Fondo Pensione BCC. Comparto garantito “Orizzonte 5”: a chi giova la chiusura?

Sta circolando in questi giorni un volantino a firma “FABI Coordinamento Regionale BCC Lombarde” che, oltre ad annunciare la paventata prossima chiusura del Comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) del nostro Fondo Pensione Nazionale, imporrebbe ai colleghi l’obbligo, entro il 30 giugno 2019, di trasferire quanto eventualmente accumulato nel Comparto Garantito negli altri comparti di investimento.

Il comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) raccoglie oggi circa 800 Milioni di Euro (il 36% del patrimonio del Fondo), con una alimentazione annuale di flussi contributivi che si aggira intorno ai 77 Milioni di Euro, pertanto tale comparto registra il sicuro gradimento di una consistente platea degli aderenti che va ben oltre gli importi del TFR inoptato per il quale lo stesso comparto era stato in origine avviato.

Parlando poi di chiusura del comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”), tra l’altro, sarebbe corretto dire anche che ciò impedirebbe al Fondo di raccogliere il TFR inoptato, salvo fare altra gara per aprire un comparto con la garanzia minima prevista per legge.

Lo stesso volantino motiva la chiusura del comparto Garantito (“ORIZZONTE 5”) con il fatto che il bando di gara indetto nei mesi scorsi dal FPN, riguardante il rinnovo delle convenzioni tra le compagnie assicuratrici che ne gestiscono attualmente le risorse ed in scadenza il 30 giugno 2019, sia andato deserto.

Anche un osservatore non esperto della materia avrebbe rilevato che le condizioni/garanzie richieste nel bando sono da tempo non più reperibili sul mercato assicurativo; a conferma di questo vale la pena ricordare che non più tardi di quattro anni fa, lo stesso Fondo Pensione ha sottoscritto due nuovi contratti con altrettante compagnie assicuratrici, al rendimento minimo garantito dello 0,50%.
Non si comprende, quindi, come oggi lo stesso Fondo Pensione Nazionale possa richiedere la condizione di rendimento minimo garantito pari al 2,25% annuo per una durata di 5 anni.
È di tutta evidenza che l’epilogo, negativo, era scontato ancora prima della pubblicazione del bando stesso.

Altra cosa invece sarebbe stata, come del resto stanno operando altri Fondi Pensione, aprire un confronto anche con gli attuali gestori (ben 5 compagnie!) per discutere condizioni più attuali per continuare a fornire agli aderenti un comparto a loro gradito.

Vi rappresentiamo che il nostro comparto garantito è di ramo V° con sottostanti gestioni interne separate che, soprattutto ora con tassi allo zero, continua a consolidare sulla posizione degli iscritti i rendimenti positivi intorno al 3% lordo con i rischi tutti a carico delle Compagnie di Assicurazione. Tutt’altra cosa sono le gestioni finanziare i cui rischi di gestione si riflettono immediatamente sugli iscritti.

Per tutte queste ragioni, qualsiasi tentativo di forzatura sulla scelta di comparti diversi dal Garantito (“ORIZZONTE 5”) appare pretestuoso, arbitrario e non rispettoso della autonomia che ogni singolo aderente esercita nella scelta di allocazione dei propri risparmi previdenziali.

Riteniamo, pertanto, doveroso raccomandare di non tenere assolutamente in conto quanto riportato nel predetto comunicato e di attendere, eventualmente, una corretta e puntuale informativa da parte dell’unico soggetto legittimato a tale attività’ di informazione: il Fondo Pensione Nazionale.

Su questo tema, abbiamo inoltre notizia che la stessa FABI sta svolgendo assemblee su tutto il territorio nazionale con la partecipazione, in alcune di esse, della struttura del Fondo Pensione. Auspichiamo che ciò favorisca, a differenza di quanto arbitrariamente affermato nel volantino, una corretta comunicazione su un tema così delicato che riguarda i risparmi previdenziali delle lavoratrici e dei lavoratori del Credito Cooperativo.

Nella certezza che questa nostra comunicazione costituisca un utile contributo alle opportune riflessioni che ciascuno deve liberamente effettuare e ricordando che

la scelta di allocare i propri risparmi previdenziali
deve rimanere una opzione individuale:
LIBERA, CONSAPEVOLE e basata sul PROPRIO PROFILO DI RISCHIO!

Le nostre strutture sindacali sono a disposizione per fornire a tutti i chiarimenti che dovessero necessitare.

 

FISAC CGIL Coordinamento Nazionale Credito Cooperativo

 

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Quota 100 e fondo sostegno al reddito: resterà tutto invariato?

La riforma delle pensioni con la quota 100 e il reddito di cittadinanza saranno contenuti in due specifici provvedimenti normativi, collegati alla manovra finanziaria. Lo anticipano fonti vicine all’esecutivo rilanciate da diverse agenzie di stampa. Il testo della legge di bilancio verrà inviato questa sera, o al massimo domani, in Parlamento ma non avrà al suo interno il delicato capitolo sulla previdenza e sul reddito di cittadinanza, per il quale probabilmente il Governo ha bisogno di più tempo.
La bozza della Legge di bilancio conferma, invece, le coperture economiche con l’istituzione di due fondi da 9 miliardi per il reddito e di 6,7 miliardi (7 miliardi dal 2020) per le pensioni. Nella nuova bozza si precisa che “nell’ambito del Fondo per il reddito di cittadinanza, fino a 1 miliardo nel 2019 e 2020” va ai centri per l’impiego, “fino a 10 milioni” all’Anpal. Come già anticipato ieri sulle pagine di questo giornale l’esecutivo punta ad introdurre la quota 100 con 62 anni e 38 di contributi a partire dal 2019 con quattro finestre annue di accesso per i lavoratori del settore privato e due per i dipendenti pubblici. Naturalmente nel settore scolastico la finestra di accesso resterebbe unica al 1° settembre 2019 (1° novembre 2019 per il comparto Afam).

Con la quota 100 torna pure il divieto di cumulo reddito/pensione: chi sceglierà il pensionamento anticipato non potrà cioè cumulare reddito da lavoro dipendente o autonomo (ad eccezione di piccoli impieghi come, ad esempio, il lavoro occasionale o comunque entro un limite di 5mila euro annui) per un periodo di 24 mesi dalla data di pensionamento; obiettivo rafforzare il ricambio generazionale nelle imprese e nelle pubbliche amministrazioni.

Altra novità a cui starebbe lavorando l’esecutivo è impedire l’accesso alla quota 100 per i lavoratori in isopensione ai sensi dell’articolo 4 della legge 92/2012. La precisazione sarebbe fonte di due conseguenze: da un lato chi si trova nell’esodo continuerà a restarci sino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o la pensione anticipata come al momento dell’adesione allo scivolo (scivolo che attualmente può durare sino a sette anni) ancorchè maturino i requisiti per la quota 100. In sostanza le aziende che hanno accettato l’esodo dovranno continuare a farsi carico del pagamento dell’assegno e del versamento della contribuzione correlata senza poter profittare delle nuove norme. In secondo luogo, in futuro non si potrà far partire l’esodo considerando la data di maturazione del requisito della quota 100.

 

Fonte: www.pensionioggi.it

 

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CCNL Credito Cooperativo: prosegue il confronto, ma la strada è in salita

Dopo l’incontro della giornata del 19 settembre u.s., che aveva fatto registrare la convinta volontà di Federcasse di riprendere un serrato e proficuo confronto per il rinnovo dei CCNL e per la valorizzazione dei “beni comuni” del Credito Cooperativo, le Organizzazioni Sindacali hanno incontrato nuovamente Federcasse in data 15 ottobre u.s.. In tale giornata si è convenuto di istituire una commissione tecnica sul tema riguardante la revisione del regolamento del Fondo di Sostegno al Reddito, che ha già iniziato i propri lavori, ed è stato inoltre fissato un nuovo incontro di trattativa per il giorno 29 ottobre.

Ieri quindi, abbiamo incontrato la delegazione sindacale di Federcasse ed abbiamo registrato, senza alcuno stupore da parte nostra, come l’impegno di Federcasse per i rinnovi dei CCNL sconti al momento le difficoltà di sintesi che attanagliano il sistema del Credito Cooperativo.

Federcasse, nel confermare la volontà di rinnovare i CCNL, ha dichiarato la contestuale necessità di ricercare soluzioni economiche e normative che diano opportunità alle esigenze del Credito Cooperativo, riproponendo al tavolo temi e soluzioni che pensavamo oggettivamente superati dalle mutate condizioni di sistema.

Nel nostro precedente comunicato avevamo espresso l’auspicio che la piena conoscenza delle novità, delle opportunità e delle necessità, rivenienti dall’attuazione della Riforma, potesse allontanare qualsivoglia tentativo di strumentalizzazione ma, da queste prime avvisaglie, sembrerebbe non sia così!

Come Fisac CGIL restiamo convinti che in un momento così importante nella vita del Credito Cooperativo non si debba ricercare la massimizzazione del vantaggio contingente e non ci si possa limitare a percorsi di confronto focalizzati esclusivamente sui costi e sulla flessibilità deregolata.

Per questo continueremo a verificare, tempo per tempo, le possibilità di proseguire il confronto nel merito delle questioni, non sottraendoci ai futuri incontri che sono stati comunque calendarizzati, garantendo sempre e comunque la nostra presenza nonostante gli impegni riguardanti la fase congressuale della CGIL.

Ma il prosieguo del confronto deve essere improntato alla ricerca di soluzioni imperniate sul valore del lavoro, sulla dignità della persona, sulla valorizzazione e la praticabilità della vera democrazia economica; obiettivi questi realizzabili solo con l’imprescindibile contributo delle lavoratrici e dei lavoratori, attraverso il loro fattivo cosciente e pregnante coinvolgimento, con la partecipazione attiva e non già con la compressione dei loro diritti, della professionalità o del reddito.

Per dare un futuro al Credito Cooperativo bisogna dare un ruolo, da protagonisti, alle lavoratrici ed ai lavoratori di questo sistema ed il rinnovo dei CCNL, per la Fisac CGIL, non potrà che ispirarsi a tale principio.

Roma, 30 Ottobre 2018

 

Coordinamento Nazionale Fisac/Cgil del Credito Cooperativo

 

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La Banca sbaglia? Paga il direttore

La notizia è stata pubblicata lo scorso 13 ottobre dal quotidiano “Il Centro”, e rappresenta un preoccupante campanello d’allarme per tutti i lavoratori che ricoprono il difficile ruolo di titolari di agenzie.

Un direttore di filiale di una banca operante nel territorio abruzzese è stato denunciato con l’accusa di usura a danno di un imprenditore commerciale, e dovrà presentarsi davanti al GUP che deciderà se rinviarlo a giudizio.

Questa l’accusa:

“Nell’esercizio delle sue funzioni di direttore erogava all’imprenditore un mutuo di 230mila a condizioni usurarie in quanto veniva erogato con una pattuizione, ab origine, di interessi e vantaggi complessivamente superiori al tasso di soglia usuraria, poiché la sommatoria tra interessi corrispettivi, spese di istruttoria, spese di assicurazione incendio e costi relativi alle garanzie collaterali prestate da Fidimpresa Abruzzo determinavano un taeg sistematicamente superiore al 14 per cento tra il 30 aprile 2011 e il 29 febbraio 2012 (tsu nello stesso periodo oscillante tra il 7 e il 10 per cento).
Determinando una sproporzione tra il costo del denaro e il prestito elargito: tenuto conto della finalità del mutuo (di consolidamento precedente esposizione debitoria) e trovandosi l’imprenditore nella evidente impossibilità di onorare la rata (1.774 euro mensili, contro un reddito pari a 17.128 euro annui); dunque in evidente stato di difficoltà economica e finanziaria».

Ricapitoliamo: cos’ha fatto questo direttore?
Ha impostato un mutuo, deliberato ovviamente dei competenti organi della Banca, destinato alla rimodulazione di un precedente debito che l’imprenditore non riusciva a pagare. Si tratta di operazioni relativamente comuni, con le quali si cerca di evitare gli atti legali a carico di imprese che presentano situazioni di difficoltà, allungando la durata rispetto al finanziamento originale ed acquisendo nuove garanzie (nel caso specifico la fideiussione di Fidimpresa Abruzzo).

Il Direttore della Filiale non ha di norma alcun margine per decidere le condizioni da applicare a finanziamenti del genere, in quanto le stesse sono determinate a monte dagli accordi stipulati dalla banca con il Confidi.

Stando a quanto riportato dalla stampa, sembrerebbero esserci delle evidenti responsabilità della banca: prima di tutto per aver previsto condizioni apparentemente molto superiori rispetto ai tassi soglia oltre i quali scatta l’usura, poi per non aver predisposto nessun controllo in tal senso, né in fase di redazione della pratica, né prima della stipula e neanche a posteriori.

E invece, a finire davanti al Giudice sarà un dipendente colpevole di aver fatto il proprio lavoro, che non avrebbe potuto svolgere in modo diverso.

Ci sono già stati casi del genere, anche nel nostro territorio. Fino ad oggi, i Giudici hanno sempre prosciolto i lavoratori dalle accuse che venivano loro rivolte, per cui possiamo sperare che anche in questa occasione il buon senso prevalga.

Consigliamo comunque a tutti coloro che si occupano di finanziamenti di verificare, prima dell’erogazione, che il TAEG non superi il tasso soglia, ed in quel caso di informare i propri superiori, astenendosi dal perfezionare l’operazione se il costo complessivo del finanziamento non viene ricondotto entro i limiti di legge.




Banche piene di titoli di Stato: perché lo spread fa paura

Gli istituti, in 7 mesi, hanno aumento di 50 milardi il debito pubblico in pancia. C’è il rischio di una nuova tornata di aumenti di capitale e del taglio dei prestiti a famiglie e imprese.

 

Il timore di tornare indietro di sette anni

Di fatto con i loro acquisti le banche italiane hanno rimesso in moto il triste copione della crisi del debito sovrano del 2011. Lo spread volato sopra i 500 punti indusse infatti molti detentori esteri a liberarsi delle posizioni sull’Italia e il nostro sistema finanziario, banche e assicurazioni, finì per immolarsi sull’altare della stabilità. Senza l’apporto degli acquisiti controcorrente delle banche chissà cosa sarebbe accaduto ai destini della tenuta del nostro debito da 2.300 miliardi. Un ruolo improprio che ha fatto di necessità virtù ma con un contraccolpo feroce: appaiare sempre più il rischio sovrano a quello bancario. Come in un’osmosi perfetta. E pericolosa. Come non ricordare che al picco della crisi post 2011 il sistema bancario era arrivato a superare i 400 miliardi di titoli di Stato nei bilanci? Il doppio dei livelli abituali pre-crisi. Consegnando mani e piedi delle banche ai capricci dello spread. Un legame vizioso e perverso che se da un lato ha evitato il crac del Paese ha reso le banche vulnerabili. E ora con 50 miliardi in più acquistati negli scorsi mesi il sistema bancario è sempre più vicino a replicare lo schema del 2011.

Del resto non sembrano esserci molte alternative. Chi può sostituire i fondi d’investimento stranieri in fuga? Le famiglie forse? Ora, ogni volta che lo spread prende il volo verso l’alto le banche segnano perdite sul loro patrimonio. Gli analisti stimano che per ogni 100 punti base di rialzo del differenziale di rendimento le banche accusino svalutazioni del loro capitale di base per 30 punti base. E se il capitale viene eroso accadono due cose: le banche potrebbero essere costrette a una nuova tornata di aumenti di capitale e soprattutto si creano le premesse per un nuova stretta creditizia su imprese e famiglie.

 

I bond sono due volte il capitale degli istituti

Quel numero del controvalore dei Btp in pancia alle banche da solo dice poco. Ma se rapportato al capitale ci racconta che gli oltre 370 miliardi di titoli di Stato valgono come aggregato quasi 2 volte il patrimonio degli istituti. Un peso notevole che le espone molto ai capricci del rialzo dei rendimenti che svaluta i titoli e intacca il patrimonio. Solo le prime 5 banche italiane possedevano a fine giugno quasi la metà dello stock complessivo. Intesa la prima banca italiana per redditività e solidità ha tra portafoglio bancario e assicurativo 82 miliardi di titoli del debito italiano. UniCredit ne ha per 55 miliardi; Monte dei Paschi di Siena ne possiede 21 miliardi, in crescita sui 17,6 miliardi di fine 2017; Ubi ha 9,9 miliardi e BancoBpm ne possiede per 19 miliardi.

Le due grandi banche hanno mantenuto nel primo semestre più o meno identici i pesi, mentre Mps ha incrementato di 3,5 miliardi gli acquisti e Ubi e BancoBpm hanno alleggerito di un 10% entrambe l’esposizione. Il tema di fondo non è il peso in sé ma il suo rapporto con l’attivo di bilancio e il capitale soprattutto. Mps che non a caso è banca pubblica ha il rapporto più sbilanciato: i 21 miliardi di bond governativi italiani in portafoglio valgono il 230% del capitale e il 15% dell’intero attivo di bilancio. Ovvio che la banca di Siena finisce per essere la più esposta ai rialzi dello spread.

 

Il rischio di un nuovo credit crunch

Ma il tema del legame simbiotico con il debito pubblico non riguarda solo eventuali deprezzamenti di capitale. Riguarda anche il futuro dell’industria del credito e dei suoi rapporti con l’economia reale. Le banche, come fatto in tutte le precedenti crisi, possono a fronte di incertezze future sul capitale stringere i cordoni del credito. Fare delevereging come si dice in gergo. Un nuovo credit crunch potrebbe riapparire sulla scena. Non che quello vecchio sia passato. Tuttora mancano all’appello 70 miliardi di stock di prestiti a imprese e famiglie. Il monte crediti era nel 2013 di 1.414 miliardi. A fine 2017 siamo fermi a 1.347 miliardi. In caduta i prestiti alle imprese per almeno 100 miliardi compensati in parte dal buon andamento dei mutui alle famiglie. Solo per dare un’idea UniCredit ha ridotto dal 2013 al 2017 i crediti alla clientela per 55 miliardi; Mps per 40 miliardi su uno stock di 131 miliardi (-30% in 5 anni). Solo Intesa è andata controcorrente incrementando del 19% il suo stock di crediti passato da 344 miliardi del 2013 a 411 miliardi di fine 2017. Una nuova stretta del credito per un Paese che sta frenando sulla crescita può aprire le porte a una nuova recessione.

 

Articolo di Fabio Pavesi su “Il Fatto Quotidiano” del 10/10/2018

 




Il direttore di banca che rubava ai ricchi per aiutare i poveri

Sta ottenendo una rilevanza nazionale la storia di Gilberto Baschiera, il direttore della filiale di Forni di Sopra della Banca di Carnia e Gemonese del Credito Cooperativo. I media nazionali (dal Corriere della Sera e La Repubblica), così come quelli locali, l’hanno definito come una sorta di ‘Robin Hood’ in salsa moderna, che rubava dai conti correnti dei più ricchi per donare ai più bisognosi. Una ‘generosità’ che in sette anni ha fatto sparire un milione di euro e che gli è costata una condanna a due anni di reclusione risoltasi con un patteggiamento con pena sospesa con la condizionale. Oltre, ovviamente, al licenziamento in tronco appena la banca si è accorta degli ammanchi e al sequestro della casa.

 

UNA RIBELLIONE AL SISTEMA

Tutto è cominciato, come ha spiegato lo stesso direttore, nel 2009 per una sorta di ribellione al sistema, per non abbandonare i pensionati con la minima e i giovani senza futuro. E così ha pensato bene di fare a modo suo, ‘distribuendo’ risorse alla ricerca di una sorta di equità sociale.
«Li avrei restituiti tutti quei soldi», assicura. Così il suo legale, Roberto Mete, spiega il gesto del suo cliente: «Lo ha fatto per aiutare correntisti in difficoltà o che non riuscivano ad accedere al credito bancario. Vive in un piccolo paese, dove tutti si conoscono, l’ha fatto per fare del bene».

 

GENEROSITA’ FUORILEGGE

E in effetti Baschiera quel denaro non l’ha tenuto per sé, ma l’ha dato a chi difficilmente avrebbe ottenuto un prestito dalla banca. Una ‘generosità’ fuorilegge, che è sta costando molto casa all’ex direttore di banca.

Fonte: udine.diariodelweb.it




Assegni privi della clausola “non trasferibile”

Negli ultimi mesi, numerosi lavoratori di banca hanno ricevuto comunicazione con la quale si contestava l’omessa segnalazione di un’operazione di versamento di un assegno d’importo superiore a 1000 euro, al quale non era stata apposta la dicitura “non trasferibile”.

Tali comunicazioni provengono dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite le Ragionerie Territoriali dello Stato competenti dal territorio.

Si tratta di comunicazioni non omogenee: in qualche caso sono state notificate al solo cassiere che ha eseguito l’operazione; in altri casi sono state notificate al cassiere ed al direttore della filiale quale legale rappresentante; in altri casi ancora sono state notificate al cassiere ed alla banca.

Tutte le comunicazioni contengono sempre due indicazioni:

  • La possibilità di estinguere il procedimento con il pagamento di un’oblazione pari a un terzo del massimo oppure al doppio del minimo;
  • La possibilità di inviare entro 30 giorni una memoria difensiva, nella quale è anche possibile richiedere di esporre a voce le proprie difese.

 

Normativa sanzionatoria.

La normativa di riferimento è il cosiddetto “decreto antiriciclaggio” – o meglio, con dizione più precisa – il decreto legislativo n. 231/2007 (art. 49 commi 4 e 5; art. 51 comma 1; art. 63 comma 5), recentemente modificato col decreto legislativo n. 90/2017.

La modifica del maggio 2017 – fra l’altro – ha inasprito pesantemente le sanzioni, che per le mancate segnalazioni di assegni trasferibili d’importo superiore a 1000 euro sono ora pari a un minimo di 3.000 euro e ad un massimo di 15.000 euro.

Prima della modifica del 2017, le sanzioni per tale irregolarità (riportate nel vecchio art. 58) non erano in cifra fissa, ma in percentuale e andavano da un minimo dell’1% ed un massimo del 40% dell’importo dell’assegno.

Facciamo ora l’esempio di un assegno irregolare di 2.000 euro:

  • con le vecchie sanzioni, l’oblazione poteva avvenire con il pagamento di 40 euro (il doppio della sanzione minima, pari al 2%);
  • con le sanzioni introdotte nel 2017, l’oblazione può avvenire con il pagamento di 5000 euro (un terzo della sanzione massima, più favorevole del doppio della sanzione minima);

Questo significa – nell’esempio di cui sopra – che le sanzioni sono aumentate di oltre 100 volte rispetto all’anno passato.

 

La scelta fra oblazione e difesa.

E’ una scelta che spetta esclusivamente al lavoratore; i casi di pagamento dell’oblazione sono stati finora in numero limitato, a causa dell’importo elevato che viene richiesto, come già evidenziato pari a euro 5.000.

La presentazione della memoria difensiva è ovviamente finalizzata ad ottenere l’annullamento della sanzione o almeno una sanzione ridotta rispetto a quella prevista per l’oblazione.

Qualora si scelga di impostare una difesa, il Ministero avvia una procedura amministrativa, che si concluderà con un decreto che stabilirà la sanzione definitiva piuttosto che l’annullamento della sanzione.

Contro tale decreto sarà possibile l’impugnazione davanti al Tribunale civile.

 

Possibili linee difensive.

Occorre fare sin dall’inizio una precisazione di assoluta importanza: ogni contestazione formulata dal Ministero rappresenta un caso a sé ed ogni singolo caso ha le proprie peculiarità.

Ne consegue che le difese scritte piuttosto che orali devono essere impostate caso per caso, non può esistere un modulo standard.

Fatta questa precisazione, nei diversi casi che sono stati esaminati, si possono individuare alcuni elementi che appaiono come elementi di difesa.

Si possono formulare le seguenti difese in fatto.

  • La difesa più semplice, ma anche la prima da prospettare, è legata alle modalità con cui si sono svolti i fatti.

In diversi casi, l’assegno irregolare era inserito in un’operazione di versamento di numerosi assegni – a volte parecchie decine – effettuati da società della più diversa natura.

Il lavoratore pone sempre attenzione nel valutare la correttezza formale degli assegni presentati allo sportello, ma ovviamente l’attenzione è meno sollecitata quando il cliente è una società conosciuta e che si presenta frequentemente allo sportello per effettuare il versamento contemporaneo di molti assegni. Inoltre, in tali casi, è conseguente ritenere che ove vi fossero state irregolarità nell’assegno, lo stesso sarebbe stato bloccato in precedenza.

  • In alcuni casi, l’assegno è stato versato in un bancomat. Usualmente, dopo che il cliente ha digitato l’importo dell’assegno e se il titolo supera la cifra di 1000 euro, il bancomat ricorda al cliente stesso di verificare se vi sia la clausola “non trasferibile”.

La presenza di tutta una serie di controlli che l’apparecchiatura suggerisce al cliente in fase di versamento, ha abbassato la soglia di attenzione dell’addetto che ha poi accreditato l’assegno sul conto corrente.

  • I carnet di assegni stampati dalla generalità delle banche recano da parecchi anni – quanto meno dal 2011 – la clausola “non trasferibile” già prestampata. A distanza di anni gli assegni privi di tale clausola sono ormai estremamente rari ed anche ciò ha contribuito ad abbassare la soglia di attenzione del lavoratore.
  • In alcuni casi, l’assegno recava l’avvertenza stampata dell’obbligo della clausola “non trasferibile”. Questa dicitura è verosimilmente stata fraintesa dal correntista ed anche dal lavoratore, che hanno ritenuto che la stessa potesse essere sufficiente per adempiere agli obblighi di legge.
  • Una circostanza che è emersa in tutti i casi esaminati ed è assolutamente importante sottolineare, è che l’assegno non recava alcuna girata, era indicato solo il beneficiario, il quale a sua volta ha versato il titolo sul proprio conto corrente.

Ne consegue che il titolo non ha mai circolato, l’apposizione o meno della clausola “non trasferibile” è stata irrilevante nel caso concreto e la finalità della legge – impedire la circolazione di assegni d’importo superiore a 1000 euro – è stata rispettata.

Inoltre, si possono formulare alcune difese in diritto.

  • Il procedimento sanzionatorio è quello previsto dalla legge 689/1981, in particolare l’art. 14. In forza di tale norma, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati al massimo entro 90 giorni.

La data di versamento dell’assegno è nota ed è verosimile che la banca sulla quale era stato tratto l’assegno abbia comunicato l’irregolarità nel rispetto dei termini di legge, ossia nei termini di 30 giorni come previsto dall’art. 51 del decreto legislativo 231/2007.

Occorre accertare se da quel momento e sino al momento in cui sono state chieste informazioni alla Banca che ha accettato il versamento dell’assegno sia trascorso un termine superiore o meno ai 90 giorni concessi per la notifica dell’infrazione.

Se la notifica è avvenuta dopo tale termine, è tardiva, con la conseguente decadenza della facoltà d’imporre sanzioni.

  • Inoltre, occorre eccepire che nell’imposizione della sanzione non si è tenuto in alcun conto della tenuità del fatto oggettivo e dell’elemento soggettivo di colpa lieve.
  • Infine, si può altresì riflettere su quanto sia eccessiva la sanzione ed abnorme rispetto al fatto, tale da sollecitare una verifica della correttezza costituzionale della norma.

Nel caso in cui la comunicazione sia inviata ad un direttore di filiale, le difese in fatto sono molto più semplici.

  • E’ sufficiente evidenziare che il lavoratore svolge l’attività di direttore di filiale; l’operazione è stata effettuata da uno dei dipendenti addetti alla cassa della filiale stessa.

Ne consegue che l’interessato è del tutto estraneo all’operazione, in quanto fra le mansioni di un direttore di filiale non rientra né l’operatività di sportello – comprendente i versamenti di assegni e contanti – né la verifica delle singole operazioni eseguite allo sportello.

Per quanto ovvio, la lettera con le deduzioni difensive deve essere sempre firmata dal lavoratore interessato e non dal sindacato.

 

Questioni sindacali.

  • Spesso il lavoratore interessato e la banca sono obbligati in solido nel pagamento della sanzione.

E necessario stabilire un contatto sindacale con la banca per cercare di capire quali siano le intenzioni della stessa in ordine al pagamento dell’oblazione piuttosto che all’invio di una memoria difensiva; alla possibilità per il lavoratore di unirsi alle difese della banca; all’intenzione di avviare un procedimento disciplinare contro il lavoratore; all’intenzione di rivalersi sul lavoratore per la somma pagata a titolo di oblazione.

  • Il colloquio presso gli uffici ministeriali avviene nell’ambito di un procedimento amministrativo, non ha alcuna attinenza con il procedimento disciplinare previsto dalla legge n. 300/1970.

Ne consegue, che il sindacalista non ha diritto di presenziare al colloquio.

  • In alcuni casi, il funzionario ministeriale ha concesso al sindacalista di affiancare il lavoratore durante il colloquio. E’ necessario valutare con la massima attenzione le eventuali affermazioni del sindacalista durante il colloquio e che verranno verbalizzate. Si tratta di un colloquio con un funzionario di un’Amministrazione dello Stato, che ha una posizione assai diversa rispetto a quella di un dirigente di un’azienda privata, come sono le banche.  E le affermazioni del sindacalista entrano nell’ambito di un procedimento amministrativo.

 

Alberto Massaia e Corinna Mangogna

 

Come FISAC L’Aquila ci eravamo già occupati di questo argomento. 

https://www.fisaccgilaq.it/banche/assegni-occhio-alla-clausola.html

 




BCC Abruzzo e Molise: premio di risultato 2018

Il 26 settembre 2018, presso la Federazione Abruzzo e Molise Bcc, è stato sottoscritto l’Accordo che consentirà il pagamento del PDR relativo al bilancio 2017.
La liquidazione del PdR avverrà con la busta paga del mese di ottobre al personale in servizio nel mese di erogazione e che abbia prestato attività lavorativa nel corso dell’anno di misurazione 2017.

Nel caso di inizio del rapporto di lavoro durante l’anno di misurazione il Premio di Risultato verrà erogato in proporzione ai mesi di servizio prestati, considerando come mese intero l’eventuale frazione superiore ai 15 giorni.

Quest’anno la tassazione Irpef del Premio usufruirà dell’agevolazione al 10% fino al limite reddituale di euro 80.000 e per una soglia di premio massimo pari ad euro 3.000.
L’importo definito a titolo di Premio di risultato 2018 sarà maggiorato del 5%, a carico dell’Azienda, per i dipendenti che opteranno, come sopra, per le prestazioni di Welfare riportate in seguito.

Per quanto riguarda la formula di calcolo è stata adottata la stessa dell’anno scorso.

E’ stata confermata la possibilità di optare, in luogo dell’erogazione in busta paga, in tutto o in parte, comunque su basi volontarie, al rimborso di prestazioni sostenute a titolo di welfare.

A titolo indicativo le prestazioni assoggettabili a rimborso riguardano:

  • rette, tasse, iscrizioni asili/scuole/università comprese le mense scolastiche;
  • campus estivi e invernali;
  • testi scolastici/universitari;
  • assistenza anziani o non autosufficienti
  • Contributo al Fondo Pensione.

Chi fosse interessato ad usufruire del PdR in modalità “welfare” dovrà inserirlo in Procedura Zucchetti entro la data che verrà comunicata in seguito dalla Federazione.

 

Le Segreterie Regionali
FABI                    FIRST/CISL                    FISAC/CGIL

 

Scarica il volantino




ABI e BCC: indennità annuali. Provvidenze per motivi di studio

Come ogni anno, in coincidenza con la riapertura delle scuole, è il momento di inoltrare la richiesta relativa alle somme spettanti ai lavoratori per ciascun figlio o equiparato fiscalmente a carico che frequenti la scuola media inferiore o superiore o l’università. L’indennità spetta anche ai lavoratori studenti.

Ricordiamo che l’accredito delle provvidenze non avviene in automatico, quindi è necessario che ogni lavoratore presenti la domanda.

Le indennità sono previste dai CCNL ABI e Federcasse con modalità e importi leggermente diverse; per questo invitiamo i lavoratori a rileggere i post che riguardano la loro casistica.

https://www.fisaccgilaq.it/banche/abi-indennita-annuali-provvidenze-per-motivi-di-studio.html

https://www.fisaccgilaq.it/bcc/bcc-indennita-annuali-provvidenze-per-motivi-di-studio.html

 




Gli assegni diventano digitali: ecco cos’è cambiato

​L’assegno digitale sostituisce l’assegno originale cartaceo ed ha piena validità ad ogni effetto di legge, riducendo i rischi operativi legati al suo scambio materiale e lavorazione manuale.
La CIT (Check Image Truncation) non incide sulle modalità di utilizzo e versamento degli assegni da parte dei clienti: l’emissione e la circolazione degli assegni rimangono infatti in forma cartacea, e il versamento avviene presso gli sportelli delle agenzie o presso gli ATM multifunzione come previsto da ciascuna banca.
Dal 9 luglio 2018 la CIT è l’unica procedura utilizzabile dalle banche per il pagamento degli assegni.
Le 4 cose da sapere e a cui fare attenzione
  1. Quando si emette l’assegno o quando lo si riceve, è importante verificare che esso sia completo di tutti gli elementi obbligatori:
    1. luogo e data di emissione;
    2. importo in lettere e in cifre;
    3. nome del beneficiario;
    4. firma del correntista che emette l’assegno bancario (cosiddetta firma di traenza) o della banca che emette l’assegno circolare.
    Gli assegni privi di uno di questi requisiti non sono regolari, non possono essere incassati con la nuova procedura CIT e devono essere nuovamente emessi.
    Da non dimenticare, inoltre, che sugli assegni di importo pari o superiore a 1.000 euro deve essere presente la clausola “non trasferibile”, solitamente già presente sui moduli di assegni rilasciati dalla banca o da apporre a mano, a cura del correntista, qualora non presente su moduli di assegni “vecchi” e non ancora utilizzati, per non incorrere in sanzioni.
  2. Per facilitare il processo di digitalizzazione dell’assegno e il suo incasso, è opportuno:
    – compilare l’assegno con una scrittura quanto più possibile chiara e comprensibile;
    – apporre le firme di traenza e di girata, gli eventuali timbri e le altre informazioni rilevanti negli spazi appositi, evitando che i vari dati si sovrappongano e diventino difficilmente leggibili;
    – custodire con cura l’assegno, evitando che si danneggi o si consumi.Qualora non sia possibile per la banca creare una immagine digitale valida, l’assegno è sottoposto ad un processo di lavorazione più lungo, di cui il cliente viene informato tempestivamente dalla propria banca.
  3. Se un assegno non viene pagato, la banca non restituisce al cliente l’assegno cartaceo originario (privo di valenza giuridica e che può essere distrutto una volta che la banca ha generato l’immagine digitale), bensì una copia cartacea conforme al documento elettronico con le informazioni relative al mancato pagamento. Le banche rilasciano una sola copia cartacea conforme che può essere utilizzata dal cliente al posto dell’originale cartaceo.
  4. È sempre bene diffidare di chi chiede di inviare la fotografia di un assegno per completare un acquisto, magari a distanza o sul web. Gli assegni continuano a circolare in modalità cartacea e sono le banche a creare le immagini digitali. Spesso la richiesta di foto di assegni nasconde tentativi di truffa.

Fonte: www.abi.it