Bnl: firmato il testo dell’accordo per l’uscita incentivata dei colleghi

3 - Fisac Cgil

Tutte le misure dell’accordo

Dopo una trattativa lunga e complessa, le parti hanno trovato l’accordo per poter apporre una firma su un accordo innovativo che prevede assunzioni, uscite incentivate e ristoro per l’intera popolazione aziendale.

Campagna pensionamenti volontari anticipati

Per chi maturasse il diritto al pensionamento entro il 30/06/2025 c’è la possibilità di uscire al momento della maturazione del primo requisito utile (Anticipata, Quota 103, Quota 104 e Opzione Donna) con 5 mensilità di incentivo. Per i colleghi e le colleghe che decideranno di uscire per effetto di Quota 103 e Opzione donna è prevista, in aggiunta alle 5 mensilità, una erogazione di 10.000€ lordi.

Campagna di adesione al fondo di solidarietà

Per chi maturasse il diritto al pensionamento tra il 1/07/2025 e il 31/12/2026 è prevista la possibilità di aderire volontariamente al Fondo di Solidarietà con uscita al 01/04/2025. Per questi colleghi è previsto un incentivo per chi maturasse il diritto al pensionamento nel corso del 2026 di 5.000€ lordi.

Campagna di riscatto laurea

E’ previsto il riscatto laurea per 179 colleghi che gli consentirà di accedere ad uno dei due bacini di cui sopra (88 pensionamento, 91 Fondo di Solidarietà). Per questi colleghi non è prevista alcuna ulteriore misura di incentivo (né mensilità né erogazioni ulteriori).

Part time incentivato

Per il personale che maturasse il diritto al pensionamento oltre il 1/01/2027 ed entro il 31/12/2028 c’è la possibilità di attivare la misura prevista dal vigente CCNL e denominata Staffetta Generazionale (da definire dopo l’emanazione dei regolamenti attuativi ministeriali). Il provvedimento consentirà di diminuire il proprio orario di lavoro a fronte di una diminuzione meno che proporzionale della retribuzione, di un versamento contributivo e aggiuntivo al fondo pensione invariati. In più l’azienda assumerà personale in virtù dell’adesione a questa forma contrattuale.

Altri interventi

Dopo diverso tempo le Organizzazioni Sindacali sono riuscite a pattuire con l’azienda alcuni interventi a sostegno del reddito (reale e differito). In particolare:

  • La previdenza complementare a carico dell’azienda nei riguardi dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato è elevata al 4,35% dal 1° giugno 2024 e al 4,50% dal 1° giugno 2025, rispetto al 4,20% attuale, ferme tutte le altre regole;
  • A far tempo dal 1° giugno 2024, è previsto un incremento del buono pasto ordinario di €1,00 (portando il ticket restaurant elettronico al massimo di esenzione fiscale prevista di 8€); anche il ticket in Part-time sarà elevato della stessa percentuale arrivando a 6€;
  • A far tempo dal 1° giugno 2024 è, altresì prevista l’erogazione di un buono pasto pari a € 4 per ogni giornata di flexible working.

Nel corso di questo confronto non siamo giunti ad una sintesi soddisfacente in merito al tema del riassorbimento degli AD Personam a seguito del rinnovo del CCNL, pur evidenziando la necessità dell’azienda di intervenire sulle politiche retributive dei Quadri Direttivi.

Le scriventi Organizzazioni Sindacali esprimono soddisfazione per l’andamento della trattativa e per le risultanze del negoziato e auspicano che questo accordo sia in grado di portare giovamento e benessere a tutto il personale facendo da apripista ad una nuova stagione di partecipazione.

 

Segreterie di Coordinamento Nazionale Gruppo BNL
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN

 

⇒ Scarica il testo dell’accordo




Concluse le assemblee: approvato il CCNL ABI

3 - Fisac Cgil

La consultazione sull’ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Credito si è conclusa con la sua approvazione.

Una buona partecipazione al voto nella storia della categoria, favorita anche dalla campagna di informazione e consultazione molto capillare e con lo svolgimento di tantissime assemblee su tutto il territorio nazionale.

I SÌ al contratto sono pari al 99,1%, i NO allo 0,4%, mentre gli astenuti si attestano allo 0,5%.

Prossimo appuntamento avrà ad oggetto gli incontri per la stesura del Testo Coordinato.

Roma, 4 aprile 2024

 

Le Segreterie Nazionali
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN

 

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CCNL ABI: concluse le assemblee in Abruzzo e Molise.




Gruppo Bper: sotto pressione

3 - Fisac Cgil

29 marzo 2024

SOTTO PRESSIONE

 

Il CCNL rinnovato il 23 novembre scorso ha recepito al suo interno l’accordo sulle politiche commerciali del febbraio del 2017. Nel Gruppo BPER, proprio a seguito dell’intesa nazionale, è stato sottoscritto il 30 marzo 2022 uno degli accordi più avanzati del settore in tema di contrasto alle pressioni commerciali, che ha tra i suoi obiettivi quello di rendere esigibili i contenuti degli accordi sottoscritti, quello di chiarire gli ambiti di comportamento non consentiti e quello di valutare i comportamenti in violazione delle norme e degli accordi, con la finalità di rimuoverli attraverso opportuni provvedimenti aziendali (incluse le sanzioni disciplinari).

Ricordiamo quali sono i principali comportamenti non ammessi in base agli accordi e alle norme:

  • comunicazioni (effettuate con qualunque mezzo) irrispettose della dignità e della professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori o contenenti messaggi fuorvianti, intimidatori, offensivi, vessatori o elusivi degli accordi medesimi;
  • mancato rispetto del diritto alla disconnessione;
  • riunioni commerciali eccessive per numero e/o frequenza, convocate senza un adeguato preavviso e non rispettose degli orari contrattuali di chi è chiamato a partecipare.
  • monitoraggio o verifica dei dati commerciali attuati con modalità estemporanee e comunque non proceduralizzate;
  • misurazione dei tempi di contatto con la clientela (fisica o virtuale) al fine della valutazione o per controllo a livello individuale;
  • utilizzo di una reportistica per la rilevazione dei dati commerciali difforme da quella approntata centralmente e comunque diversa da quella indicata dagli accordi;
  • richiesta di dati previsionali riguardanti la vendita di prodotti alla clientela;
  • richiesta giornaliera del venduto scritta su moduli cartacei da consegnare ai coordinatori o ai direttori.

Il soprastante elenco è indicativo, anche se non esaustivo, di ciò che avviene e che invece non sarebbe consentito fare.
Tutte le segnalazioni provenienti dai territori sono oggetto di valutazione in sede di Commissione Paritetica, composta da delegati aziendali e sindacali e incaricata di discutere e valutare le segnalazioni provenienti dai colleghi, segnalazioni che comunque rimangono sempre anonime

La Commissione rappresenta un importante ambito e ha consentito, attraverso le partecipazione attiva delle colleghe e dei colleghi, di poter intervenire per correggere i comportamenti non conformi alla normativa individuati dalle Parti.

L’Azienda, a seguito della disamina delle segnalazioni, ha sovente riconosciuto la veridicità delle stesse ed ha conseguentemente fatto interventi finalizzati a ripristinare sui territori e nelle Aziende condotte coerenti con il rispetto degli accordi in tema di pressioni commerciali; talvolta ne abbiamo registrato gli effetti nell’immediatezza.

Nelle ultime settimane, in concomitanza con le ristrutturazioni organizzative e complice forse il clima di aspettativa sul futuro prossimo del Gruppo, abbiamo riscontrato l’intensificarsi di alcuni comportamenti indebiti che stanno incidendo sul quotidiano delle persone, che devono già confrontarsi tutti i giorni con gli effetti della riorganizzazione.

Così non va!
Un ambiente lavorativo “salubre” rappresenta la priorità di ogni collega.
Il protocollo siglato il 30 Marzo 2022 e le azioni intraprese per mezzo della Commissione avevano permesso di registrare effetti che facevano sperare in un cambiamento culturale che avrebbe giovato a tutti. Oggi invece il tema delle pressioni commerciali è uno dei problemi strutturali più rilevanti, da affrontare e risolvere con urgenza.

All’Azienda chiediamo di intervenire con la massima decisione per stigmatizzare e far cessare queste condotte, al fine di ristabilire delle politiche commerciali e un clima aziendale coerenti con gli accordi sottoscritti.

Invitiamo le colleghe e i colleghi a segnalarci prontamente ogni situazione di pressione commerciale o di illecito comportamento, per consentirci di sollecitare immediati interventi correttivi sulle specifiche realtà.
Ricordiamo le caselle su cui fare le segnalazioni:

 

COORDINAMENTI SINDACALI GRUPPO BPER
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN




BdM Banca – Richiesta incontro urgente

3 - Fisac Cgil

 

A tutte le lavoratrici e lavoratori, rappresentiamo una richiesta di incontro per la trattazione di tematiche di particolare rilevanza.
Buon lavoro a tutte e tutti.

Segreteria di Coordinamento BdM
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN


 

Bari, 19/03/2024

Egr.Sig. Dott.
Franzon Claudio
Risorse Umane
BdM Banca Spa

Spettabile
Ufficio Relazioni Industriali
Gruppo MCC

e p.c.   Egr.Sig.
Dott. Carrus Cristiano
Amministratore delegato BdM Banca Spa

 

Oggetto: Richiesta di incontro urgente.

 

Le scriventi OO.SS. chiedono la convocazione urgente di un incontro in presenza con all’OdG la verifica dell’Accordo Aziendale 10/06/2020 e ss. (con particolare focus in materia di verifiche tecniche e riconsiderazione della ROL).

Le OO.SS. chiedono inoltre che, nel corso dell’incontro, vengano calendarizzate ulteriori convocazioni a cominciare dai seguenti argomenti:

  • impatti derivanti dalla riduzione di orario di lavoro settimanale come previsto dal nuovo CCNL;
  • conferma delle condizioni previste dall’art. 5 dell’Accordo del 31/10/2023;
  • chiarimenti sullo stato dell’arte in merito alle libertà sindacali e definizione di modalità tempistiche condivise da utilizzare per le convocazioni aziendali;
  • calendarizzazione di successivo/i incontro/i in materia di Smart Learning, Smart Working e Telelavoro, come da precedenti intese;
  • calendarizzazione di successivo/i incontro/i in materia di inquadramenti minimi per le figure professionali introdotte negli ultimi anni e di percorsi professionali meritocratici per tutto il personale di BDM Banca;
  • calendarizzazione di un incontro avente ad oggetto l’andamento della formazione finanziata e del ruolo operativo della Commissione Formazione.

Dato il carattere prioritario e urgente delle tematiche da affrontare, si richiede che l’incontro si tenga entro venerdì 22 marzo p.v.

Distinti saluti.

 

Segreterie di Coordinamento BdM
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN





Banche: 28 miliardi di utili. Chi si spartisce il malloppo e il peso sulle famiglie

I numeri arrivano dai comunicati delle principali banche italiane quotate: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Mediobanca, Popolare di Sondrio e Credem hanno registrato nel corso del 2023 utili per 23 mld che salgono a circa 28 mld se si aggiungono i 1,85 mld di Iccrea e i 0,55 mld di Cassa Centrale Banca, i 1,3 mld della controllata bancaria italiana del Crédit Agricole e i 0,93 mld della Bnl, controllata bancaria italiana del gruppo Paribas.
Un boom di utili con un valore ben superiore (+ 87%) al già significativo risultato di 15 mld conseguito nel 2022. Visto l’impatto che questo settore ha sulla vita di tantissimi privati e imprese, con l’aiuto di Arturo Capasso (professore di Corporate Finance alla Luiss) e dell’ex dirigente bancario Francesco Tuccari, proviamo a capire come si è formato questo enorme profitto e chi sono i reali beneficiari.

Dove guadagnano le banche

Le banche guadagnano principalmente attraverso tre diverse attività. La prima è quella di intermediazione di denaro: riconoscono un interesse fisso a chi deposita soldi (interessi passivi) e fanno pagare a chi chiede prestiti un tasso base di riferimento (l’Euribor per i finanziamenti a tasso variabile e l’Irs per quelli a tasso fisso) a cui aggiungono un «sovraprezzo» che varia in misura direttamente proporzionale alla «rischiosità» dei soggetti finanziati (questi si chiamano interessi attivi). La differenza fra gli uni e gli altri è il «margine d’interesse».
La seconda attività riguarda le commissioni che incassano ogni qualvolta effettuano per conto del cliente il pagamento di una utenza, l’incasso di un assegno, dispongono un bonifico, spediscono l’estratto conto, sul prelievo di contante col bancomat, sulla gestione del conto corrente e sulla vendita dei prodotti finanziari (sui quali si fanno pagare i costi più alti d’Europa approfittando dell’ignoranza dei clienti).
La terza attività sono gli investimenti finanziari, dai quali le banche possono conseguire un utile o una perdita («Proventi finanziari»).

Mentre nel biennio 2020 -2021 il peso delle commissioni e dei proventi finanziari costituiva il 56% del totale dei ricavi, nel 2022-2023 è il «margine di interesse» a raggiungere la componente di maggior valore: quasi il 60%.

Cosa è successo?

Dalla sua costituzione la Bce ha posto fra i suoi obiettivi un livello di inflazione al 2%, considerato come il migliore per assicurare una crescita economica stimolante ma non drogata dall’andamento dei prezzi. A inizio 2022, dopo due anni di pandemia e a seguito dell’invasione dell’Ucraina con i rincari dell’energia, i prezzi sono esplosi.
Per contenerli, nel mese di luglio del 2022, la Bce ha innalzato il tasso di riferimento e, con 10 interventi successivi, lo ha portato nell’arco di soli 14 mesi dallo 0,5% al 4,50%. Il sistema bancario italiano ha applicato immediatamente questi rialzi, ma rivedendo solo i tassi applicati sui finanziamenti passati, fra il 2022 e il 2023, dal 2,13% al 4,76%. Gli interessi invece riconosciuti ai depositanti sono rimasti pressoché fermi fra lo 0,20 e lo 0,53%. Dai dati Abi solo nell’ultimo trimestre 2023 si è arrivati all’1,16%, si tratta però di una media ponderata che include anche gli interessi sui depositi vincolati e sulle obbligazioni bancarie. Va detto che ancora oggi molte grandi banche applicano sui deposti a vista lo 0,01%.

Eppure il comma 4 dell’art 118 della Legge bancaria dice espressamente: «Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente». La vigilanza non ha battuto ciglio. Forse perché il sistema bancario deve fronteggiare maggiori costi di funzionamento, e le esposizioni verso clienti che non sono in grado di rimborsare i loro debiti? I dati dimostrano che sia i primi che i secondi sono in calo.

 

Riduzione di sportelli e personale

Partiamo dai costi operativi: fra il 2013 e il 2023 le banche hanno ridotto del 37% il numero dei loro sportelli e di circa il 20% il numero dei loro dipendenti, passati da 310 mila a 261 mila. Solo negli ultimi due anni è stata registrata la chiusura di oltre 1.500 filiali: una media di due al giorno, con la conseguente contrazione degli organici. 50 mila impiegati mandati a casa in dieci anni. Secondo una stima delle Organizzazioni sindacali di settore, per il 2027 si prevede una riduzione di personale tra le 12 mila e le 14 mila unità.
Tradotto in termini di impatto sulla popolazione: ben 4,4 milioni di persone (il 7,5%) risiedono in comuni in cui non possono accedere fisicamente ai servizi bancari. Alla chiusura delle filiali fisiche e alla riduzione del personale non ha poi corrisposto la crescita dell’internet banking, in Italia utilizzato dal 51,5% della popolazione contro una media europea dl 64%. Per quel che riguarda i costi sofferti dalla industria bancaria, i cosiddetti crediti problematici sul totale dei crediti bancari, l’Npl Ratio lordo delle banche italiane nel 2023 è sceso al 3,1%, un livello di gran lunga inferiore alla soglia di sicurezza del 5% definita dall’Eba (l’Autorità di vigilanza bancaria europea). Ciò è avvenuto anche grazie alla cessione ai Fondi specializzati di circa 280 miliardi di crediti deteriorati. Tornando invece all’enorme incremento dei proventi, quale impatto ha avuto sulle famiglie?

 

Il peso sui mutui delle famiglie

In Italia a fine 2023, sulla base di dati elaborati da Bankitalia, circa 2,8 milioni di famiglie risultavano avere in essere un mutuo per acquisto casa a tasso fisso, mentre circa 1,6 milioni a tasso variabile. Secondo la stessa elaborazione, nel 2021 – ultimo anno per il quale si dispone di dati a livello territoriale – i mutui pesano sul reddito disponibile per circa il 32%. Il governatore della Banca d’Italia, in un suo recente intervento (Assiom Forex del 10 febbraio 2024), ha ricordato che nell’ultimo biennio l’aumento dei tassi applicati sui mutui a tasso variabile ha determinato una crescita della rata mensile del 50%, passata mediamente da 500 a 750 euro. Se si considera che nel nostro Paese lo stipendio netto medio di un dipendente oscilla fra i 1.400 ed i 1.600 euro (Istat 2023), il solo aumento della rata pesa per un ulteriore 17% sul reddito disponile, già eroso da un’inflazione all’8,1% nel 2022 e al 5,7% nel 2023. Un’altra conseguenza dell’innalzamento dei tassi dei finanziamenti è un calo del 9,8% nell’ultimo anno nell‘erogazione di nuovi mutui alle famiglie per l’acquisto della casa. Non a caso le compravendite di immobili su base annua si è ridotta del 16% (rilevazione Istat).

La tassa sugli extra-profitti

Lo straordinario incremento degli utili delle banche, dunque, non è dovuto a una crescita della loro efficienza e, per questo, è stato definito «extraprofitto». Il governo lo scorso agosto ha annunciato l’applicazione di una imposta straordinaria del 40% su quella parte del «margine di interesse» che va oltre il 10% in più della stessa voce relativa all’esercizio 2021. L’incasso previsto per le casse dello Stato era stimato in circa 3/4 miliardi, da destinare a misure di sostegno per i mutui delle famiglie in difficoltà, al rifinanziamento del fondo mutui prima casa giovani a tasso variabile e a un contributo per la riduzione delle tasse per famiglie e imprese. Le banche sono insorte e, in sede di approvazione definitiva della legge di Bilancio 2024, il governo ha concesso un’alternativa: se non volete dare questi soldi allo Stato potete metterli nella vostra cassaforte per rafforzare il patrimonio per un ammontare pari fino a 2,5 volte il prelievo calcolato. Le banche hanno aderito in massa. Va detto che oggi presentano livelli di patrimonializzazione ampiamente al di sopra dei requisiti minimi di vigilanza richiesti dal regolatore europeo.

Chi si spartisce il malloppo

Tirando le somme: i debitori hanno visto innalzare il costo del loro debito, i depositanti non hanno visto crescere i loro interessi se non nell’ultimo trimestre, in misura minima e solo su insistenza del cliente. I reali beneficiari della maggiore redditività delle banche sono gli azionisti che si divideranno il 60% di quei 28 miliardi, ovvero i grandi fondi d’investimento internazionali: BlackRock, Vanguard, Capital Group, Dimensional Fund Advisors, ma anche Allianz, Crédit Agricole, JP Morgan ecc. Dividendi accresciuti anche da una maggiore valorizzazione dei titoli azionari posseduti, visto che quasi tutte le maggiori banche hanno fatto grandi acquisti di azioni proprie, aumentandone pertanto il valore, che viene trasferito dagli stakeholder agli shareholder, con buona pace di tutte le teorie di «responsabilità sociale d’impresa». L’attività bancaria, va precisato, non è un’attività come le altre e per questo ha un trattamento particolare: quando si configurano danni collettivi interviene lo Stato. Infatti la collettività è andata in soccorso di Montepaschi, Veneto Banca, Popolare di Vicenza e di tutte le altre finite il liquidazione.
Ora che il sistema bancario vive un periodo di vacche grasse, con il benestare dello Stato, alla collettività restituisce nulla.

 

 




Aggiornamento guida Fisac “La Busta Paga ABI”

Le novità nell’aggiornamento di Marzo 2024

La presente edizione della Guida alla Lettura della Busta Paga per il settore del Credito ABI segue quella pubblicata in tempi relativamente recenti (19.12.2023), che già includeva:

  • le novità introdotte dall’accordo di rinnovo del CCNL ABI raggiunto il 23 novembre 2023,

nonché

  • quelle previste da alcuni provvedimenti legislativi (tra cui la Legge di Bilancio 2024), che a quella data non avevano ancora concluso il proprio iter.

L’attuale versione della Guida (marzo 2024), essendo successiva alla definitiva approvazione di tali provvedimenti – Legge di Bilancio (Legge n. 213/2023) e Decreto di attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche (D.Lgs. n.216/2023) – contiene riferimenti più precisi alle rispettive norme.

Si è inoltre provveduto a rettificare alcune informazioni contenute nella precedente edizione, nei casi in cui la definitiva approvazione delle norme è avvenuta stabilendo criteri differenti rispetto a quelli in precedenza annunciati dal Governo (in particolare le attuali soglie di esenzione relative ai fringe benefit avranno validità per il solo 2024).

In relazione ai citati provvedimenti sono state inserite alcune considerazioni e note di commento.

La pubblicazione di Circolari interpretative da parte dell’Agenzia delle Entrate (in particolare n. 2/2024 e n. 5/2024) ha consentito di inserire alcune ulteriori precisazioni in merito all’applicazione delle norme di recente emanazione a cui il documento si richiama nella parte relativa agli aspetti fiscali.

A seguito della pubblicazione delle Circolari INPS su materie aventi attinenza con la Guida, sono stati – tra l’altro –aggiornati gli importi oggetto di rivalutazione (per esempio la soglia oltre la quale è applicata l’aliquota aggiuntiva dell’1% nell’ambito della determinazione dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti).

Modifiche assai marginali hanno carattere solo espositivo e riguardano una diversa successione adottata per taluni argomenti e alcune variazioni aventi l’obiettivo di rendere più chiara o completa l’illustrazione.

Per eventuali info o segnalazioni scrivere a: [email protected]

La Busta Paga nelle Banche – marzo 2024

 

La guida aggiornata è disponibile nella nostra sezione Guide e Manuali




Un mondo di governi pubblici deboli e di banche centrali private forti

Oramai si è diffusa l’idea che sono i dirigenti belle banche centrali che consentono al capitale di spadroneggiare. La tesi da molti sostenuta si basa sul fatto che le banche centrali, le quali sono quasi sempre enti privati, hanno di fatto sancito che, nella economia globalizzata del dopo guerra fredda, i lavoratori delle industrie e del terziario del mondo, ossia gli eredi “necessari” del capitalismo, debbano condurre una vita da miserabili. A supporto vengono mostrati i dati storici che mostrano che la loro politica è quella di tollerare tassi di crescita sostenuti (dal 5% in su) nei paesi emergenti e di respingere ogni tentativo di una crescita economica rapida nei paesi industrializzati, evidentemente per evitare gli effetti di un rialzo anche minimo del tasso di inflazione.

Molti sostengono che, invece che bilanciare gli interessi tra chi non dispone di un capitale di partenza (che possiamo definire i proletari del nuovo millennio, ossia, coloro che per vivere possono contare unicamente sulla retribuzione derivante dall’offerta a terzi del loro lavoro) e deve indebitarsi e chi possiede capitali da dare in prestito, hanno permesso che l’economia del mondo industrializzato fosse diretta in modo che gli interessi dei debitori, ossia delle maggioranza delle giovani famiglie di lavoratori subordinati,  venissero immolati agli interessi dei capitalisti creditori, cioè dei banchieri e di coloro che hanno vissuto e vivono dei capitali investiti nel mercato azionario.

Se osserviamo gli USA, verifichiamo che gli Stati Uniti stanno vivendo una fase storica in cui la finanza domina su tutto; al centro di questa strana cultura si colloca la borsa e come strumento di azione abbiamo i money managers, anziché le fabbriche e/o i laboratori di ricerca. Sembra che i laureati che vengono fuori dalle grandi scuole di amministrazione aziendale del paese (come Harvard o Stanford) si dirigano di corsa verso le banche di investimenti anziché orientarsi verso un lavoro nell’ambito della economia reale. Ora possiamo accettare con un buon grado di convinzione che storicamente la finanziarizzazione della società è stato un segnale che la posizione economica di un paese sia entrata in una fase di declino.

Alla metà del 1700 le élite olandesi (l’Olanda è il primo paese dove si afferma il capitalismo) erano ormai ridotte ad un piccolo gruppo di speculatori e di redditieri, i quali percepivano redditi non derivanti dal lavoro, ma da capitali (prestavano denaro a qualsiasi monarca). Poi la Gran Bretagna (secondo paese dove si è affermato con forza  il sistema capitalistico) si trovò in una fase simile nel primo decennio del 1900: mentre  la sua industria manifatturiera perdeva terreno, il settore dei servizi finanziari divenne estremamente forte e la sua élite di banchieri e rentiers, i quali controllavano quasi la metà dei capitali di rischio di tutto il mondo,  erano convinti che le attività e gli investimenti finanziari avrebbero neutralizzato qualsiasi crisi dell’industria (in particolare la tessile, la  siderurgica e la cantieristica navale, tridente vincente della produzione anglosassone). È evidente che questi finanzieri avevano torto marcio ed è sempre più chiaro che hanno torto anche coloro che oggi inneggiano alla saggezza delle borse.

Pressando su un ambiente economico in cui i tassi di interesse al netto dell’inflazione sono e permangono alti, i capi delle banche centrali del mondo industrializzato hanno rappresentato un gigantesco trasferimento di reddito dalle famiglie (e anche dalle piccole imprese) alle banche ed alle istituzioni finanziarie internazionali per agevolare la trasformazione del mondo del capitalismo industriale in un mondo del capitalismo finanziario e i lavoratori sono diventati le vittime di questo imbroglio. È assurdo, ma, vediamo molti lavoratori trasformati in una bizzarra modernità del ventunesimo secolo, in una classe di pseudo-capitalisti che fa il tifo per gli interessi del capitale, perché il lavoro non basta più a pagare le bollette, mentre gli investimenti borsistici, anche marginali, danno l’illusione di un futuro migliore.

Oramai tutti viviamo in un mondo di governi deboli e di banche centrali forti come conseguenza dell’emergere della nuova economia globale: nessun settore dell’economia è stato più rapido di quello finanziario nel trasformare la potente combinazione di globalizzazione e nuove tecnologie in una macchina per fare soldi (siamo in una nuova era del capitalismo finanziario). Da questo possiamo chiederci se i capi delle banche centrali del mondo, ai quali era stato affidato dai governi ancora sovrani il compito di tenere sotto controllo la finanza, non siano stati trasformati in schiavi dai capitalisti padroni del nuovo mondo della finanza. Ricordiamo che all’inizio degli anni 70, prima che l’economia globale fosse congiunta tramite la rete ai megabyte, l’ammontare totale in dollari delle transazioni finanziarie condotte dalle imprese degli Stati Uniti  sui mercati azionari nell’arco di un anno intero era inferiore al prodotto nazionale degli USA, ma dalla fine degli anni 90, grazie alle transazioni elettroniche, gli scambi dei settori  finanziari hanno raggiunto un volume annuo totale incomparabile con il volume d’affari dell’economia reale (anche se è nell’economia reale che ci si guadagna da vivere). In sostanza, sembra che con la fine della guerra fredda e l’emergere della nuova economia globale i leader del mondo finanziario abbiano rimpiazzato le gerarchie del complesso industriale militare nel ruolo di big dell’economia.

Dalla fine della guerra fredda Washington ha consacrato i suoi sforzi ad appagare le esigenze del settore finanziario, e con la deregulation finanziaria ha offerto alle istituzioni finanziarie la libertà di ampliare le proprie attività e – tra l’altro – di giovarsi  della capacità di effettuare prestiti ad interesse elevato. L’inclinazione ad assegnare poteri crescenti alle banche centrali è affiorata per effetto dell’inflazione determinata dalla politica del presidente Johnson in materia di finanziamento della guerra nel Vietnam, si è poi rafforzata dopo l’embargo petrolifero decretato dallo Opec nel 1973 e, dopo la fine della guerra fredda, le banche centrali hanno incominciato a guidare completamente la politica economica. La globalizzazione dei mercati finanziari non ha fatto che spingere le  banche centrali a tutelare gli interessi di credito; infatti i proprietari di capitali liquidi temono l’inflazione quindi, in un mondo dove il capitale può spostarsi velocemente e scarseggia rispetto all’eccesso di domanda di manodopera disponibile, si è riscontrato un trasloco di potere verso tutte le istituzioni che hanno un interesse ad evitare l’inflazione, come le banche e il mercato azionario, il quale è un mercato aperto dei prestiti, dominato dai creditori e che tende quindi a fare i loro interessi.

E’ noto che quando i prezzi salgono i debitori possono ripagare i loro debiti ai creditori in denaro svalutato e questo è il motivo per cui i creditori non vogliono l’inflazione, ma quando i prezzi calano, i debitori sono costretti a ripagare i debiti con denaro più costoso, cioè più difficile da acquisire e così, i creditori prosperano a spese dei lavoratori. E‘ evidente che se viene realizzata con un senso di equilibrio la stabilità dei prezzi è un obiettivo legittimo, ma vi è una enorme differenza tra il facilitare la stabilità dei prezzi e il sostenere la deflazione: vogliamo dire che i paesi del mondo industrializzato vengono obbligati a inseguire politiche economiche non coerenti con la stabilità dei prezzi, ma, unicamente deflazionistiche. Ma forse, è la storia dell’economia dalla fine della Seconda guerra mondiale che ci spiega che il lavoro, per prosperare, ha bisogno di un forte tasso di crescita economica e che non possiamo accettare i diktat del sistema finanziario globale e dei suoi mercati.

Non si può che sperare che siano in errore coloro che vedono le politiche seguite dalle banche centrali di oggi come una ripetizione di quelle perseguite negli anni 20 del secolo scorso: infatti, anche allora infuriava la stessa follia finanziaria, che oggi attribuisce ai banchieri centrali un monopolio sulla scienza delle finanze, e anche allora prevalevano politiche monetarie che si sono poi rivelate altamente deflazioniste. Poi non possiamo non ricordare che i sindacati erano deboli, ed anche oggi appuntiamo una certa debolezza delle organizzazioni sindacali nei paesi industrializzati, senza contare che i redditi da capitale sono in aumento rispetto ai redditi da lavoro e che la distribuzione dei redditi si realizza sempre più disuguale come registrato negli anni venti.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti




Stress in ufficio? Il datore di lavoro risponde per danni

Per rintracciare la responsabilità in capo al datore basta l’adozione di comportamenti, anche colposi, che possano ledere la personalità morale del lavoratore


Il datore di lavoro risponde per i danni alla salute prodotti sul dipendente da un ambiente lavorativo troppo stressante anche se gli atti che hanno causato la lesione non sono qualificabili come mobbing. La Cassazione ribadisce (sentenza 2084/2024 del 19 gennaio scorso) che la tutela della salute dei dipendenti non si limita alla prevenzione del mobbing ma si estende a tutte le situazioni di stress da lavoro.

Appello contrario

La controversia riguarda un lavoratore che ha portato in giudizio il datore per ottenere il risarcimento delle sofferenze psichiche subite in ufficio. La richiesta risarcitoria era stata accolta in primo grado ma poi rigettata dalla Corte d’appello, che non ha riscontrato negli atti e nei comportamenti del datore quel «comune intento persecutorio» che rappresenta l’elemento costitutivo del mobbing.
Secondo la Corte d’appello, tali attive potevano, al massimo, essere qualificabili come carenze gestionali e organizzative, ma mancavano di quell’intento persecutorio necessario perché si possa parlare di mobbing.

Ribaltamento in Cassazione

La Cassazione ribalta questa decisione, partendo dalla considerazione che la violazione da parte del datore del dovere di sicurezza (articolo 2087 del Codice civile) ha natura contrattuale e, dunque, il rimedio esperibile dal dipendente è quello della responsabilità contrattuale. La tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, prosegue la Corte, non ammette sconti: fattori quali l’ineluttabilità, la fatalità, la fattibilità economica e produttiva non giustificano cedimenti delle misure di tutela e prevenzione.
Pertanto, secondo la Cassazione, per rintracciare una responsabilità in capo al datore non è necessaria, come si richiede nel caso del mobbing, la presenza di un «unificante comportamento vessatorio»: basta l’adozione di comportamenti, anche colposi, che possano ledere la personalità morale del lavoratore, come la tolleranza di condizioni di lavoro stressogene.

Condotte esorbitanti anche se non vessatorie

Alcune condotte, quindi, pur non essendo vessatorie, possono risultare esorbitanti o incongrue rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, soprattutto se sono continue e ripetute nel tempo: queste condotte, conclude la Corte, violano l’articolo 2087 del Codice civile qualora contribuiscano alla creazione di un ambiente logorante e produttivo di ansia, e come tali generano un pregiudizio per la salute che deve essere risarcito.
Questa interpretazione conferma la tendenza della Cassazione a rifiutare letture riduttive delle responsabilità datoriali in tema di sicurezza; un approccio severo che tuttavia non deve giungere inaspettato in tema di stress da lavoro, essendo fenomeno questo già al centro delle politiche di prevenzione dei danni alla salute (è obbligatoria la valutazione del cosiddetto “stress da lavoro correlato”).

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

 




Accordo OOSS – Banca Fucino: credito alle imprese edili solo se in regola con la sicurezza

L’accordo

Concedere credito allo sole imprese edili, che siano in appalto o subappalto, che abbiano presentato la documentazione comprovante il pieno rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e delle norme di salute e sicurezza nei cantieri e che applichino il contratto nazionale Edili. È il punto al centro del protocollo tra le rappresentanze sindacali della Cgil e della Uil, le categoria Fisac Cgil e Uilca, con le confederazioni del Lazio di Cgil e Uil, e la Banca del Fucino.

Accordo firmato oggi presso la sede della Banca in via Tomacelli a Roma, alla presenza, tra gli altri, dell’amministratore delegato della Banca del Fucino, Francesco Maiolini, e delle delegazioni sindacali di Uil e Cgil, quest’ultima rappresentata da Susy Esposito, segretaria generale della Fisac Cgil; Natale Di Cola, segretario generale Cgil Roma e Lazio; e Daniele Canti, segretario generale Fisac Cgil Roma e Lazio. Nel merito l’accordo prevede che la Banca richiederà alle imprese interessate al credito la documentazione atta a comportare il rispetto delle norme su salute e sicurezza: dall’applicazione del contratto edilizia stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, al Dvr e al Durc di congruità, fino all’obbligo formativo. Un accordo unico nel settore, che verrà riverificato entro la fine dell’anno per valutarne gli effetti e per individuarne eventuali miglioramenti.

I commenti

 

Si tratta, ha spiegato Susy Esposito, segretaria generale della Fisac Cgil, “di un accordo innovativo perché chiede al sistema del credito di svolgere appieno un ruolo di responsabilità sociale nei confronti del paese. Vincola l’erogazione del credito al rispetto delle norme, premiando quindi quelle oneste. Ed è particolarmente innovativo anche perché cade nei giorni delle recenti stragi sul lavoro, ricordiamo su tutte Firenze, e di una risposta non all’altezza ma, al contrario, regressiva del governo sul tema della salute e della sicurezza”. Un primo punto che per la Cgil dovrà fare da apripista ad altri accordi: “Con oggi lanciamo anche un segnale all’intero settore bancario, ovvero richiedere requisiti di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori a quelle aziende, in questo caso edili, che chiedono credito”, conclude Esposito.

Anche il segretario della Fisac Roma e Lazio, Daniele Canti, ha sottolineato il valore innovativo dell’accordo sottoscritto con la Banca del Fucino: “La banca dimostra, sottoscrivendo questo accordo, di voler legare l’erogazione del credito ad un piano non solo meramente economico ma anche etico, liberandosi di fatto, togliendo loro ossigeno, di tutte quelle aziende edili che pensano di operare in un Far West”.

Secondo Natale Di Cola, segretario generale della Cgil Roma e Lazio, “la firma di oggi segna che Roma sta diventando un simbolo. Questo accordo viene, infatti, dopo l’accordo sul Giubileo, firmato dalle categorie degli edili, dalle controparti e dal commissario straordinario sulle questioni di salute e sicurezza, e il protocollo di legalità sottoscritto col prefetto di Roma. Oggi riusciamo a qualificare anche i soggetti che grazie al credito aprono i cantieri. Come Cgil e Uil dimostriamo di essere portatori di un’idea di paese dove si possono fare accordi con la contrattazione di anticipo per garantire legalità, sicurezza ed efficienza. Un’idea diversa da quella del governo che pratica la disintermediazione e che dopo la strage di Firenze fa un decreto che peggiora le condizioni dei lavoratori”, conclude Di Cola.

Per il segretario generale della Fillea Cgil Nazionale, Alessandro Genovesi, infine, “l’accordo, che si inserisce in una positiva tradizione della Banca e in un sistema di relazioni industriali di qualità, è importante per i contenuti concreti, in particolare per la centralità che riconosce al rispetto dei contratti collettivi edili, alla salute e sicurezza e a strumenti di contrasto al lavoro irregolare come il Durc di Congruità. Ci auguriamo che anche altre Banche seguano questa buona pratica, a favore delle imprese edili serie e contro i troppi furbetti del cantierino”, conclude Genovesi.

Scarica il testo dell’accordo




Spegniamo quel cellulare!

“Non ce la faccio più: VOI del Sindacato dovete fare qualcosa!”

(Sul VOI torneremo più avanti).

Sempre più spesso ci sentiamo rivolgere richieste accorate simili a questa da parte di lavoratrici e lavoratori esasperati da pressioni commerciali ogni giorno più pesanti e invasive.
Sappiamo quanto la questione incida sulla qualità di vita delle persone, contribuendo anche a minare la loro autostima a causa di atteggiamenti studiati ad arte per sminuirle e farle sentire inadeguate se non raggiungono obiettivi sempre più “sfidanti”.

Questi comportamenti sono difficili da contrastare con i mezzi a nostra disposizione, anche se con molto impegno riusciamo ad arginarli. E qualche volta otteniamo risultati positivi.
È il caso del diritto alla disconnessione, che siamo riusciti a vederci riconosciuto dalle Banche. E non è stata una conquista facile.

Sono sempre più numerosi i lavoratori e le lavoratrici che vengono dotati di smartphone aziendali. E sappiamo che spesso i nostri superiori, presi dall’ansia da prestazione (o, più prosaicamente, dal timore di vedersi sfuggire i loro ricchi premi), non si preoccupano di mandare messaggi o email a qualsiasi ora del giorno, e magari anche nel fine settimana.

Non riusciamo ad impedirgli di mandarli, ma abbiamo tutto il diritto di non leggerli se non una volta rientrati al lavoro.

L’Art. 44 del CCNL ABI prevede infatti quanto segue:

Fuori dell’orario di lavoro e nei casi di legittimi titoli di assenza non è richiesto alla lavoratrice/lavoratore l’accesso e connessione al sistema informativo aziendale; la lavoratrice/lavoratore potrà disattivare i propri dispositivi di connessione evitando così la ricezione di comunicazioni aziendali. L’eventuale ricezione di comunicazioni aziendali nelle predette situazioni temporali non vincola la lavoratrice/lavoratore ad attivarsi prima della prevista ripresa dell’attività lavorativa. Restano ferme eventuali specifiche esigenze.

Tradotto in termini pratici: quando si esce dal lavoro il telefonino aziendale si può spegnere. Ed è molto, molto importante che venga effettivamente spento.

Per spiegare le ragioni per cui è così importante, cominciamo ad esaminare i motivi per cui spesso il telefono rimane acceso 24 ore al giorno.

 

E SE ARRIVA UNA COMUNICAZIONE URGENTE?
Per quanto si tenda a farci credere il contrario, per nostra fortuna nel nostro lavoro non esistono urgenze (ad eccezione di fatti davvero eccezionali come i terremoti degli ultimi anni o il lockdown per il Covid). Non abbiamo incendi da spegnere, né malati gravi da curare. Qualunque comunicazione dovesse partire di venerdì sera può essere tranquillamente letta il lunedì mattina, senza che questo danneggi nessuno.

 

SE SCATTA L’ALLARME E MI CHIAMANO PER ANDARE IN FILIALE?
E’ bene fare chiarezza su questo punto. I Titolari di filiale, o i loro vice, non hanno alcun obbligo di rispondere a telefonate fuori orario, né sono tenuti a recarsi in filiale in caso di problemi tecnici, a meno che non ci sia una specifica richiesta di reperibilità da parte aziendale. E se questo avviene, la reperibilità prevede il pagamento di un’indennità mensile ed una turnazione: nessuno può essere reperibile 365 giorni all’anno. Quindi il Titolare di filiale ed il suo vice hanno tutto il diritto, garantito dal CCNL, di spegnere il telefonino aziendale e non essere raggiungibili in caso di chiamate per problemi tecnici. Spetta alla Banca attrezzare una task force di tecnici pronti ad intervenire, con reperibilità adeguatamente retribuita.

 

SE IO SPENGO IL TELEFONINO IN SERATA, POI LA MATTINA DOPO LO RIACCENDO E DEVO LEGGERE TUTTE INSIEME LE COMUNICAZIONI ARRIVATE NEL FRATTEMPO. CHE CI GUADAGNO?
La serata. O il fine settimana. O i giorni di vacanza. Ci guadagno qualche ora di serenità, da dedicare alla famiglia, agli amici o alle cose che mi piacciono, potendomi permettere una pausa durante la quale le ansie legate al lavoro vengono temporaneamente dimenticate.
Non è un guadagno importante?

 

IN FONDO SI TRATTA DI UNA MIA SCELTA. PERCHE’ NON POSSO TENERLO COMUNQUE ACCESO?
E qui arriviamo al VOI citato nella frase iniziale. Ottenere il riconoscimento di un diritto, come quello alla disconnessione, non è mai facile. Ma, soprattutto, un diritto non è mai acquisito per sempre. E l’unico modo per mantenerlo è esercitarlo. Ecco perché non avvalersi dell’opportunità prevista nel contratto finisce col togliere valore a quella conquista, e toglie forza e legittimazione al Sindacato in vista di future lotte.
Perché un concetto dev’essere chiaro: il Sindacato non è un soggetto estraneo. E’ fatto da lavoratori e lavoratrici che rappresentano altri lavoratori, e altre lavoratrici. E sono loro, con i loro comportamenti, a decidere se dare forza al Sindacato, e quanta forza dargli. Non si può rivolgersi al sindacato dandogli del Voi: NOI dobbiamo fare qualcosa. Tutti insieme.
Per questo motivo la scelta di non esercitare un diritto che si è conquistato non riguarda la singola persona, ma tutte le lavoratrici e i lavoratori interessati.

 

E quindi: spegniamo quel cellulare!
Facciamolo per noi. Ma anche per tutte le persone che lavorano con noi.