Licenziati per un commento sui social

Si moltiplicano le sentenze sui lavoratori per i post contro le proprie aziende: “Rompono la fiducia col datore”.

Alla fine è arrivata la sentenza della Cassazione: licenziamento per giusta causa nei confronti di una impiegata di Forlì che sul suo profilo Facebook si era lasciata andare a uno sfogo contro la sua azienda:

“Mi sono rotta i coglioni di questo posto di merda e della proprietà”

è il post riportato sulla sentenza. Secondo i giudici, di carattere diffamatorio e tale da aver definitivamente incrinato il rapporto di fiducia tra dipendente e datore di lavoro. Non è però la prima volta né l’unico caso di licenziamenti e sanzioni disciplinari dovuti ai social network. Basta una breve ricerca per rintracciare una esplicativa casistica, come quella riportata dal sito Workengo, che si occupa di reputazione online. Ma partiamo da Forlì.

La vicenda risale al 2012. La donna pubblica sul suo profilo Facebook un post che nella sentenza della Cassazione viene riportato tra virgolette: “Mi sono rotta i coglioni di questo posto di merda e della proprietà”. Tra i suoi amici virtuali, però, c’è anche un collega nonché il legale della società. La donna cancella il post ma viene licenziata e la sanzione viene confermata in primo e in secondo grado.
“La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone – scrivono i giudici della Suprema Corte – pertanto la condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo”. Giusta causa, dunque. La difesa ha provato a spiegare che la donna, 43 anni e invalida al 67%, non era consapevole della eco che avrebbe avuto il suo sfogo, che credeva corrispondesse a una chiacchierata con un gruppetto di amici. La fine del rapporto di fiducia, spiegano i giudici, c’è indipendentemente dalla natura colposa della diffamazione. E anche se l’azienda non era citata direttamente, il destinatario era facilmente identificabile.

 

A Nichelino (Torino) nel 2015, una dipendente di una mensa scolastica condivide sul proprio profilo Facebook il post di un politico che denuncia il ritrovamento di insetti nella purea servita agli alunni. Si limita a commentare:

“Mah… io una polenta con aggiunta di scarafaggi non la mangerei volentieri”.

L’azienda se ne accorge e la licenzia (guadagnava 370 euro al mese) nonostante non avesse nominato la mensa in cui lavorava direttamente e nonostante avesse condiviso il post in un profilo con impostazioni di privacy private.

 

Nel 2014 era toccato invece a una dipendente della Perugina, licenziata per aver criticato un capo-reparto con un post su Facebook. Nel messaggio raccontava di aver sentito che diceva a un collega che per lui era necessario il collare. Nonostante le proteste sindacali, l’azienda non si era scomposta e, contro la dipendente (che era oltretutto una sindacalista) aveva sostenuto che il caporeparto stesse riprendendo il dipendente per la scarsa osservazione delle norme di sicurezza e igiene. “Da un esponente sindacale – aveva spiegato la Nestlé – che ha la responsabilità di rappresentare centinaia di persone che lavorano nel più grande stabilimento del Gruppo Nestlé in Italia, ci si attendeva il sostegno e non la critica agli sforzi rivolti a salvaguardare la sicurezza sul posto di lavoro, l’igiene e la qualità del prodotto”.

 

E ancora. Nel 2012 un operaio abruzzese era stato adescato su Facebook dal proprio capo “sotto mentite spoglie”. Il titolare aveva creato un falso profilo femminile sulla piattaforma e si era accorto che il dipendente aveva preferito chattare invece di occuparsi di una lamiera incastrata sotto una pressa. La Cassazione aveva riconosciuto legittimo lo strumento di “investigazione” anche perché il lavoratore avrebbe avuto anche in precedenza atteggiamenti d’allarme: “Il lavoratore – si legge nella sentenza – era stato sorpreso al telefono lontano dalla pressa cui era addetto ed era stata scoperta la sua detenzione in azienda di un dispositivo elettronico utile per conversazioni via Internet”.

 

I motivi dei licenziamenti a causa dei social sono, comunque, molti. “Attenzione anche a usare troppo i social durante l’orario di lavoro, non è una grande idea”, si legge su Workengo.

L’esempio è una sentenza del 2016 del Tribunale di Brescia in cui il datore di lavoro aveva calcolato che la sua dipendente ogni tre ore effettuava circa 16 accessi a Facebook sottraendo, secondo il giudice, tempo all’attività lavorativa e incrinando così il rapporto di fiducia tra lei e il suo datore di lavoro.
“Se poi siete assenti dal lavoro e pubblicate foto mentre fate aperitivo o siete al mare invece di essere sotto le coperte e stravolti dalla febbre come avevate assicurato – spiegano ancora gli esperti di Workengo – beh… non si può dire che il vostro licenziamento sia immotivato da molteplici punti di vista”.
E ricordano il caso del dipendente di Veneto Banca licenziato perché, dopo aver richiesto un permesso per stress psicofisico, era poi andato al concerto di Madonna.

Articolo di Virginia Della Sala su “Il Fatto Quotidiano” dell’8/6/2018

 

Sullo stesso argomento leggi anche

https://www.fisaccgilaq.it/banche/occhio-al-web-social-network-e-sanzioni-disciplinari.html

 

 

 




Agenzia Riscossione: il TAR rinvia a maggio 2019

Se ne riparlerà tra undici mesi.
La decisione sulla riforma che ha portato alla chiusura di Equitalia e alla creazione di agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader) sarà di nuovo all’esame dei giudici amministrativi l’8 maggio 2019.

A stabilirlo è stato ieri la prima sezione del Tar del Lazio a cui aveva rinviato la palla il Consiglio di Stato con l’ordinanza 3213/2017 (si veda Il Sole 24 Ore del 29 luglio scorso).

Un’ordinanza in cui nel parlare di «sollecita definizione della controversia nel merito» aveva chiesto al Tar di fissare l’udienza pubblica con «priorità». Alla fine l’udienza era stata fissata per ieri 6 giugno, solo che poche settimane prima si sono aggiunte nuove “carte”. In particolare a fine aprile è stata depositata la delibera del comitato di gestione di Ader con cui sono stati confermati gli atti assunti durante la gestione commissariale di Equitalia, ossia il periodo-ponte che ha portato alla chiusura della vecchia società per azioni (51% agenzia delle Entrate e 49% Inps) concessionaria della riscossione e al debutto dell’ente pubblico economico a partire dal 1° luglio 2017. Delibera contro cui Dirpubblica (il sindacato che ha promosso l’azione davanti ai giudici amministrativi contestando il passaggio del personale ad Ader fosse avvenuto senza concorso) ha presentato ricorso per motivi aggiuntivi. Iniziativa al cospetto della quale l’Avvocatura dello Stato ha ora ottenuto più tempo per poter presentare le controdeduzioni difensive.

La contesa, che vede tutte le principali sigle sindacali dei lavoratori della riscossione contrapposte all’iniziativa di Dirpubblica, è quindi rinviata all’8 maggio 2019: data in cui è stata convocata la nuova udienza del Tar del Lazio per decidere.

Dal canto suo, il segretario di Dirpubblica, Giancarlo Barra, chiede al nuovo Governo di «fare un passo indietro» in modo da consentire alla propria associazione di «ritirare il contenzioso».

Nel frattempo, spazio anche agli altri ricorsi al Tar promossi sempre da Dirpubblica contro stavolta agenzia delle Entrate. Il 27 giugno ci sarà l’udienza sulla richiesta di provvedimento cautelare contro l’istituzione delle nuove Poer (le posizioni organizzative a elevata responsabilità) mentre il 6 luglio si discuterà della vicenda del concorso per dirigenti.

Articolo di Giovanni Parente pubblicato su Il Sole 24 Ore del 7/6/2016




Riscossione tributi: approvati gli accordi sottoscritti

Venerdì 11 maggio si è conclusa la tornata delle assemblee unitarie tenutesi in tutto il territorio nazionale per presentare l’accordo di rinnovo del CCNL di settore e il CIA di Agenzia delle Entrate–Riscossione sottoscritti il 28 marzo u.s.

L’ampio confronto che ne è derivato, con il prezioso contributo di migliaia di colleghe e colleghi ha consentito un’analisi dettagliata dei risultati raggiunti ed una valutazione piena dei punti di forza così come di quelli di debolezza che gli accordi presentano.

Lavoratrici e lavoratori hanno espresso una valutazione significativamente favorevole: in particolare il 90,9% ha votato si, il 6,1% ha votato no, il 3% si è astenuto. Ovviamente i colleghi di Equitalia Giustizia hanno votato solamente per il CCNL di settore, ma la piattaforma di rinnovo del CIA è già stata presentata ed a breve verrà discussa.

Per quanto riguarda Riscossione Sicilia, che al momento della firma chiese tempo per sottoporre l’accordo alla valutazione degli organismi competenti, le OO.SS. nel loro insieme stanno premendo affinché sottoscriva a sua volta, auspicando che ciò possa avvenire a brevissimo.

La categoria ha quindi ampiamente approvato le due intese. In estrema sintesi sono stati generalmente valutati significativamente positivi il risultato economico, i diversi migliori spazi di rapporto tempi di vita e di lavoro e il nuovo trattamento del personale di sportello; sufficiente ma non del tutto soddisfacente la tenuta rispetto ai livelli inquadramentali; critiche e da seguire opportunamente le ricadute dei nuovi orari di sportello sulle condizioni di lavoro e sul rispetto dei tempi di chiusura e della pausa pranzo in presenza di una diffusa (e da tempo denunciata) carenza di organici.

E’ stata anche chiesta più ampia difesa delle condizioni dei quadri direttivi e un impegno a perseguire l’obiettivo di costruire condizioni più oggettive di valorizzazione professionale, ovvero percorsi professionali che consentano una migliore prospettiva di carriera ai vari livelli, mentre è risultato segnatamente apprezzato l’impegno a valutare la regolamentazione del regime di rimborso spese forfettario per gli ufficiali di riscossione e messi notificatori.

Ogni intesa, essendo necessariamente il risultato dell’incontro di esigenze diverse presenta luci ed ombre: i punti di debolezza non potranno che divenire oggetto di rinnovata particolare attenzione in occasione della predisposizione della prossima piattaforma contrattuale, i cui lavori potranno essere avviati già negli ultimi mesi dell’anno in corso.

In un periodo particolarmente difficile della vita economica e politica del Paese, e di ancora maggiore difficoltà per il nostro settore, sotto attacco quasi da ogni parte, l’impegno e la determinazione di tutte le colleghe ed i colleghi, insieme al lavoro della struttura sindacale unitaria nel suo insieme hanno consentito la difesa dell’identità e dell’autonomia della categoria e con essa un rinnovo contrattuale non scontato nella forma giuridica, il mantenimento del precedente impianto contrattuale, un importante incremento economico a livello nazionale e, per l’Ente Pubblico Economico, anche a livello aziendale.

Con riferimento alla volontà di assorbimento di diversi “ad personam” espressa da controparte, nei giorni scorsi le Segreterie nazionali hanno ribadito la richiesta alla Direzione dell’Ente di rivedere la propria posizione al fine di dare il giusto riconoscimento alle legittime aspettative dei colleghi.

Si coglie infine l’occasione per informare che l’atteso decreto previsto per la realizzazione di una previdenza aggiuntiva per il personale della categoria (di trasformazione della finalità del Fondo di previdenza nazionale) è stato finalmente redatto dai tecnici del Ministero del Lavoro e firmato dal Ministro Poletti e sta seguendo il proprio iter per il perfezionamento formale.

Roma, 18 maggio 2018

Le Segreterie Nazionali
FABI               FIRST/CISL               FISAC/CGIL               UILCA

Scarica il volantino




Contestazioni disciplinari: come comportarsi?

Comportamenti pratici in caso di contestazione disciplinare

Riteniamo opportuno fare qualche precisazione di carattere pratico, in particolare sulla  stesura delle controdeduzioni scritte e sull’ eventuale  colloquio. Si tratta ovviamente di nozioni generali, che devono essere adattate al singolo evento che in ogni caso fa storia a sé.

Contattare subito il proprio sindacalista

A fronte dell’avvio di una contestazione disciplinare emerge l’assoluta opportunità di prendere immediatamente contatto con il proprio rappresentante sindacale, per avere la necessaria assistenza prima di addentrarsi in una realtà che non solo è personalmente sgradevole ma è anche tecnicamente complessa ed incerta.

La trasparenza tra lavoratore e sindacato

In ogni caso ed in via del tutto preliminare, è necessario che il rapporto fra il rappresentante sindacale e  l’iscritto sia improntato alla massima trasparenza reciproca: il lavoratore deve esporre i fatti in modo veritiero e completo, in modo tale che anche il proprio rappresentante sindacale non incorra in errori di valutazione.

La difesa da parte del lavoratore

Il  lavoratore  ha  diritto –  entro 5 giorni  di  calendario dal ricevimento della lettera di contestazione, che  salgono a 15 giorni nel settore delle Assicurazioni – a formulare le proprie difese per iscritto o richiedendo un colloquio.
E’ opportuno che la lettera di controdeduzione sia redatta in maniera lineare e sintetica, senza polemiche; non serve tentare di smentire fatti oggettivi ed accertati, mentre potrà essere utile sottolineare problematiche che riguardano carenze organizzative/procedurali aziendali ed altresì eventuali lacune nella propria formazione.
Qualora siano già state fornite al proprio responsabile o alle funzioni ispettive alcune  spiegazioni sui fatti contestati, sarà opportuno tenerne conto nella stesura della lettera.
Inoltre è sempre da valutare con la  massima cautela il coinvolgimento di altri colleghi nelle proprie controdeduzioni.

Il colloquio  può dare una personalità fisica a quella che potrebbe altrimenti  apparire come una mera pratica burocratica dell’ufficio del personale, ma può anche essere per alcuni una situazione di stress.
La richiesta di colloquio permette però di avere qualche giorno in più per approfondire meglio la contestazione e preparare le proprie difese. Nel colloquio non esiste contraddittorio, e  l’azienda deve solamente verbalizzare le spiegazioni del lavoratore: è quindi sempre consigliabile arrivare al colloquio con  una traccia scritta delle proprie difese.
E’ possibile formulare le proprie difese in una lettera ed in più richiedere anche il colloquio. Tuttavia è importante che la richiesta del colloquio sia esplicita: inserire nella lettera di controdeduzioni frasi del genere “il sottoscritto è a disposizione per ogni ulteriore chiarimento” è da evitare, perché crea incertezza su quali  siano le concrete intenzioni del lavoratore.

Per approfondimenti rinviamo alla lettura della Guida alle responsabilità patrimoniali e disciplinari

Fonte: Gli Azzeccagarbugli, periodico informativo della FISAC Treviso




Solidarietà agli addetti alla vigilanza privata

Il 4 maggio si è svolto lo Sciopero degli Addetti alla vigilanza privata, Guardie giurate, Portavalori e Addetti alle portinerie per il rinnovo del loro Ccnl.

La categoria occupa 70.000 addetti coi quali spesso siamo in contatto per i servizi che svolgono in appalto per le nostre Aziende.

Alcune attività , fino a qualche anno fa, erano svolte da Lavoratori ricompresi nel ns/ Ccnl, al punto che sono ancora presenti i relativi inquadramenti.

I lavoratori chiedono un aumento medio di 120 euro e la costituzione di un livello intermedio tra Operai e Dirigenti.
La risposta datoriale, invece, prevede:

  1. Flessibilità di orario durante tutta la giornata con pause prolungate.
  2. Aumento dell’orario settimanale da 40 a 45 ore .
  3. Compressione dei permessi L 104.
  4. Cancellazione dell’orario minimo del parte time.
  5. Eliminazione della retribuzione nei primi tre gg di malattia.

Come Dipartimento Nazionale riteniamo inaccettabile le posizioni datoriali ed esprimiamo la nostra Solidarietà e vicinanza a tutti i lavoratori in vertenza con l’augurio che possano vedersi realizzate le loro giuste richieste.

FISAC/CGIL
Dipartimento nazionale Legalità

 

Scarica il volantino della Segreteria Nazionale Filcams




Riscossione: sintesi ipotesi di accordo del CCNL di settore e del CIA di AdER

In attesa, tra pochi giorni, delle assemblee unitarie alle quali parteciperanno – nei capoluoghi di regione – i segretari nazionali delle OO.SS. firmatarie, proponiamo una lettura semplificata degli accordi di rinnovo del CCNL di settore e del CIA di AdER sottoscritti lo scorso 28 marzo 2018.

Sintesi CCNL del 28/3/2018

Sintesi CIA del 28/3/2018

 

Leggi anche:

https://www.fisaccgilaq.it/esattoriali/riscossione-tributi-accordo-per-il-rinnovo-di-ccnl-e-cia.html

 




Riscossione tributi: accordo per il rinnovo di CCNL e CIA

Dopo anni di attesa, nella tarda serata di ieri è stata firmata l’ipotesi di accordo di rinnovo del CCNL del personale del settore riscossione.

Si tratta di un adeguamento indispensabile delle condizioni economiche e normative di quasi ottomila lavoratrici e lavoratori. L’intesa prevede aumenti tabellari a partire dal gennaio dell’anno in corso, un recupero economico del periodo pregresso, condizioni più aderenti alle mutate esigenze dei colleghi, del servizio e della cittadinanza.

Nella stessa serata è stato siglato anche l’accordo di rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale del personale di Agenzia Entrate – Riscossione.

Alla presente breve nota alleghiamo i testi sottoscritti.

Roma, 29 marzo 2018

 

Le Segreterie nazionali

 

Scarica il testo dell’accordo

Scarica accordo rinnovo CIA

Scarica il comunicato




Cassazione: lo stress da troppo lavoro va indennizzato

Le malattie contratte a causa dello stress lavorativo vanno indennizzate dall’Inail a prescindere dal fatto che le stesse siano o meno correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle.

L’ordinanza numero 5066/2018 della sezione lavoro della Corte di cassazione ci ricorda infatti che, con riferimento al rischio tutelato di cui all’articolo 1 del TU n. 1124/1965, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione ma anche il rischio specifico improprio, non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma con essa collegato (attività prodromiche e di prevenzione, attività sindacali, pause fisiologiche e così via).

LA CAUSA DI LAVORO

Ma non solo. Come riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione già con la sentenza numero 5577/1998 (e confermato poi dall’articolo 10, comma 4, della legge numero 38/2000), l’obbligo dell’assicurazione contro le malattie professionali vige per tutte le malattie, anche diverse da quelle indicate nelle tabelle allegate al testo unico o da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno contemplato dalle medesime tabelle. L’unica cosa che conta, infatti, è che delle malattie sia provata la causa di lavoro.

Di conseguenza, la possibilità per il lavoratore di provare l’origine professionale di qualsiasi malattia comporta necessariamente la scomparsa dei criteri selettivi del rischio professionale, “non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico”.

DISTURBI DELL’ADATTAMENTO

In definitiva quindi, nell’ambito del sistema del Testo Unico, possono essere indennizzate tutte le malattie fisiche o psichiche riconducibili al rischio del lavoro, riguardante sia la lavorazione, sia l’organizzazione del lavoro, sia le modalità con le quali il lavoro stesso si esplica. Ciò vuol dire che l’Inail deve pagare, come nel caso deciso con la sentenza in commento, anche i gravi disturbi dell’adattamento con ansia e depressione contratti a causa dello stress lavorativo dovuto a un numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario.

 

Fonte: studiocataldi.it




Molestie sui luoghi di lavoro

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, per ricordarci quanto sia lunga la strada da percorrere per arrivare ad una vera parità, pubblichiamo uno studio dell’Esecutivo Donne Fisac relativo alle molestie sui luoghi di lavoro.

 

Art. 26 Codice delle pari opportunità (D.lgs. 11/4/2006, n.198)
– Molestie e molestie sessuali
Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei
comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse
al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una
lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio,
ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali,
ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale,
espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o
l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e
di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o
offensivo.
Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno
favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di
aver rifiutato i comportamenti di cui ai commi 1 e 2 o di esservisi
sottomessi.

 

Molestie sui luoghi di lavoro: rapporto ISTAT

Il 13 febbraio 2018 è stata presentata dall’Istat un’indagine denominata “Multiscopo sulle Famiglie: Sicurezza dei cittadini”. Essa si colloca in una serie di osservazioni a cadenza quinquennale ed ha la finalità di conoscere sia la dimensione che la diffusione del fenomeno della criminalità, le conseguenze dei reati e la percezione che degli stessi hanno i cittadini. All’interno della suddetta indagine si trova un modulo riguardante le molestie a sfondo sessuale e i ricatti sessuali sul lavoro. Le precedenti furono realizzate nel 1997/98, nel 2002 e nel 2008/09.
Tuttavia, soltanto in questa ultima, che ha riguardato un campione di 50.350 persone tra i 14 ed i 65 anni, i quesiti sulle molestie sono stati rivolti anche agli uomini (15.764 donne e 16.347 uomini) ed in più, oltre alle molestie verbali, all’esibizionismo, ai pedinamenti, alle telefonate oscene e alle molestie fisiche sessuali, sono stati creati tre nuovi quesiti, volti a studiare il fenomeno delle molestie perpetrate via internet. Con riferimento al mondo del lavoro, sono stati, infine, rilevati i ricatti subiti solo dalle donne (in quanto tali) per essere assunte, per conservare il posto di lavoro e per ottenere avanzamenti di carriera.
Di seguito i dati più importanti:

  • 8 milioni 816 mila donne (il 43,6% del totale) hanno subito nel corso della vita una qualche forma di molestia sessuale, di queste 3 milioni e 118 mila negli ultimi 3 anni.
    Con riferimento alle sole tipologie di molestie rilevate nella precedente indagine (2008-2009) il fenomeno risulta in forte diminuzione passando dal 18,7% al 12,8%.
  • Gli autori delle molestie sessuali sono soprattutto uomini, in una percentuale del 97% se la vittima è una donna e del 85,4% se la vittima è un uomo.
  • Le molestie con contatto fisico (subite dal 15,8% delle donne), ossia quando le vittime sono baciate o toccate contro la loro volontà, sono perpetrate  nella maggior parte dei casi da estranei o da persone che si conoscono poco (60%).
  • La forma più diffusa di molestia rimane quella verbale, subita dal 24% delle donne e dall’ 8,2% degli uomini.
  • Molto diffuse sono risultate anche le molestie effettuate tramite web: il 6,8% delle donne ha ricevuto offese e commenti osceni sui social network.
  • 2 milioni di persone, pari al 5% della popolazione tra i 14 e i 65 anni, hanno subito molestie quando erano minorenni (7,8% delle donne e 2,2% degli uomini). Il 42,7% delle donne molestate e il 62,1% degli uomini molestati non ne hanno parlato con nessuno al momento del fatto. Quando ne hanno parlato, lo hanno fatto con familiari o amici e – molto raramente (solo lo 0,2% degli uomini e l’1,3% delle donne) – con figure specializzate, quali medici, psicologi, avvocati, forze dell’ordine o centri antiviolenza.
  • Con riferimento al mondo del lavoro, si stima che siano 1 milione 404 mila, ossia l’8,9%, le donne che hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro (425 mila negli ultimi 3 anni) da parte di un collega o del datore di lavoro.
  • Con riferimento ai soli ricatti sessuali sui luoghi di lavoro si stima che, nel corso della vita,1 milione 173 mila donne, cioè il 7,5%, ne siano state vittime, in fase di assunzione, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere una progressione di carriera. Le più colpite sono state le donne laureate (8,5%) e le donne tra i 35 ed i 44 anni (8,6%) e tra i 45 e i 54 anni (8,9%). Con riferimento all’ultimo triennio, le vittime sono state 167 mila, ossia l’ 1,1% delle donne che lavorano o che hanno lavorato in passato. Nella quasi totalità dei casi, autore del ricatto sessuale nei confronti delle donne è un uomo e, con rifermento a tutti i tipi di ricatti sessuali sul lavoro, il 32,4% viene ripetuto con cadenza giornaliera o, comunque, più volte a settimana. Al centro e al nord-est si rilevano le percentuali più alte, rispettivamente il 13,5% e l’8,3%. Le professioni maggiormente colpite sono le
    professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, dirigenti, impiegati, professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi. Ci sono quindi delle professioni in cui è più probabile che si verifichino molestie e paradossalmente queste sono nell’ambito delle professioni più qualificate.
  • In generale, la percezione della gravità delle molestie fisiche subite è profondamente diversa tra donne e uomini: il 74,6% delle donne le considera molto o abbastanza gravi, mentre per gli uomini la percezione di gravità si attesta al 47,2%.

A distanza di sette anni dall’ultima indagine che cosa è cambiato?

  • E’ diminuito dal 33,4% al 10,5% il tasso di vittimizzazione per le telefonate oscene, anche grazie alla costante crescita negli ultimi 20 anni del possesso dei cellulari, a discapito delle linee telefoniche fisse, e alla possibilità di rintracciare il chiamante attraverso la visualizzazione del numero.
  • Anche il numero delle vittime di molestie fisiche è diminuito passando dal 5,7% del 1997/1998 al 2,7% del 2015/2016 probabilmente sia grazie ai mutamenti legislativi, che hanno trasformato il quadro normativo rafforzando le tutele, sia per la costante crescita di consapevolezza del fenomeno da parte delle donne.
  • Le molestie fisiche sul luogo di lavoro, con riferimento agli ultimi tre anni di osservazione, ossia 2013-2016, sono leggermente superiori (8,9%) rispetto a quelle del periodo precedente (2008-2009) in cui le vittime erano l’8,5%.
  • Nel 2015-2016, dopo una fase in cui erano diminuiti (2002), aumentano di nuovo i ricatti sessuali subiti nel corso della vita.

Le caratteristiche del reato di molestia sono ben indicate all’art. 26 del codice di pari opportunità che, adeguandosi alla normativa europea, oggi prevede che, ai sensi della legge, conta solo il punto di vista del molestato e non quello del molestatore. Non occorre, infatti, indagare sulla motivazione che spinge un soggetto a molestare: se il comportamento vìola la dignità di una persona si tratta di molestia. Non occorre nemmeno che ci sia dolo, è sufficiente l’effetto. La prospettiva, quindi, è stata rovesciata rispetto al passato, quando spesso, il reato veniva banalizzato, ridotto superficialmente a semplice comportamento scherzoso o inoffensivo.

Le donne però continuano a non denunciare !

Nell’ 80,9% dei casi, la donna che subisce un ricatto sessuale non ne parla con nessuno sul posto di lavoro (dato rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’indagine precedente che riportava una percentuale dell’81,7%).

I motivi per i quali le donne non denunciano i ricatti sessuali subiti sono legati alla scarsa gravità attribuita all’episodio (27,4%), alla mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine (23,4%), alla scelta di rinunciare al posto di lavoro per non subire il ricatto (19,8%), all’essere state capaci di cavarsela da sole o con l’aiuto di familiari (18,6%) e, infine, dalla paura di essere giudicate male (12,7%).

Secondo la psicologa e sociologa Inés Hercovich, le donne hanno paura di parlare perché: “è forte in loro la convinzione che nessuno crederebbe alla storia”. Quando una donna racconta la violenza subita suscita nell’ascoltare una sensazione di orrore e disgusto, cose che scioccano, che nessuno vorrebbe mai sentire. Cose che si preferisce non sapere per non doverci fare i conti.
Diversa è la situazione che si viene a creare quando si legge la notizia di uno stupro su un quotidiano. In questo caso il lettore immagina si tratti di una donna giovane e bella e di un uomo depravato appartenente alla feccia della società. Dunque si muove lungo i binari di stereotipi ben conosciuti, che non causano sconvolgimenti eccessivi ma solo un senso di fastidio, quasi come se in quella scena non fossero presenti esseri umani. Manca purtroppo la convinzione da parte delle donne di essere credute, di essere tutelate. Manca una cultura tale che gli eviti qualsiasi giudizio, come fosse colpa loro. Inoltre, se la donna denuncia sa che molto probabilmente verrà allontanata dal suo posto di lavoro e quindi tenta di conservarlo. La maggior parte delle denunce, infatti, arrivano da donne che hanno già lasciato quel lavoro.”

In questo quadro, è fondamentale evidenziare il ruolo che possiamo svolgere come
sindacato,facendoci promotori costanti di iniziative di lotta alla violenza di genere, con particolare attenzione al mondo del lavoro ed alle molestie che in esso trovano terreno fertile. Combattere la cultura del potere e della prevaricazione, eliminare le disuguaglianza nel mondo del lavoro, significa però anche permeare di prospettiva di genere l’intera contrattazione, significa proporre nelle aziende una formazione continua mirata al rispetto e all’uguaglianza di genere così da arginare questo”eccesso di indifferenza generale”, conferendo alla lotta alla violenza e alle discriminazioni una maggiore legittimità sociale.

Roma, Febbraio 2018

Esecutivo Donne Fisac

 

Scarica il documento




Assenze per maltempo: va provata l’impossibilità di recarsi al lavoro

Nei giorni scorsi il nostro Paese è stato colpito da una forte ondata di maltempo, con abbondanti nevicate anche a quote basse.
Qual è il comportamento corretto da adottare in queste situazioni?

Il rischio maggiore per il lavoratore può nascere dalla convinzione che la calamità naturale lo giustifichi automaticamente nel non andare al lavoro, mantenendo però intatto il diritto alla retribuzione per la giornata non lavorata, come se si trattasse di un giorno di ferie. Come vedremo non è così.
Con un’ondata di maltempo come quella di questi giorni, può succedere che sia proprio impossibile raggiungere il posto di lavoro, o che il datore non riesca ad aprire la sua azienda, anche se i dipendenti si sono presentati puntualmente.
Ma cosa succede al lavoratore dipendente che non si reca al lavoro causa maltempo eccezionale? E come deve comportarsi il datore di lavoro?

Se si verifica un’abbondante nevicata che rende impossibile l’accesso al luogo di lavoro, ad esempio danneggiando lo stesso edificio dell’ufficio, siamo di fronte all’impossibilità di effettuare la prestazione lavorativa. In questi casi il lavoratore non può considerarsi inadempiente, ma non ha diritto alla retribuzione. Trattandosi di causa di forza maggiore, di solito interviene la cassa integrazione, in particolare, nel caso di aziende che appartengono al settore industriale.

Se invece il lavoratore è bloccato per strada dalla neve o dal ghiaccio deve provare al datore la situazione che gli impedisce di essere presente al lavoro. Sarà, dunque, opportuno che chi è rimasto intrappolato nei disagi provocati dalle nevicate di questi giorni presti massima attenzione a quanto previsto da leggi e contratti collettivi.

Diverso è il caso della difficoltà di recarsi al lavoro dovuta, ad esempio, a un’abbondante nevicata sul tragitto da casa al lavoro o a uno sciopero nel trasporto pubblico. Nel caso di impossibilità assoluta di recarsi al lavoro si deve comunque provare che non era possibile raggiungere il posto di lavoro nemmeno con mezzi alternativi; il criterio per valutare il comportamento del lavoratore è comunque sempre quello della buona fede.
Se in questi casi il lavoratore non si presenta in azienda potrebbe, quindi, essere considerato inadempiente ma naturalmente la situazione va valutata caso per caso. In alcuni casi il datore di lavoro propone di utilizzare un giorno di ferie e la richiesta è perfettamente lecita: infatti non è onere del datore di lavoro la problematica per raggiungere la sede in caso di maltempo.

Qualora ritenga che l’assenza non sia adeguatamente giustificata, il datore di lavoro può pensare all’inadempienza volontaria e agire legalmente per tutelarsi. L’inadempienza di un contratto di lavoro, infatti, può spingere la parte danneggiata a puntare sulla risoluzione. E’ evidente comunque che se la mancanza del lavoratore in una giornata non ha compromesso irrimediabilmente l’attività dell’azienda, difficilmente potrà essere accettata la risoluzione del contratto. Più probabile che si opti per una sanzione, anche perché la maggior parte dei contratti collettivi prevede che il licenziamento si applichi solo ad assenze ingiustificate di almeno tre giorni.

Il consiglio per il lavoratore che si trovi nell’impedimento di recarsi sul posto di lavoro è di muoversi secondo buon senso, comunicando all’azienda in maniera tempestiva l’assenza e le motivazioni, anche perché i contratti collettivi e quelli aziendali prevedono un monte ore di permessi annui da utilizzare proprio in queste occasioni.

Quindi:

  • chiamare subito il datore di lavoro o l’ufficio personale dichiarando i motivi dell’impossibilità a recarsi sul posto di lavoro.
  • In caso di rapporti non sereni con il datore di lavoro, avvisare per iscritto (fax, email, sms, raccomandata a/r avendo cura di far apporre sulla ricevuta anche l’orario dell’inoltro)
  •  In caso il datore di lavoro non accetti la giustificazione oggettiva di impossibilità a recarsi sul posto di lavoro, contattare immediatamente il proprio rappresentante sindacale che interverrà presso il datore di lavoro per cercare una mediazione.

 

Fonte: Bloglavoro.com