Dl Liquidità, istruttoria Antitrust su 4 banche e moral suasion su altre 12

Nel mirino Unicredit, IntesaSanPaolo, Banca Sella e Findomestic e altre 12 banche: “Assenza di informazioni sulla tempistica per avere accesso alle varie misure di sostegno dettate in favore di microimprese e consumatori e altre criticità”. L’intervento, spiega l’Autorità, è stata dettato dalla “convinzione che solo condotte trasparenti, con informazioni complete e chiare, e prive di ostacoli ingiustificati, possono assicurare ai consumatori e imprese il sostegno economico indispensabile per affrontare l’attuale emergenza

La macchina dei prestiti delle banche alle imprese, garantiti dallo Stato, marcia oramai più veloce ma alcuni istituti di credito sono ancora indietro, a volte per ragioni non loro, e la Banca d’Italia interviene per chiedere le cause e spronarli ad accelerare inviando una lettera agliistituti in ritardo nell’erogazione di liquidità. Contemporaneamente scende in campo anche l’Antitrust, che avvia 4 istruttori e 12 moral suasion nei confronti di 16 istituti e società finanziarie per “condotte relative alla sospensione dei mutui-prestiti e all’erogazione di nuovi finanziamenti: il faro dell’autorità punta in particolare a chiarire le “problematiche emerse sull’assenza di informazioni relative alla tempistica per aver accesso alle varie misure di sostegno per microimprese e consumatori”, previsti dai decreti Cura Italia e Liquidità, varati dal governo per fronteggiare l’emergenza economica innescata dalla pandemia di coronavirus.

Le quattro istruttorie guardano UnicreditIntesaSanPaoloBanca Sella e Findomestic per problematiche emerse “sia sull’assenza di informazioni sulla tempistica per avere accesso alle varie misure di sostegno dettate in favore di microimprese e consumatori, che di chiare indicazioni sugli oneri derivanti dalla sospensione del rimborso dei finanziamenti concessi alle imprese, in termini di aumento degli interessi complessivi rispetto al totale originariamente dovuto quale effetto dell’allungamento dei piani di ammortamento”. Inoltre, sottolinea l’Autorità, “le banche avrebbero posto indebite condizioni all’accesso a tali misure” come “l’apertura di un conto corrente o possedere specifici requisiti non previsti dalla normativa. E ancora “avrebbero cercato di dirottare i richiedenti verso forme di accesso al credito diverse e potenzialmente più onerose” rispetto a quelle previste nel decreto Liquidità.

Nei confronti di Bnl, Banco BpmUbi Banca, Crédit agricoleCredem, MpsBanco popolare di Sondrio, CrevalBcc Pisa, Agos DucatoCompass e Fiditalia, invece l’Antitrust ha avviato una attività di moral suasion, avendo riscontrato “le medesime carenze di tipo informativo sulla tempistica di risposta” e sulle “effettive condizioni economiche di accesso alla sospensione dei rimborsi dei finanziamenti”.

L’Autorità, quindi, “riscontrando una serie di criticità, da parte dell’utenza, ad ottenere il dilazionamento delle esposizioni debitorie rispetto alle banche e alle società finanziarie, e per avere accesso alla liquidità e al credito”, come sarebbe invece previsto dai decreti Cura Italia e Liquidità, ha ritenuto di dover intervenire “nella convinzione che solo condotte trasparenti, con informazioni complete e chiare, e prive di ostacoli ingiustificati, possono assicurare ai consumatori e imprese il sostegno economico indispensabile per affrontare l’attuale emergenza”.

 

 

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Banca d’Italia: gli gnomi e il calzolaio

Raccontano i fratelli Grimm di un calzolaio, ridotto in povertà, che nottetempo venne aiutato in modo misterioso a produrre le sue scarpe. 

Poiché presto, grazie a questo costante aiuto, recuperò un tenore di vita dignitoso, volle un giorno appostarsi per scoprirne l’autore. Quando apprese che a fabbricare le scarpe erano piccoli e volenterosi omini nudi, sua moglie volle cucire per loro bellissimi vestitini, e li lasciò la sera sul tavolo. Gli omini trovarono i vestiti, li indossarono e, soddisfatti, festeggiarono. Poi andarono via e non tornarono più. Così ciascuno aveva aiutato l’altro e tutti furono felici.

Accade poi che, in una realtà che sembra una brutta favola, ci sia un mondo alle prese con una tragica pandemia, dove tutti vengono invitati a stare a casa. 

Non è una vacanza, è un sacrificio. Che in tutto il mondo è stato fatto perché tutti potessimo salvarci. 

È servito a ridurre i contagi, a congestionare il meno possibile gli ospedali, a esporre a minor rischio medici e infermieri, a consentire ai malati di essere curati al meglio. Un sacrificio duro di cui hanno sofferto – e soffriranno – aziende, lavoratori, famiglie, persone. 

Ma un sacrificio giusto. E utile: oggi, siamo in “fase due”. 

Occorrono ancora cautele per non vanificare tutto, ma andiamo verso il meglio. 

In tutto questo tempo, perciò, #siamorimastiacasa.

Come richiesto, come necessario.

Connessi, sì, iperconnessi, con mille strumenti. Ma soli.

Nessuno sembra averci visti, nessuno sa delle nostre vite. Non una parola scambiata davanti a un caffè, non una comunicazione personale (esco prima perché è il compleanno di mio figlio), non un abbraccio nei momenti di sconforto, non una pacca sulla spalla di apprezzamento.

Ma tutto è andato avanti, come sempre. 

Abbiamo portato avanti le attività come sempre, lavorando anche molte ore in occasione di una scadenza, o facendo anche più di prima, perché magari con le scuole chiuse e i figli da accudire abbiamo dovuto cambiare orari e ci siamo trovati al pc dopo cena, per recuperare e essere puntuali per una consegna. 

Abbiamo svolto il nostro lavoro su postazioni improvvisate, chini su una sedia scomoda in cucina o rubando la cameretta al bambino, soli tutto il giorno o in compresenza di un invadente nucleo familiare, gridando ai figli “zittiii!!!”.

Insieme a questo, molti di noi, sono invece andati a lavorare in presenza, eccome.

Tutto questo è accaduto e accade, senza neanche sentire la necessità di fare pubblicità a quello che è, per noi, “soltanto” lavoro.

E ogni giorno, al mattino, scarpe nuove, belle e lucide, sono state trovate sul tavolo, dal calzolaio.

Ma un mattino abbiamo trovato anche noi qualcosa sul tavolo. Però non erano vestiti. Erano  articoli di giornale che dipingevano i lavoratori di Banca d’Italia come coloro che, a casa loro, si crogiolano nella beata nullafacenza. Comunicazioni che ci hanno fatto male. 

Ma non solo a noi. Hanno fatto male a tutti coloro, tantissimi in Italia e nel mondo, che hanno lavorato, duramente, nella modalità di lavoro agile, durante la pandemia.

Vogliamo allora ricordare invece, a tutti i lavoratori di Banca d’Italia che il nostro Vertice, anche in un recente incontro con le OO.SS., ha più volte sottolineato come il nostro personale stia lavorando in modo più che efficace in questo periodo, come e più che in passato, stanti le difficoltà. E come lo stesso Governatore abbia più volte ringraziato il personale.

Questo per dire che qualcuno che “ci spiava” mentre lavoravamo nascosti nelle nostre case, c’è stato e sa perfettamente chi è che “produce misteriosamente le scarpe”.

A chi ci attacca dall’esterno vorremmo spiegare come siano stati regolarmente svolti tutti i servizi al cittadino, le analisi e verifiche di vigilanza, l’attività di ricerca economica e molte altre funzioni. 

Vorremmo spiegare come esistono tante attività che non si vedono ma vanno fatte, come persino i flussi immateriali di moneta elettronica non “camminino” da soli.

Vorremmo raccontare come e con quanto sacrificio si siano svolte attività in presenza, dal ricircolo del contante alla produzione di banconote.

Vorremmo dire che sì, molti hanno difficoltà a rientrare – come ovunque, non a caso il recente decreto del governo tutela i genitori – che molti invece preferirebbero tornare a lavorare in presenza – ma per senso di responsabilità, anche dal Governo, è ancora richiesto di fare diversamente – che per molti il rientro è prossimo e che sì, abbiamo paura – ma ci chiediamo chi, in questo periodo, non ne abbia avuta -.

Vorremmo poi ricordare che questo vale per i dipendenti di Banca d’Italia come per tutti i lavoratori d’Italia, o del mondo – tantissimi – che hanno lavorato in smart work e che denigrare i primi significa aver denigrato tutti gli altri.

Ma tutto questo è forse inutile spiegarlo, lo si è visto, a chi ha scritto e parlato in modo inconsulto e fazioso, con l’unica intenzione di lasciarci a lavorare soli e nudi come gli gnomi della favola, spogliandoci della nostra dignità.

Noi vogliamo invece unirci a tutto il Paese e raccontare la stessa favola dei fratelli Grimm.

Vogliamo raccontare di tutti quelli che hanno lavorato da casa, in Banca d’Italia, nel pubblico e nelle aziende private, facendo il loro dovere in smart work. 

Vogliamo raccontare di chi ha reso smart ciò che per sua natura non lo era, delle maestre di asilo che hanno organizzato conference call con piccoli partecipanti indisciplinati che non spegnevano i microfoni e non prenotavano gli interventi, o dei colleghi che, in Banca d’Italia, in videoconferenza hanno fatto alternanza scuola lavoro per gli alunni delle scuole.

Vogliamo raccontare di quelli che invece hanno lavorato in presenza, in Banca d’Italia, nel pubblico e nelle aziende private e che, grazie a chi era in smart work, ha trovato ambienti meno affollati e percorsi più sicuri.

Lo facciamo perché pensiamo che il mondo sia cambiato e che il lavoro agile continuerà ad accompagnarci ancora a lungo in emergenza, ma rimarrà anche dopo.

E ci rifiutiamo di concepirlo come un lavoro inesistente, nascosto, denigrato, ignorato e dato per scontato. Occorrerà un gran cambiamento di vedute per affermare che si tratta di lavoro vero, fatto da persone. Che i file non compaiono per miracolo nelle cartelle, che le procedure non si concludono autonomamente…che le scarpe non appaiono da sole sui tavoli.

Donando vestiti agli gnomi, il calzolaio e sua moglie avevano riconosciuto loro la dignità.

Noi non dobbiamo riconoscere nulla a nessuno, ma per tutti i lavoratori oggi vogliamo mettere in luce il vestito della dignità che qualcuno cerca di togliere.

Roma, 16 maggio 2020 

 

                                                              La Segreteria Nazionale




Banca d’Italia: incontro sul Servizio Banconote

Lo scorso giovedì 30 aprile si è svolto un incontro informativo, convocato dalla Banca, sul Servizio Banconote.

Durante l’incontro, la Delegazione aziendale ha ripercorso le vicende che hanno interessato lo stabilimento in relazione all’emergenza Coronavirus – chiusura temporanea e poi parziale ripresa dell’attività a regime produttivo ridotto – evidenziando come, a ridosso della fine del turno del secondo split team, le misure di prevenzione concordate nel protocollo sembrino essersi dimostrate adeguate rispetto alle necessità di tutela della salute dei lavoratori, al punto da consentire di ipotizzare una riapertura totale a partire dall’11 maggio.

Dal punto di vista della Banca, infatti, è necessario riprendere quanto prima la produzione a pieno regime al fine di recuperare quella persa nel periodo di chiusura e riuscire in questo modo a mantenere gli obiettivi produttivi previsti.

Per conseguire le esigenze produttive illustrate, l’Amministrazione ha dichiarato la necessità di aprire un confronto con le Rappresentanze locali, finalizzato a studiare un’ipotesi di cambiamento organizzativo, limitato nel tempo, rispetto a quello attualmente in essere in virtù degli accordi del 2017.

La Fisac CGIL, che fin dagli inizi della pandemia aveva fortemente sostenuto la necessità di tutela dei lavoratori, considerando l’ambiente lavorativo e la limitata possibilità di distanziamento sociale possibile durante le lavorazioni, ha da subito opposto il proprio dissenso rispetto all’ipotesi di ritorno alla massima produzione già dall’11 maggio e ha invece proposto di proseguire con l’esperienza degli split team per l’intero mese di maggio: riteniamo infatti che siano ancora troppe le incertezze sanitarie a livello nazionale e, di conseguenza, troppo alta la probabilità che un incidente di percorso vanifichi tutto quanto di buono, da tutti, è stato fatto.

Rispetto alla realtà del Servizio, inoltre, riteniamo che ci siano ancora troppi elementi da chiarire (ad esempio la questione spinosa dei DPI adottati) per poter prevedere un ritorno ad un pieno regime produttivo o, peggio ancora, ad una produzione intensificata con la finalità di recuperare quanto non conseguito in questo periodo di fermo.

Su questo, respingiamo da subito ogni allusione alla concorrenza delle stamperie private in ambito europeo, ritenendolo il solito elemento distorto di persuasione, peraltro ricorrente e neppure troppo originale. Crediamo che il solo senso del dovere dei lavoratori sia sufficiente ad affrontare una ripresa delle attività in modo sereno, senza necessità di inasprire i toni della discussione.

Questa O.S. è peraltro disponibile, come sempre, a trovare soluzioni utili al raggiungimento della produzione necessaria, dopo questo periodo, in considerazione da un lato delle esigenze rappresentate dalla Banca e, dall’altro, della salute dei colleghi e della loro tranquillità lavorativa.Poiché, tuttavia, ciò che la Banca rappresenta non è una ripresa dell’attività normale, ma uno sforzo aggiuntivo, peraltro ancora in una situazione di emergenza sanitaria nazionale, nel dare tale disponibilità, riteniamo necessario chiarire da subito alcune questioni di fondo:

  • la natura dell’intervento organizzativo richiesto e il suo obiettivo: se infatti l’ipotesi che verrà proposta richiederà uno sforzo dei lavoratori che va oltre la normale operatività al fine di recuperare produzione, sarà indispensabile definirne rigorosamente l’orizzonte temporale, a nostro avviso necessariamente limitato nel tempo;
  • le misure aggiuntive rispetto all’attuale protocollo, adatto a un’organizzazione per split team, che verranno poste in essere quando si darà luogo a una produzione con la compagine lavorativa al completo;
  • la possibilità di prevedere tutele per coloro che presentano necessità particolari, ad esempio la mancata riapertura di strutture scolastiche e dei centri estivi;
  • certezza dell’orario, perché se è vero che ci sarà un incremento è pur vero che questo deve conciliarsi e con la salute e con la quotidianità;
  • riconoscimenti e livellamento di trattamento per il personale assunto dopo il 2017;
  • riparametrazione degli obiettivi e assoluto coinvolgimento di tutto lo stabilimento per non creare ulteriori disparità.

Si tratta di questioni che richiedono una scrupolosa trattazione e dei necessari tempi per darvi luogo.

La Fisac Cgil torna pertanto a ribadire la propria contrarietà rispetto a una riapertura a pieno regime dall’11 maggio, auspicando che anche stavolta l’Amministrazione mostri un’apertura alla riflessione, a tutela dei lavoratori.

Roma, 4 maggio 2020

La Segreteria Nazionale
Fisac/Cgil Banca d’Italia




Coronavirus: sospese tutte le assemblee ABI. I comunicati di tutti i comparti

Il comunicato del settore ABI: sospese tutte le assemblee sindacali.

Aggiornamento del 24/2/2020

Osservato il propagarsi della diffusione dei casi di contagio del Covid-19, in ottica di prevenzione e tutela della salute e sicurezza delle colleghi e dei colleghi tutti, i Segretari Generali a far data da oggi, 24 febbraio 2020, dichiarano la sospensione delle assemblee dei lavoratori per la votazione dell’ipotesi in rinnovo del Ccnl ABI su tutto il territorio nazionale sino al 6 marzo 2020.

 

Aggiornamento del 23/2/2020

In conseguenza degli ultimi aggiornamenti rispetto alla diffusione del Covid-19 i Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali di settore nel recepire le ordinanze territoriali regionali emanate di concerto con l ‘unità di crisi del Ministero della Salute estendono la sospensione delle Assemblee per la votazione dell’ipotesi in rinnovo del Ccnl ABI anche alle regioni Emilia Romagna e Piemonte.

 

Comunicato del 22 febbraio 2020.

A seguito delle evoluzioni dell’epidemia legata alla diffusione del Covid-19, i Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali del settore bancario, oltre ad esprimere solidarietà e sostegno a tutte le lavoratrici e ai lavoratori delle zone colpite dalla diffusione del Coronavirus, lavoreranno in intesa con Abi per attuare tutte le misure possibili a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Verrà inoltre recepita scrupolosamente la circolare del ministero dell’ambiente Salute che verrà inviata a tutte le strutture territoriali e aziendali delle organizzazioni sindacali.

A partire da lunedì 24 febbraio, inoltre, vengono sospese le assemblee per l’approvazione dell’ipotesi in rinnovo del Ccnl nelle regioni Lombardia e Veneto.

I Segretari Generali

Fabi -First CISL- Fisac CGIL- Uilca – Unisin
Lando 
Maria Sileoni- Riccardo Colombani – Giuliano Calcagni- Massimo Masi – Emilio Contrasto

 

SINDACATI e BCC in campo con FEDERCASSE

A seguito delle evoluzioni dell’epidemia procurata dal “COVID-19”, le Segreterie Nazionali FABI, FIRST/CISL, FISAC/CGIL, SINCRA/UGL, UIL CA del settore BCC, unitamente ai Segretari Generali, esprimono la loro forte SOLIDARIETÀ e SOSTEGNO a tutte le Lavoratrici e ai Lavoratori delle zone colpite dalla diffusione del “Coronavirus”.

Le stesse collaboreranno in raccordo con Federcasse per realizzare tutte quelle misure e iniziative utili e possibili per la tutela della salute e sicurezza nei posti di lavoro.

Verrà, inoltre, recepita in modo scrupoloso la relativa circolare ministeriale ambiente Salute che sarà inviata a tutte le strutture territoriali e aziendali delle scriventi Organizzazioni Sindacali.

Roma, 22/2/2020

Le Segreterie Nazionali BCC
FABI FIRST/CISL FISAC SINCRA/UGL UIL CA

 

Banca d’Italia: misure di prevenzione

La recente emergenza internazionale legata al Coronavirus ha messo in allerta tutte le Istituzioni competenti, dando luogo a ampi programmi di prevenzione e profilassi a livello internazionale e nazionale.

L’Amministrazione, seguendo le linee guida del Ministero della Salute ha recentemente pubblicato alcune istruzioni sulla intranet aziendale e, da ultima, ha emanato una nota su alcune misure per i dipendenti che rientrano dall’estero.

Tuttavia, le recenti notizie di diffusione del contagio anche a livello nazionale stanno generando nei colleghi crescenti preoccupazioni rispetto al rischio di contagio.

In particolare, destano preoccupazione le attività legate al trattamento del contante e tutte quelle che prevedono un contato con il pubblico, nonché li spostamenti da e verso il posto di lavoro o in occasione di corsi di formazione, riunioni, ispezioni, ecc.

Sebbene sia noto che le normali misure di profilassi costituiscano presidio sufficiente rispetto al rischio di contagio, la Fisac Cgil invierà alla Banca una lettera con cui richiede misure maggiori nell’immediato, come la distribuzione di gel disinfettante, guanti usa e getta e mascherine a tutti coloro che vengono a contatto con il pubblico e le banconote (un’attenzione in particolare è richiesta nelle Filiali STC e in quelle che prevedono l’attività di ricircolo del contante).

Si richiedono inoltre maggiori misure di emergenza viste le crescenti notizie di nuovi casi di contagio e di decessi, quali:

  • ampliamento della possibilità di fruizione dei corsi e di svolgimento di riunioni in modalità video conferenza;
  • pianificazione di un più ampio utilizzo del lavoro delocalizzato;
  • previsione di una maggiore disponibilità di dotazioni per il telelavoro;
  • pianificazione, anche con l’ausilio del mobility manager di un programma  

    di trasporto dei dipendenti da e verso il luogo di lavoro.

Particolare raccomandazione inoltre, riguarda la necessità di prevedere una scrupolosa profilassi da seguire nelle strutture pedagogiche della Banca e nei luoghi di aggregazione dei dipendenti (mense e bar interni, centro sportivo, locali del C.A.S.C., ecc).

Infine, rispetto alla problematica del personale di rientro da viaggi all’estero, si chiede quali disposizioni si intendano porre in essere per tutto il personale esterno (Carabinieri, receptionist, addetti alle pulizie e alle mense, ecc.), che potrebbe, analogamente ai dipendenti, rientrare da viaggi all’estero, senza la previsione di alcuna misura cautelativa.

Roma, 22 febbraio 2020

 La Segreteria Nazionale Fisac Banca d’Italia

 

Comunicato stampa unitario settore assicurativo su coronavirus

A seguito delle note  evoluzioni dell’epidemia legata alla diffusione del Covid-19, le segreterie nazionali scriventi si stanno adoperando affinché nel settore assicurativo – ania, imprese e appalto – vengano attuate tutte le misure idonee a tutela delle lavoratrici e lavoratori nei luoghi di lavoro, anche in relazione alla residenza nelle aree geografiche attualmente coinvolte dall’emergenza sanitaria.

Verrà inoltre recepita scrupolosamente la circolare del ministero dell’ambiente Salute.

Segreterie nazionali
First Cisl – Fisac Cgil – Fna – Snfia – Uilca

Roma, 22 febbraio 2020

 

Riscossione Tributi: Coronavirus, comunicato delle Segreterie Nazionali

A seguito delle preoccupanti evoluzioni dell’epidemia procurate dal COVID-19, soprattutto nel nord del Paese, le scriventi Segreterie Nazionali del Settore Riscossione Tributi, unitamente ai Segretari Generali FABI, FIRST-CISL, FISAC-CGIL e UILCA, oltre ad esprimere solidarietà e sostegno alle lavoratrici ed ai lavoratori delle zone colpite dalla diffusione del Coronavirus, stanno dialogando con l’ Azienda , anche con l’ausilio degli RLS, per realizzare tutte le misure e le iniziative per la tutela della salute e sicurezza dei colleghi con interventi urgenti e mirati.
La situazione è in costante evoluzione ed è quindi fondamentale attuare le direttive che il Ministero della Salute sta mettendo in campo.

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha contattato tutti i lavoratori residenti nei comuni in quarantena per comunicare che saranno assenti giustificati e retribuiti per tutto il periodo di assenza.
L’Ente sta valutando anche la possibilità di chiudere lo sportello di Lodi.

Roma, 23 febbraio 2020

Le Segreterie Nazionali

 

 

 

 

 

 




Popolare di Bari, arrivano gli arresti

La Procura di Bari avrebbe azzerato i vertici della Banca Popolare di Bari già sette mesi fa. È il luglio scorso quando il procuratore aggiunto, Roberto Rossi, e i pm Federico Perrone Capano e Savina Toscani, depositano la richiesta di misure cautelari per Marco e Gianluca Jacobini, ex presidente e direttore, l’ex amministratore delegato Vincenzo De Bustis ed Elia Circelli, responsabile della Funzione Bilancio. Ben sei mesi prima che la Banca d’Italia, a dicembre 2019, procedesse al commissariamento. L’inchiesta riguarda l’acquisizione di Banca Tercas, gli aumenti di capitale del biennio 2014-2015, bilanci “aggiustati” per “mantenere intatto il potere di gestione della banca a spese degli azionisti”. Falsati i dati degli avviamenti di Tercas e Cassa di Risparmio di Orvieto per circa 360 milioni. E ancora: 41 milioni da pagare all’Inps non segnalati in bilancio, false imposte anticipate sulle perdite fiscali per 96 milioni nel 2015, prospetti sballati sulla solidità delle azioni.

E proprio nei giorni del commissariamento, sulla scrivania del gip, giunge un’integrazione all’accusa: i due Jacobini spostano soldi dalla banca per ben 5,6 milioni di euro trasferendoli su conti personali – e intestati alle loro mogli – in altre banche. Se n’è accorta l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, che segnala ben 5 operazioni sospette intraprese a partire dal 12 dicembre 2019 “nell’imminenza” del “commissariamento”: dimostrano “l’intenzione di sottrarre i profitti illeciti a eventuali operazioni di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria”. Per Marco Jacobini emergono “profili di responsabilità in ordine a condotte di auto riciclaggio”. In sostanza, chiosa il gip, la “struttura della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della famiglia Jacobini” e c’è il rischio che “tale potere illecito” ne “impedisca il risanamento” con “devastanti effetti sull’economia meridionale”. Le accuse spaziano dal falso in bilancio al falso in prospetto e all’ostacolo alla vigilanza.

Anche i loro compensi paiono al gip insostenibili: “L’importo percepito da Marco Jacobini, pari a 3 milioni, appare, a prima vista, smisurato con riferimento alle funzioni svolte all’interno della Banca e se rapportato alla situazione di grave dissesto patrimoniale della banca”. D’altronde Marco Jacobini “governava la Banca con lo sguardo”, racconta un dipendente, e “vi era un potere assoluto del duo Marco e Gianluca” che aveva deciso “l’intera rete dei capi distretto come esercizio di potere di fatto”. Questo è accaduto per un decennio e, come abbiamo detto, nei fatti la Procura e la Guardia di Finanza, ci sono arrivati ben prima di Bankitalia. Di certo, Consob con le relazioni firmate da Giuseppe Maria Berruti aveva già multato la Bpb inviando gli atti in procura. E con il tempo la situazione s’è deteriorata al punto da spingere la procura a chiedere il loro arresto, disposto ieri dal Gip: Marco e Ganluca Jacobini sono ai domiciliari. Il concetto di regole pare piuttosto relativo, nel leggere le 409 pagine firmate dal Gip, visto che “i rapporti con il più grande cliente della banca (gruppo Fusillo, di recente dichiarato fallito) con un impressionante esposizione debitoria di centinaia di milioni veniva gestito da Gianluca Jacobini privo dei poteri che lo legittimavano al contatto con il cliente”. Marco Jacobini partecipava “al comitato crediti (senza che ci fosse verbalizzazione) pur non avendone alcun titolo” e “le verbalizzazioni… erano falsificate per non far emergere la presenza della famiglia”. Il gip su alcuni punti concorda con le accuse, su altri, come l’ostacolo alla vigilanza, ritiene che l’impianto indiziario non sia sufficiente, ma il quadro emerso resta devastante. L’accusa registra “la piena consapevolezza di tutti i dirigenti della BPB della falsificazione del bilancio al fine di soddisfare i desideri della famiglia Jacobini”. Il professor Gianvito Giannelli (non indagato, ndr) – compagno dell’attuale procuratore di Larino Isabella Ginefra, a lungo pm a Bari – è un “legale apparentemente indipendente”. In realtà è “consulente interno della Banca sulle questioni giuridiche”, in “conflitto di interessi” per il “monopolio delle pratiche legali” in Bpb e per i “rapporti di parentela con Marco Jacobini”.

Nel novembre 2018 viene intercettato Elia Cicelli mentre chiama Luigi Jacobini e “lo informa di avergli girato il conto economico”: “Il risultato – gli dice – è quello che ci aspettavamo”. L’accusa ritiene che “il risultato del conto economico” sia “stato già predeterminato in modo che … sia di segno positivo”. Alla Popolare di Bari si risponde alla “logica della piaggeria”, dice in un’altra intercettazione Cicelli, analizzando la situazione della banca.

Lo schema secondo l’accusa era il seguente. In primo luogo “il ruolo assolutamente preponderante di Marco e Gianluca Jacobini nella gestione e nel controllo dell’istituto di credito”. Poi c’era Circelli “nella redazione dei bilanci societari e la continua interlocuzione con il Presidente del Cda”. E infine l’ex ad Vincenzo De Bustis Figarola, per il quale il gip dispone l’interdizione e parla di “elevatissima propensione a delinquere”, “notevole spregiudicatezza nella programmazione ed esecuzione di delitti” e “preoccupante serialità” che hanno compromesso “interessi” che fanno capo a “società”, “soci”, “futuri soci” e “creditori”. Da ieri ha il “divieto temporaneo di esercitare la professione di dirigente di istituti bancari”.

 

Articolo di Antonio Massari su “Il Fatto Quotidiano” dell’1/2/2020




Nessun dorma!

Pubblichiamo la splendida ricerca effettuata da Emanuela Marini, componente della segreteria Fisac Banca d’Italia, che ha studiato alcune delle più note opere liriche scoprendo che nella loro trama è possibile ritrovare tutte le casistiche delle violenze sulle donne: il femminicidio, la violenza fisica, morale, economica, gli stereotipi ecc…

Una riflessione su come il fenomeno della violenza di genere sia profondamente radicato nella nostra cultura da secoli, e solo in tempi recenti si sia cominciato finalmente a vederlo per quello che realmente è: una profonda ingiustizia, un segno d’inciviltà da combattere con forza e decisione.

A rendere più interessante la lettura, per i melomani c’è la possibilità di ascoltare le arie alle quali si fa riferimento nella trattazione.

 

Nessun dorma – L’opera racconta la violenza

 

 




Banca d’Italia: la Banca che “contava”

Dal 6 all’8 novembre u.s. si è svolto, al Milano Convention Center, la riunione annuale del “Salone dei pagamenti”, un’iniziativa organizzata dall’ABI attinente alle novità che girano intorno al mondo delle banche ed al sistema dei pagamenti. In tale ambito, si è parlato dei profili evolutivi del “contante in un mondo digitale” alla presenza di importanti esponenti del nostro Istituto, tra cui il Vice Direttore Generale e il Capo Dipartimento Circolazione Monetaria e Bilancio.

Durante il convegno, tra gli altri argomenti, sono stati descritti i risultati raggiunti con il progetto “sala conta multibanca” presso la piazza di Milano.

Tale iniziativa consente alle banche aderenti di scambiarsi il contante presente all’interno del caveau della sala conta della società di servizi, a prescindere dalla sua provenienza originaria.

È utile precisare che fino ad ora la gestione del contante prevede che i biglietti presenti in sala conta siano suddivisi per banca d’origine per cui, in caso di carenza o eccedenza di contante, ciascuna azienda di credito debba rivolgersi alle Filiali della Banca d’Italia (che trattano il contante) per effettuare operazioni di prelevamento o versamento.

È evidente che l’introduzione della “sala conta multibanca” avrà un impatto notevole sull’attività di trattamento del contante nelle Filiali. La Sede di Milano, piazza scelta per la partenza di questo nuovo progetto, ha registrato un significativo calo di introito/esito nonostante, in questa fase iniziale, non tutte le banche abbiano aderito.

Se, come indicato negli interventi nel “Salone dei pagamenti”, proseguirà la diffusione della “sala conta multibanca” assisteremo ad un ulteriore impoverimento dei compiti delle Filiali della Banca d’Italia. È evidente come, anche su questo versante, stiamo registrando un deterioramento dei servizi per il cittadino e, contestualmente, un ulteriore fattore di messa in discussione della (sopravvissuta) rete territoriale.

Questa O.S. denuncia e censura, per l’ennesima volta, le scelte organizzative del Vertice dell’Istituto, volte a privatizzare ogni attività a valenza pubblica.

Nel caso specifico, tra l’altro, è opinione della Fisac CGIL che questo ennesimo progetto di privatizzazione, nel tempo, potrà contribuire a mettere in discussione uno dei ruoli fondamentali e istituzionali della nostra Banca centrale: quello di garantire la fiducia dei cittadini nelle banconote in euro.

L’attività di gestione e ricircolo del contante è, su questo aspetto, fondamentale: diventerebbe inutile anche parlare di sviluppo della moneta elettronica e di sistemi innovativi di pagamento se tale fiducia dovesse venir meno e in questo senso è decisamente rischioso abdicare a tale funzione istituzionale a favore dei privati.

La Fisac CGIL Banca D’Italia è intenzionata a proseguire nella sua azione di difesa del ruolo del nostro Istituto e in questa ottica continuerà a chiedere ai Vertici l’avvio di una VERA discussione sui profili organizzativi, anche al fine di migliorare la qualità del lavoro di colleghe e colleghi e per dare loro una prospettiva di lungo termine, necessaria per ritrovare lo spirito di appartenenza all’Istituzione che ha sempre caratterizzato il nostro lavoro.

Roma, 26 novembre 2019

La Segreteria Nazionale Fisac Banca d’Italia




FISAC Banca d’Italia: dalla parte di Liliana

Alla notizia della scorta assegnata a Liliana Segre dopo le minacce subite negli ultimi tempi, la domanda stupita che si è sentita più spesso è “Cosa stiamo diventando? Cosa siamo diventati?”.

Quale che sia la risposta, forse sarebbe saggio chiedersi anche “quando” lo siamo diventati. Forse è stato quando abbiamo dichiarato gli stadi di calcio “zone franche” in cui chiunque può ululare insulti a ebrei, zingari, neri: tanto nessun provvedimento efficace viene preso.

O forse è stato quando Gad Lerner è stato gravemente insultato e minacciato, chiamato con disprezzo “ebreo” mentre faceva il suo lavoro di giornalista al raduno leghista di Pontida. Oppure è stato quando abbiamo lasciato che i social network diventassero il terreno perfetto per aggressioni sessiste, auguri di stupro e di morte alle donne che si “espongono” con posizioni politiche scomode.

Abbiamo lasciato che i portatori di odio spostassero l’asticella sempre più in alto, fino all’impensabile: prendersela con una signora coi capelli bianchi sopravvissuta al campo di concentramento più famoso della Storia. Una donna che, probabilmente, pensava di aver già pagato alla vita un prezzo molto alto, ma che, condividendo i propri ricordi personali, ha contribuito a tenere in vita una memoria collettiva altrimenti destinata ad affievolirsi.

Ma è con la proposta di istituire una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza che la senatrice Segre incarna sì la vittima, ma che reagisce e questo, per alcuni, non va affatto bene.

I gruppi parlamentari di destra si astengono dal voto sulla proposta di Commissione, lamentando – con involontario tragicomico senso dell’umorismo – tentativi di censura.

Il resto – gli insulti, le minacce – è cronaca di questi giorni; e la necessità di mettere sotto scorta una signora di novant’anni sopravvissuta ad Auschwitz non fa che certificare il mesto fallimento culturale della nostra società.

Roma, 8 novembre 2019

 

La Segreteria Nazionale Fisac-Cgil Banca d’Italia




Stangata su MPS: condannati Mussari e altri 12

Gli ex vertici erano a giudizio per le operazioni in derivati che occultarono le perdite del disastro Antonveneta. Condannate pure Deutsche Bank, Nomura e i loro dirigenti.

La stagione dei disastri bancari aperta nel 2012 dal terremoto del monte dei Paschi di Siena vede i primi banchieri condannati. E si parte proprio da Mps, dopo una sfilza di assoluzioni. Ieri i giudici di Milano hanno condannato gli ex vertici della banca senese per le irregolarità sulle operazioni finanziare messe in piedi dal dicembre 2008 al settembre 2012 per occultare le perdite causate dallo sciagurato acquisto di Antonveneta.

Nel 2008 Mussari decise di strapagare la malconcia banca padovana scucendo 9 miliardi di euro (più 8 di debiti) contro un valore reale di circa 3, sotto l’occhio vigile di Bankitalia, consapevole che Antonveneta se la passava male e che Mussari stava scassando il più antico istituto di credito del Paese. Per coprire le perdite dell’operazione, a Siena vennero messe in piedi operazioni in derivati, i cui effetti negativi si cercarono in seguito di occultare a bilancio.

In primo grado, ieri, sono stati condannati Mussari (7 anni e 6 mesi), l’ex dg Antonio Vigni (7 anni e 3 mesi) l’ex responsabile area finanza Gianluca Baldassarri (4 anni e 8 mesi) e 5 anni e 3 mesi sono stati dati a Daniele Pirondini (ex direttore finanziario). I reati vanno dal falso in bilancio all’aggiotaggio all’ostacolo alla vigilanza. Tra gli imputati – tutti condannati – c’erano anche sei ex dirigenti di Deutsche Bank e due ex manager di Nomura: entrambe le banche sono state condannate e per loro è stata ordinata la confisca di oltre 150 milioni di euro. Condannati gli ex manager di Deutsche Bank: Michele Faissola e Michele Foresti, per entrambi la pena è di 4 anni e 8 mesi, stessa pena per Ivor Scott Dunbar per il quale la Procura aveva chiesto l’assoluzione. Di 3 anni e sei mesi la pena inflitta a Dario Schiraldi, Matteo Angelo Vaghi (anche per lui la procura aveva chiesto l’assoluzione) e Marco Veroni. Condannati anche gli ex manager di Nomura Sadeq Sayeed (4 anni e 8 mesi), in qualità di ceo di Nomura international plc London, e Raffaele Ricci (3 anni e 5 mesi), all’epoca responsabile delle vendite per l’Europa e il Medio Oriente. La banca senese è uscita dal processo con un patteggiamento nel 2016. Gli istituti coinvolti e gli imputati hanno contestato la sentenza e annunciato il ricorso. Al centro del procedimento c’erano soprattutto le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, che secondo l’accusa sarebbero servite a nascondere perdite per oltre 2 miliardi.

La storia è nota. Dopo l’acquisto di Antonveneta, Mps deve chiudere in utile ed è a quel punto che arrivano Santorini (con Deutsche Bank) e Alexandria (Nomura) per rinviare in futuro perdite su operazioni pregresse. Due derivati, mascherati però a bilancio come operazioni scomposte, contabilizzate come un acquisto di titoli di Stato finanziato da “pronti contro termine” (in gergo Repo) e non come un Credit default swap (Cds), un derivato assicurativo sul rischio Italia venduto da Mps. Solo nel bilancio 2012, dopo l’esplosione dello scandalo e l’uscita dei vertici, emergeranno perdite per 700 milioni. E solo tre anni dopo i derivati sono stati contabilizzati come tali, un ritardo avallato dalle authority di vigilanza (per il quale sono a processo a Milano i successori di Mussari, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola). Dal 2008 Mps ha varato sei aumenti di capitale, l’ultimo dei quali, nel 2017, ha visto l’ingresso dello Stato. In 11 anni sono stati bruciati 36 miliardi di valore.

La condanna di ieri apre un fronte imbarazzante per la Banca d’Italia. La vicenda deflagrò a fine 2011, quando il neo governatore Ignazio Visco allontanò i vertici di Mps, sostituiti da Profumo e Viola. A fine 2012 i due scoprirono in una cassaforte in uso a Vigni il famigerato mandate agreement, che dimostrava la natura di “derivato” di Alexandria. Per Mussari, Vigni e Baldassarri scattò la denuncia per ostacolo alla vigilanza.
Gli ispettori di Bankitalia hanno giurato di non aver mai potuto classificare Alexandria come derivato in mancanza del mandato.

Gli ex vertici di Mps sono però stati assolti in via definitiva a maggio scorso. Secondo la sentenza d’appello (confermata in Cassazione) gli ispettori avevano gli elementi per capire la natura delle due operazioni e non ci fu volontà di ostacolare la vigilanza. Insomma, secondo i giudici le operazioni per occultare le perdite, Mussari e compagnia le hanno commesse. E Bankitalia, almeno nel 2011, ne era a conoscenza.

 

Articolo di Carlo Di Foggia sul Fatto Quotidiano del 10/11/2019

 




Banche, chiavette e sicurezza: la rivoluzione del 14 settembre

Servizi bancari sempre più fluidi

Partiamo dalla novità che entrerà subito in vigore. Dal 14 settembre le banche saranno obbligate a condividere con terze parti tutte le informazioni che hanno sui propri correntisti. A patto, naturalmente, che il cliente autorizzi il proprio istituto di credito a farlo: sarà una sua libera scelta.

Queste “terze parti” hanno dei nomi da filastrocca: Pisp, Aisp e Cisp ma a ogni sigla corrisponde qualcosa di preciso e, potenzialmente, di grande utilità per il consumatore. Vediamo cosa sono:

  • I Pisp (Payment Initiation Service Providers) sono società intermediarie tra il pagatore (consumatori o aziende) e la propria banca che hanno lo scopo di versare denaro a un terzo soggetto. Grazie ai Pisp sarà possibile effettuare un pagamento su un sito di ecommerce (impossibile non pensare ad Amazon) senza inserire i dati della propria carta di credito o bancomat, perché sarà il venditore ad accedere direttamente al nostro conto (previa una nostra prima autorizzazione, che in seguito verrà ricordata) e prelevare. Altri giganti del panorama digitale, come Google e Facebook, potranno beneficiare di questa nuova opportunità addebitando i clienti senza passare per il tramite di alcuna carta. Per accedere al conto del cliente i Pisp devono comunque usare procedure di autenticazione e devono mettere a disposizione del cliente tutte le informazioni relative a quell’operazione;
  • Gli Aisp (Account Information Service Provider) sono servizi che “spiano” (sempre dietro consenso)i nostri conti correnti e le nostre carte, analizzano e aggregano questi dati per fornirci un quadro complessivo delle nostre finanze in un’unica schermata. Ad esempio un report sul nostro patrimonio complessivo, le entrate e le uscite del mese. E in base a questi dati possono fornire consigli su come investire i nostri soldi o proporre strumenti “salvadanaio”. Cosa non possono fare: operare sul conto corrente o detenere i soldi del cliente;
  • I Cisp (Card Issuer Service Providers) sono invece soggetti che emettono carte di pagamento. Solo che, a differenza delle prepagate (che il cliente può ricaricare di volta in volta prelevando denaro dal proprio conto corrente), queste sono direttamente collegate al conto corrente, anche se è stato aperto in una banca differente. I Cisp forniscono la carta ma non detengono il denaro del cliente, hanno però un canale privilegiato per accedervi.

Pagamenti più sicuri (con qualche disservizio)

E poi c’è il grande tema degli strumenti di sicurezza per pagare online. La direttiva rafforza le misure a tutela dei risparmiatori, per prevenire frodi e furti di identità. La sicurezza dei clienti, secondo il testo, si basa su tre principi:

  • Conoscenza: cioè una password o un codice pin che conosce solo l’utente;
  • Possesso: uno strumento che possiede solo l’utente (uno smartphone o un token);
  • Inerenza: cioè qualcosa che l’utente è, ad esempio un’impronta digitale o il riconoscimento facciale.

Le procedure di autenticazione delle banche devono prevedere almeno due di questi principi. Ad esempio: una password generata su smartphone, un pin generato da un token o un’impronta digitale impressa sul telefonino. Questi nuovi standard hanno portato diverse banche italiane a mettere in soffitta il caro vecchio token, provocando in alcuni casi qualche malumore tra i clienti (sulle nostre pagine abbiamo parlato del caso di Banca Intesa).

Queste nuove procedure sarebbero dovute entrare in vigore il 14 settembre ma Banca d’Italia ha fatto sapere lo scorso primo agosto che “in considerazione della complessità degli adeguamenti” e per “ridurre fortemente i rischi di disservizi nei pagamenti online con carta”, ha deciso di concedere una proroga per un periodo limitato agli operatori che ne facciano richiesta e a patto che spieghino, nel dettaglio, in che modo intendono procedere. Quanto tempo durerà la proroga? Banca d’Italia spiega che questo verrà definito dall’Eba (l’autorità bancaria europea) che nello scorso giugno aveva autorizzato le banche centrali nazionali a concedere più tempo in casi limitati.

Addio al token? Non è detto

Il problema dei token attuali è che generano un codice (l’Otp, one time password) che pura pochi secondi ma non esclude la possibilità che un truffatore informatico possa utilizzarlo per compiere una seconda operazione-lampo, drenando soldi dal conto del cliente. Con le nuove regole, invece, il codice “restituito” al cliente è valido solo e soltanto per quella operazione.

Attenzione, però: anche se le banche dovranno togliere di mezzo gli attuali token, non è detto che questi strumenti scompariranno del tutto: alcuni istituti di credito semplicemente li sostituiranno con alcuni di nuova generazione (ad esempio Deutsche Bank consentirà ai propri clienti di scegliere tra uno virtuale, gratis, e uno fisico col tastierino, a pagamento). Il problema che diversi consumatori lamentano è che le banche, costrette dalla nuova direttiva, punteranno tutto sulle app per smartphone (come in effetti sta accadendo) discriminando chi possiede un telefono di vecchia generazione. In realtà diverse banche – tra le quasi Intesa Sanpaolo – prevedono, proprio per casi simili, l’invio del codice via sms, spesso a pagamento.

Non mancano, comunque, le critiche a questo aspetto della direttiva: “Per la mia esperienza, non ho mai avuto notizia di utenti che siano stati truffati o abbiano subito furti di identità usando gli attuali token. Le nuove misure di sicurezza servono piuttosto ad armonizzare le procedure di pagamento a livello europeo, ma non è vero che fino ad ora pagavamo in modo poco sicuro” dice Giuseppe Mermati, referente del settore bancario per l’Unione Nazionale Consumatori.

Mentre Carlo Piarulli, responsabile del settore credito per Adiconsum, si sofferma soprattutto sulla parte della direttiva dedicata alle “terze parti”: “Dal 14 settembre sarà ancora più importante prestare la massima attenzione ai consensi che forniamo alla nostra banca. Perché è vero che i nuovi servizi potrebbero essere utili a molti consumatori, ma è anche vero che si tratta di condividere informazioni preziose, e questo non può essere fatto a cuor leggero”.

Piarulli, come diversi altri osservatori, vede in questa direttiva un possibile “cavallo di Troia” per le banche tradizionali. “Giganti come Google, Facebook e Amazon avranno la possibilità di instaurare un rapporto sempre più diretto con i propri clienti e, con il tempo, potranno intercettare la clientela delle banche per portarli a sé. Non è un caso che queste società abbiano chiesto la licenza da operatori bancari in alcuni Paesi Ue.

 

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