Ancora classifiche tra i lavoratori. Anche la giurisprudenza se ne occupa

La fantasia nell’inventare concorsi e classifiche non ha limiti, ma ci sono dei limiti di legge (Garante della Privacy, provvedimento n. 500 del 2018).

Una cooperativa di servizi bandisce un concorso a premi fra i propri soci lavoratori, dal titolo “Mettiamoci la faccia… Soci!”, concorso che frutta un premio in denaro ai primi 3 classificati. La partecipazione è obbligatoria per tutti i soci; non solo, i medesimi devono anche autotassarsi, con una trattenuta egualmente obbligatoria di 30 euro mensili, per finanziare il concorso.

I soci lavoratori vengono costantemente informati dall’andamento del concorso, per mezzo di una tabella affissa nella bacheca aziendale, visibile dai soci, dai dipendenti della cooperativa ed anche dai terzi che accedono agli uffici. La tabella riporta per ciascun socio lavoratore: nome, cognome, fotografia, faccina che esprime il giudizio sintetico – attribuito settimanalmente dall’amministrazione della cooperativa – ed anche le assenze di qualunque genere e le sanzioni disciplinari.

Alcuni lavoratori presentano ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, ritenendo che l’intera vicenda sia vessatoria e crei un continuo disagio per il fatto di essere pubblicamente giudicati.

Il Garante si è pronunciato con il provvedimento n. 500 del 21 dicembre 2018. In primo luogo ha rilevato come il consenso al trattamento dei dati personali ottenuto con tali modalità – partecipazione obbligatoria al concorso e trattenuta obbligatoria – non fosse idoneo a legittimare il trattamento di dati personali, vista la sproporzione dei rapporti di forza esistenti fra l’impresa e i singoli lavoratori.

Inoltre, il Garante ha rilevato come l’impresa abbia il diritto di trattare le informazioni riguardanti i rapporti di lavoro, ma non abbia il diritto di diffonderle mediante affissione su una bacheca visibile a tutti gli altri dipendenti e anche a terzi. Tali modalità non sono adeguate né pertinenti rispetto ai presunti scopi dichiarati dalla cooperativa – l’incentivazione dei soci al raggiungimento degli obiettivi di qualità ed efficienza – ma anzi, sono lesivi della dignità personale, della libertà e della riservatezza dei lavoratori e come tali sono pertanto illeciti e vietati.

Di certo si tratta di un caso estremo – i lavoratori erano obbligati a pagare per essere sbeffeggiati sulla bacheca aziendale – e per fortuna fatti del genere non sono mai avvenuti in ambito bancario. Ma il concetto giuridico è chiaro e applicabile in qualunque ambiente di lavoro: è vietato utilizzare dati personali dei lavoratori per realizzare una classifica pubblica di “buoni” e “cattivi” lavoratori.

Nel settore del credito, l’ABI e le Organizzazioni Sindacali hanno firmato l’8 febbraio 2017 l’Accordo nazionale per le politiche commerciali e organizzazione del lavoro.

Tale accordo, fra l’altro, ha stabilito che le comunicazioni aziendali ed altresì il monitoraggio degli andamenti commerciali, siano improntate al rispetto della normativa vigente, senza indebite pressioni e senza messaggi fuorvianti o vessatori nei confronti dei lavoratori o lesivi della loro dignità e professionalità. Inoltre, ha stabilito che il riscontro al personale circa il posizionamento rispetto agli obiettivi assegnati avvenga attraverso appositi strumenti aziendali evitando gli abusi, l’eccessiva frequenza e le inutili ripetizioni.

L’accordo del 2017 fissa quindi una serie di tutele per i lavoratori, allineate alla normativa sulla privacy ed ai principi identificati dal Garante per la protezione dei dati personali. E per rafforzare ulteriormente le tutele, le Organizzazioni Sindacali, nella piattaforma presentata a marzo 2019 per il rinnovo contrattuale, hanno richiesto che le tutele individuali e collettive previste nell’accordo vengano ricondotte all’articolato del contratto nazionale del credito.

 

Alberto Massaia 

Consulta Giuridica Fisac/Cgil