Il nuovo piano industriale MPS: utile da 900 milioni nel 2026 e uscite volontarie per 4.000 dipendenti

Il piano, spiega l’ad Luigi Lovaglio, dovrà traghettare il Monte su nuove sponde ripartendo “dalle proprie radici, dalla forza del brand, dal talento delle persone e dalla propria vocazione di banca commerciale”. Previsto un ritorno alla distribuzione dei dividendi a partire dal 2025, sulla base di un pay-out ratio del 30%. In programma anche il completamento dell’aumento di capitale di 2,5 miliardi atteso entro fine 2022, col sostegno del ministero dell’Economia.


 

Utile di circa 900 milioni a fine piano, nel 2026, con un ritorno alla distribuzione dei dividendi dal 2025; completamento dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi e un piano di ottimizzazione delle risorse che prevede uscite volontarie per quattromila dipendenti e una riorganizzazione delle filiali. Poggia su questi capisaldi il piano industriale del Monte dei Paschi di Siena presentato oggi dall’amministratore delegato del gruppo, Luigi Lovaglio, che dovrà traghettare la banca su nuove sponde ripartendo – spiega l’ad – “dalle proprie radici, dalla forza del brand, dal talento delle persone e dalla propria vocazione di banca commerciale”.

Nel piano illustrato ad analisti e stampa, Mps prevede un utile ante imposte pari a 705 milioni nel 2024, che salirà a fine arco di piano a 909 milioni con ritorno alla distribuzione dei dividendi a partire dal 2025, sulla base di un pay-out ratio (la percentuale di utili distribuita agli azionisti sotto forma di dividendi) del 30%. Il piano di Mps prevede poi un rafforzamento significativo della posizione di capitale della Banca a seguito del completamento dell’aumento di capitale di 2,5 miliardi atteso entro fine 2022, che vedrà il sostegno del ministero dell’Economia. Il consiglio d’amministrazione, si legge infatti nella nota, “ha preso atto della disponibilità del Mef, titolare di una partecipazione pari al 64,23% del capitale sociale della Banca, a supportare le iniziative sul capitale che la Banca assumerà per il rafforzamento patrimoniale nel quadro del Piano Strategico 2022-2026, per la quota di propria competenza a condizioni di mercato”.

Per raggiungere l’obiettivo è al via un piano di uscite volontarie mediante il Fondo di solidarietà che interesserà circa quattromila persone, con un risparmio dei costi pari a 270 milioni su base annua a partire dal 2023, a fronte di costi di ristrutturazione pari a circa 800 milioni. In vista anche un’ottimizzazione della rete distributiva con la riduzione di 150 filiali (di cui 100 entro il 2024), che porterà il numero totale a circa 1.218. In arrivo anche una nuova organizzazione interna, con la Direzione Chief commercial officer suddivisa in tre Direzioni, ciascuna delle quali sarà guidata da manager interni al Gruppo. Una svolta che per Lovaglio dovrà rappresentare “un primo importante tassello funzionale al raggiungimento degli obiettivi del piano, per snellire e velocizzare i processi con un’organizzazione più semplice e agile e una condivisione all’interno della Banca di tutte le competenze che metteremo al servizio della clientela, a cui saremo sempre più vicini”.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 




MPS & c. morti di freddo: i crac bancari senza padri

In fumo 35 mld, ma nessun colpevole. Sollievo per Draghi e per Bankitalia. Che, come con Etruria e le altre, non vide nulla


Il delitto perfetto? In Italia esiste, paga moltissimo (ma ad altri costa altrettanto), resta quasi sempre senza colpevoli. È il crac bancario. Lo attesta l’ultima sentenza della Corte di Appello di Milano, che l’altroieri ha ribaltato la sentenza di primo grado del novembre 2019 e ha assolto i 13 imputati per i derivati Alexandria e Santorini, il prestito ibrido Fresh e la cartolarizzazione Chianti Classico. I reati ipotizzati erano manipolazione di mercato, falso in bilancio e prospetto, ostacolo alla vigilanza. Secondo l’accusa, le operazioni sarebbero servite per occultare nei conti del Monte le perdite causate dall’acquisizione di AntonVeneta del 2008.
Ma per la corte d’appello invece “il fatto non sussiste”: per l’ex presidente Giuseppe Mussari e l’ex dg Antonio Vigni tre capi d’imputazione sono prescritti, a Deutsche Bank e Nomura sono state revocate le confische per oltre 150 milioni. In attesa delle motivazioni e dell’eventuale timbro della Cassazione, molte domande restano senza risposte certe.
Una su tutte: il Monte dei Paschi di Siena è dunque “morto di freddo”?
Forse, ma solo forse, è proprio andata così.

Il collasso di Siena è costato oltre 32 miliardi, ai quali secondo la banca stessa nei prossimi mesi dovranno aggiungersene altri 2 e mezzo (almeno) per ricapitalizzarla ancora. A salvare il Monte non è bastato piazzare aumenti di capitale a ripetizione: sono andati bruciati quello da 5 miliardi del 2008, da 2 del 2011, da 2,5 del 2012, da 5 del 2014 e da 3 del 2015. Anche la “ricapitalizzazione prudenziale” del 10 agosto 2017 è ormai scialacquata, se la banca (che ormai in Borsa capitalizza appena 726 milioni) reclama a breve un’ulteriore iniezione di capitale da almeno 2,5 miliardi.
A rimetterci non sono stati solo gli azionisti privati ma anche il Tesoro (dunque i contribuenti), primo azionista con il 64,23%, che su 6,9 miliardi investiti ne sta perdendo 5,74 (quasi il 90%) e ora dovrà rimettere mano al portafoglio. In fumo anche le obbligazioni subordinate: da quelle degli investitori istituzionali al bond retail da oltre 2,16 miliardi piazzato a 37 mila piccoli risparmiatori, spesso anziani, a tagli da mille euro durante l’operazione del 2008 per acquistare AntonVeneta.
Era ben prima che esistesse la direttiva europea sul bail in e agli albori del recepimento in Italia della direttiva Mifid sulla tutela dei risparmiatori. Eppure questa devastante distruzione di valore non ha un responsabile. Gli imputati sono stati assolti più volte dall’accusa di ostacolo alla Vigilanza di Banca d’Italia. Non hanno commesso falso in bilancio o prospetto né, tantomeno, manipolazione di mercato. Con Mussari, Vigni e colleghi assolti, la condanna di primo grado dei loro successori, l’ex presidente Alessandro Profumo e l’ex ad Fabrizio Viola potrebbe essere ribaltata in appello. In attesa delle motivazioni della sentenza, la crisi dell’istituto per la legge è stata causata (e non aggravata dopo la mala gestio) dalla grande crisi finanziaria globale innescata nel 2007 dai mutui subprime Usa e dalla recessione che ne derivò. Nessun reato nelle scelte disastrose compiute.

Il falò delle vanità creditizie italiane però non si è limitato a incenerire Rocca Salimbeni. Per restare agli istituti maggiori, negli ultimi due decenni analoghi incendi hanno colpito BiPop-Carire, Italease, Carige, Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara, CariChieti, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Bari. Sinora ben poche son state le condanne per quei crac, nessuna delle quali è definitiva, mentre tutte le accuse paiono indirizzate verso la prescrizione. Parrebbe dunque essersi trattato di un incredibile filotto di rarissimi casi di autocombustione bancaria. D’altronde la crisi bancaria, sempre negata dall’Abi, fu poi dichiarata “superata”: strano esempio di problema inesistente e poi risolto.
Solo qualche mela marcia”, ebbe a dire il presidente Antonio Patuelli a chi gli chiedeva ragguagli sulle responsabilità nei dissesti degli istituti. Affermazione giustizialista, letta col senno di oggi, perché ormai sono sparite pure le mele marce.

Ma la sentenza d’appello di Milano sul crac Mps non è stata accolta con gioia solo dai 13 imputati assolti. A tirare un sospiro di sollievo c’è anche Banca d’Italia la quale, regnante il Governatore Mario Draghi, diede via libera all’acquisizione di AntonVeneta: paradossale esempio di controllore che viene graziato per non aver controllato e tuttavia potrà ora affermare di aver sempre vigilato con attenzione.
In questa galleria dell’assurdo, di sicuro sul campo restano solo le vittime. Tra queste la Procura di Milano, sconfitta in appello dopo indagini e due processi durati un decennio. C’è, soprattutto, la via crucis di famiglie e piccole imprese: alla faccia dell’articolo 47 della Costituzione (“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”), da inizio secolo i collassi bancari sono costati oltre 72 miliardi a quasi un milione di azionisti e bondisti subordinati. Nessuna mala gestio, la vigilanza non ha colpa e non è stata neppure ostacolata. Chissà però se la fiducia, unico vero carburante del credito, tornerà mai a riprendersi.

 

Articolo di Nicola Borzi su Il Fatto Quotidiano dell’8/5/2022




Come vendere le polizze? Il manager MPS: “Provateci con tutti. Come con le donne…”

La frase pronunciata in una call online ha scatenato i rappresentanti dei lavoratori: “Più rispetto per il genere femminile”


Il segreto del “top performer” dei venditori di prodotti assicurativi? Fa “come con le donne”, prova con tutte, qualcuna ci starà. È l’esempio che il chief commercial officer di Banca Monte dei Paschi di Siena, Pasquale Marchese, porta ai suoi dipendenti durante un corso di formazione, riferendosi alla strategia di un promotore con cui aveva lavorato. Un racconto fatto davanti a titolari di filiale, manager della direzione commerciale, gestori, in totale una platea potenziale di alcune migliaia di persone collegate da remoto alla call riservata. “Ricordo, in un’altra azienda, un top performer del commerciale proprio dei prodotti di protezione – spiega il manager -. Gli chiesi: come fai a vendere così tanti prodotti, dipende dalla formazione che hai fatto, dipende dalla conoscenza dei clienti, da che dipende? Lui mi rispose in dialetto. Mi disse: ‘Ingegne’, che le devo dire, è come quando uno deve conquistare una donna, io ci provo con tutte, poi qualcuna ci starà”, racconta Marchese, che cerca di smussare dicendo che “vale per le signore come per i signori”. Poi la lezione continua.

Ma i sindacati si scatenano.

In un comunicato interno parlano di un “episodio di mancanza di rispetto e sensibilità nei confronti della professionalità di tutti i nostri colleghi senza distinzione di genere. Il nostro educatore di top performer in serie – ironizzano – è riuscito ad affondare codice etico e deontologia professionale, educazione sentimentale e rispetto per il genere femminile (e indubbiamente anche per quello maschile)”.
Parlano di “anni di regolamentazione, formazione e contrattazione sulle politiche commerciali, di corsi sulla consulenza avanzata, di normative sulla tutela del cliente, sepolti sotto un unico imperativo: provarci, sempre e con tutti”.

Dalla Banca (ai cui vertici ci sono Maria Patrizia Grieco, presidente, e Francesca Bettio e Rita Laura D’Ecclesia vicepresidenti) non c’è alcuna presa di posizione ufficiale, solo un “nessun commento”. Marchese, cercato, non ha interloquito con Repubblica per spiegare.

È una storia, questa, che si intreccia con la passata denuncia dei sindacati (Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca, Unisin) sulle pressioni commerciali per vendere prodotti. È successo più volte nella storia recente di Mps, anche dopo l’arrivo di Marchese nel settembre 2020, che i sindacati abbiano denunciato presunte ed eccessivi pressioni commerciali.

 

Fonte: La Repubblica




MPS. Spese mediche: migliorare il servizio

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Nei giorni scorsi abbiamo incontrato l’Azienda per verificare l’andamento del programma di rimborso delle spese mediche, correggerne i disservizi e gettare le basi per le soluzioni percorribili per il 2023, tenendo presente l’intera platea degli interessati, composta da lavoratori attivi o nel fondo di solidarietà, pensionati e i loro familiari.

L’Azienda si è dichiarata disponibile ad avviare da subito un percorso che consenta una progettazione adeguata per tempi e contenuti, valutando le alternative praticabili, comprendenti la velocizzazione delle procedure di adesione dei familiari e il ripristino di condizioni migliorative per i pensionati che quest’anno si sono fatti interamente carico di un premio significativamente aumentato.

L’Azienda è già intervenuta con Caspie a fronte delle numerose segnalazioni pervenute dalle Organizzazioni Sindacali sulle difficoltà generalizzate che i colleghi hanno riscontrato nelle ultime settimane quando si sono rivolti all’help desk dedicato: ritardi, mancate risposte o risposte parziali e incoerenti hanno caratterizzato i primi mesi dell’anno. Per far fronte all’incremento delle richieste di intervento, sia telefoniche che via mail, Caspie ha rafforzato il comparto che cura l’assistenza e già dalle prossime settimane la situazione dovrebbe normalizzarsi.

Abbiamo inoltre segnalato le tante inefficienze delle prestazioni in convenzione diretta con le strutture convenzionate, anche di lungo corso e chiesto di verificare le procedure e i disciplinari apponendo, se necessario, i correttivi utili a perfezionare i processi autorizzativi e la puntuale ed esplicita corrispondenza dei codici di autorizzazione con le relative prestazioni. Questo al fine di limitare ripercussioni negative sulla platea degli assicurati o, peggio, esborsi non dovuti.

Ancora in tema di prestazioni in convenzione diretta, riteniamo utile precisare che nel network “PosteProtezione” dell’Area Riservata Caspie, è possibile ricercare le strutture convenzionate ma è altresì necessario prendere preventivo contatto per verificare il convenzionamento del medico e la disponibilità della prestazione richiesta.
Infine, anche sul rimborso dei ticket del Servizio Sanitario Nazionale, che è previsto integralmente (cfr. disciplinare), abbiamo registrato alcuni dinieghi apparentemente infondati, sui quali ci attendiamo un chiarimento.

Attendiamo una nuova convocazione aziendale, per avere le risposte a questi primi quesiti e per cominciare a ragionare in prospettiva futura, accelerando il processo di predisposizione del programma rimborso spese mediche del 2023.

Siena, 7 aprile 2022

 

Le Segreterie




Mps, Franco dà la linea: rilanciare poi vendere

Il ministro dell’economia in audizione alle commissioni finanze di Camera e Senato parla del futuro di Montepaschi: il governo chiederà una proroga ma il controllo della banca da parte dello Stato deve avere una scadenza


 

I tempi per l’uscita dello Stato dal capitale del Monte dei Paschi di Siena non si prospettano brevi. Il Tesoro, ha ribadito il ministro dell’Economia Daniele Franco alle commissioni Finanze di Camera e Senato, sta infatti chiedendo alla Ue una proroga “congrua”, che consenta all’istituto senese di completare la sua ristrutturazione, per la quale servirà un aumento di capitale “in questo momento” quantificato in 2,5 miliardi di euro ma sul quale l’ultima parola toccherà al nuovo piano affidato al neo amministratore delegato Luigi Lovaglio.

“Eventuali favorevoli opportunità di dismissioni qualora si profilassero potranno esser colte sin da subito” ma è “ragionevole attendersi che solo dopo l’aumento e le iniziative di miglioramento dell’efficienza previste dal piano si creeranno condizioni più favorevoli per procedere alla privatizzazione”, ha detto il ministro, che ha invece definito uno scenario “non ipotizzabile”, perché contrario alle norme Ue, la permanenza “senza limiti di tempo” nel capitale della banca.

All’esito della vendita il Mef intende “assicurare” a Mps “un futuro importante nel sistema bancario italiano ed europeo”, salvaguardando “i livelli occupazionali”, il “marchio” e “il legame con il territorio” di una banca parte del “patrimonio economico, culturale e storico” del Paese, della Toscana e di Siena. No anche a “spezzettamenti” mentre sulla cessione di sportelli – si parla di un pacchetto al Sud diretto verso Mediocredito centrale – deciderà la banca. A queste condizioni la nazionalità del partner – “straniero” o “italiano” – non avrà importanza.

Lovaglio, in sella dallo scorso 7 febbraio, avrà Il compito di scrivere “un piano ambizioso e credibile” che convinca la Borsa a sottoscrivere, assieme al Tesoro, l’aumento di Mps in una “operazione di mercato” che scongiuri il rischio di un nuovo salvataggio statale. Al tal riguardo il Mef sta negoziando con l’Europa “misure compensative” per il mancato rispetto dei target al 2021, che si traducano in obiettivi “sufficientemente ambiziosi ma realistici e sostenibili”, specialmente sul fronte dei costi, dal 2017 vero tallone d’Achille della banca. 

 

Con Lovaglio, ha spiegato Franco, si vuole “imprimere alla gestione un cambio di passo per accelerare il processo di ristrutturazione necessario a dare maggiore credibilità alle prospettive di risanamento e sviluppo”, facendo leva sulla reputazione di un manager che “ha gestito operazioni complesse e completato ristrutturazioni aziendali di successo”.

“La prima sfida” a cui sarà chiamato l’ex ad del Creval sarà proprio l’aumento di capitale, il cui ammontare – ha detto Franco – “lo vedremo con il piano industriale”. “In questo momento” i 2,5 miliardi indicati nel dal suo predecessore Guido Bastianini sono una “cifra ancora adeguata”, che dunque dovrebbe finire in maniera inerziale nel capital plan da sottoporre alla Bce entro il 31 marzo.

Franco ha anche chiarito i motivi dell’avvicendamento con Bastianini, sfiduciato dal cda dopo che il Tesoro, all’inizio del 2021, ne aveva chiesto le dimissioni. I risultati 2021, chiusi con 310 milioni di utili, il miglior risultato dal 2015, “sono stati relativamente buoni ma nettamente meno buoni di quelli delle altre banche”, ha detto Franco, indicando come il risultato sia stato spinto da alcune componenti straordinarie e dai sostegni pubblici al credito legati al Covid. Una “relativa debolezza” evidenziata, a detta del ministro, anche dall’andamento del titolo in Borsa (che ha sottoperformato durante il biennio di Bastianini e sovraperformato dopo l’arrivo di Lovaglio).

A Bastianini è stato infine imputato il mancato conseguimento degli obiettivi di costo, rimasti fermi al 70% dei ricavi, livello sotto il quale non era riuscito a scendere neppure il suo predecessore Marco Morelli, che pure quei target aveva concordato con la Ue.

 

Fonte: Il Tirreno




Banche, in tre anni spariranno altre 2.500 filiali

Nei prossimi le principali banche italiane dovrebbero chiudere complessivamente 2.500 filiali, portando il numero complessivo ampiamente sotto le 20.000 unità. Effetto della digitalizzazione che allontana i clienti dagli sportelli e delle fusioni che spingono le banche a fare sinergie riducendo le sovrapposizioni territoriali. Un fenomeno — quello della chiusura degli sportelli sulla spinta di Internet — cominciato circa dieci anni fa: nel 2012 erano circa 33.000, mentre alla fine del 2020 le filiali erano già scese a 23.480.

La tendenza sta continuando: nel 2021 la sola Intesa Sanpaolo ne ha chiuse 450 e — secondo il Sole 24Ore che ha pubblicato oggi i dati — è ragionevole supporre che il totale dei tagli agli sportelli abbia superato ampiamente quota 1.000. E i piani industriali presentati hanno tutti un taglio delle filiali.

I piani industriali

Nel prossimo triennio — sulla base dei piani industriali approvati da Intesa Sanpaolo, UniCredit, BancoBpm e Bnl-Bnp Paribas — sono previste almeno 1.643 chiusure. Altri si aggiungeranno molto probabilmente con i nuovi piani industriali di Bper — che ha appena deciso di acquisire Carige (e arriveranno probabilmente altri tagli), di Crédit Agricole Italia e soprattutto di Mps che dovrebbero portare il saldo totale delle chiusure programmate nei dintorni delle 2.500 unità (che vanno ad aggiungersi alle 2.000-2.500 già chiuse nel biennio 2020-2021). Nel 2024 complessivamente si arriverebbe a circa 7 mila sportelli in meno rispetto al 2019, attorno a quota 17.000.

L’effetto sul personale

Questa riduzione della banca «fisica» ha effetti anche sul personale, che inevitabilmente viene ridotto. Il sistema bancario ha comunque gestito con responsabilità con accordi sindacali che si basano su prepensionamenti e volontarie incentivate cui corrispondono nuove assunzioni nel rapporto di un giovane ogni due persone uscite. Banche e sindacati — evidenzia Il Sole 24Ore — hanno concordato inoltre la riqualificazione professionale di alcune decine di migliaia di ormai ex “sportellisti” bancari (8.000 nella sola Intesa Sanpaolo) a nuove mansioni. Vanno anche considerate nel conto anche le altre banche più piccole o specializzate, come per esempio la nuova Isybank che sarà lanciata da Intesa Sanpaolo.

 

Fonte: Corriere.it




MPS: assunzioni

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Nelle prossime settimane l’Azienda porterà a compimento l’impegno assunto con il Sindacato nell’Accordo del 6 agosto 2020, relativo all’assunzione di 1 nuovo collega ogni 2 uscite, determinate dall’adesione al Fondo di Solidarietà.
I 67 futuri colleghi, provenienti dallo scorrimento della graduatoria concorsuale in essere, saranno interamente assegnati agli organici della Rete come da noi richiesto nei recenti incontri.

L’Azienda ci ha confermato l’intenzione di procedere, privilegiando le assegnazioni nelle Filiali con maggiore carenza di organici e nelle aree metropolitane attualmente in sofferenza secondo un criterio derivante da analisi e indicatori gestionali interni.
Per quanto riguarda le assegnazioni dei nuovi colleghi, abbiamo anche raccomandato di limitare il disagio in termini di distanza fra residenza e destinazione, di concentrare l’attenzione verso zone geografiche (aree del Nord in particolare) non contemplate dai precedenti ingressi in servizio e di porre in essere leve gestionali per favorire eventuali richieste di trasferimento delle Lavoratrici e Lavoratori, nonché di porre attenzione a situazioni di estremo disagio dei neoassunti della prima tranche.

Nonostante l’auspicabile miglioramento dei processi di selezione e destinazione dei nuovi colleghi, riteniamo che con questa ulteriore tranche di assunzioni si sia definito un importante percorso di valenza sociale e di concreto intervento per alcune unità produttive in maggiore difficoltà.

Nei giorni scorsi l’Azienda ci ha comunicato la volontà di anticipare, anche su nostra forte richiesta, le assunzioni derivanti dal collocamento obbligatorio (Legge 68/1999) con l’uscita dei relativi bandi che rimarranno aperti fino al 20/02/2022 così distribuite:
– n. 7 risorse per la Provincia di Firenze
– n. 1 risorsa per la Provincia di Pistoia
– n. 1 risorsa per la Provincia di Taranto

Siena, 7 febbraio 2022

 

Le Segreterie




Mal di budget tra i bancari: lo studio del Sole 24 Ore

Che succede sul fronte delle pressioni commerciali allo sportello? In piena estate è esploso il malessere tra i dipendenti di alcuni gruppi bancari italiani. Raffiche di comunicati hanno intasato le bacheche virtuali delle principali sigle sindacali. Poi sono arrivate le convocazioni dalla commissione parlamentare di vigilanza delle banche, e anche la commissione nazionale banche-sindacati sul mal di budget ha finalmente riavviato i motori. Segnali importanti dell’elevato livello di attenzione in un settore molto delicato.

Il monitoraggio
A distanza di 5 mesi dalla recrudescenza del fenomeno, Plus24 ha deciso di realizzare un monitoraggio fra i 5 principali gruppi bancari italiani per numero di dipendenti. Chi pensava che i dati fossero facilmente disponibili, dovrà ricredersi: è stato complicato risalire alle segnalazioni inviate dai dipendenti alle commissioni che in ogni gruppo bancario si occupano di mal di budget. Grazie alla collaborazione delle organizzazioni sindacali del settore siamo riusciti a realizzare un primo bilancio post accordo ABI-sindacati del 2017, quando fu siglato il patto per la costituzione della commissione nazionale sulle pressioni commerciali. Ecco di seguito i risultati riassunti anche dalla tabella che segue.

Intesa Sanpaolo
E’ la banca che ha confermato il dato fornito dai sindacati in totale trasparenza: 162 le segnalazioni pervenute alla casella [email protected]. Sono soltanto 118 però quelle che hanno passato il primo screening: 44 email sono state infatti escluse o per mittente anonimo o per assenza del modulo di segnalazione. Da sottolineare che Intesa Sanpaolo è il primo gruppo italiano con quasi 100mila dipendenti e giocoforza registra un maggior numero di casi. A parte la conferma dei dati, nessun commento da parte dell’istituto.

BancoBpm e Bper
La terza e la quarta banca in Italia per numero di dipendenti sono rispettivamente BancoBpm e Bper. La prima, secondo fondi sindacali, ha ricevuto quest’anno 90 segnalazioni di pressioni commerciali; l’istituto con sede a Modena invece è a quota 130: da ricordare che quest’ultimo è reduce dall’acquisizione di 620 sportelli ex Ubi e Intesa.
Sia Banco Bpm che Bper non hanno voluto commentare i dati sulle segnalazioni.

Unicredit e Mps
Infine il secondo e il quarto gruppo bancario italiano. Qui tutto è più complicato. I sindacati non sono riusciti a fornire dati in merito. Dal canto loro, Unicredit e Mps affermano di non aver ricevuto segnalazioni di pressioni commerciali quest’anno.
Da Unicredit fanno sapere che “la commissione, istituita con il protocollo Unicredit sulle politiche commerciali sottoscritto con le nostre organizzazioni sindacali, non ha ricevuto, nel corso del 2020 e 2021, alcuna denuncia per pratiche di pressioni commerciali. Sono state riscontrate solo alcune segnalazioni di singoli comportamenti non conformi alle previsioni contrattuali, gestite e risolte in modo costruttivo grazie ai 7 presidi locali (osservatori bilaterali azienda e sindacato) presenti sul territorio”.
Le dimensioni di Unicredit sono molto simili a quelle di Intesa Sanpaolo: come mai non c’è stata nessuna segnalazione? Lo stesso interrogativo lo si può sollevare per Mps benché qui le dimensioni siano ben diverse da Intesa e Unicredit. Ecco il commento di Siena: “In materia di politiche commerciali, in banca Mps è continuo il confronto nell’ambito dell’omonima commissione paritetica permanente (costituita sin dal 2015 con specifico accordo sindacale aziendale) anche in chiave programmatica e propositiva”. E ancora: “La commissione può anche essere sede di analisi di episodi specifici, su segnalazione da parte dei dipendenti o per il tramite dei rappresentanti sindacali, anche attraverso una casella di posta elettronica dedicata nel rispetto delle norme in materia di privacy. In tal senso, comunichiamo che nel 2021 non sono pervenute segnalazioni su casi specifici”.

La posizione dei sindacati
Quali conclusioni si possono trarre dunque dal monitoraggio sulle segnalazioni di mal di budget a quattro anni dall’intesa nazionale sulle pressioni commerciali? “In realtà, dopo l’accordo sulle politiche commerciali, le banche sono molto più raffinate rispetto al passato nel porre in atto politiche commerciali pervasive ” spiega Susy Esposito, segretaria nazionale Fisac Cgil e componente della commissione nazionale sulle politiche commerciali. “Si pensi anche all’introduzione delle agende elettroniche per l’organizzazione degli appuntamenti della clientela che prevedono, molto spesso, dei report immediati rispetto all’esito dell’appuntamento. Politiche pervasive sono anche le frequenti previsioni di vendita e le correlate graduatorie comparative tra strutture. Il fenomeno e tutt’altro che scomparso.”  A questo punto come bisogna muoversi per aiutare i dipendenti come il mal di budget? “Le segnalazioni delle pressioni commerciali sono indispensabili per far emergere il problema e il disagio lavorativo, quindi è bene alimentare il senso di fiducia nell’accordo” ricorda Fulvio Furlan, segretario generale Uilca. “Dove non risulta ve ne siano può significare che certe criticità siano risolte in ambito gestionale con il sindacato e non serva arrivare a coinvolgere le commissioni preposte”.

 

Articolo di Valerio D’Angerio su “Il Sole 24 Ore” del 4/12/2021




Banco Bpm e Bper crollano in Borsa, da governo un tetto a incentivi Dta

Banco Bpm e Bper sotto pressione in Borsa: a pesare è la rimodulazione degli incentivi fiscali alle fusioni bancarie, con l’introduzione di un tetto di 500 milioni alla trasformazione delle Dta in crediti fiscali.

Secondo le analisi dei broker, Banco Bpm e Bper vedono sfumare gli incentivi, mentre ne approfitta invece Carige, che risulta favorita dal nuovo impianto.

“Il gioco dell’M&A è finito”, scrivono gli analisti di Mediobanca, sottolineando come l’incentivo delle Dta sia sostanzialmente invariato per Carige e ridimensionato per tutti gli altri.

Mediobanca, che cita le ultime bozze della manovra, evidenzia la comparsa di “un inatteso tetto” all’incentivo rappresentato dal più basso tra 500 milioni di euro e il valore del 2% degli asset della banca più piccola coinvolta nella fusione, di fatto introducendo un ‘cap’ di mezzo miliardo alla trasformazione delle Dta in crediti fiscali.

Dopo “l’interruzione delle trattative tra Unicredit e il Ministero dell’Economia su una potenziale transazione per Mps vediamo l’estensione della Dta al giugno 2022 a rischio”, scrivono gli analisti di Piazzetta Cuccia, che evidenziano “un cambio di corso” nella politica del governo “che di fatto mantiene il supporto sostanzialmente invariato per Carige e lo limita seriamente per tutti gli altri attori”.

Il taglio alle Dta secondo gli esperti “riduce ulteriormente le probabilità di un coinvolgimento di Unicredit“, che già “sta ripiegando su una strategia stand-alone” nel breve termine. I cambiamenti sono giudicati “non favorevoli” a Banco Bpm, che “potrebbe perdere il suo appeal speculativo come potenziale target di un takeover di Unicredit“, e per Bper.

L’istituto modenese vede “dimezzato” da 1 miliardo a 500 milioni l’incentivo a una fusione con il Banco Bpm, le cui chance erano già in calo negli ultimi mesi, mentre restano “invariate” le possibilità di una fusione con la Popolare di Sondrio, in cui le Dta non avrebbero comunque avuto un peso.

Anche Equita si esercita sul nuovo scenario, osservando che sarà più difficile un deal tra Banco Bpm e Unicredit. “Secondo la norma attuale stimiamo un beneficio di 2,7 miliardi”. Al contrario, “non cambierebbero in maniera rilevante le probabilità di fusione tra Banco e Bper dato un beneficio a capitale da conversione Dta significativamente inferiore (ad oggi circa 900 milioni”.

Alle ore 16,54 le azioni Banco Bpm e Bper segnano ribassi intorno al 7%, in controtendenza Carige che avanza di oltre il 2%.

 

Fonte: finanzareport.it




MPS: comunicato su interruzione negoziati con Unicredit

Domenica scorsa è stata ufficializzata con un comunicato congiunto l’interruzione dei negoziati tra MEF e Unicredit, relativi alla potenziale acquisizione di un perimetro definito di Banca Monte dei Paschi di Siena.

Come abbiamo già richiesto con forza nei mesi scorsi, è ora urgente che il Governo, azionista di maggioranza, richieda al più presto alla Dg Comp la proroga dei tempi previsti per la permanenza nel capitale di MPS.

È questa, assieme al dovuto aumento di capitale, una condizione necessaria, ma non sufficiente, per permettere di trovare soluzioni alternative che possano garantire la stabilità ed il rilancio del Gruppo che da tempo auspichiamo.

Ci attendiamo quindi che venga finalmente attivato con il Sindacato un confronto su un progetto strategico chiaro, che non potrà prescindere anche dal mantenimento dell’integrità societaria ed organizzativa, dalla conservazione dell’attuale insediamento territoriale della Banca, dei livelli occupazionali, normativi e salariali per consentire al Gruppo MPS di rafforzare il proprio ruolo di riferimento a sostegno dell’economia del Paese, delle famiglie e delle imprese.

Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che i 21.000 dipendenti di MPS che ogni giorno svolgono il proprio lavoro con professionalità e dedizione, nonostante le continue pressioni mediatiche a cui sono sottoposti, meritano rispetto e conseguentemente una risposta tempestiva che consenta di ristabilire un sereno clima lavorativo.

Siena, 26 ottobre 2021

 

Le Segreterie di Coordinamento
Banca Monte dei Paschi Siena

 

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