il calo è consistente in entrambe le regioni (-19,7% in Abruzzo e – 12,4%) in Molise. E questo nonostante il periodo di interruzione del trend decrescente 2020-2021 sostenuto, nel periodo Covid, dalle misure eccezionali di sostegno al credito.

Diversa la situazione delle imprese di dimensioni maggiori, che le banche seguono con strutture dedicate e non risentono della minor presenza sul territorio: in Abruzzo la riduzione è limitata al 5,7%, nel Molise come abbiamo visto risultano in consistente aumento, a dimostrazione di come l’effetto delle chiusure sia molto diverso a seconda delle dimensioni delle aziende

Cosa fa una piccola azienda quando non riesce più ad ottenere credito? O chiude, oppure cerca altri canali di finanziamento, finendo in mano agli usurai. Come sono messi i piccoli imprenditori di Abruzzo e Molise?

Esaminiamo la prossima tabella, tratta dalla classifica delle province italiane in base all’incidenza dei reati, redatta annualmente dal Sole 24 Ore

CLASSIFICA DELLE POVINCE IN BASE ALL’INCIDENZA DEI REATI
Provincia
Posizione Complessiva Posizione per reati d’usura
 
AQ 100 32
CH 77 41
PE 33 9
TE 45 7
CB 90 4
IS 67 1
dati Lab24 – Il Sole 24 Ore

La tabella ci dice che anche province che presentano un indice di criminalità molto basso, come L’Aquila e Chieti, si collocano nella prima metà della classifica relativamente all’incidenza dei reati d’usura.
Ma soprattutto ci dice che nei primi 9 posti, sempre concentrandosi su questo tipo di reati, figurano due province molisane e due abruzzesi, con Isernia che conquista la poco invidiabile vetta della classifica.
Dato purtroppo coerente in una provincia quasi completamente priva di banche.

 

Esaminiamo infine questo grafico. Riporta la variazione delle imprese artigiane nel 2023, differenziata per regione. L’illustrazione è tratta dallo studio del prof. Aldo Ronci Le imprese artigiane negli ultimi 5 anni e nel 2023.

Ancora una volta, il dato che esce fuori è inequivocabile: a fronte di una crescita dello 0,35% del numero di imprese artigiane in Italia, Molise e Abruzzo sono tra le poche regioni nelle quali le cessazioni sono superiori alle nuove attività. Non solo: il Molise risulta, ancora una volta, la regione con il peggior dato in Italia, e l’Abruzzo viene quasi subito dopo, conquistando un poco invidiabile terzo posto.

 

COSA SI PUO’ FARE?

Il tema dell’abbandono bancario ha visto la Fisac impegnarsi a fondo, per denunciarlo ma anche per cercare di proporre soluzioni alle aziende bancarie. Un possibile provvedimento potrebbe consistere nello spostare i centri direzionali dalle regioni del Nord a quelle del Centro Sud, riuscendo così a tamponare almeno l’emorragia occupazionale, senza peraltro arrecare disagio alle Aziende.

A livello regionale la Fisac Abruzzo Molise si farà promotrice, cercando la collaborazione della nuova giunta, della costituzione di un Osservatorio Regionale sul Credito che possa provare a governare il fenomeno. Non si può impedire ad una banca di chiudere una filiale, ma con una tempestiva pianificazione si può provare a cercare ipotesi alternative, mettendo in condizione i Comuni di proporre soluzioni gradite alle Banche o magari di provare a rimpiazzare l’Istituto uscente, ad esempio proponendo l’apertura ad una BCC locale.

 

Fisac/Cgil Abruzzo Molise in collaborazione con
Ufficio Studi & Ricerche Fisac Cgil




MPS: dopo risanamento ora riconoscere impegno dipendenti

“Dopo il decennale percorso di risanamento, frutto di uno straordinario impegno delle lavoratrici e dei lavoratori, e il raggiungimento di importanti risultati di bilancio per Mps, è arrivato il momento di riprendere il confronto tra azienda e sindacati. È necessario al più presto recuperare i ritardi accumulati sul fronte economico e normativo e riconoscere alle lavoratrici e ai lavoratori l’impegno profuso nei passati lunghi anni di crisi”.
Ad affermarlo sono il coordinatore Fisac Cgil di Banca Mps, Federico Di Marcello, e il coordinatore Fisac Cgil del Gruppo Mps, Stefano Carli, alla vigilia dell’assemblea dei soci di Monte Paschi di Siena.

Inoltre, aggiungono i due dirigenti sindacali della Fisac Cgil, “i risultati raggiunti, con il riscontro del positivo andamento sul mercato, stanno dimostrando come la Banca sia nelle condizioni di poter camminare sulle proprie gambe, avendo una strategia e un progetto preciso e uno stabile riferimento azionario. È il Mef che deve quindi dimostrare visione, nella consapevolezza dell’impegno profuso dalle lavoratrici e dai lavoratori, per non disperdere il valore e la storia del Monte dei Paschi di Siena”, concludono Di Marcello e Carli.


Giorgio Saccoia
Ufficio Stampa Fisac Cgil Nazionale
335.63.88.949



La disfatta dei paesi economicamente sottosviluppati dell’Africa

Partiamo da una asserzione spesso presente oggi sui social: se esporti armamenti nei paesi africani in via di sviluppo, poi, non puoi lamentarti di importare profughi.

Ora, per poter rendersi conto di cosa effettivamente accade oggi nei paesi sottosviluppati dell’Africa, occorre necessariamente ricorrere a qualche nozione di storia economica con particolare riferimento alla colonizzazione, la quale venne attuata tramite i due stadi del Capitalismo, ossia la fase del capitalismo mercantile e quello del capitalismo industriale. Possiamo ricordare il primo processo, che si svolge dal 1500 alla metà del 1700; esso fu reso avverabile grazie a rilevanti innovazioni nel campo della navigazione, che portarono a rendere possibile  tre propositi: la ricerca di oro (e di altri metalli preziosi),  la costituzione di empori per la vendita in monopolio di merci della madre patria e per l’acquisto di merci esotiche da rivendere solo nel paese colonizzatore, e la fondazione di piantagioni per produrre, per mezzo di schiavi,  merci coloniali (come zucchero, caffè, tabacco, cacao) da vendere poi nella madre patria.

E’ evidente che esiste una differenza sostanziale tra i paesi che si sono sviluppati per primi ed i paesi ritardatari; aggiungiamo che, purtroppo, con il passare del tempo si sono definiti freni sempre maggiori ad uno sviluppo industriale essenzialmente privato, come quello che abbiamo osservato in Inghilterra nel periodo a cavallo tra il 1750 e il 1850. Sappiamo che lo sviluppo avviene per stadi: nel primo, troviamo nel settore industriale diverse produzioni di base come l’elettricità, l’acciaio, il cemento, diverse produzioni chimiche e meccaniche, con produzioni di beni durevoli di consumo, mentre, nel settore dei servizi, troviamo ferrovie e servizi di credito di base;  nel secondo stadio troviamo lo sviluppo della agricoltura intensiva, il trionfo del commercio di beni di consumo durevoli,  le industrie tessili indirizzate verso la produzione di massa di tessuti di uso popolare, la diffusione delle automotive,  la rivoluzione nei trasporti, l’esplosione dell’edilizia e poi, nei tempi più vicini, l’affermazione delle comunicazioni radiotelevisive, dell’elettronica e dell’informatica. Ora, nei paesi ritardatari, una proporzionata offerta interna di prodotti e di servizi di base rappresenta uno dei prerequisiti dello sviluppo produttivo moderno. Possiamo pensare che, se i vantaggi dei paesi arretrati sono rappresentati dalla possibilità di accedere a sicure tecnologie e ad assodati metodi organizzativi efficienti e moderni, ai quali le regioni progredite sono arrivate attraverso prolungate evoluzioni, gli svantaggi dipendono da tre ordini di “progresso”: il salto della tecnologia, il salto del mercato e il salto imprenditoriale.

È evidente che questi salti sono stati notevoli soprattutto nei paesi che avviarono per primo uno sviluppo industriale moderno, come l’Inghilterra. Infatti, era stato possibile uno sviluppo graduale in tutte le industrie, date le conoscenze tecniche del tempo; era pacifico che anche aziende relativamente piccole fossero in grado di produrre in modo economico, cioè a costi inferiori ai prezzi di mercato, ed era quindi possibile un passaggio sequenziale, dalla piccola azienda artigianale con poche attrezzature e gestione familiare, all’azienda industriale basata sulle macchine. In sostanza, in questo processo di espansione non si incontrava la concorrenza di grandi aziende, che allora non esistevano, né in Inghilterra, né in altri paesi. Parallelamente, uno sviluppo graduale era possibile rispetto al mercato, questo perché le nuove aziende avevano a disposizione il mercato locale, nel quale si ampliavano a spese delle unità artigianali, le quali entravano in crisi. Inoltre, per espandere le vendite sui mercati esteri, le nuove aziende dovevano battere nella concorrenza i prodotti delle aziende artigianali di altri paesi con il perfezionarsi dei metodi produttivi, in una competizione facile in quanto i metodi usati dagli artigiani non mutavano nel tempo e questi fino ad un certo limite potevano difendersi soltanto con il vendere a prezzi decrescenti subendo di conseguenza redditi decrescenti. Poi, sotto l’aspetto sociale, era stata possibile la formazione graduale di imprenditori nel senso moderno della definizione, con capacità gradualmente acquisite di dirigere grandi aziende in molti rami della produzione.

Oggigiorno questo sviluppo graduale non è più possibile, in quanto vi è un salto imposto dalla tecnologia nei casi in cui, per produrre economicamente, le dimensioni delle unità produttive debbono essere grandi. Vi è poi un salto nella conquista del mercato perché il mercato locale, per certi beni, in certe aree, è già stato conquistato da grandi imprese moderne, le quali sono ubicate altrove e per competere con le quali occorrono una vasta organizzazione commerciale e costose campagne pubblicitarie. Stesso discorso se pensiamo alle esportazioni; anche in questo ambito le difficoltà sono ancora maggiori, perché si tratta di battere sui mercati esteri i prodotti di aziende moderne di altri paesi, che in quei mercati sono già affermati. Infine, citiamo la difficoltà di un salto nella formazione delle persone capaci di diventare imprenditori industriali.

Al principio del 1900, questi ostacoli potevano essere sorpassati dalle imprese private con un aiuto relativamente limitato e, in ogni caso, esterno diretto dell’autorità pubblica, soprattutto con infrastrutture e dazi protettivi; oggi, per le economie (africane) sottosviluppate, questi ostacoli sono divenuti così problematici da reclamare dei salti che le forze private locali trovano impossibile effettuare. Unica via azzardata per superare le difficoltà è stata quella che apriva le porte all’ingresso di grandi società straniere. Ma questa opzione ha posto nuovi problemi per i paesi africani economicamente arretrati, principalmente di tipo politico ed istituzionale, con rischi di inevitabili interferenze esterne e nuovi problemi economici legati allo sfruttamento della classe lavoratrice e delle risorse naturali.  Anche i tentativi di utilizzare come strategia di contenimento le società sussidiarie, ossia aziende locali che fanno parte di un gruppo internazionale, non hanno risolto alcun problema. È così che i sindacati che operano nel terzo mondo si sono ritrovati a dover cercare di adottare delle politiche tali da ridurre non solo i rischi economici, ma anche i rischi politici, registrando, purtroppo, che coloro che lavorano per conto di società a carattere multinazionale sono difficilmente raggiungibili e corporatizzati, perché isolati dal contesto generale di forte disoccupazione.

Possiamo sicuramente associarci a chi sostiene l’impossibilità di utilizzare la scienza economica occidentale ai paesi africani meno sviluppati, in quanto gli strumenti offerti sono risultati inapplicabili; ad esempio, possiamo ritenere che l’analisi keynesiana della sottoccupazione non si adatti ai paesi meno sviluppati. In questi stati, il rapporto tra esportazioni e il PNL (prodotto nazionale lordo) varia in maniera rilevante in relazione alla loro dimensione economica; in alcuni paesi, molto piccoli, esso supera il 50% e le loro esportazioni sono dirette prevalentemente ai paesi sviluppati. Esse consistono soprattutto di beni primari, che vengono dati in cambio di manufatti, carburanti e materiali industriali necessari per il funzionamento della economia e per lo sviluppo economico. Malauguratamente molti paesi sono specializzati in uno oppure in un piccolo numero di beni privati: ad esempio abbiamo l’economia del petrolio o l’economia delle banane, o del cacao, o del caffè. Inoltre, i proventi delle esportazioni ballano considerevolmente in conseguenza delle variazioni dei raccolti o dei prezzi mondiali o della domanda estera (che tende a diminuire per ragioni tecnologiche: pensiamo, ad esempio, ai materiali sintetici prodotti in numero crescente dai paesi avanzati, che sostituiscono le fibre e le altre materie prime). Come conseguenza, le variazioni delle esportazioni dei paesi meno sviluppati sono la causa principale di instabilità economica e, quindi, di crisi sociale e di crescita della povertà. Se aggiungiamo che molti paesi africani vengono indotti ad acquistare armi e condotti a praticare la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali, spesso causate dall’interferenza dei paesi imperialisti, ci rendiamo conto che non vi è alcuna possibilità per l’Africa (del terzo mondo) di riscatto dallo sfruttamento economico perpetrato dalle potenze capitalistiche.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Fisac Cgil Chieti




Come funziona il sistema previdenziale: proviamo a spiegarlo in modo semplice

Nonostante le tante promesse di questo Governo in campagna elettorale, di fatto con la Legge di Bilancio l’Esecutivo è riuscito a peggiorare ulteriormente l’impianto previdenziale. E’ un tema di forte attualità presso le nostre aziende, sia per le numerose uscite per pensionamento che per gli accordi di esodo.

Per questo motivo, il Dipartimento Previdenza della Fisac Cgil ha predisposto una serie di slides che possono aiutare a comprendere i meccanismi alla base del nostro sistema pensionistico.

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Report Fisac Cgil, inflazione cala ma redditi da lavoro non recuperano

Susy Esposito: “Il mondo del lavoro fatica sotto il peso di un fisco ingiusto, 11 aprile sciopero”

Inflazione in calo, grazie alla flessione dei prezzi energetici, ma che tende a mantenersi alta nel carrello della spesa. Salari in recupero per effetto della contrattazione ma ancora abbondantemente lontani dal compensare il divario inflattivo. È il quadro delineato dalla nota congiunturale di marzo dell’Ufficio Studi  & Ricerche della Fisac Cgil che si inserisce in un quadro macroeconomico definito “high for longer“, ovvero fatto di tassi di interesse elevati per molto tempo.

In generale, osserva la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “l’ipotizzato rischio di forte recessione non si è, al momento, palesato nonostante una inflazione in lenta diminuzione e una politica monetaria che continua a essere restrittiva. Ma il mondo del lavoro fatica sotto il peso di un fisco ingiusto, che grava su dipendenti e pensionati e che incentiva l’evasione mentre intere categorie economiche continuano a non pagare le imposte dovute. Ed è anche per questo che sciopereremo l’11 aprile insieme alla Uil, perché ‘Adesso Basta!’, è ora di una giusta riforma fiscale”.

Inflazione e salari

L’incremento dei salari, spiega la nota congiunturale della Fisac Cgil, “seppur in recupero grazie alla contrattazione, è ancora abbondantemente lontano dal compensare pienamente il divario inflattivo: la decisa decelerazione dell’inflazione nel corso del 2023 ha ridotto la distanza tra la dinamica dei prezzi (Ipca) e le retribuzioni contrattuali a circa tre punti percentuali, meno della metà di quella osservata nel 2022”. Importante rilevare come questo dato, si legge, “sia fortemente influenzato dai rinnovi contrattuali dei settori pubblici, meno da quelli dei settori privati”.

Inoltre, prosegue la nota dell’Ufficio Studi & Ricerche Fisac Cgil, “alla fine del 2023, nei 44 contratti in vigore per la parte economica solo il 47,6% dei dipendenti totali (48% del monte retributivo) risultava coperto mentre ben 6,5 milioni di lavoratori (il 52,6%) attendono il rinnovo dei loro 29 contratti nazionali. Altro dato allarmante, rilevato sempre dall’Istat, è quello per cui il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, è aumentato dai 20,5 mesi di gennaio 2023 ai 32,2 mesi del dicembre 2023, in sintesi è andato perduto un ulteriore anno”.

Tassi bancari, depositi e prestiti

Tassi in calo, riporta la Fisac Cgil. L’Euribor a 3 mesi, che a novembre registrava una media del 3,98%, con un picco del 4% di metà mese, si attesta a un livello del 3,90%. Il tasso EurIRS a 10 anni, più sensibile alle dinamiche di lungo periodo, è collocato al 2,63% in discesa rispetto ai livelli di novembre 2023 (pari ad una media superiore al 3%). L’intera curva per durata di questi indicatori si trova oggi abbondantemente sotto la soglia del 3%; l’indicatore trentennale registra, a marzo 2024, valori intorno al 2,3%.

Il calo dei tassi di riferimento però, si rileva nella nota, “non ha ancora determinato una inversione di tendenza: il credito alle famiglie e alle società non finanziarie risulta, a febbraio 2024, ancora in contrazione del 2,7%. Secondo dati rilevati da Crif per il 2023 la domanda di mutui delle famiglie si è ridotta del 17,2% rispetto al 2022 mentre a settembre dello stesso anno i nuovi mutui erogati segnavano il -24% (-5,2% le surroghe)”. Interessante notare “come il 38,8% dei mutui richiesti sia di durata tra i 25/30 anni e che l’età dei richiedenti sia attestata tra i 45 ed i 75 anni per più di un terzo (35,4%) mentre i più giovani ne rappresentino meno del 30%”.

Qualità del credito e sofferenze

Nel primo mese del 2024 risultano in aumento le sofferenze bancarie al netto delle svalutazioni, come rilevato da Abi. L’incremento, pari a 2,2 miliardi di euro (+14,2% rispetto a dicembre 2023) è certamente collegato alle crescenti difficoltà del comparto piccole imprese nel far fronte al costo del credito. “Tuttavia, in termini assoluti, siamo ancora molto lontani – spiega la nota della Fisac Cgil – rispetto al picco di 88,8 miliardi di euro di sofferenze nette raggiunto dal sistema bancario italiano nell’ultimo trimestre 2015”.

Considerazioni

“Viviamo un momento di grandi contraddizioni – osserva la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito -. Alti tassi di interesse fanno aumentare il rischio di un ‘hard landing’, di un atterraggio critico, che presuppone recessione, perdita di posti di lavoro e impoverimento delle famiglie. Eppure queste conseguenze non si sono determinate: siamo in una dimensione di ‘soft landing’ dove però aumentano diseguaglianze e povertà e dove la ricchezza è sempre più polarizzata”.

Il nostro Paese, spiega Esposito, “è completamente immerso in queste contraddizioni, acuite dalle storiche carenze strutturali. Dopo alcuni ed eccezionali anni di crescita, frutto di politiche post pandemia, siamo tornati a valori poco superiori allo zero mentre viene consegnata agli effetti del Pnrr (e dei suoi ritardi ed incognite) una qualche risposta. Le politiche del Governo, che celebra apparenti tassi di occupazione e reddito più elevati, mentre la disoccupazione giovanile continua ad essere la seconda più elevata d’Europa e la precarietà imperversa, ignorano i bisogni della maggioranza di lavoratrici, *lavoratori e *pensionate/i, favorendo viceversa, attraverso il fisco, le fasce più benestanti della popolazione.

Adesso Basta: l’11 aprile sarà sciopero generale, conclude Esposito.

 

Scarica la nota congiunturale a cura dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil