Banche, sempre profitti record e sui conti pagano ancora zero


13 miliardi di utili netti in sei mesi per le otto più grandi: merito dello spread tra gli interessi che chiedono e quelli che pagano


 

Come forse ormai è chiaro a tutti, gli utili del settore bancario nel 2024 saranno ancora maggiori di quelli record dell’anno scorso (oltre 40 miliardi) e di quelli pur ottimi del 2022 (25 miliardi). Lasciando da parte la questione del prelievo di solidarietà su questi utili che il governo pare avere accantonato, è importante ricordare che questo mare di profitti che gli istituti gireranno in larghissima parte ai loro azionisti – molti dei quali sono grandi fondi d’investimento esteri – non è certo il frutto di qualche geniale trovata dei manager bancari italiani, ma un regalo garantito dal combinato disposto tra le decisioni di politica monetaria della Bce (il rialzo dei tassi) e la rendita assicurata da un mercato bloccato e dall’ignavia della Vigilanza, che poi sarebbero Banca d’Italia e la stessa Bce, che gli consente di continuare a pagare interessi zero sui depositi.

Tradotto: questi profitti record arrivano in grandissima parte dal “margine di interesse”, cioè dalla differenza tra l’interesse chiesto dagli istituti sui soldi prestati ai clienti e quello che pagano ai clienti sui soldi depositati: la colonna “interessi netti” nei bilanci dei grandi istituti italiani era il 46% dei ricavi totali nel 2019, oltre il 56% oggi. Peccato che la legge bancaria, all’articolo 118 comma 4, stabilisca che “le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente”. Non pare che questo sia successo negli ultimi due anni, né che il cliente sia stato tutelato: evidentemente la vigilanza dorme e pure il governo avrà altro a cui pensare.

E dire che i numeri sono davvero sbalorditivi. Un’analisi delle semestrali delle prime otto banche italiane fatta dalla società di consulenza Kearney per Il Sole 24 Ore svela che solo nella prima metà del 2024 Banca Intesa, Unicredit, Mps, Bpm, Bper, Credem, Pop Sondrio e Credit Agricole hanno messo assieme 13 miliardi di utili netti su 37 miliardi di ricavi: il cosiddetto indice Ros (Return on sale) sarebbe dunque del 37%, mentre è in genere considerato “ottimo” dagli analisti già attorno all’8%. Come detto, questo miracolo è trainato dalla voce “interessi netti”: ricavi per 21,7 miliardi nel primo semestre dell’anno, ovviamente record e +9% sullo stesso periodo del 2023, che – giova ricordarlo – fu un anno altrettanto record. Crescono anche le commissioni sui prodotti finanziari (+6% a 13,8 miliardi), ma mai quanto gli utili netti, che fanno un salto del 18% sull’anno prima (da 11 a 13 miliardi), anche grazie al contenimento dei costi: basti dire che gli otto istituti maggiori hanno fatto più utili in sei mesi rispetto all’intero 2022 12,5 miliardi).

Il motivo, come detto, è in larghissima parte dovuto alla differenza tra interessi passivi (quelli pagati dalle banche sui depositi) e interessi attivi (quelli pagati dai clienti per i prestiti).
È pura idraulica dei tassi: i valori medi del 2024 saranno superiori a quelli del 2023 e le banche italiane faranno più soldi, quando si invertirà la curva ne faranno meno. Facciamolo dire anche al giornale di Confindustria: “Nonostante l’inizio dell’inversione della curva del tassi (il cui processo si sta rivelando più lento del previsto), le banche italiane continuano ad estrarre valore dal lending (i prestiti, ndr), sia frenando l’aumento del costo della raccolta sia proteggendosi – con coperture tecniche – dal rischio di minor ricavi dai tassi”. La raccolta sono appunto i depositi delle famiglie: 1.150 miliardi circa a fine 2023, remunerati poco quando non nulla (lo 0,2% medio secondo la Federazione autonoma dei bancari italiani). La situazione quest’anno non è cambiata: basti dire che seppure i prestiti siano in calo da diversi mesi, i profitti del lending – come abbiamo visto – continuano a salire vertiginosamente.

E qui possiamo tornare alla questione della cosiddetta “tassa sugli extraprofitti”. Il Sole 24 Ore ci ha tenuto a informare i suoi lettori che, prima di mettersi in tasca i loro 13 miliardi di utili, le prime otto banche italiane hanno versato 5,2 miliardi di tasse all’erario in soli sei mesi (4,5 miliardi l’anno prima): se guadagnano loro, è l’idea, guadagna anche lo Stato.
Ora, ammesso e molto non concesso che non sia il caso di imporre al settore bancario e ad altri che fanno soldi a palate un contributo di solidarietà, resta che la vigilanza in primo luogo e il governo subito dopo dovrebbero se non altro imporre il rispetto del Testo unico bancario sopra ricordato: le leggi del mercato, specie in uno fortemente regolato come quello del credito non possono certo valere per una sola delle parti in causa.

 

Articolo di Marco Palombi su “Il fatto Quotidiano” del 12/8/2024

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