Il Tesoro prepara l’uscita da Mps e rinuncia alla regia sul terzo polo

La vendita della prossima tranche del Tesoro darà più peso alle scelte dei soci privati. Si guarda al piano di agosto e all’accordo bancassicurativo con Axa, che può aprire la via a nuove alleanze strategiche: Unipol in primis.


 

Inizia l’estate della verità per Mps. In cui la banca svelerà il volto “riprivatizzato”, e il Tesoro primo socio lascerà ai manager le redini strategiche, e al mercato la (eventuale) scelta del partner con cui formare il “terzo polo” creditizio.

Il 2 luglio scadono i tre mesi presi dal socio pubblico dall’ultima vendita di un 12,5% a dozzine di fondi istituzionali. Da allora il Tesoro può tornare a vendere: e nelle retrovie una terza tranche si profila. Un pacco del 10% circa, in base alle richieste e alla tenuta del titolo, che dopo il picco di €5,29 il 17 maggio nel mese del taglio ai tassi e dell’onda nera alle elezioni UE ha perso quasi un euro. Ma la fase di correzione, comune al settore, lascia il titolo vicino a un multiplo del 60% del patrimonio tangibile: e benché le rivali quotino quasi al 90%, Deutsche Bank ha ricordato che a “quota 60%” sono avvenute tutte le recenti acquisizioni italiane. Come dire che MPS è banca “da sposare”: benché il Tesoro sia più propenso a venderla in piccoli tagli, per rispettare gli impegni del 2017 di uscire dal capitale (l’ultima proroga dice nel 2024).

La coincidenza di date, vista con occhi senesi, schiude una finestra ideale per la terza tranche: l’intervallo tra il Palio della Madonna di Provenzano, proprio il 2 luglio, e quello dell’Assunta, il 16 agosto. In quei 45 giorni i contradaioli pensano quasi solo alle corse, l’attenzione al resto rasenta lo zero. Ma Luigi Lovaglio, da due anni sempre più leader di MPS, ha un’agenda poco senese oggi. In città si vede poco: mentre gira molto tra Roma, Milano e Londra, dove secondo più fonti incontra i vertici del Tesoro e invita tanti investitori nell’azionariato. Lo schema che avrebbe in testa l’ex manager di Unicredit ha due livelli di lettura: rimpolpare la quota dei fondi per poter navigare anche in solitaria – trovando magari qualche “traghettatore” di medio termine. Sempre di public company si tratta: ma non è uguale. Al primo livello ci siamo già, dopo che il tesoro ha ceduto in sei mesi il 37,5% a centinaia di fondi. Gestori che chiedono capital gain e dividendi, ma non si mettono a battagliare con un eventuale “scalatore”. Se invece si formasse un nocciolo duro, tipo quello creato in Banco BPM tra Fondazioni, Casse previdenziali e privati per arginare il Crédit Agricole, la valenza sarebbe doppia: perché se è vero che il ballo delle fusioni vive una pausa di studio, è probabile (lo ha appena detto l’AD di Banco Bpm, Giuseppe Castagna) che riparta in 18-24 mesi: e Siena è attesa sul palco. Ma dal 2025, con il Tesoro sceso intorno al 15% e la Lega indebolita sulla scena politica, sarà più arduo che il governo abbia un ruolo attivo nel consolidamento.

Non sono mancati i tentativi. Da quelli di tre anni fa del governo Draghi, pronto a offrire circa 7 miliardi di dote a Unicredit per indurla a rilevare MPS, alla moral suasion di Meloni (specie con la sponda dei leghisti, forti a Siena e nel nord “bancario”) per convincere Banco Bpm a impalmare il Monte. Inviti sempre respinti al mittente da Castagna & C. Secondo altre fonti un annetto fa il Tesoro cercò soci anche altrove. Nella valle lombarda ben nota al ministro Giancarlo Giorgetti, eletto nel collegio di Sondrio, e pure da Lovaglio, per anni a capo di Creval nella ridotta valtellinese, poi espugnata dall’Opa francese del Crédit Agricole.

La (ex) Popolare di Sondrio, con dimensioni e sviluppo geografico adatti a essere comprata da MPS, aderiva alla nuova narrazione “autonomista” diffusa dai senesi un anno fa, allorché l’impennata dei tassi ne gonfiava i ricavi, mentre le procure di mezza Italia assolvevano tanti ex manager decimando il petitum chiesto dagli investitori (salito fino a 10 miliardi). Cominciava il “Rinascimento” senese e la dirigenza spolverava il blasone, proponendosi come polo aggregante, non più zitella da maritare. Il 12 giugno, al congresso Fabi, Lovaglio cambiò la vulgata: “Il tema non è fare il terzo polo per salvare MPS, non ne abbiamo bisogno. Il terzo polo siamo noi, con logica aggregativa, non per farci salvare”.

A Sondrio, però, aveva già piantato un paletto la Unipol di Carlo Cimbri, rilevando il 9,9% della neonata Spa e forte dell’accordo per distribuire le sue polizze sui 500 sportelli di BPS. Proprio in quelle settimane Unipol chiedeva alla BCE di salire fino al 19,9% in BPS, a ciò autorizzata il 6 settembre così da raddoppiare la quota in breve. Due mesi dopo il Tesori iniziava i collocamenti in Borsa di MPS, sfruttando il decollo delle quotazioni. Venti giorni fa, al G7 di Stresa, Giorgetti ha avuto buon gioco a rivendicare la strategia con cui il Tesoro ha recuperato gli 1,6 miliardi sborsati nell’aumento 2022: “Andiamo avanti con il nostro programma. Il risanamento è un grande successo che fa piacere alle casse pubbliche, e la banca mostra una solidità di cui possiamo andare fieri“.

L’operazione “terza tranche” va peraltro inserita nell’agenda estiva, che prevede un doppio passaggio il 5 agosto, quando il CdA MPS esaminerà i conti dei semestrali e la revisione del piano strategico 2022-26 a cui collabora Mc Kinsey. Nasceva, il piano, a complemento dell’ennesima ricapitalizzazione obbligata, ma a metà percorso molti obiettivi sono già colti (come i dividendi, appena erogati e due anni in anticipo). Chi lavora al dossier non attende grandi soprese, salvo qualche ritocco all’insù delle entrate da commissioni – per fronteggiare la discesa dei tassi BCE – e degli investimenti tecnologici, che la BCE vuole veder salire, per operare con efficienza anche senza quella fusione che la vigilanza prima imponeva.

Ma il vero nodo “strategico”, al di fuori del piano, è la bancassicurazione. Lovaglio ha già detto che l’accordo con Axa, che scade fra tre anni, si potrebbe rivedere, per internalizzare la società comune che vende polizze alla rete MPS. Costerebbe circa un miliardo, ma MPS ha circa 2,5 miliardi di capitale libero. Come ha scritto l’ufficio studi di Deutsche Bank c’è un chiaro razionale operativo a negoziare con Axa, emulando la strategia di rivali come Banco BPM, Intesa Sanpaolo e Unicredit, di accentrare a ampliare i ricavi da polizze. Solo che, se MPS prendesse questa via, potrebbe diventare un campo da arare per Unipol, che ha fatto dell’incrocio tra vendite di polizze a banche come BPER e BPS e investimenti nel loro capitale un pilastro del proprio rilancio.

Se MPS si ricomprasse la quota di Axa, insomma, diventerebbe appetibile per nuovi fornitori di polizze; e in caso di futura gara da bandire a Siena e probabile che Unipol partecipi con una buona offerta, magari corredata dall’acquisto di una quota di azioni MPS (proprio ciò che ha fatto a Modena e a Sondrio).

Qui occorre chiedersi  se il governo più a destra della Repubblica Italiana intenda agevolare l’avvicinamento di Unipol-Bper a Siena. Non è questione oziosa: perché se è vero che Carlo Cimbri è ormai una figura di prima grandezza nella finanza italiana, che naviga sicuro unendo logiche di mercato a salde sponde con Intesa Sanpaolo e Mediobanca, e pure vero che le coop emiliane sue socie hanno una storia e un network diversissimi da chi siede al governo. Cimbri peraltro ha forte stima di Lovaglio, cui propose la guida di Bper, poi affidata a Luigi Montani e ora a Gianni Papa. E la scelta, sulle polizze MPS, spetta al banchiere lucano e al CdA che lo ha nominato.

 

Articolo di Andrea Greco su Repubblica del 17/6/2024

 




Banche: ancora record utili nel primo trimestre: 6,3 mld, +25% su 2023

Il sistema bancario continua a macinare record. Numeri in crescita anche nel primo trimestre dell’anno dove i primi sette gruppi bancari nel paese (IntesaSanpaolo, Unicredit, Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio e Credem) hanno fatto registrare utili pari a 6,3 miliardi per un +25,6% sui primi tre mesi del 2023. Lo rileva un breve report condotto dall’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil sui risultati di bilancio dei primi sette gruppi bancari nazionali nel primo trimestre del 2024.

Il commento

Dopo i risultati da record per i grandi gruppi bancari nel biennio passato, commenta la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “molti si attendevano un rallentamento dell’andamento, complice l’attesa discesa dei tassi di interesse. Il ritardo della Bce a diminuire i tassi di riferimento, e di conseguenza la trasmissione di questo ai tassi attivi praticati dalle banche, insieme alla perdurante politica di scarsa remunerazione dei depositi, ha mantenuto elevato il livello dei ricavi dalla gestione del danaro”.

Margine da interesse

Il margine di interesse, si rileva nel report della Fisac Cgil, sale ancora, per il campione, di quasi il 7% nei primi tre mesi dell’anno rispetto all’analogo periodo del 2023. La dinamica delle commissioni, per quasi tutti i gruppi, ha accelerato (+5,3%) e spesso deriva dalla spinta alla vendita di prodotti assicurativi ma anche da quelle relative all’amministrazione dei titoli. Il prodotto delle due componenti più significative dell’attività caratteristica bancaria ha spinto ulteriormente vero l’alto i ricavi totali (17,8 miliardi di euro per un +9,8%).

Costi del personale

Sul versante dei costi del personale, che hanno registrato un aumento del +2,5% derivato anche dal rinnovo del Ccnl, si mantengono mediamente più elevati rispetto allo stesso periodo del 2023 seppur in maniera contenuta così come le spese amministrative, sottolinea il rapporto della Fisac. Questa dinamica dimostra, dal lato dei costi per il personale, la capacità delle banche di agire gestionalmente per mantenere sotto controllo questi ultimi, anche e purtroppo attuando politiche di riduzione degli organici come di mancato turn over.

Spese amministrative

Dal lato delle spese amministrative (-0,5%) la previsione di investimenti in nuova tecnologia, spiega la Fisac Cgil, come previsto da quasi tutti i piani di impresa, farebbe pensare ad un incremento di queste ultime anche a scapito della erosione dei margini, fenomeno che non si è ancora verificato. Viceversa il contenimento delle spese, anche attraverso la politica della chiusure delle filiali, a beneficio della redditività a disposizione della distribuzione di utili, può rallentare il processo di innovazione tecnologica così come confermare la dinamica di riduzione di dipendenti e sportelli.

Crediti deteriorati

Il temuto deterioramento del credito, si osserva nello studio della Fisac Cgil, conseguenza dei tassi elevati e del rallentamento dell’economia, pare sostanzialmente non avverarsi, almeno nella dinamica delle rettifiche del primo trimestre, che si sono praticamente dimezzate rispetto allo stesso periodo del 2023 (-41%). Ricordando che i primi sette gruppi bancari con sede legale nel nostro paese chiusero l’anno passato con un utile netto di 22,2 miliardi di euro (in aumento del 77,4% rispetto al 2022), il primo trimestre dell’anno in corso fa registrare, per il nostro campione, utili netti pari a 6,3 miliardi. Il dato rispetto al primo trimestre dello scorso anno, di poco più di 5 miliardi, registra un incremento quindi del 25,6%.

Conclusioni

Questi numeri ancora da record, commenta la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “a fronte di un contenimento sul versante della spesa del personale, nonostante il rinnovo del contratto, così come delle spese amministrative, deve indurre il sistema bancario per intero a investire sull’occupazione e sul radicamento nel territorio. Digitalizzazione, impatto delle nuove tecnologie, governo dell’intelligenza artificiale, sono solo alcune dinamiche che impatteranno il sistema del credito nel prossimo futuro e che dovranno trovare una risposta nel lavoro: su nuova e buona occupazione, sulla presenza e la prossimità a sostegno dei cittadini e delle imprese”, conclude Esposito.

In allegato la breve nota dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil sui risultati dei primi 7 gruppi bancari nazionali (1° trimestre 23/24)




Banche: Report Fisac Cgil, utili e dividendi record, calano occupazione e sportelli

Banche con utili record a 22,2 miliardi per effetto della crescita del margine di interesse e dividendi riconosciuti agli azionisti ai massimi storici per 10,5 miliardi. Eppure continua inesorabile la riduzione di dipendenti (-4.300) e sportelli (-1.000), come leva per la gestione di costi operativi in leggero aumento, mentre continuano a calare i finanziamenti alla clientela (-3,8%).


È un bilancio a luci e ombre quello che fornisce un report dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil relativo ai risultati dei primi 7 gruppi bancari tra il 2022 e il 2023 dal titolo ‘Bilanci bancari: il biennio d’oro’. Luci per pochi, ovvero banche e azionisti che registrano risultati e incassi in forte aumento, ombre per tanti, tra dipendenti e filiali che “spariscono”, lasciando cittadini e imprese sprovvisti di presidi fisici del credito

Gli straordinari risultati raggiunti dai gruppi bancari, osserva la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, “non hanno avuto un pari riflesso sul fronte dell’occupazione, dell’insediamento sui territori e sui finanziamenti, che continuano a calare generando una forte preoccupazione. È un grave limite, specie per il bisogno, nonché la funzione stessa delle banche, di sostenere un’economia che fatica e arranca. C’è bisogno di una visione per il sistema bancario che da una parte valorizzi e incrementi la forza lavoro, sulla quale impatterà il processo di digitalizzazione, e dall’altra sostenga la transizione ecologica del sistema industriale”.

Utili record – Il 2023 è un anno di risultati record per i grandi gruppi bancari. I primi sette gruppi bancari (Intesa, Unicredit, Bpm, Bper, Mps, Credem e Popolare di Sondrio) con sede legale nel nostro paese hanno chiuso lo scorso anno con un utile netto di 22,2 miliardi di euro, in aumento del 77,4% rispetto al 2022. Il dato, si osserva nel report della Fisac Cgil, è spinto in alto dalla crescita del margine d’interesse, che ritorna dopo un decennio a rappresentare quasi il 60% del totale dei ricavi a quota 39,5 miliardi. Tengono le commissioni e i ricavi da attività assicurativa, mentre il risultato netto delle attività finanziarie proprie si riduce di circa un terzo. L’utile per addetto medio sfiora i 92 mila euro/addetto, in aumento dell’83,5% rispetto ai 50 mila euro/addetto del 2022.

Costi operativi in lieve aumento – I costi operativi sono in leggero aumento a quota 29,6 miliardi di euro (+1,4% sul 2022). L’impatto della prima tranche del rinnovo del contratto nazionale di settore, fa sapere il rapporto della Fisac Cgil, ha determinato un aumento medio del costo del personale impiegato in Italia pari al 5,2%, per un costo medio per dipendente che si attesta a quota 83 mila euro. Tuttavia, i grandi gruppi sono stati in grado di contenere l’aumento del costo del personale complessivo intorno all’1,5%.

Dipendenti in calo – Per la Fisac Cgil la principale leva utilizzata in questa strategia di gestione dei costi continua a essere la riduzione del personale. A livello globale, il calo dei dipendenti nel 2023 è pari a 7.327 unità (-3% annuo); di questi, 4.292 unità (-2,4% annuo) riguardano il nostro paese. Alla fine dello scorso anno i dipendenti dei primi sette gruppi bancari in Italia ammontano a 171 mila unità; tuttavia, stima la Fisac, a fine 2026 si prevede un dato inferiore alle 170 mila unità, attorno a quota 168 mila dipendenti.

Sportelli che diminuiscono – Anche le filiali continuano a diminuire. Lo scorso anno, sottolinea la Fisac Cgil, i primi sette gruppi bancari hanno chiuso quasi 1.000 filiali, una riduzione pari all’8,3%. In due anni sono ‘scomparsi’ 1.385 sportelli, pari a una banca delle dimensioni di Mps o Banco Bpm. Va inoltre segnalato che la quota percentuale degli sportelli di proprietà dei primi sette gruppi bancari italiani sul totale delle rete bancaria in Italia continua a diminuire: in due anni è scesa dal 55,2% al 52,4%. La strategia ‘digital first’ operata dai grandi gruppi negli ultimi anni sta determinando una riconfigurazione spaziale della presenza delle banche sui territori. Vuoto che viene colmato, anche se in modo parziale, dai gruppi emergenti di medie dimensioni (Credem e Bp Sondrio nel nostro campione) e dalle banche di Credito Cooperativo.

Dividendi in aumento – Il 2023 sorride agli azionisti, si legge nel report Fisac. I primi sette gruppi bancari distribuiranno a breve 10,5 miliardi di dividendi, un aumento dell’83,6% rispetto ai 5,7 del 2022. Inoltre, i due gruppi più importanti del nostro paese, Intesa e Unicredit, offriranno una ulteriore remunerazione agli azionisti sotto forma di buyback, portando la remunerazione complessiva degli azionisti dei primi 7 gruppi bancari a quota 18 miliardi di euro, in aumento di 7,5 miliardi (+71,5%) rispetto al 2022.

Stato patrimoniale, sempre meno credito – L’ottimo stato di salute dei grandi gruppi bancari si conferma anche osservando le metriche relative allo stato patrimoniale. L’attivo, fa sapere la Fisac Cgil, si riduce del 9% in un anno per effetto soprattutto della riduzione degli accantonamenti legati alle normative sugli RWA (Risk Weighted Assets). In sostanza migliora la qualità del credito, come confermato anche dal dato sulle rettifiche, in riduzione del 45,1% rispetto al 2022 a quota 3,8 miliardi di euro.

I grandi gruppi bancari continuano l’opera di riduzione lenta dello stock creditizio, con i finanziamenti alla clientela che scendono sotto quota 1.200 miliardi di euro, pari ad un -3,8% anno su anno. Aumenta il peso della raccolta diretta, che supera quota 1.485 miliardi di euro, determinando un Loan to Deposit Ratio pari all,80,8%. Ciò significa che per ogni euro depositato presso i grandi gruppi bancari italiani, solo 0,8 euro vengono effettivamente impiegati sotto forma di credito a famiglie e imprese.

Produttività ai massimi livelli –  Il 2023 è anche l’anno dell’incremento record della produttività per i grandi gruppi bancari. Tra il 2021 e il 2023, sottolinea il rapporto della Fisac Cgil, la produttività per addetto è raddoppiata: il Valore aggiunto rettificato per addetto (Var/d) nel 2023 è pari a 147.600 euro, un dato superiore a quelli medi di tutti gli altri settori e che addirittura supera il dato da record del settore farmaceutico italiano nel biennio del Covid (145.000 euro per addetto). Al momento, non c’è settore in Italia che raggiunga livelli di produttività così alti come quello bancario.

Il commento di Susy Esposito (segretaria generale Fisac Cgil) – “I dati del nostro report – commenta la segretaria generale della Fisac Cgil – ci indicano una strada da perseguire: nella contrattazione di secondo livello i risultati straordinari messi a segno dal sistema bancario dovranno essere redistribuiti anche alle lavoratrici e ai lavoratori. Non solo, in linea con quanto previsto dal contratto nazionale, dovremmo sempre al secondo livello procedere nei gruppi e nelle aziende anche sul fronte della riduzione dell’orario di lavoro. Così come per quanto riguarda il tasso di sostituzione ci dovrà essere una correlazione alla pari tra entrate ed uscite”, conclude Esposito.

⇒ Scarica il report dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil

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MPS: nuove assunzioni. È online l’avviso di selezione

È online – sul sito istituzionale – l’avviso di selezione per assunzioni in Banca Monte dei Paschi di Siena:
https://lavoraconnoi.mps.it/careersection/ex/jobdetail.ftl
(Se il link diretto non funzionasse, cliccare su “tutte le offerte disponibili” per essere ricondotti al bando)
La partecipazione è aperta a tutti i possessori di un diploma (liceale o tecnico),  di lauree triennali o specialistiche.
Il concorso è strutturato su più bandi territoriali ad ambito regionale.
Ogni candidata/o potrà sceglierne soltanto uno a cui partecipare.
Il termine per l’inserimento delle candidature è fissato per le 18,30 del 23 aprile 2024.
Per informazioni la segreteria di coordinamento Fisac CGIL MPS ha istituito apposito indirizzo email da contattare:
[email protected]



MPS: dopo risanamento ora riconoscere impegno dipendenti

“Dopo il decennale percorso di risanamento, frutto di uno straordinario impegno delle lavoratrici e dei lavoratori, e il raggiungimento di importanti risultati di bilancio per Mps, è arrivato il momento di riprendere il confronto tra azienda e sindacati. È necessario al più presto recuperare i ritardi accumulati sul fronte economico e normativo e riconoscere alle lavoratrici e ai lavoratori l’impegno profuso nei passati lunghi anni di crisi”.
Ad affermarlo sono il coordinatore Fisac Cgil di Banca Mps, Federico Di Marcello, e il coordinatore Fisac Cgil del Gruppo Mps, Stefano Carli, alla vigilia dell’assemblea dei soci di Monte Paschi di Siena.

Inoltre, aggiungono i due dirigenti sindacali della Fisac Cgil, “i risultati raggiunti, con il riscontro del positivo andamento sul mercato, stanno dimostrando come la Banca sia nelle condizioni di poter camminare sulle proprie gambe, avendo una strategia e un progetto preciso e uno stabile riferimento azionario. È il Mef che deve quindi dimostrare visione, nella consapevolezza dell’impegno profuso dalle lavoratrici e dai lavoratori, per non disperdere il valore e la storia del Monte dei Paschi di Siena”, concludono Di Marcello e Carli.


Giorgio Saccoia
Ufficio Stampa Fisac Cgil Nazionale
335.63.88.949



Mps tornano le assunzioni: i primi 300 giovani dopo un decennio di crisi e tagli

Dopo un decennio caratterizzato da piani di uscite, pur sempre volontarie e incentivate, realizzate attraverso il fondo di solidarietà, Mps torna ad assumere. I sindacati (Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin) hanno infatti raggiunto l’accordo con la banca per l’assunzione di 300 persone da destinare alla rete commerciale.

La svolta nei negoziati è arrivata dopo la comunicazione del bilancio 2023 con cui il Monte dei Paschi di Siena si è ripreso la scena nel mondo bancario: i 2 miliardi di utili hanno rappresentato un passaggio storico, con cui la banca senese comincia a lasciarsi alle spalle anni di grande difficoltà.

Gli ingressi sulla rete commerciale

I nuovi ingressi avverranno entro quest’anno e verranno realizzati in buona parte prima del prossimo periodo di ferie. L’intesa dà seguito a quanto deciso negli accordi del 4 agosto e del 23 dicembre 2022, in occasione dell’attivazione del piano di 4.125 uscite volontarie. Nella trattativa le parti hanno condiviso anche l’istituzione di un tavolo permanente di confronto sulla gestione degli organici, per seguire meglio gli impatti riorganizzativi.

Fonte: Il Sole 24 Ore


 

Fisac Cgil: accordo nuove assunzioni passo in avanti

Un risultato che ci soddisfa perché questa intesa dà continuità ai recenti accordi raggiunti in tema di riconoscimenti economici e di sviluppo professionale e permette di guardare con ottimismo al definitivo rilancio di Banca Mps, ottenuto prevalentemente grazie alla tenacia e alla professionalità delle sue lavoratrici e dei suoi lavoratori”.

Così ill coordinatore Fisac Cgil di Banca Mps, Federico Di Marcello, e il  coordinatore Fisac Cgil del Gruppo Mps, Stefano Carli, sull’accordo raggiunto con l’azienda Monte Paschi riguardante un primo pacchetto di assunzioni di nuovo personale pari a complessive 300 immissioni.

Riteniamo infatti queste assunzioni – proseguono Di Marcello e Carli – un nuovo passo in avanti verso un percorso che dovrà vedere Banca Monte Paschi e organizzazioni sindacali protagoniste nei prossimi mesi di nuove intese per la creazione di nuovi posti di lavoro e per un ulteriore miglioramento delle previsioni economiche e normative aziendali”.

Su questo ultimo punto, la segretaria nazionale della Fisac Cgil, Chiara Canton, aggiunge: “I positivi dati di bilancio di Rocca Salimbeni, che con un utile di oltre 2 miliardi di euro torna a pagare un dividendo dopo tredici anni e in anticipo di due rispetto ai piani, ci dicono inoltre che è ora possibile riconoscere alle lavoratrici e ai lavoratori di Monte dei Paschi i giusti meriti attraverso la contrattazione di secondo livello”, conclude.




MPS: risultati di esercizio merito di lavoratrici e lavoratori. Riparta la contrattazione integrativa

3 - Fisac Cgil

 

La pubblicazione dei dati di bilancio del 2023 di Banca MPS ha certificato un utile netto di circa 2 miliardi di euro ed è stato dichiarato il ritorno alla distribuzione di dividendi per gli azionisti già a partire dall’esercizio 2023, in anticipo a quanto previsto dal Piano industriale 2022-2026.

Le scriventi OO.SS. esprimono soddisfazione nel vedere che la grande dedizione, la professionalità dei dipendenti ed i loro sacrifici sostenuti negli anni, hanno contribuito in maniera determinante al raggiungimento di simili risultati ed al rilancio di Banca MPS.

Sono ora maturi i tempi e ci sono tutte le condizioni, economiche e di contesto, per riconoscere alle Lavoratrici e ai Lavoratori del Monte dei Paschi i propri meriti attraverso l’apertura di un tavolo concertativo che metta al centro, in un’ottica realmente redistributiva, previsioni di welfare aziendale e previsioni normative di secondo livello contrattuale.

Siena, 7 febbraio 2024

 

Le Segreterie di Coordinamento
Banca Monte dei Paschi Siena




Il Mef vende il 25% di Mps. Le azioni subito collocate

Procedura accelerata per cedere 314 milioni di quote, con un incasso previsto di 920 milioni di euro. Il Ministero sotto la soglia del 40 per cento


 

Da tempo si ricorrevano con più frequenza ipotesi su quando il ministero dell’Economia avrebbe avviato l’uscita da Banca Monte dei Paschi. Lunedì pomeriggio, a pochi giorni dalla brillante terza trimestrale di Rocca Salimbeni, è arrivata la notizia: il ministero ha avviato la procedura accelerata di collocazione di circa 314 milioni di azioni, pari al 25 per cento del capitale.

Una vendita a un prezzo scontato del 5 per cento rispetto al valore di Borsa di lunedì (2,92 euro a fronte di una chiusura a 3,07 euro), che porterebbe il Tesoro a incassare 920 milioni di euro con una plusvalenza di 300 milioni di euro in un anno. E la procedura che consente di vendere in blocco quote societarie particolarmente rilevanti in modo accelerato a investitori istituzionali dovrebbe trovare un immediato riscontro, con la collocazione dell’intero pacchetto in un ristretto lasso di tempo.

Un passaggio rilevante e un doppio segnale, perché con la cessione del 25 per cento il ministero scende sotto la soglia della maggioranza relativa, attestandosi intorno al 39,23 per cento. Un segnale all’Europa, perché il Governo può così dimostrare di seguire le indicazioni che chiedevano di compiere questo passo. E un segnale ai mercati, perché Banca Monte dei Paschi torna appetibile grazie al risanamento operato in questi anni che ha trasformato nuovamente il destino dell’istituto di credito senese.

Su Monte dei Paschi di Siena, con l‘avvio della procedura accelerata di raccolta ordini per la cessione di azioni corrispondenti al 25% del capitale sociale, andiamo nella direzione auspicata, una mossa strategica nel contesto delle privatizzazioni del nostro paese, che assicura al contempo la valorizzazione del patrimonio bancario nazionale“, ha detto il sottosegretario alle Finanze Sandra Savino. L’operazione, spiega il Mef in una nota, è effettuata “attraverso un consorzio di banche costituito da BofA Securities Europe Sa, Jefferies GmbH e UBS Europe Se in qualità di Joint Global Coordinators e Joint Bookrunners, con l’obiettivo di promuovere il collocamento delle azioni presso investitori qualificati in Italia e investitori istituzionali esteri“. Un collocamento che dovrebbe avvenire in breve, confermando il successo dell’iniziativa del ministero e aprendo una nuova fase nel destino di Banca Mps.
Fonte: La Nazione



Banche, ora il Tesoro confessa: “Ci han fatto cambiare la tassa”

2,5 miliardi non incassati. Il Mef spiega il dietrofront in risposta a un’interrogazione Verdi – Sinistra


 

L’annacquamento della tassa sugli extraprofitti bancari, con conseguente decisione di non pagarla, è stata presa dal governo su richiesta degli istituti di credito. Ad ammettere in un documento ufficiale quello che si ipotizzava da settimane non è stato un leader dell’opposizione, ma direttamente l’esecutivo di Giorgia Meloni e in particolare il ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti. Mercoledì, in commissione Finanze alla Camera, è arrivata la risposta scritta della sottosegretaria all’Economia Lucia Albano (Fratelli d’Italia) a un’interrogazione del deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Francesco Emilio Borrelli, che chiedeva al governo i motivi dell’annacquamento della tassa e se non intendesse tornare alla versione originaria approvata in Consiglio dei ministri il 7 agosto. La risposta del governo però è stata negativa spiegando i motivi della modifica della tassa in Parlamento: “La disciplina dell’imposta straordinaria in argomento è stata ridisegnata in maniera tale da superare le criticità evidenziate dal settore bancario”, ha spiegato la sottosegretaria Albano ammettendo ufficialmente la trattativa tra l’esecutivo e gli istituti di credito.

Il 7 agosto, il governo Meloni aveva approvato in Consiglio dei ministri un decreto in cui era stata inserita anche una tassa sugli extraprofitti bancari che aveva l’obiettivo di recuperare circa 2,5 miliardi in vista della legge di Bilancio. L’imposta da pagare nel 2024 prevedeva una aliquota del 40% sul maggior valore del margine di interesse degli esercizi 2022 e 2023. Una decisione rivendicata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni come scelta di “equità sociale”. “Non intendo difendere le rendite di posizione”, diceva la premier. “Risorse per mutui e imprese”, aggiungeva il leghista. Scelta che non era piaciuta all’Associazione bancaria italiana, alla Banca centrale europea e nel governo a Forza Italia. La famiglia Berlusconi, infatti, possedendo con Fininvest il 30% di Mediolanum, si era esposta in senso contrario chiedendo di modificarla.

Così, dopo una trattativa durata un mese, a metà settembre la tassa è stata svuotata con un emendamento del governo al decreto Asset al Senato: questa norma dava alle banche la possibilità di non pagare la tassa accantonando a riserva indisponibile a bilancio una somma pari a due volte e mezzo il valore teorico dell’imposta. Come ha raccontato il Fatto nelle ultime settimane, l’effetto è stato quello che nessun istituto bancario nel 2023 pagherà l’imposta e non lo farà neanche il Monte dei Paschi di Siena, controllato al 64% dal Tesoro. Questo farà sì che lo Stato non potrà contare sul gettito inizialmente previsto di circa 2,5 miliardi.

Da questo è nata l’interrogazione del deputato Borrelli alla Camera. Dopo aver elencato i dati sugli extraprofitti bancari del 2023 (circa 43 miliardi secondo il sindacato Fabi), Borrelli nella sua interrogazione ha definito la scelta del governo di rendere la tassa non più obbligatoria ma facoltativa un “escamotage” che ha reso “impossibile la maturazione di un importante gettito erariale destinato alla riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese”. Nella sua risposta scritta, la sottosegretaria Albano, che fa sapere di aver “sentito gli uffici dell’Amministrazione finanziaria”, descrive l’emendamento del governo e ammette: “La disciplina dell’imposta straordinaria è stata ridisegnata in maniera tale da superare le criticità evidenziate dal settore bancario”. Insomma, la richiesta di modifica è arrivata dalle banche – di cui si è fatta portavoce Forza Italia – e il governo ha fatto dietrofront. Questo, conclude la sottosegretaria, è stato fatto per contribuire “a rafforzare la garanzia delle liquidità dei depositi dei risparmiatori e lasciando comunque ferma la possibile maturazione di un gettito che confluirà nell’apposito fondo finalizzato al finanziamento delle opportune misure volte alla riduzione della pressione fiscale gravante su famiglie ed imprese”. Gettito che però non ci sarà.

 

Articolo di Giacomo Salvini su “Il fatto Quotidiano” del 19 novembre 2023




Mps in fibrillazione in borsa. Cosa sta succedendo?

Mps in rosso oggi in borsa. Il titolo, che attualmente sta cedendo il 2,72% a Piazza Affari, è sotto pressione a causa del dibattito nella maggioranza di governo sul destino della quota del 64% della banca, del valore di circa 2 miliardi di euro, in mano al Ministero dell’Economia e delle Finanze.


 

Il dibattito su Mps

Lo scorso weekend il vicepremier Antonio Tajani, presidente di Forza Italia e ministro degli Esteri e il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso hanno affermato che presto il governo italiano deciderà a chi vendere la sua quota di Mps. In particolare, Tajani ai microfoni di Bloomberg Television ha dichiarato che il suo partito sostiene una spinta alla privatizzazione.

Tuttavia, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha affermato non c’è fretta nel trovare una soluzione. Gli ha fatto eco il vicepresidente della commissione Finanze della Camera e responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, per cui il dossier Mps “non è all’ordine del giorno”. Ciò evidenzia un netto disaccordo nella maggioranza sul da farsi con la banca senese. Ma al di là delle tempistiche e delle spaccature, che fine potrebbe fare Mps?

Il futuro della banca senese

Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Bloomberg, il governo sta valutando la vendita di Monte dei Paschi – e di altri asset statali selezionati – come un modo per consentire alla coalizione di destra di finanziare nuove spese senza aumentare il gigantesco debito pubblico italiano. La mossa permetterebbe al Mef di cedere la sua partecipazione prima della scadenza del 2024, fissata dalle autorità europee. Ma al contempo, potrebbe far scattare un campanello d’allarme per le autorità di regolamentazione e per i mercati finanziari. Nel dettaglio, sono tre le opzioni sul tavolo per Mps:

  1. l’aggregazione con un altro istituto di credito, con Banco Bpm primo nome sempre chiamato in causa anche se i vertici hanno più volte smentito l’interesse;
  2. lo spezzatino delle attività di Mps, che potrebbero spartirsi più gruppi bancari;
  3. la riduzione della quota mediante vendita di un pacchetto sul mercato.

Su una possibile aggregazione, Luigi De Bellis, analista di Equita sono scettici, innanzitutto per il prezzo di Mps, che è superiore del 27% rispetto a quello dell’ultimo aumento di capitale. Inoltre, sebbene il significativo miglioramento delle performance operative sia certamente un elemento fondamentale nella ricerca di un partner per Mps “restano questioni rilevanti in sospeso, sia specifiche della società (come i rischi legali, su cui potrebbero emergere importanti sviluppi entro la fine dell’anno), sia relative al settore (come l`incertezza regolatoria, in particolare riguardo alla formulazione della tassa sugli extraprofitti e alle possibili restrizioni nell’uso delle DTA” (le attività per imposte anticipate, ndr).

D’altro canto, Equita avverte che che “il piazzamento di una quota significativa sul mercato senza l’individuazione di un partner strategico possa comportare un rischio overhang per il titolo (ossia di diluizione del suo valore, ndr)“.

 

Fonte: wallstreetitalia.com