Banca d’Italia: assistenza sanitaria – Incontro del 25 maggio

Nell’incontro di oggi la Banca ha avanzato alcune proposte migliorative rispetto all’assetto complessivo della polizza finora proposto, acquisendo osservazioni e richieste presentate dal nostro Tavolo (dettagliate nelle slides qui allegate).

Gli elementi di più rilevante novità sono:

  • il cd. “Pacchetto maternità”, già proposto nel precedente incontro (dettagli all’interno delle slides);
  • l’iscrizione dei figli fino al compimento del 26esimo anno indipendentemente dal carico fiscale;
  • l’introduzione di un contributo di 20 euro per ogni figlio, sia a carico che non a carico, fino ai 26 anni;
  • la possibilità di aggiornare il carico fiscale in corso di vigenza contrattuale, evitando così di pagare come “familiare non a carico” per familiari che viceversa perdono il lavoro;
  • l’introduzione della possibilità di spesa di una parte (purtroppo tuttora molto ridotta) del massimale previsto per le cure dentarie anche al di fuori della rete convenzionata (€ 250 su un totale di € 1.500).

Inoltre, la  la Banca si è impegnata a definire indicatori per attribuire maggiore rilevanza alla qualità e alla capillarità della rete convenzionata per tutte le prestazioni assicurate, assegnando ad esempio maggiore peso alle strutture collegate a campus universitari, o di maggiori dimensioni/con un maggiore numero di reparti.

Importanti miglioramenti riguarderebbero poi anche la medicina preventiva, dove verrebbero introdotti un check-up mirato oncologico uno post-Covid, e verrebbe ampliata la gamma degli esami compresi nel check-up ordinario (ad esempio, inserendo anche alcuni esami per la tiroide ed eliminando l’alternatività tra la visita oculistica e quella otorinolaringoiatrica).

Secondo quanto oggi rappresentato, la base d’asta sarà di € 2.400 per i dipendenti e di € 3.200 per i pensionati: quindi, la Banca è disposta ad assumersi il rischio ipotetico di sostenere maggiori oneri pari a € 350 per ogni dipendente e € 400 per ogni pensionato. Anche questo aspetto risponde alla nostra specifica richiesta di aumentare il contributo versato dalla Banca, che ad oggi è stato quantificato sulla base di ipotesi di valori di aggiudicazione pari a € 2.050 per i dipendenti e € 2.800 per i pensionati.

L’aspetto maggiormente qualificante dell’intera offerta riguarda il significativo peso conferito alla cosiddetta componente “tecnica” della gara, che peserà per il 70% sull’effettiva aggiudicazione (quindi, alla componente meramente economica verrebbe attribuito un peso non superiore al 30%). Anche in questo si è dato seguito all’esigenza, da noi rappresentata, di conferire un peso maggiore alla componente qualitativa dei servizi offerti dalla compagnia che si aggiudicherà la gara.

Il nostro Tavolo di maggioranza ha valutato nel complesso favorevolmente l’insieme degli avanzamenti proposti, che tuttavia necessitano di un più significativo accoglimento delle nostre istanze migliorative e, nella definizione delle componenti tecniche dell’offerta soggette a offerte da parte dei partecipanti alla gara, della più precisa individuazione delle categorie alle quali attribuire maggiore rilevanza (ad esempio, alla qualità e alla capillarità dell’intera rete convenzionata).

L’Amministrazione si è riservata di fornire una risposta a stretto giro: il prossimo incontro si terrà infatti questo giovedì.

Al fondamentale negoziato su orario e organizzazione del lavoro sarà dedicata l’intera prossima settimana, con due incontri che si terranno martedì 1° e giovedì 3 giugno. Ci aspettiamo che anche in quella sede l’Amministrazione riconosca il valore delle proposte del Tavolo Unitario.

Roma, 25 maggio 2021

 

CIDA      SIBC      CGIL       CISL       DASBI       FABI


 

dal sito www.fisacbancaditalia.it




Banca d’Italia: tra il dire e il fare….è meglio il fare

Improvvisamente sulla intranet aziendale è comparsa la notizia dell’avvio di una nuova sessione della rilevazione dello stress lavoro-correlato.

Era stata la Fisac Cgil a richiederla (LEGGI), visto il tempo trascorso dall’ultima rilevazione e, a maggior ragione, visti i cambiamenti organizzativi che hanno interessato il personale con lo scoppio della pandemia.

Nessuna risposta ci è ancora pervenuta nonostante un sollecito (LEGGI), ma siamo soddisfatti comunque che la Banca ci abbia ascoltati su un tema così importante: tutto sommato preferiamo il “fare” al “dire”, quando c’è in gioco la tutela dei lavoratori.

Roma, 13 maggio 2021

La Segreteria Nazionale

 

Fonte: sito Fisac Banca d’Italia




I tecnici contro il condono: “Una beffa per gli onesti”

Il no di Banca d’Italia, Corte dei conti e UBP.


Il condono agli evasori contenuto nel decreto Sostegni arriva in Parlamento con il marchio d’infamia apposto da tre delle massime istituzioni preposte al controllo del bilancio dello Stato. “Un beneficio erogato a un vastissimo numero di soggetti, molti dei quali presumibilmente non colpiti sul piano economico dalla crisi, che genera disorientamento e amarezza per coloro che adempiono e può rappresentare una spinta ulteriore a sottrarsi al pagamento spontaneo per molti altri”.
È questo il giudizio senza appello della Corte dei Conti nella memoria depositata alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera. “Questo è il terzo annullamento unilaterale di cartelle adottato nell’ultimo ventennio – si legge – a conferma di una sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti”.

La sanatoria delle cartelle emesse tra il 2000 e il 2010 sotto i 5mila euro (e per chi ha un reddito inferiore ai 30 mila euro) ha un costo secco per l’Erario di 666 milioni. In base al decreto lo Stato dovrebbe rinunciare al pagamento anche di cartelle esattoriali rateizzate e in corso di riscossione. Un risultato politico che va ben oltre quanto ottenuto, tra flat tax e “saldo e stralcio”, con il precedente governo giallo-verde dal principale sponsor del condono, la Lega, che ora nella discussione parlamentare tenta addirittura il raddoppio del tetto a 10mila a cartella.
Come spiega l’Ufficio parlamentare di Bilancio nella sua relazione “vi è il rischio che l’introduzione di forme di definizione agevolata, che costituiscono vere e proprie forme di condono, possa comportare in prospettiva anche una riduzione della riscossione ordinaria”.

La cancellazione di debiti a fronte dei quali la percentuale di recupero sarebbe relativamente bassa, consentirebbe di concentrare l’attività sulle cartelle sulle quali sono più alti i tassi di riscossione, riconoscono gli esperti dell’Authority dei conti pubblici. “Va tuttavia rilevato – spiega l’Upb – che un decreto volto a sostenere le imprese, i lavoratori e le famiglie per i disagi economici subiti per effetto del perdurare della pandemia non appare costituire lo strumento più idoneo per introdurre misure per l’annullamento dei debiti residui che, oltre a rappresentare un condono, sono dirette a migliorare l’attività di riscossione”.

La Banca d’Italia allarga il giudizio negativo pure agli altri sconti fiscali del decreto Sostegni. L’eliminazione delle sanzioni per le irregolarità nelle dichiarazioni 2017 e 2018 delle partite Iva e la cancellazione delle vecchie cartelle “si prospettano come condoni, con incentivi negativi per l’affidabilità fiscale degli operatori e disparità di trattamento nei confronti dei contribuenti onesti.

 

Articolo di  Luciano Cerasa su “Il Fatto Quotidiano del 10/4/2021




Covid: le garanzie statali coprono più le banche delle imprese

I dati Bankitalia rivelano che nella pandemia i prestiti alle aziende sono saliti di 39 miliardi a fronte di garanzie pubbliche concesse per 150 miliardi, confermando i timori che gli istituti le abbiano usate, in parte, per mettere al riparo i loro conti


 

Il sospetto c’era, fin da quando il Decreto liquidità fu congegnato al ministero del Tesoro. Nella maggioranza, specie lato Cinque Stelle, c’erano mugugni sul fatto che le banche avrebbero potuto traslare sull’Erario i rischi creditizi delle esposizioni critiche. Ex post, i dati dicono che quel sospetto si è concretizzato; anche se è una verità che non cancella il supporto offerto dalle banche al sistema produttivo flagellato dalle chiusure. Gli istituti di credito, in tutta Europa, per disegno degli stessi banchieri centrali erano chiamati a “essere parte della soluzione, non del problema” com’era stato nella precedente crisi, che generò una stretta sul credito alle imprese nostrane stimata in circa 300 miliardi di euro nel decennio scorso, trasformando la recessione in stagnazione.

Nelle statistiche con cui Bankitalia censisce le consistenze mensili, si legge che tra fine febbraio e fine dicembre 2020 c’è uno scarto da 111 miliardi tra il monte crediti alle imprese (le “famiglie produttrici” fino a 5 addetti e le “società non finanziarie” oltre la soglia), cresciuti nel periodo da 711,6 a 750,5 miliardi, e le garanzie pubbliche che in sincrono andavano a coprire il credito bancario via Sace (20,8 miliardi nei 10 mesi) e Fondo centrale di garanzia (129,5 miliardi). Non tutto ciò che manca, ovvio, è “sostituzione”, pratica che la legge pubblicata il 9 aprile scorso per fornire garanzie pubbliche dal 70% al 90% del credito erogato alle aziende colpite da Covid, limitava alle sole “rinegoziazioni”, in cui il credito complessivo crescesse di almeno il 10% e mai sotto i 25 mila euro.
La stessa Abi, con circolare del 24 aprile, istruì le banche sul fatto che i crediti garantiti non compensassero vecchi prestiti o scoperti di conto. Ma il diavolo è nei dettagli: la mancata contestualità tra estinzioni di crediti passati e accensioni di nuovi era lo spiraglio, e le “rinegoziazioni” parevano già a maggio, citando l’avvocato Antonio Manco dal sito Altalex, “la strada più indicata per progettare un’ampia e generale sanatoria delle pendenze debitorie pregresse”.

Dati da interpretare

Sui dati iniziali, censiti da un sondaggio della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, la tipologia “sostitutiva” non era quasi emersa: e lo stesso Tesoro, da proprie stime a fine aprile, la rintracciava solo nel 2,4% delle richieste, il 4,3% degli importi totali. Lo scarto spalancato nei mesi seguenti, fino ai 111 miliardi di dicembre, va interpretato: una parte delle garanzie pubbliche è certo andata a colmare cali fisiologici del credito in essere, anche sostituendo scadenze a breve termine con prestiti maggiorati e a medio-lungo (ma coperti da Sace o Mcc); un’altra parte sarebbe servita a ridurre rischi bancari pregressi. L’ufficio studi di Fisac Cgil, che aveva analizzato le stesse serie statistiche tra marzo e ottobre 2020 rilevando un differenziale di 80 miliardi sulle due grandezze, stima si tratti “per circa 50 miliardi di calo delle nuove erogazioni standard, ma per altri 30 miliardi di meccanismi di abbattimento dei rischi bancari, con le risorse del Dl liquidità che hanno parzialmente sostituito il credito ordinario”.
C’è poco da sorprendersi, se nella crisi più feroce da un secolo gli istituti abbiano cercato di ridurre l’esposizione alle economie: per rafforzarne la capacità di assorbire le perdite su crediti da Covid, stimate fino a 1.000 miliardi tra le vigilate europee e fino a 100 miliardi in Italia, proprio la Bce 13 mesi fa congelò la distribuzione di cedole per 30 miliardi agli azionisti bancari. E sempre la Bce da sei mesi lavora a minimizzare gli effetti di un credit crunch che è nelle cose: tanto che già a fine settembre 2020, sfruttando varie forme di sostegno dei governi nazionali – e principalmente le garanzie al credito come quelle italiane – 18 tra i maggiori istituti europei avevano limato di 120 miliardi di euro gli attivi ponderati al rischio (Rwa), con Unicredit tra le più solerti con 42 miliardi di Rwa in meno nel periodo.

La tendenza prosegue: l’ultima ricerca di Kepler Cheuvreux, dal titolo “Meno moratorie e più garanzie pubbliche in Italia”, registra come nel quarto trimestre 2020 le banche italiane quotate abbiano ridotto di circa 100 miliardi i finanziamenti in moratoria (tra i più a rischio) rispetto ai tre mesi prima: e con tassi di default all’1% circa, sei volte meno che nella crisi 2009-2013. Lo spaccato dà qualche indizio sugli operatori più “dinamici”, in pratica tutti: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Illimity hanno aumentato di almeno il 25% le garanzie statali su finanziamenti tra il terzo e il quarto trimestre 2020, a fronte di un taglio di almeno il 21% dei prestiti a rate congelate.

Le pmi e la poca liquidità

“Il bazooka messo in campo dall’ex premier Conte non è riuscito ad aggredire con successo la cronica mancanza di liquidità che storicamente assilla in particolare le Pmi – osserva Paolo Zabeo, direttore della Cgia di Mestre -. Solo un quarto delle garanzie messe a disposizione dallo Stato tramite Sace e Mcc è finito nelle casse degli imprenditori, mentre si sono avvantaggiate le banche, anche se è bene sottolineare che tutto il sistema economico ha tratto beneficio dall’applicazione dei vari provvedimenti governativi, tra cui il Dl liquidità“.
Proprio le piccole imprese, siano “famiglie produttrici“, “quasi-società artigiane” o “altre”, risaltano dalla base statistica di Bankitalia come quelle che hanno aumentato di più, nei primi nove mesi 2020, i depositi bancari e postali: a fine settembre 807 miliardi di euro dei 1.936 miliardi totali di giacenze liquide erano detenuti da queste tre tipologie aziendali, dopo incrementi tra il 20 e il 27% da gennaio.

È un’ulteriore spia di tensione nel rapporto tra le banche e i clienti più piccoli, che in diversi casi potrebbero aver parcheggiato sul conto i finanziamenti garantiti in attesa di tempi migliori per utilizzarli.

“L’incremento del risparmio, lievitato durante la pandemia anche grazie alle garanzie pubbliche, deve essere trasformato in investimenti”, dice Nino Baseotto, segretario generale della Fisac Cgil. Il sindacalista dei bancari, in vista di prossimi rinnovi della misura sulle garanzie pubbliche al credito, propone poi di introdurre “l’obbligo per le banche di considerare le linee garantite come aggiuntive e non sostitutive, per le imprese beneficiarie di investirne almeno l’80% entro 12 mesi, e che le grandi imprese garantite tramite Sace almeno mantengano i livelli occupazionali”.

 

Articolo di Andrea Greco su Repubblica del 1 marzo 2021 




Violenza sulle donne: nessun dorma!

In occasione della Giornata Internazionale delle Donne ripubblichiamo la splendida ricerca effettuata da Emanuela Marini, componente della segreteria Fisac Banca d’Italia, che ha studiato alcune delle più note opere liriche scoprendo che nella loro trama è possibile ritrovare tutte le casistiche delle violenze sulle donne: il femminicidio, la violenza fisica, morale, economica, gli stereotipi ecc…

Una riflessione su come il fenomeno della violenza di genere sia profondamente radicato nella nostra cultura da secoli, e solo in tempi recenti si sia cominciato finalmente a vederlo per quello che realmente è: una profonda ingiustizia, un segno d’inciviltà da combattere con forza e decisione.

A rendere più interessante la lettura, per i melomani c’è la possibilità di ascoltare le arie alle quali si fa riferimento nella trattazione.

 

Nessun dorma – L’opera racconta la violenza

 

 




Polizze abbinate ai finanziamenti: come evitare le sanzioni

Il tema della vendita scorretta di polizze assicurative, spesso collocate in occasione della concessione di mutui e prestiti, suscita forte preoccupazione tra gli enti preposti al controllo di Banche e Assicurazioni, tanto da spingere Ivass e Banca d’Italia ad esprimersi con una lettera congiunta contenente indicazioni e raccomandazioni chiare e dettagliate.

Proviamo a sintetizzare il contenuto della lettera, che fin dall’inizio richiama al rispetto delle norme per evitare sanzioni che potrebbero colpire pesantemente gli Istituti di Credito.


QUALI SONO LE POLIZZE CHE POSSONO ESSERE ABBINATE AI FINANZIAMENTI?

La lettera cita espressamente due tipi di polizze:

  1. Polizze a protezione del credito (es. polizze vita volte a garantire il rimborso del finanziamento)
  2. Polizze a protezione di un bene dato in garanzia (es. polizza scoppio e incendio legata ad un mutuo immobiliare.

Queste polizze possono essere finanziate aumentando l’ammontare del finanziamento, ma a specifiche condizioni, tra cui segnaliamo

  • La chiara indicazione di non obbligatorietà per le polizze protezione
  • La possibilità di estinguere anticipatamente le polizze qualora il finanziamento venga rimborsato prima della scadenza.
  • L’attivazione di adeguati controlli su eventuali anomalie (ripetute lamentele della clientela, percentuali troppo elevate di prestiti garantiti da polizze, ecc…)

Ci soffermiamo brevemente sul concetto di obbligatorietà delle polizze protezione. Sappiamo che purtroppo è prassi consolidata lasciar intendere al cliente che senza la polizza la concessione del finanziamento può essere più difficile o addirittura impossibile. Su questi comportamenti la lettera è estremamente chiara:

Le polizze qualificate come facoltative devono essere effettivamente prospettate alla clientela quale servizio aggiuntivo opzionale, evitando nei colloqui di vendita l’utilizzo di espressioni finalizzate a incutere nel cliente timori di vario genere che possano indurlo a ritenere necessaria la
sottoscrizione della polizza. Questa, in particolare, deve essere espressamente richiesta dal cliente e non può in alcun modo condizionare la concessione del finanziamento.

Si tende spesso a sottovalutare i rischi che il mancato rispetto di queste disposizioni può comportare.

Cominciano ad esserci diversi casi, in tutta Italia, di bancari denunciati da clienti che avevano registrato colloqui nei quali la polizza veniva prospettata come indispensabile per l’ottenimento del prestito. E la denuncia può comportare accuse anche molto gravi, arrivando a configurare reati come estorsione e truffa.

Anche senza arrivare a questi estremi, la banca può essere sanzionata in presenza di situazioni anomale. Ad esempio, se si rileva che la quasi totalità del prestiti presenta una polizza protezione abbinata diventa difficile sostenere che ai clienti sia stata data la possibilità di scegliere liberamente.

Altri tipi di polizze non possono essere abbinate al finanziamento e vanno considerate come “decorrelate”.

 

LE POLIZZE DECORRELATE NON POSSONO ESSERE FINANZIATE AUMENTANDO L’IMPORTO DEL PRESTITO

Qui si entra in una questione particolarmente delicata. Capita spesso che clienti con bassa capacità di spesa si ritrovino, in occasione della richiesta di finanziamenti, a sottoscrivere polizze anche molto costose, finendo con veder aumentare il costo effettivo del loro finanziamento, anche del 25-30%. In casi del genere, sostenere la volontarietà del sottoscrittore davanti ad un giudice appare impresa particolarmente ardua, soprattutto se il fenomeno si manifesta in modo ripetuto.

Messaggi del tipo: “Se il cliente non sottoscrive una polizza, non fategli il prestito” sono purtroppo la norma. Si arriva a suggerire di aumentare il costo del finanziamento per pagare il premio della polizza, soprattutto se di ammontare significativo, che il cliente in modo tutt’altro che spontaneo dovrà sottoscrivere.

Vendere prodotti assicurativi in questo modo, oltre ad essere un comportamento moralmente riprovevole, è espressamente vietato.

La nota (8) alla citata lettera dice chiaramente che, per evitare sanzioni, nella vendita di polizze decorrelate le banche devono attenersi ad alcune regole di condotta:

  • Impegnarsi a non finanziare il premio assicurativo
  • Lasciar trascorrere almeno 7 giorni tra l’erogazione del finanziamento e la sottoscrizione di una polizza decorrelata.

Nella lettera si richiama anche la necessita di verificare eventuali (!) pressioni interne per il collocamento di determinati prodotti.
Possiamo affermare con certezza che in tutti gli Istituti di Credito ci sono pressioni scorrette in tal senso, ed il nostro non fa certo eccezione.

 

COME BISOGNA COMPORTARSI?

A costo di essere ripetitivi, il messaggio da veicolare è sempre lo stesso.

L’impegno per il raggiungimento degli obiettivi deve essere massimo e costante da parte di tutti.
Ma pensare di farlo attraverso comportamenti che possono penalizzare ingiustamente i clienti, danneggiare la Banca e rovinare la vita del singolo lavoratore, come potrebbe fare una denuncia penale, è assurdo e sbagliato.

Per questo vi chiediamo di segnalare immediatamente ai vostri rappresentanti Fisac qualsiasi pressione illecita: abbiamo gli strumenti per far cessare comportamenti non rispettosi delle norme, lo abbiamo già fatto in passato e siamo pronti a farlo ogni qualvolta si renda necessario.

Per approfondire, scarica la lettera congiunta Ivass e Banca d’Italia del 17/3/2020

 

Fonte: Fisac BPER Banca




Banca d’Italia: Ad Maiora

Il 2020 si è rivelato un anno nefasto per il mondo intero, non serve neppure dirlo.

Per colpa di nessuno certamente, se non di una epidemia terribile che si è abbattuta sul mondo in modo completamente inatteso, costringendo a improvvisare soluzioni d’urgenza in tutti i settori del lavoro, come nella vita privata ma, altrettanto certamente, a causa delle numerose falle del sistema, che hanno costituito il substrato su cui si sono dispiegati i tanti effetti negativi che si sono prodotti.

Innumerevoli i dibattiti cui abbiamo assistito in questi mesi, come innumerevoli sono gli imputati: globalizzazione, privatizzazione, precarietà, malasanità, ecc. ecc. ecc..

Il 2020 si è chiuso a Banconote con la Comunicazione di servizio n. 80 del 2020 su “Attività produttiva nel periodo 4-15 gennaio 2020”.

In questo scenario disastroso, la Comunicazione del 30 dicembre scorso è sembrata il coronamento della situazione. A cominciare dalla digressione contenuta nell’incipit: “…considerato che non è stato possibile raggiugere in tempo utile un nuovo accordo con le OO.SS., ma che perdura l’emergenza epidemiologica…”.

In questi giorni di bilanci del passato e propositi per il futuro, vale allora la pena di fare qualche riflessione anche al nostro interno, nella convinzione che dalle brutte esperienze si possa trarre utile guida per il futuro.

Gli accordi del 2017 per il Servizio Banconote sembrano ormai storia remota: i colleghi si sono ormai abituati all’organizzazione del lavoro che è stata introdotta, e hanno ormai organizzato la propria vita su quei ritmi, tanto che per alcuni pensare ad una modifica ora può suscitare disappunto.

Tuttavia non si può negare che si tratta di una organizzazione che, allo scoppio dell’epidemia, non ha consentito di utilizzare la flessibilità richiesta dalla situazione di emergenza, a causa della rigidità del sistema, se non attraverso alcuni sfalsamenti in ingresso/uscita, che non hanno migliorato per nulla la situazione nel corso della giornata lavorativa.

In questo contesto, però, gli obiettivi produttivi non sono affatto stati ridimensionati dall’Amministrazione e, anzi, il vecchio paragone con le realtà private, seguito dalla solita ombra dell’esternalizzazione hanno continuato a stagliarsi sul fondo di ogni incontro e trattativa.

Dato questo sistema di organizzazione del lavoro e data la dotazione organica ne è conseguita la necessità di ricorso importante e sistematico al lavoro straordinario, sebbene la situazione epidemiologica generale e le caratteristiche delle attività svolte suggerissero invece un allentamento di ritmi produttivi.

Così, mentre il mondo celebrava l’encomiabile sforzo di medici e infermieri, nessuno può certamente aver pensato di concedere tributo allo sforzo dei lavoratori del Servizio Banconote, che pure hanno fornito un servizio essenziale – sebbene meno visibile – e in condizioni lavorative esasperate dalla situazione e dalle richieste produttive.

Tutto questo, infine è accaduto contando sulla disponibilità dei colleghi e sulla presenza di una fascia di lavoratori più deboli, gli operai di 3^ jr, introdotta con gli stessi accordi del 2017.

Dopo il messaggio dello scorso 30 dicembre, con cui la Banca provvedeva unilateralmente all’organizzazione dell’attività produttiva in emergenza, ci chiediamo allora quale sia l’auspicio migliore per il 2021 e per il futuro a venire, per i lavoratori di Banconote.

Siamo chiaramente in presenza di un’Amministrazione che si è barricata in sé stessa, tanto da non riuscire (o non voler) trovare l’accordo con i rappresentanti dei lavoratori, ma che al contempo, a quei lavoratori, chiede moltissimo: non uno sforzo ordinario ma molto di più, vista l’ingente mole di lavoro straordinario richiesto ed elargito persino in un anno come quello appena passato, che avrebbe richiesto tutt’altro orientamento.

Che agisce sapendo di poter fare ampia leva su una generazione che è stata deliberatamente resa più ricattabile, perché gli è stato abbassato ad arte lo stipendio, e a cui quindi, comprensibilmente, lo straordinario e il premio collegato al raggiungimento degli obiettivi di produzione, possono fare comodo.

Questo è quello che finora è stato. E ora che siamo agli albori di un nuovo anno non possiamo non chiederci se e come sarà possibile andare avanti con questo atteggiamento, che chiede molto ma mostra poca considerazione per chi manda avanti lo stabilimento: i lavoratori.

Noi crediamo che la risposta non possa più riposare in questa o quella soluzione di emergenza, in questo o quel contentino estemporaneo che l’Amministrazione vorrà o non vorrà concedere, ma in una nuova e vera programmazione del futuro.

Con l’inizio del nuovo anno, e dopo un periodo così terribile – o forse ancora nel pieno dello stesso – crediamo che occorra un nuovo equilibrio tramite il quale per chiedere e ricevere dai lavoratori, la Banca debba offrire modalità e prospettive nuove agli stessi.

Crediamo che il 2021 non possa più prescindere dalla contemplazione di un vero piano industriale per lo stabilimento che insieme agli obiettivi metta sul tavolo anche le risorse che si vogliono investire, nonché il modo in cui si intende impiegarle.

Una proiezione nel medio periodo dell’attività dello stabilimento e della sua produzione.

Una nuova programmazione degli organici, che preveda nuove assunzioni, anche in considerazione di futuri pensionamenti.

Ma soprattutto un riequilibrio della dignità del lavoro degli operai di 3^ jr: lo sforzo profuso e quello che verrà chiesto non possono più riposare sull’assenza di prospettive migliori in termini retributivi e di progressione di carriera per questa generazione di lavoratori e per quelle che verranno.

Crediamo che sia davvero il momento di superare i limiti esistenti e rivolgerci verso cose più grandi: “ad maiora”, è proprio il caso di dire.

Relazioni migliori, migliori tutele e riconoscimenti, migliori contratti. 

Questo, quello che ci aspettiamo in questo 2021, quello per cui ci prepariamo a lavorare.

Roma, 4 gennaio 2021

La Segreteria Nazionale

 

dal sito Fisac Banca d’Italia

 




Banca d’Italia: dove non arriva il buon senso, arriva la legge

dal sito Fisac Banca d’Italia

5 novembre 2020


Il Decreto emanato ieri dal Governo prevede una lunga serie di misure emergenziali che toccano vari aspetti della nostra vita quotidiana, in misura diversificata in relazione alla specifica situazione epidemiologica del territorio.

Alcune di esse riguardano l’organizzazione del lavoro; queste rispecchiano fedelmente le sollecitazioni che le nostre organizzazioni avevano proposto, con senso civico e responsabilità, a tutela della salute dei colleghi e della continuità operativa dell’Istituto.

L’Amministrazione, viceversa, dopo averle ripetutamente ignorate, solo con la comunicazione di venerdì scorso ne aveva parzialmente accolto alcune, denotando ancora un atteggiamento burocratico e attendista che non ha consentito di ritenere chiusa la procedura di raffreddamento.

Il Decreto del governo prevede ora che, nelle aree caratterizzate da massima gravità e livello di rischio alto,i datori di lavoro pubblici limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della gestione dell’emergenza” (art. 3).

Inoltre, sull’intero territorio nazionale ciascun dirigente della P.A. “organizza il proprio ufficio assicurando, su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale, lo svolgimento del lavoro agile nella misura più elevata possibile, …, compatibilmente con le potenzialità organizzative e l’effettività del servizio erogato” (art. 5).

Si pongono finalmente in evidenza due temi dai quali l’Amministrazione intendeva sottrarsi: l’individuazione, tra le attività non delocalizzabili, di quelle differibili, e l’ampliamento dello smart working per tutte le attività ai massimi livelli possibili. Le nostre richieste, di gran lunga precedenti il dettato normativo, andranno quindi recepite con immediatezza, affinché siano operative già da domani.

Alla luce delle disposizioni emanate dal Governo, infatti, va superato il principio delle esenzioni – per quanto ampie – per motivi personali o familiari, poiché si inverte “l’onere della prova”: spetta ora alle Strutture giustificare la necessità e la non rinviabilità della presenza negli uffici.

Abbiamo quindi invitato formalmente la Banca a recepire senza indugio le indicazioni dell’ultimo DPCM e ad aprire immediatamente il negoziato per giungere a norme condivise e temporanee che migliorino la qualità della vita, la sicurezza di tutti e l’efficacia dei processi di lavoro.

Sollecitiamo tutti i colleghi che notassero difformità nella gestione della propria Struttura rispetto alle previsioni di legge a segnalare il caso specifico alle nostre Organizzazioni: laddove non arriva il buon senso, arriva ora la legge.

Continuiamo a pensare che ai colleghi occorrano soluzioni concrete nell’immediato, e non crediamo che, specie dopo quest’ultimo intervento legislativo, abbia senso minacciare un roboante colpo di teatro… di due ore tra due settimane.

Decisioni unilaterali e sterile demagogia vanno sempre a braccetto.

E’ ora di dire basta a entrambe!

 

CIDA     SIBC     CGIL     CISL     DASBI     FABI     UIL




Banca d’Italia: perché la Banca sta sbagliando

LE IDEE DEL TAVOLO DI UNITA’ SINDACALE A TUTELA DELLA SALUTE
E DELLE ATTIVITA’ ISTITUZIONALI

Nella tarda serata di venerdì scorso, con una situazione epidemiologica in grave peggioramento in ogni parte del Paese, l’Amministrazione ha diffuso un messaggio che nelle intenzioni avrebbe dovuto contenere nuove e più efficaci misure per la gestione dell’emergenza.

Nella realtà, purtroppo, di nuovo c’è ben poco. C’è il solito approccio unilaterale che nulla concede al confronto costruttivo. C’è il solito messaggio che non affronta questioni rilevanti e che per la mancanza di chiarezza lascia all’inventiva delle singole Strutture la definizione degli elementi più importanti.

Finalmente si introduce l’idea di split team, proposta dal Sindacato già a febbraio e da allora osteggiata con argomentazioni risibili. Ma lo si fa in modo da neutralizzare la capacità di questo modello organizzativo di offrire protezione ai colleghi e di garantire la continuità operativa, imponendolo di fatto solo per le attività delocalizzabili in questo contesto emergenziale.

Sono infatti escluse dal modello proprio le attività che necessariamente vanno svolte in presenza – e dove quindi un caso di contagio sul luogo di lavoro può portare al blocco totale dell’operatività! – per le quali ci si limita a riconoscere che “occorre rafforzare i presidi di sicurezza attraverso una rigorosa applicazione dei protocolli” definiti dall’Amministrazione. C’è da chiedersi come vengano applicati i protocolli oggi, e quali siano i profili di responsabilità dell’Istituto per un’applicazione che, involontariamente, si riconosce a dir poco approssimativa di protocolli già nati inadeguati, come tali criticati e non sottoscritti dal Sindacato.

E ancora: i capi dovranno continuare ad alternarsi in presenza su base settimanale, rappresentando quindi il tramite tra gruppi che dovrebbero rimanere costantemente separati. Mancano istruzioni operative sulla stabilità dei team nel tempo, accorgimento a nostro avviso necessario per conseguire adeguati effetti protettivi.

Viene cancellato ogni riferimento alle esigenze e alle disponibilità dei colleghi.

Sono introdotte, per tutti, nuove rigidità.

  *  *  *  *  *

Chiunque può vedere che si tratta di una reazione completamente inadeguata di fronte al precipitare della situazione sanitaria e alle stesse misure già adottate o in via di adozione da parte del Governo e delle autorità locali. È incredibile che si possa pensare davvero che con questo nuovo assetto “ci assicuriamo la possibilità di gestire questa crisi anche per un periodo non breve”.

Il messaggio segna inoltre significativi e preoccupanti arretramenti sotto due punti molto rilevanti.

In primo luogo si fa promotore di una narrazione in cui il lavoro da remoto impone dei costi elevati alla nostra organizzazione aziendale. È un’affermazione del tutto non condivisibile che manca di rispetto nei confronti dell’impegno di tutti i colleghi in questi mesi e che smentisce quanto di recente affermato pubblicamente anche dal Governatore Visco. Lo ripetiamo a beneficio di tutti. In questi mesi la continuità operativa e la capacità di far fronte ai nuovi e maggiori compiti sorti con l’emergenza sono state rese possibili dal lavoro da remoto. La dedizione e lo spirito di sacrificio dei colleghi ha sopperito ai limiti di una inadeguata e rigida cornice burocratica.

Quella burocrazia che oggi, mostrando il suo lato più ottuso, pone i capi di ogni livello e i colleghi di fronte all’oscuro dilemma tra la cieca obbedienza a regole inadeguate o l’elusione di esse per il perseguimento di un bene superiore: la salute dei colleghi e la tutela della stessa Istituzione.

In secondo luogo, l’autocertificare il rispetto dei principi dettati dal Governo è la confessione di aver abdicato all’autonomia di cui è dotata la Banca, che andrebbe esercitata soprattutto in frangenti critici come questo, e in considerazione del fatto che le indicazioni governative vanno a regolamentare realtà non paragonabili alla nostra in termini di efficienza e potenzialità nel lavoro da remoto. Le stesse indicazioni peraltro sollecitano, già da giorni, a ricorrere in maniera quanto più ampia possibile al lavoro da remoto ove le dotazioni tecnologiche lo consentano. Allo stesso modo raccomandano di tenere in considerazione le disponibilità individuali e di offrire maggiore tutela alle categorie di colleghi che per motivi personali, familiari, logistici dovessero avere difficoltà a prestare la loro opera in ufficio. La Banca è totalmente inadempiente su questo versante, da mesi nonostante le ripetute e puntuali sollecitazioni da parte sindacale.

  *  *  *  *  *

La posizione assunta dal tavolo di Unità sindacale è chiara nel coniugare tutela della salute dei colleghi e continuità operativa.

Vale la pena richiamare le sue principali articolazioni:

1- la Banca ha maggiori possibilità rispetto ad altri enti di lavorare da remoto. Esse vanno impiegate per garantire massima tutela alla salute dei dipendenti, posto che le attività e i servizi non ne risentono nel breve termine.

2- nell’attuale contingenza, il tragitto per raggiungere il luogo di lavoro e, una volta giunti a destinazione, la frequenza di ambienti di servizio diversi da una stanza singola implicano dei rischi. Sostenere dei rischi a fronte di benefici nulli è un atto scellerato.

3- bisogna individuare con rigore ed equilibrio le attività non differibili che necessitano effettivamente di lavoratori in presenza; dedicare ad esse il numero efficiente minimo di lavoratori; garantire la massima sicurezza dei lavoratori in presenza con protocolli più rigorosi nei quali i capisaldi dovranno essere il minor affollamento possibile degli ambienti e l’utilizzo di mezzi diversi da quelli pubblici per il raggiungimento del luogo di lavoro.

4- nonostante le richieste sindacali dei mesi scorsi, nonostante un apposito articolo nel decreto del Ministero della Pubblica Amministrazione che introduce principi regolamentari per tutti gli operatori pubblici, NON abbiamo ancora misure di maggiore tutela per le categorie di colleghi che ne avrebbero bisogno. Anche i protocolli definiti unilateralmente dalla Banca, ora che la situazione è più complessa, mostrano i limiti a suo tempo da noi individuati.

5- i temi economici esistono, sono pienamente legittimi e vanno affrontati con serietà da parte dell’Amministrazione. Questi temi non possono continuare ad essere furbescamente elusi, seppur non rappresentano oggi, come non lo rappresentano già da mesi, il tema centrale del confronto con la banca, al momento costituito dalla tutela della salute dei colleghi e delle loro famiglie e dalla tenuta dell’Istituzione.

L’Amministrazione, invece, continua in modo del tutto unilaterale ad assumere scelte che troviamo non più sostenibili di fronte al dramma che il Paese sta vivendo e ai rischi a cui molti colleghi sono esposti in prima persona.

Su queste basi abbiamo avviato la procedura di raffreddamento, costringendo l’Amministrazione a un incontro da tenersi nei prossimi giorni per tentare una conciliazione.

CIDA     SIBC     CGIL     CISL     DASBI     FABI     UIL

 

dal sito Fisac Banca d’Italia
26 ottobre 2020

 




Multati gli ex amministratori Carispaq

Confermate le sanzioni amministrative di Bankitalia per 258mila euro all’ex dg Tordera, al cda e al collegio sindacale.


L’AQUILA. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Roma che con decreto del 4 luglio 2017 aveva rigettato l’opposizione proposta dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna spa e da Raffaele Marola, Ettore Barattelli, Aldo Tranquilli, Luciano Cicone, Adriano Rossi, Stefano Fabrizi, Roberto Colagrande, Rinaldo Tordera, Claudio Zaffiri, Pietro Passerini, Donato Lombardi, Franco Pingue, Marco Fregniavverso il provvedimento con il quale la Banca d’Italia ha irrogato sanzioni amministrative per complessivi 258.000 euro all’Istituto di credito, in solido con gli esponenti aziendali, sanzionati nelle rispettive qualità di componenti del consiglio di amministrazione, di direttore generale e di componenti del collegio sindacale della Carispaq (Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila)” che all’epoca dei fatti faceva parte del gruppo Bper.

LA SENTENZA.
La Banca d’Italia, si legge nella sentenza pubblicata ieri “all’esito dell’ispezione svolta nel periodo 8 novembre 2010-4 febbraio 2011, avente ad oggetto la verifica del rispetto della normativa antiriciclaggio ha contestato i seguenti illeciti: A) carenze nell’organizzazione e nei controlli interni da parte dei componenti del cda; B) carenze nei controlli da parte dei componenti del collegio sindacale. A ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale è stata applicata la sanzione di 18.000 euro, al direttore generale la sanzione di 24.000 euro. A sostegno della decisione di rigetto dell’opposizione la Corte d’Appello di Roma ha evidenziato che la contestazione di scarsa funzionalità delle azioni di contrasto del riciclaggio era supportata dagli esiti dell’attività ispettiva”.

LE MOTIVAZIONI. La Cassazione ha respinto diversi motivi proposti dai ricorrenti a sostegno delle proprie ragioni, motivi sia “tecnici” che di merito. In particolare, scrivono i giudici dell’Alta Corte in relazione al profilo probatorio, “la Corte d’Appello ha evidenziato con rilievi puntuali quanto emerso dall’ispezione, precisando che era mancata l’individuazione dell’effettivo titolare di 1.900 clienti persone giuridiche, pari al 17% del totale; non era stata prestata attenzione alle problematiche sorte nella fase di ricostruzione post-terremoto, che avrebbe richiesto invece l’adozione di strumenti idonei a consentire la tracciabilità dei flussi di danaro confluiti per la ricostruzione; era mancato il funzionamento integrale del Pns (presidio normative specifiche); vi erano state omissioni nei controlli delle movimentazioni, con conseguenti maggiori difficoltà nella tracciabilità del denaro e, in generale, si era riscontrato ritardo nell’identificazione di operazioni sospette. In generale erano state riscontrate frequenti movimentazioni di danaro contante non coerenti con l’attività del cliente di riferimento, e ciò anche nella filiale di Roma che non era coinvolta nell’attività di ricostruzione post-sisma. Si trattava di carenze significative dell’attività di monitoraggio della clientela, tali da rendere concreto il rischio del riciclaggio, e ciò è sufficiente ad integrare le violazioni contestate”.

CARENZE ORGANIZZATIVE. La tesi secondo cui le carenze organizzative sarebbero addebitabili alla società capogruppo”, scrivono ancora i giudici, “della quale gli amministratori e sindaci di Carispaq avrebbero recepito le direttive, è stato superato dalla Corte d’Appello con il richiamo alla disciplina dei gruppi societari, che milita nel senso dell’autonomia delle società coordinate o che fanno parte di gruppi societari, donde la perdurante responsabilità degli amministratori e dei sindaci di ciascuna società per l’attività da essa svolta. Per un verso, quindi, la soggezione alle scelte organizzative della capogruppo non poteva comportare l’esonero da responsabilità di amministratori e sindaci di Carispaq e, per altro verso, la gravità delle disfunzioni organizzative e contabili rilevate era tale da incidere necessariamente sull’efficacia dell’azione antiriciclaggio, donde l’esigibilità di un intervento da parte di amministratori e sindaci di Carispaq finalizzato a riportare la situazione sotto controllo”. La Corte quindi “rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.200”.

 

Fonte: wwww.ilcentro.it