Generali: erogazione premio Una Tantum 2019

In data odierna è stato sottoscritto l’accordo che definisce le modalità di erogazione del premio di maggio 2019 (di seguito Una Tantum 2019).
Come anticipato nel precedente comunicato le modalità di attribuzione di tale Una Tantum, a discrezione del lavoratore, saranno:

  • contanti;
  • welfare;
  • misto.

Nel caso di scelta di erogazione in contanti gli importi sono quelli indicati nella tabella 2 dell’accordo allegato.
Se la scelta avverrà entro il 20 maggio l’accredito sarà effettuato nella mensilità di maggio, diversamente nella mensilità di giugno.
Per coloro che opteranno per il welfare gli importi sono quelli indicati nella tabella 1 dell’accordo.
Per chi sceglie la modalità mista gli importi sono quelli indicati nella tabella 3 dell’accordo.

Rimane in attesa di definizione la richiesta sindacale di incremento di tali importi che è ancora oggetto di trattativa tra le Parti le quali si incontreranno il prossimo 17 maggio.

Le R.S.A. sono a disposizione per ogni chiarimento in merito all’accordo.

Roma, 13 maggio 2019

 

FIRST/CISL FISAC/CGIL F.N.A. SNFIA UILCA
Coordinamenti Nazionali Rappresentanze Sindacali
Gruppo Generali

 

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Perchè il salario minimo orario può essere dannoso

Improvvisamente la politica sembra essersi accorti dei cosidetti “working poors” : persone che pur lavorando guadagnano troppo poco per vivere in modo dignitoso. In Italia sono circa il 12% dei lavoratori.
Se n’è accorto il Movimento 5 Stelle, che in realtà il problema lo ha sempre posto, ma che rischia di affrontarlo con il dilettantismo e l’approssimazione che lo contraddistingue, finendo col fare ulteriori danni.
Se n’è accorto il PD, che pure fra Jobs Act, Decreto Poletti e norme varie a favore della precarizzazione, tanto ha fatto per aumentare il numero dei working poors.
Entrambi i partiti, in modo differente, sembrano aver trovato la formula magica che potrebbe risolvere tutti i problemi: il salario minimo orario.
Ma è davvero questa la soluzione giusta?

In realtà, una forma di salario minimo in Italia esiste già, e trae origine dall’art. 36 della costituzione:

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Come si fa a quantificare la retribuzione in modo che sia proporzionata alla quantità e qualità del lavoro? La giurisprudenza ha un orientamento preciso: quando il lavoratore si rivolge al Giudice del Lavoro, quasi sempre il magistrato prende come base di riferimento il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore e stabilisce che uno stipendio inferiore a quello previsto nel contratto è illegittimo.
In questo caso l’azienda, oltre a dover risarcire il lavoratore, si troverà anche accusata di evasione contributiva, avendo versato contributi previdenziali calcolati su un importo inferiore al dovuto.

Messa così, la questione sembrerebbe risolvibile con facilità. Tutti i settori sono regolati da Contratti Collettivi, anzi ce ne sono pure troppi (il CNEL ne conta circa 370). Basta applicarli a tutti i lavoratori interessati e il problema è risolto. Giusto?

Purtroppo le cose non sono cosi semplici.

Uno dei problemi irrisolti da oltre 70 anni nella politica italiana è che non è mai stata data attuazione all’ Art. 39 della Costituzione, che disciplina l’attività dei sindacati. Senza entrare troppo in tecnicismi, la norma prevede che i contratti stipulati dai sindacati abbiano validità per tutti i lavoratori del settore (erga omnes), ma questo poteva succedere solo dopo aver emanato delle norme specifiche. Dal 1948 ad oggi questo non è stato fatto.

A causa della mancata emanazione di queste norma, c’è una conseguenza che potrà apparire sorprendente per molti: i contratti collettivi non valgono per tutti i lavoratori, ma solo per gli iscritti alle Organizzazioni Sindacali che li hanno firmati.
Ovviamente questo contrasta con il criterio della parità di trattamento dei lavoratori, quindi le aziende ovviano a questa problema inserendo, nelle lettere di assunzione individuale, il rimando al contratto collettivo di categoria.

Il problema è che anche le aziende sono iscritte ad Organizzazioni Sindacali: sono ad esempio Organizzazioni Sindacali Confindustria o, per restare nel nostro settore, ABI o Federcasse.
Ogni azienda è libera di decidere se essere o meno iscritta ad un’Associazione di Categoria: se non lo fa, o magari decide di uscirne dopo essere stata iscritta, il Contratto Collettivo Nazionale non per lei ha alcun valore.
Potrà eventualmente sottoscrivere, con i Sindacati più rappresentativi in azienda, un suo Contratto Collettivo che sarà l’unico a regolamentare i rapporti di lavoro: è quello che fece la FIAT nel 2011 quando uscì da Confindustria e si fece approvare un suo contratto aziendale, emarginando la FIOM/CGIL che rifiutò di prestarsi all’operazione.

L’attuale quadro normativo si presta ad abusi: un’azienda o un gruppo di aziende possono costituire una loro Organizzazione di Categoria, scriversi un loro Contratto Collettivo e farselo approvare da Sindacati di comodo appositamente costituti. Un comportamento del genere è formalmente legittimo, ma di fatto rappresenta un aggiramento fraudolento delle norme, dando vita al fenomeno dei “contratti pirata“. Nel nostro settore è quello che si è verificato nel comparto dell’appalto assicurativo.

Restando nell’ambito dei comportamenti al limite tra legalità e illegalità , in Italia esistono migliaia di micro imprese, senza rappresentanza sindacale tra i lavoratori, che semplicemente scelgono di non aderire a nessuna Associazione di Categoria, quindi non hanno nessun obbligo di applicare Contratti Collettivi e possono decidere in modo unilaterale quanto pagare i dipendenti.
I lavoratori possono rivolgersi al Giudice del Lavoro per chiedere, in base all’Art. 36 della Costituzione, di adeguare la loro retribuzione al salario minimo previsto dal Contratto Nazionale di settore, avendo la ragionevole certezza di vincere la causa, ma con il timore di dover poi subire future ritorsioni in aziende che, per le loro dimensioni, possono licenziarli con estrema facilità.
Non è un caso se, spesso, queste aziende che pagano stipendi inferiori al dovuto si adeguano invece alla contribuzione previdenziale prevista dai contratti: qualora venissero trascinate in tribunale avrebbero così evitato l’accusa, più grave, di evasione contributiva.

Questo è il quadro attuale: una situazione in cui è possibile – in modo più o meno lecito – per le aziende negare i diritti ai lavoratori: bisogna infatti considerare che un contratto collettivo prevede anche tutele che vanno oltre lo stipendio, e che ovviamente vengono a loro volta perse in caso di disapplicazione del contratto stesso.
Porre rimedio a questa situazione è assolutamente necessario oltre che doveroso, visto che esiste un pezzo importante della nostra Costituzione che da oltre 70 anni aspetta di essere applicato. La domanda da porsi è:
il salario minimo orario è la soluzione giusta?

Così come è stato prospettato sicuramente no. Vediamo perché.

  • Un eventuale salario di base non può essere uguale per tutti
    Se esistono tanti contratti collettivi (magari anche troppi) c’è un motivo ben preciso: ogni settore ha le sue esigenze e le sue peculiarità. Nel decidere quale dev’essere la giusta retribuzione non si può trascurare la differente produttività del lavoro nei vari comparti.
    La contrattazione tra le parti, che conoscono dettagliatamente ogni aspetto delle aziende, potrà portare a risultati a volte imperfetti ma rappresenta il miglior compromesso possibile tra le esigenze del datore di lavoro e del lavoratore.
    Un intervento del legislatore, che fissi un livello minimo reddituale uguale per tutti, comporterebbe l’azzeramento di anni di esperienze e contrattazione, sostituendosi in modo del tutto arbitrario alle parti e fissando importi che non hanno nessun riscontro nelle specifiche aziende.
    Un salario minimo uguale per tutti si rivelerebbe troppo alto in alcune realtà, troppo basso in altre.
  • Il salario di base non può essere troppo basso
    Abbiamo visto come i Contratti Collettivi vincolino solo le aziende iscritte ad Associazioni di Categoria firmatarie degli stessi. Un salario minimo orario inferiore alla maggior parte dei minimi tabellari previsti dai vari Contratti Collettivi metterebbe le aziende nella condizione di avere convenienza ad uscire dalle Associazioni Datoriali, non applicare più i contratti e pagare meno i propri dipendenti.
    L’effetto di una soglia troppo bassa sarebbe devastante: a fronte di un aumento di stipendio per chi oggi prende troppo poco, ci sarebbero milioni di lavoratori che vedrebbero ridursi il loro salario, ma soprattutto diritti e tutele conquistati in decenni di lotte sindacali.
  • Il salario di base non può essere troppo alto
    E’ fin troppo facile promettere un salario minimo orario superiore alla maggior parte dei Contratti Collettivi, come stanno facendo sia i 5 Stelle, sia il PD. Come abbiamo visto, le attività economiche non sono tutte uguali e il valore reale di una singola ora di lavoro può essere molto diverso a seconda delle aziende. Fissare un minimo di legge troppo alto potrebbe spingere molte aziende ad applicare, obtorto collo, i Contratti Collettivi, e questo sarebbe un aspetto positivo.
    Ma costituirebbe anche un forte incentivo verso il lavoro nero, fenomeno che questo governo, come quelli che lo hanno preceduto, non sembra particolarmente determinato a contrastare.
    Ancora una volta il rischio concreto è quello di ridurre i diritti dei lavoratori, in modo particolare di quelli più deboli, impiegati presso micro imprese che maggiormente possono ricattarli.
  • Non basta l’aumento di salario
    Il diritto ad una retribuzione dignitosa è sancito in Costituzione, quindi dev’essere assolutamente reso esigibile. Un Contratto Collettivo prevede però tanti altri diritti: tutela chi si ammala, tutela le mamme, tutela chi ha familiari infermi da accudire.
    Che senso ha dare qualche euro in più ai lavoratori, se poi devono vivere con il terrore di non potersi ammalare per non perdere il posto di lavoro?

Evidentemente la proposta del salario minimo di legge, sicuramente utile per prendere voti, non rappresenta invece la situazione di un problema che, ricordiamolo, nasce dall’inerzia della politica che da 71 anni non è riuscita a dare attuazione a quanto previsto dalla Costituzione in materia di rappresentanza sindacale.
Questo chi ci governa lo sa (o almeno dovrebbe saperlo) ma non lo dice mai.

Se si vuole procedere con il salario minimo orario, bisogna farlo come proposto dalla CGIL: facendo coincidere il salario minimo di ogni categoria con i minimi previsti dal Contratti Collettivi di settore.
Sarebbe un primo passo verso quello che dev’essere l’obiettivo da raggiungere, ossia l’estensione a tutti i lavoratori delle tutele previste dalla contrattazione collettiva.

Un dovere al quale da troppo tempo la politica si sottrae.

 

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Alleanza: giusta la scelta di non firmare il CCNAL

Si è tenuto il giorno 01 aprile u.s. un incontro con i vertici aziendali per alcune comunicazioni inerenti, soprattutto, l’applicazione del CCNAL del 23/10/2018 di cui vi dettaglieremo puntualmente.

Alleanza, d’accordo con le altre OO.SS., continua a ricevere la Fisac (il primo sindacato in azienda come numero di iscritti ed in costante crescita) al “secondo tavolo”, separatamente e dopo avere incontrato gli altri (abbiamo dovuto protestare vivamente per essere ricevuti lo stesso giorno e non 10 giorni dopo, come aveva inizialmente proposto l’azienda), ciò a conferma delle distanze e del pesante clima che si vive purtroppo in azienda e tra le varie sigle.

Ricordiamo che il Coordinamento aziendale Fisac/Cgil non ha firmato quell’accordo per i motivi riportati nei comunicati diffusi in questi mesi e che potete trovare sulla nostra pagina facebook

Quanto comunicato dall’azienda lo scorso primo aprile ha confermato ulteriormente che abbiamo fatto bene a non firmarlo. Le assemblee dei nostri iscritti hanno, d’altronde, avvalorato questa nostra decisione (assemblee realmente partecipate, come da verbali consegnati agli organi competenti).

Infatti, Alleanza ha comunicato che sta assumendo i primi 100 TSIE. Peccato che nel secondo semestre 2018 non aveva assunto nessuno e, di conseguenza, i neo assunti di oggi sono tutti i mancati dello scorso anno. Ricordiamo che i TSIE verranno assunti per quattro anni al primo livello (contro i TRE MESI previsti dal precedente contratto) con un’indennità economica che li porterà a guadagnare circa €. 10.000 annui contro un secondo livello che attualmente ne prende circa 15.000, a parità di mansione.

Soprattutto, non c’è nessuna diversificazione rispetto al territorio (sappiamo tutti che le medie produttive del nord sono molto più alte rispetto a quelle del centro/sud) e l’azienda ha aggiunto parametri non previsti nell’accordo ed altri parametri sono stati inseriti dai vari I.R., confermando solo criteri iniqui, discrezionali e non univoci.

Senza dimenticare che in quell’accordo di rinnovo contrattuale (siglato in una mezza giornata e senza alcun confronto o trattativa) sono presenti per la prima volta i parametri in quote, creando un pericolosissimo precedente.

Inoltre, il CCNAL del 23 ottobre, non firmato dalla Fisac aziendale, prevedeva un premio di risultato che avrebbe consentito ai dipendenti di potere detassare al 10% un’incentivazione aziendale. Il problema è che Alleanza non intende istituire un nuovo premio, ma usarne uno già esistente. Quindi, hanno deciso di utilizzare una parte del rappel (il 15%), che oggi i TS ricevono ogni mese al raggiungimento dell’obiettivo, e domani vorrebbero legarlo all’incremento aziendale sui premi di nuova produzione 2019 rispetto alla media 2016/2018. Ciò significherebbe che i dipendenti potrebbero a fine anno pagare il 10% di tasse (anziché l’aliquota ordinaria) sul 15% del loro rappel, ma se non dovesse esserci l’incremento aziendale sui premi di nuova produzione (parametro non riscontrabile, gestito solo dall’azienda) rischierebbero di vedersi stornato a fine anno il 15% del rappel mensile che si sono faticosamente guadagnati facendo gli obiettivi.

Insomma, il CCNAL conferma tutti i motivi di contrarietà (formali e sostanziali) che ci avevano spinto allora a non firmarlo e per i quali stiamo combattendo in tutte le sedi istituzionali, sindacali e legali affinché venga sancita la sua invalidità ed illegittimità.

L’azienda ci ha comunicato anche l’istituzione di una nuova figura, una sorta di formatore per ogni I.R. che verrà scelto tra gli ICA o IPA, avrà il 4° livello stipendiale e si occuperà di formazione e dei nuovi inserimenti per Generazione Alleanza. Abbiamo chiesto di comprendere anche come verranno retribuiti provvigionalmente, ma i vertici aziendali hanno dichiarato che a quest’aspetto stanno ancora lavorando.

Abbiamo fatto nuovamente presente all’azienda che su Generazione Alleanza è necessario fare degli investimenti economici concreti, visto che i JAC vengono pagati meno dei PL di vecchia generazione. Non è possibile fare inserimenti solo su promesse o sul lavoro di affiancamento dei TS, ci vogliono anche le risorse economiche, come fanno tutte le nostre concorrenti. L’azienda ha finto di istituire un “misero” silos apposta, peccato che esso attinge le disponibilità economiche sempre da quelloextrapiano, costantemente decurtato anche nel 2019, togliendo risorse che in passato venivano utilizzate per gare o incentivazioni a favore dell’organizzazione.

L’azienda ha anche dichiarato che ci sono 27 Sovraintendenti su 15 I.R. e che intendono suddividere le loro attuali competenze, lasciandone uno solo per ogni I.R. ad occuparsi dei rapporti con gli Impiegati Amministrativi delle agenzie (parliamo di quasi 30 agenzie per ogni I.R.!) mentre gli altri 12 continueranno asvolgere solo la mansione di controllo, restando nelle stesse sedi ma facendo capo all’INT e non più all’I.R. Abbiamo chiesto il rispetto del contratto di lavoro e ci è stato garantito che tutti verranno tutelati e non ci sarà nessun cambio di mansione o taglio di personale. Temiamo che questa “operazione” possa essere il preludio ad altre, ancora più temibili, e che coinvolgano tutti gli Impiegati Amministrativi.

I vertici di Alleanza ci hanno anche comunicato i risultati (ormai già noti da mesi sia al mercato che alla rete) del 2018. In riferimento ai produttori hanno dichiarato che, come provvigioni ed incentivi, i guadagni sono in linea o in lieve incremento rispetto al 2017. Anche nel 2019 l’azienda vanta incrementi e risultati, ma registra anche una pesante e pericolosa diminuzione delle quote (100 milioni in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), ciò vuol dire diminuzione dei guadagni per i TS.

Abbiamo fatto notare che il ritorno di informazioni che la Fisac ha dai lavoratori non è in linea con quanto dichiarato dall’azienda e che, lungi dal volere mettere in dubbio la correttezza dei dati forniti, nutriamo forti perplessità.

L’azienda continua a dichiarare che le cose vanno sempre bene, mentre constatiamo che la maggior parte dei lavoratori sono assolutamente insoddisfatti. Tutti si lamentano, la carriera è quasi completamente sparita, i guadagni diminuiscono, la mole di lavoro aumenta, gli obiettivi lievitano, gli incentivi sono sempre più complicati da raggiungere.

Alleanza continua ad imporre ai lavoratori trasferimenti illegittimi, programmazione dell’attività, riunioni in località lontane.

Esiste un contratto di lavoro ed esso va rispettato, così come le leggi dello stato.

Non è con l’imperio che si risolvono le problematiche, ma con la condivisione ed il rispetto per gli esseri umani, per i lavoratori e per i contratti.

Il nostro CCNAL all’art. 48 recita che solo “per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive l’azienda può disporre i trasferimenti con almeno 3 mesi di preavviso, che salgono a 4 per chi ha familiari conviventi. Per chi ha compiuto 50 anni, con 15 di anzianità, il trasferimento non può essere disposto senza il consenso del lavoratore. L’impresa terrà conto di situazioni oggettive di particolare gravità. L’art. 49 disciplina le spese a carico dell’azienda per i produttori trasferiti con cambio di residenza. Senza dimenticare che, comunque, poi la legge dice che vanno dimostrate le ragioni del trasferimento e sicuramente se la cosa è condivisa non genera future problematiche. D’altronde, l’azienda ha tutti gli strumenti per rendere “appetibile” un trasferimento, come fa in alcuni casi di I.R. o A.G. di suo gradimento.

Ricordiamo, inoltre, a tutti che per le riunioni di lavoro al di fuori della zona operativa ai produttori spettano i rimborsi spesa per carburante e pasti, come stabilito dalla nota a verbale n.° 2 dell’art. 2 del CIA.

L’inserimento dei collaboratori non rientra tra le mansioni dei TS, i programmi di lavoro non sono contrattualmente obbligatori (se ne parla solo nelle lettere di nomina, che non sono contrattualizzate, ma unilaterali).

Ognuno di noi deve essere consapevole dei propri diritti e dei propri doveri e pretenderne il rispetto. Soprattutto, dobbiamo agire, non possiamo continuare solo a lamentarci, demandando ad altri, nascondendoci e non esponendoci, temendo attacchi da parte di A.G., I.R., INT. In questo momento Alleanza sta approfittando della paura, alzando sempre di più la voce e violando i nostri diritti, mobilitiamoci e denunciamo a tutti i livelli.

Studiamo i contratti, facciamoci rispettare e la Fisac è sempre presente per aiutare tutti i lavoratori, anche insieme alle altre sigle sindacali disponibili ad ascoltare i bisogni e le necessità dei lavoratori con metodi diversi rispetto al passato.

Non possiamo accettare che i vertici aziendali smantellino la nostra struttura, demotivando l’organizzazione sotto tutti i punti di vista, dall’economico alla carriera, seguendo la mera logica del taglio dei costi e dell’appiattimento, ristrutturando i territori, ridimensionando e demansionando, diminuendo costantemente i guadagni della rete produttiva, aiutando la concorrenza a svuotare le agenzie di collaboratori formati con anni di duro lavoro.

Roma, 3 aprile 2019  

 

Coord. Naz. Fisac/Cgil di Alleanza




Gruppo UNIPOL: approvata la piattaforma “scritta dai lavoratori”

Da luglio 2018 a marzo 2019 abbiamo:

  • attivato la Consultazione Nazionale Dipendenti Assicurativi del Gruppo Unipol (a cura della Dott.ssa Spolti). Il 70% dei lavoratori ha partecipato esprimendo la propria opinione;
  • incontrato tanti lavoratori in Assemblea;
  • raccolto, attraverso le Rappresentanze sindacali di sede, molteplici contributi da parte dei colleghi, nonché ricevuto svariati spunti tramite e-mail;
  • discusso con i Delegati sindacali e i nostri componenti delle Commissioni Pari Opportunità, Formazione, Mobbing e Sanitaria;
  • presentato l’Ipotesi di Piattaforma dopo soltanto un mese della scadenza;

A larga maggioranza, le Lavoratrici e i Lavoratori Assicurativi del Gruppo Unipol presenti in Assemblea, si sono espressi a favore della proposta presentata e pertanto la piattaforma è ufficialmente approvata!

FIRST/CISL – FISAC/CGIL – FNA – SNFIA – UILCA

 

Scarica il volantino con la sintesi della piattaforma




Il questionario Mifid II: consigli pratici della FISAC per lavorare tranquilli

Premessa

Questa non sarà una dissertazione teorica su Mifid II. Non ti servirebbe come strumento di lavoro. Sappiamo come lavori in filiale, con quali ritmi, con quali difficoltà e con quali pressioni. Vuole essere invece un piccolo vademecum per evitarti di cadere in trappole travestite da opportunità commerciali. Ricorda che il budget è uno strumento per pianificare l’attività commerciale; per questo motivo cambia continuamente e viene sostituito da un altro. Il budget quindi è solo una parte del tuo lavoro, che è anche molto altro. Il budget passa, il tuo lavoro deve restare. Il tuo lavoro è la tua fonte di reddito e lo strumento dell’affermazione della tua dignità professionale e personale, e questo è più importante di qualunque budget. 

 

Compilazione del questionario

Dati anagrafici: non mi soffermerò troppo su questa sezione. Compilare male questa parte del questionario è un genere di “furbizia” dalla vita brevissima, che serve esclusivamente a complicarti la vita. Se un cliente è anziano, rispetta la sua anzianità. Se un cliente è diplomato, non scrivere che è laureato.

Obiettivo dell’investimento: il tuo cliente va edotto immediatamente del rapporto che esiste tra rischio e rendimento. Più è disposto a rischiare di perdere valore, almeno sul medio periodo, più aumenta la probabilità che, sempre sul medio periodo, possa ottenere buoni rendimenti. In questo rapporto è fondamentale il fattore tempo. Il cliente infatti deve potersi dare il tempo di recuperare una eventuale perdita sul suo capitale iniziale. Diversamente, il rapporto tra rischio e rendimento rimane su un piano puramente astratto.

Un esempio: se il tuo cliente dichiara la finalità di incrementare il capitale investito in maniera “molto consistente”, e dichiara altresì di essere disposto, in cambio, a sopportare perdite anche superiori al 10% del capitale, non è coerente con queste affermazioni che si proponga di raggiungere questo scopo (domanda successiva del questionario) in un periodo breve (fino a 18 mesi), e nemmeno in un periodo medio (fino a 36 mesi). Delle due l’una: o accetta di darsi un tempo più lungo (almeno 60 mesi), oppure non è vero che il suo profilo di rischio è così elevato come dichiara. Quindi la sequenza delle risposte in questa sezione va considerata nel suo insieme, avendo come riferimento necessario il fattore tempo. Ciò significa mettere in relazione questa sezione anche con il dato anagrafico del cliente: se il tuo cliente ha 80 anni, è incongruente che possa darsi un limite temporale di 60 mesi oppure oltre per recuperare perdite eventuali e realizzare alti guadagni. Il suo profilo di rischio non può prescindere dalla sua età.

Ciò, in estrema sintesi, significa mettere al centro del questionario il cliente. Se si adotta questo approccio, le risposte saranno coerenti tra loro. Se si ha in mente il prodotto da collocargli, l’incoerenza è sempre in agguato.

Conoscenza ed esperienza: qui bisogna partire da un assunto: se il tuo cliente non conosce un tipo di prodotto, non lo conosce, punto. Questa è la risposta che va scritta nel questionario. Dipenderà dalle tue capacità illustrarglielo affinché, in futuro, possa padroneggiarne le caratteristiche basilari. Ma se quando compili il questionario non lo conosce (ad esempio, non sa cosa è una Unit Linked) non devi scrivere al suo posto la risposta: non lo conosce e basta. Questo è lo spartiacque tra i prodotti sui quali potrai fargli una consulenza (quelli che conosce) e i prodotti sui quali non potrai fargliela (quelli che non conosce), almeno per il momento.

La gamma di prodotti sui quali puoi fargli consulenza sarà sottoposta al vaglio dell’adeguatezza,  la quale altro non è che la corrispondenza del prodotto scelto alla sua profilatura. Se invece il cliente vuole in autonomia acquistare un prodotto che non conosce, la valutazione che verrà fatta è di appropriatezza,  che va espressamente confermata dal cliente qualora l’operazione risulti non appropriata (come spesso accadrebbe, nel caso di un prodotto che volesse sottoscrivere senza conoscerne le caratteristiche).

Prodotti illiquidi: in questa sezione la forzatura del questionario è sempre in agguato, perché l’accettazione del rischio di mantenere un prodotto illiquido per più di sei anni è la smagliatura attraverso la quale far passare come “adeguati” prodotti che non lo sono. Il tuo cliente deve essere ben consapevole che accettare di tenersi un prodotto dalle caratteristiche di spiccata illiquidità non è un’affermazione di poco conto, e va fatta con estrema consapevolezza. Va precisato che illiquidità non significa solo impossibilità di smobilizzo, ma elevata probabilità che uno smobilizzo a breve-medio termine comporti perdite di valore. E’ appena il caso di ricordare che alcune tra le più recenti casistiche di “tradimento” del risparmio hanno avuto a che fare con l’impossibilità di rivendere sul mercato prodotti della casa madre (azioni e obbligazioni). 

Prodotti finanziari-assicurativi: le banche esercitano molte pressioni finalizzate alla vendita di questo genere di prodotti, perché garantiscono un elevato ritorno di commissioni. La sezione nella quale il cliente dichiara quali esigenze ha e quali rischi vuole coprire sottoscrivendo prodotti “misti” va però compilata in maniera scrupolosa e scevra da ogni assillo di ordine commerciale. In altre parole: non pensare al prodotto che hai a budget, pensa a quello che ti dice il cliente. Se il cliente dice che vuole coprire un rischio ma non gli interessa investire somme per beneficiare un terzo o un erede, significa che la parte che gli interessa è la prima. Naturalmente questo non significa che tu non possa far emergere nel tuo cliente, attraverso un colloquio ben orientato, bisogni o esigenze di protezione che pensava di non avere. Ma questo deve avvenire in maniera trasparente e in ogni caso la risposta del cliente così come risulterà dal questionario deve riflettere la sua volontà, non i tuoi desideri. 

Infine una raccomandazione che può suonare banale, ma lo è solo per chi non conosce il nostro lavoro, nelle condizioni concrete in cui le aziende lo calano, in un contesto di estrema pressione volta al massimo risultato. Scorri il questionario Mifid in tutte le sue parti con estrema attenzione, prima di “chiuderlo”. Nulla infatti vieta di far sottoscrivere, in futuro, un questionario Mifid diverso nel momento in cui il cliente matura consapevolezze o esigenze nuove, ma, appunto, ciò normalmente è il frutto della maturazione di alcune consapevolezze o del mutare di alcune situazioni di fatto nel cliente, circostanze che normalmente richiedono il passaggio di un certo tempo. La giurisprudenza, sia “interna” (Arbitro Bancario Finanziario) che esterna (giudici), valuta invece con estremo sfavore la prassi di far succedere, in unità di tempo molto limitata (non parliamo solo di ore, ma di giorni), due questionari Mifid sottoscritti dal medesimo cliente sulla medesima posizione. Se poi al secondo questionario, opportunamente variato rispetto al primo in alcune risposte “chiave”, fa seguito la sottoscrizione pressoché immediata, o comunque contestuale in termini logici, di un prodotto che risulta adeguato sulla base del secondo questionario ma sarebbe stato inadeguato o addirittura inappropriato rispetto al primo, diventa molto difficile per il consulente dimostrare che la variazione non è stata operata appositamente allo scopo di arrivare a quel risultato commerciale. In questo caso si realizza una sorta di inversione di onere della prova: la condotta scorretta è in re ipsa, e spetta al dipendente dimostrare che la sottoscrizione di due questionari a breve distanza, seguiti dalla sottoscrizione di un certo prodotto, non integra una condotta deontologicamente scorretta. Ci sono alcune banche che pongono dei paletti interni di ordine procedurale, per cui un questionario Mifid, una volta chiuso, non può essere modificato/sostituito da un altro (salva l’ipotesi di mero errore materiale) prima di un certo tempo(es. 6 mesi). Ma alcune altre non fissano barriere interne, ed in tal caso il dipendente in autonomia deve muoversi nel rispetto delle regole deontologiche.

Approfondimento a cura di Nicola Cavallini per Consulta Giuridica Fisac – Cgil

Leggi anche: MIFID II: breve guida operativa per gli addetti del settore




Da quest’orecchio non ci vogliono sentire

A volte, leggendo i comunicati e le notizie che arrivano dal mondo bancario ed assicurativo, si fa davvero fatica a credere a ciò che abbiamo davanti agli occhi.

Ormai succede quotidianamente di aprire i quotidiani o i siti d’informazione e vedere come le nostre aziende abbiano i riflettori costantemente puntati addosso, e come le notizie che ci riguardano siano poco lusinghiere: si parla di irregolarità nella concessione di crediti, di clienti ingannati, di presunte truffe…
Dovrebbe essere chiaro a tutti che, ammesso e non concesso che ci sia mai stato un periodo in cui si poteva lavorare con maggiore superficialità, oggi operare con la massima correttezza e nel pieno rispetto delle normative è fondamentale per evitare di inguaiarci e di mettere in guai ancor più gravi i nostri datoti di lavoro.
Eppure sembra che il messaggio non sia stato ancora recepito.

Purtroppo il contatto quotidiano con i colleghi ci porta ad ascoltare quotidianamente racconti di inviti più o meno espliciti, da parte di superiori spregiudicati, ad ottenere il risultato “a qualunque costo“, considerando l’etica e le normative come dei “fastidi” che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi, e dei quali si può fare tranquillamente a meno.
Di solito “suggerimenti” del genere vengono dati verbalmente, ed il motivo è fin troppo chiaro: alla fine dell’anno resterà il risultato conseguito a beneficio di chi ha spinto i sottoposti ad agire scorrettamente, mentre le responsabilità saranno tutte a carico dell’operatore.
Nessuno dei suoi superiori ammetterà mai di averlo spinto a fare il “furbo”, e in ogni caso questo non esenterebbe da responsabilità l’operatore che ha agito in modo scorretto.
Bisogna aggiungere che di fronte a comportamenti del genere l’atteggiamento delle aziende è di solito ambiguo: ufficialmente li condannano, poi però fingono di non sapere, di non vedere e di non sentire, rendendosi di fatto totalmente conniventi.

Nonostante tutto, di tanto in tanto capita che qualcuno, evidentemente del tutto ignaro di ciò che sta avvenendo nel mondo che lo circonda, arrivi a emanare disposizioni scritte in cui si invita ad utilizzare delle “scorciatoie” pur di ottenere il risultato. Ed in quei casi si fa fatica a credere a ciò che si legge.

L’ultimo esempio arriva dalla Puglia, dove i dirigenti di un Istituta Bancario di primaria importanza hanno dato disposizioni di sistemare, entro e non oltre il 30 aprile, tutte le posizioni prive di titolare effettivo, inventandosi una sorta di “modalità semplificata”, ovviamente non prevista ed in contrasto con la normativa antiriciclaggio, giustificandola con la necessità si smaltire l’arretrato in tempi brevi.
Di fronte alle perplessità espresse dai lavoratori attraverso le Rappresentanze Sindacali hanno reagito irridendo i lavoratori, promettendo “l’immunità da eventuali provvedimenti disciplinari”, ed arrivando a sfidare apertamente i dissenzienti che osassero restare sulle loro posizioni.
Peccato che la violazione degli obblighi relativi all’adeguata verifica rappresenti un illecito, punibile con multe fino a € 30.000, rispetto al quale le promesse d’impunità dei vertici aziendali non hanno nessun valore.
Dobbiamo purtroppo sottolineare come anche sul nostro territorio ci siamo trovati, nel recente passato, ad affrontare situazioni che presentavano notevoli analogie con quanto sta accadendo in Puglia, seppur presso un differente istituto bancario.

Per chi volesse approfondire la notizia, pubblichiamo il link al volantino scritto dalle Rappresentanze Sindacali locali.

Tanto per ricordarci quello che può succedere dopo, di come l’esecuzione delle disposizioni impartiteci non sia in alcun modo garanzia di tranquillità, prendiamo spunto da un volantino pubblicato dalla Fisac Veneto in merito alla vicenda che ha visto alcune banche implicate nella vendita di diamanti alla clientela a prezzi molto diversi da quelli di mercato.

Diversi nostri colleghi, la cui colpa è in molti casi solo quella di aver eseguito le disposizioni senza interrogarsi sulla correttezza delle stesse, si trovano non solo a doverne rispondere in tribunale, ma in alcuni casi hanno visto i loro nomi e cognomi pubblicati sulla stampa locale in quanto implicati nelle indagini. Ovviamente la magistratura dovrà appurare la verità, ed altrettanto ovviamente speriamo che venga dimostrata la buona fede di tutti i lavoratori coinvolti: ma anche in caso di assoluzione, la loro immagine resterà comunque macchiata. E tutto questo per aver fatto ciò che veniva chiesto loro.

 

Ricordiamo, ancora una volta, che pensare di aggirare le regole pur di arrivare agli obiettivi è un comportamento del tutto privo di senso. Agire in questo modo produce i seguenti effetti:

  • Non giova all’azienda, che prima o poi si troverà immischiata in problemi legali che potrebbero portarla a dover indennizzare i clienti, subendo danni di gran lunga maggiori degli apparenti benefici immediati.
  • Non giova ai lavoratori, che si espongono al rischio di mettere in discussione non solo il posto di lavoro, ma di veder stravolta la loro stessa intera esistenza.
  • Giova invece ai dirigenti ad ai vari capi, che intanto possono intascare i loro (troppo) ricchi premi lasciando che siano altri ad assumersi tutti i rischi (e questo basta a spiegare gran parte di ciò che succede).

Ne vale la pena?

Continuiamo a ribadire che il contrasto a tutte le forme di pressione illecita è una battaglia che vede la FISAC in prima fila. Ricordiamo che, per quanto riguarda il comparto ABI, è stato sottoscritto in data 8 febbraio 2017 un accordo che ha per obiettivo il contrasto a queste pratiche scorrette.

Nessuno deve sentirsi solo, nessuno deve subire passivamente questo tipo di pressioni. Oggi si possono segnalare tutte le anomalie anche restando anonimi, quindi senza il timore di ritorsioni. Possiamo affermare che, in molti casi, stiamo riuscendo ad ottenere risultati concreti in questo senso.

Per questo l’invito rimane sempre lo stesso: appena vedete o sentite qualcosa che non vi convince, contattate immediatamente il vostro rappresentante sindacale.

 

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Assicurazioni: parte la guerra ai “contratti pirata”

Aumenta la vigilanza su realtà che non applicano i patti collettivi firmati dai sindacati rappresentativi

A metà gennaio il tribunale di Forlì ha accolto il ricorso presentato da un dipendente di un’agenzia assicurativa contro l’illegittima applicazione del contratto collettivo nazionale di categoria. A firmarlo, secondo i giudici, sono state sigle sindacali non rappresentative e che  i fatti dimostreranno anche inesistenti.
Gli ispettori, infatti, non le hanno nemmeno trovate: all’indirizzo fornito c’era un club del Genoa, che peraltro è lì da sempre.

Nei giorni scorsi, invece, sono state depositate le motivazioni della prima sentenza emessa dal tribunale di Genova che respinge il ricorso di un agente assicurativo contro le sanzioni per mancato pagamento dei contributi dovuti a favore dei propri dipendenti comminate all’agente dagli ispettori dell’Inps.

È lunga la lista dei cosiddetti “contratti pirata”, o pseudo accordi stretti da sindacati spesso inesistenti o costituti per mera opportunità. Contratti che presentano livelli retributivi inferiori rispetto agli accordi leader, quelli sottoscritti dai sindacati rappresentativi. Con i contratti pirata si fa un esplicito dumping delle condizioni di lavoro e i mondi di edilizia, commercio, logistica, sanità privata, appalti e assicurativo ne sono costellati. È un fenomeno dilagante che inizia ad insinuarsi anche nel settore industriale.

Per contrastare la loro diffusione, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha emanato una circolare (n. 3/2018) con la quale fornisce indicazioni operative, ai propri ispettori, circa l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping. Se l’Ispettorato nazionale del lavoro da un lato non mette in discussione il diritto di costituire sigle sindacali “minori”, dall’altro è conscio delle problematiche legate al fenomeno in questione.

Da più parti si evidenzia il rischio che, applicando contratti con livelli retributivi inferiori rispetto a quelli più rappresentativi, potrebbe innescarsi una corsa al ribasso tra le aziende dello stesso settore produttivo con effetti importanti soprattutto nell’assegnazione delle commesse: il datore di lavoro con un contratto meno oneroso potrà richiedere al committente un costo inferiore per i suoi servizi a svantaggio dei concorrenti che applicano un accordo leader.

In tal senso, in materia di contratti pubblici, assume rilevanza la sentenza del Consiglio di Stato (n. 2252/2017) la quale afferma che è da ritenersi “anomala”, e pertanto da escludersi, l’offerta che è basata su un costo del lavoro inferiore ai livelli salariali obbligatori. Il caso in questione riguardava un bando indetto due anni prima — in ambito territoriale — da un piccolo Comune, che affidava ad un’associazione temporanea il servizio socio-assistenziale di educazione domiciliare minorile. In particolare, riporta la sentenza, il Consiglio di Stato ha rivenuto, contrariamente al Tar, la non sostenibilità e quindi la “anomalia” dell’offerta dell’associazione temporanea aggiudicataria perché presentava un costo orario del lavoro largamente inferiore (di oltre il 30%) a quello determinato dalle tabelle ministeriali del settore e del contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali.

Un’altra sentenza che fa scuola è quella del tribunale di Milano (n. 1977/2016) la quale ha ritenuto che il cosiddetto principio di sufficienza “impone che al lavoratore venga assicurato non solo un minimo vitale, ma anche il raggiungimento di un tenore di vita socialmente adeguato”.

Sempre rispetto al rischio di utilizzo di un contratto non appropriato in ambito di appalti si è pronunciato di recente anche il Tar Veneto (giugno 2018), che ha stabilito “come dall’applicazione di un non idoneo Ccnl potrebbe derivare un notevole scostamento rispetto ai minimi tabellari indicati in altri contratti collettivi più coerenti con il settore merceologico di riferimento”.

 

Articolo pubblicato su “Affari e Finanza” in data 4/3/2019

 

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Rinnovo CIA Gruppo Unipol: l’ipotesi di piattaforma

Lo scorso anno avevamo assunto l’impegno di informarvi con maggiore tempestività, ampliando il vostro coinvolgimento in tutte le fasi di confronto e negoziato con l’Impresa.

Con questo spirito siamo arrivati alla vigilia della contrattazione del rinnovo del nostro Contratto Integrativo Aziendale avendo raccolto l’opinione, le idee, gli spunti e le richieste di lavoratori e delegati sindacali di tutto il Gruppo assicurativo.

Nel rispettare quanto avevamo anticipato, dopo appena un mese dalla scadenza contrattuale, portiamo alla vostra attenzione l’ipotesi di Piattaforma che verrà sottoposta a discussione e approvazione nelle Assemblee che si terranno a partire dalla prossima settimana.

Per la costruzione dell’elaborato abbiamo:

  • organizzato momenti di confronto assembleare in diverse sedi sul territorio nazionale (7656 lavoratori potenzialmente coinvolti);
  • incontrato le Rappresentanze Sindacali Aziendali e i componenti sindacali delle Commissioni previste dal CIA: Formazione; Sanitaria (polizza Unisalute); Pari Opportunità e Mobbing;
  • effettuato la Consultazione Nazionale dei Dipendenti Assicurativi del Gruppo Unipol (6485 partecipanti pari al 70% della popolazione), in merito alla quale troverete in allegato la relazione della Dott.ssa G. Spolti che invitiamo a visionare.

Le varie sollecitazioni sono state raccolte e tradotte tenendo conto dei seguenti obbiettivi:

  • perfezionare l’esigibilità degli istituti attualmente esistenti, superando le interpretazioni unilaterali dell’Azienda;
  • agire sull’articolato contrattuale ampliando le possibilità di fruizione (frazionabilità; criteri di accesso; allargamento casistiche; accesso alla mobilità professionale\selezione; etc.) ed incrementando gli istituti con valenza economica;
  • introdurre nuovi elementi di valore (Welfare; Conciliazione tempi vita\lavoro) e qualificare Occupazione stabile, Professionalità ed Applicazione area contrattuale.

La trattativa che ci accingiamo ad affrontare non sarà affatto semplice, anche in ragione del complesso contesto socio economico ma soprattutto tenuto conto degli elementi di estrema delicatezza che caratterizzano le strategie del Gruppo, tra i quali: la volontà di ampliare l’offerta di servizi alla clientela per far fronte al mutato scenario di mercato nel quale avanzano competitori con proposte sempre più ampie e flessibili; la creazione di società di Gruppo che non applicano il Ccnl Ania; l’affidamento in appalto di attività assicurativa a società esterne, l’automazione dei processi.

Il rinnovo di questo contratto dovrà quindi tendere a consolidare l’occupazione stabile, ridando piena centralità e riconoscimento economico ai lavoratori, anche attraverso la valorizzazione e lo sviluppo delle professionalità esistenti, prevedendo altresì un progetto chiaro di preventiva riconversione professionale dei colleghi operanti nelle aree interessate dall’automazione. Particolare attenzione occorrerà porre alla corretta applicazione dell’area contrattuale in ragione dello svolgimento di attività assicurative e\o ad esse strettamente correlate.

In tale ambito, porremo con forza la richiesta di rientro nell’Associazione delle Imprese (Ania) per occupare il posto che spetta al primario Gruppo assicurativo, quale è quello Unipol, nonché ribadiremo l’applicazione del giusto contratto di riferimento per le Agenzie in appalto.

La nostra Piattaforma dovrà essere complessivamente valutata come espressione della volontà di tutti gli attori – Lavoratori e propri Rappresentanti – che democraticamente hanno partecipato alla sua costruzione.

Il negoziato dovrà essere impostato con la ferma convinzione di perseguire ogni singola richiesta come legittima e a sé stante, nella massima chiarezza con voi tutti e al nostro interno sul fatto che, come sempre, sarà la trattativa a definire i pesi e le misure del risultato finale.

Su questo aspetto, manterremo continuità, trasparenza ed efficacia nella comunicazione e nel vostro costante diretto coinvolgimento durante ogni fase della contrattazione.

Rappresentanza Sindacale di Gruppo
First CISL – Fisac CGIL – Fna – Snfia – Uilca UIL

 

Ipotesi PIATTAFORMA CIA Gruppo Unipol – 14 Febbraio 2019




UNIPOL Banca: ecco BPER!

Questa mattina è stata ufficializzata l’operazione di cessione di Unipol Banca al Gruppo BPER, propedeutica all’incorporazione in BPER BANCA entro la fine di quest’anno.

Ovviamente non siamo contrari, in linea di principio, all’operazione: il Gruppo BPER è un Gruppo solido, strutturato, con una grande tradizione bancaria, ma tutti i lavoratori di Unipol Banca sono amareggiati, sgomenti, oseremmo dire ARRABBIATI per i contenuti del video pubblicato questa mattina sulla intranet di Gruppo, dove l’Amministratore Delegato Carlo Cimbri, annunciando la cessione di Unipol Banca a BPER, ammette candidamente come il Gruppo Unipol non sia stato in grado di gestire il progetto Unipol Banca e lo abbia definito, senza mezzi termini, la peggiore esperienza nella più che cinquantennale storia del Gruppo. Una gestione definita “superficiale”, condotta in passato da persone non all’altezza dello “standard” Unipol!

I meriti del risanamento della Banca, oltre al supporto finanziario della Capogruppo, sono stati riconosciuti da Cimbri esclusivamente a una parte dei colleghi e in particolare alla attuale triade dirigenziale, nominando espressamente Stefano Rossetti, Danilo Torriani (recentemente pensionato) e Claudio Strocchi.

Ma i dipendenti di Unipol Banca, nella loro totalità, non hanno avuto alcun ruolo nel sostenere la Banca in condizioni di lavoro assurde? Sono stati forse loro a scegliere 5 diverse dirigenze in meno di 20 anni? Sono stati forse loro a fare le scelte strategiche, tutte oggi dichiaratamente inadeguate?

Peccato, caro Cimbri, che lei non si sia risparmiato in ringraziamenti vari tranne che nei confronti di TUTTI i colleghi che in questi 20 anni hanno contribuito a sostenere il cammino della Banca.

Sono questi dipendenti che hanno dovuto sopportare, e tuttora subiscono, pressioni commerciali subdole, costretti ad una ricerca spasmodica della marginalità immediata in un regime di organici sempre più critico a causa delle politiche di estrema riduzione dei costi.

Caro Cimbri, se la Banca è riuscita oggi a risollevarsi non è solo merito della marea di denari che il Gruppo Unipol ha speso ma, soprattutto, dei LAVORATORI, che hanno sempre agito con serietà, professionalità, competenza e dedizione, ben al di sopra degli “standard” Unipol!

Informiamo i colleghi che i coordinatori delle scriventi OO.SS. sono stati convocati per una informativa nel pomeriggio di martedì 12 febbraio. In quella occasione intendiamo chiedere ai rappresentanti del Gruppo Unipol che tipo di interventi sono disponibili a mettere in campo per ridurre al massimo i disagi che i dipendenti di Unipol Banca potranno incontrare in futuro.

 

FABI          FIRST/CISL          FISAC/CGIL          UILCA

UNIPOL Banca Spa

 

Scarica il volantino




Bper ufficializza l’acquisto di Unipol Banca e del 100% del Banco di Sardegna

Il gruppo Unipol ha ceduto a Bper, di cui possiede il 15%, il 100% di Unipol Banca per 220 milioni di euro. Secondo l’ad Carlo Cimbri l’operazione “cambia radicalmente la posizione di rischio di Unipol” perché fino a quando la banca era nel perimetro del gruppo Unipol sarebbe stata “costretta a metterci i soldi” nel caso in cui, anche a seguito delle richieste del regolatore, ci fosse stata l’esigenza di ricapitalizzare. L’accordo prevede anche l’acquisto da parte di UnipolRec, la società del gruppo che si occupa di recupero crediti deteriorati, di un portafoglio di crediti in sofferenza del gruppo Bper per un ammontare lordo pari a 1,3 miliardi di euro, a fronte di un corrispettivo di 130 milioni.

La vendita di Unipol Banca è costata 338 milioni di minusvalenze sul bilancio di Unipol e 50 milioni su quello di UnipolSai. La cessione della controllata, spiega la compagnia bolognese, “completa il processo di riqualificazione della propria strategia nel comparto bancario”, “accentua la focalizzazione sul core business assicurativo” e “valorizza la partecipazione detenuta in Bper Banca, supportandone il processo di crescita con potenzialità di sviluppo di ulteriori business in futuro”. Bper prevede ora di “razionalizzare” la sua rete e di “integrare la sede” della banca bolognese con la propria. Ulteriori efficienze sono attese sul fronte “del costo della raccolta” alla luce del fatto che quello di “Unipol Banca è il doppio di quello di Bper”. Unipol Banca, una volta acquisita e fusa in Bper, “scomparirà” e “diventerà Bper banca”, ha detto Cimbri. Unipol dal canto suo intende salire dal 15 al 20% del capitale di Bper.

La cessione di Unipol Banca a Bper è stata preceduta dall’esercizio da parte di UnipolSai nei confronti di Unipol dell’opzione di vendita sul 27,49% del capitale di Unipol Banca e di UnipolReC. L’esercizio dell’opzione ha fatto salire la quota di Unipol in Unipol Banca all’85,24% del capitale mentre a UnipolSai è rimasto in portafoglio il 14,76% del capitale. Le quote sono state poi cedute a Bper.

Oltre all’acquisizione di Unipol Banca, Bper ha approvato anche una seconda operazione straordinaria che riguarda il Banco di Sardegna, di cui già deteneva una partecipazione del 51%. La Fondazione di Sardegna, che aveva il 49%, trasferirà tutte le sue azioni ordinarie al gruppo bancario, che in cambio emetterà a suo favore 33 milioni di nuove azioni Bper (circa 514 milioni) e un bond subordinato convertibile al valore nominale di 150 milioni di euro. La Fondazione riceverà le azioni a seguito di un aumento di capitale riservato da 180 milioni.

Bper prevede che l’acquisizione del Banco di Sardegna possa concludersi “entro il terzo trimestre del 2019”, dopo che l’assemblea straordinaria di Bper abbia deliberato l’aumento di capitale riservato a favore della Fondazione Banco di Sardegna. Un’analoga tempistica è stimata per il closing su Unipol Banca, che resta “subordinato” al via libera delle authority e dell’antitrust “nonché al mantenimento di determinati livelli di raccolta totale effettiva da parte di Unipol Banca”.