No, il Jobs Act non ha fatto aumentare l’occupazione

Il referendum Cgil ha risvegliato i fan della riforma: rimettiamo in fila i numeri (Istat) che ne mostrano il fallimento


È almeno dal 2018 che i fan più accaniti della stagione renziana sostengono una teoria fantasiosa: il Jobs Act – dicono – ha “creato” un milione di posti di lavoro in tre anni e la gran parte di questi a tempo indeterminato. Se qualcuno chiede loro la fonte, la risposta è pronta: l’Istat. Ecco, in realtà proprio dalla banca dati dell’Istituto nazionale di statistica emerge una verità opposta: due terzi dell’occupazione dipendente creata nel triennio tra il 2015 e il 2018 – quello di massima operatività del Jobs Act, prima che Corte costituzionale e primo governo Conte avviassero una leggera controriforma – è precaria, a tempo determinato: solo il 35% della nuova occupazione creata era invece a tempo indeterminato. Più del Jobs Act del 2015 poté il decreto Poletti del 2014, che aveva “liberalizzato” il ricorso al lavoro a termine.

Pareva un dibattito chiuso, ma ora che la Cgil propone un referendum per abrogare il decreto attuativo del Jobs Act che ha cancellato il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo (il vecchio articolo 18), i fan della riforma renziana – che in realtà fu dettata da Confindustria parola per parola – tornano a scatenarsi e si dicono ancora convinti, malgrado le evidenze statistiche e scientifiche, del bengodi occupazionale seguito alla maggior libertà di licenziare decisa da Renzi (in realtà era uno dei “consigli” all’Italia contenuti nella lettera della Bce del 2011).

Qui cercheremo di fare il punto usando un po’ di numeri, ma prima dobbiamo intenderci sul significato del verbo “creare” in relazione ai posti di lavoro. È bizzarro che qualcuno possa essere convinto che i posti di lavoro si “creino” con una semplice riforma dei licenziamenti. In realtà la salita dell’occupazione di quegli anni, che c’è stata, deriva da una serie di fattori economici, il primo dei quali è la (lenta e frammentata) fuoriuscita dalla doppia crisi del 2008 e del 2011/12.

E allora ecco i numeri. A marzo 2015 gli occupati dipendenti in Italia erano 16,6 milioni, così suddivisi: 14,3 milioni a tempo indeterminato e 2,3 milioni a tempo determinato (dato che, peraltro, segnava già una crescita rispetto al 2014). Il Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo 2015 e, nel frattempo, erano già stati previsti ricchi incentivi alle assunzioni stabili. Queste scelte di politica economica si sono inserite in un contesto già di per sé favorevole: la doppia crisi era alle spalle, si tornava a intravvedere il segno “più” in diversi indicatori e soprattutto la Bce aveva avviato una politica monetaria espansiva (il quantitative easing).

Questo ha ovviamente comportato un aumento dell’occupazione sostanzioso e dopo un triennio, a novembre 2018, i posti di lavoro dipendenti in Italia risultavano cresciuti di poco più di un milione. Una dinamica simile a quella del resto degli altri Paesi europei (Grecia esclusa), che pure non avevano certo approvato il Jobs Act renziano.

A questo punto possiamo tornare a guardare alla qualità dell’occupazione creata in quel periodo. Partiamo dal perché abbiamo scelto come riferimento per confrontare i dati il novembre del 2018: in quel mese entrarono in vigore le prime norme del cosiddetto “decreto Dignità”, che modificavano alcune parti del Jobs Act e del decreto Poletti, aumentando gli indennizzi per i lavoratori licenziati e riducendo le possibilità di stipulare contratti precari. Non solo: a fine settembre 2018 la Consulta aveva bocciato il contratto a tutele crescenti, principale creatura del Jobs Act, laddove prevedeva indennizzi fissi e legati alla sola anzianità di servizio per i licenziamenti illegittimi. Tradotto: a partire dall’autunno del 2018 la riforma renziana iniziava a perdere pezzi, abitudine che in seguito non ha mai perso.

Ecco allora com’era messa l’occupazione a novembre 2018: 14,67 milioni di occupati stabili e quasi 3 milioni precari. Rispetto all’entrata in vigore del Jobs Act, insomma, due terzi dei nuovi posti di lavoro era a tempo determinato e poco più di un terzo permanente. Ne consegue che la ragione con cui si giustificò il Jobs Act – le imprese assumeranno a tempo indeterminato perché possono licenziare – è stata smentita dai numeri e chi la ripete oggi è disinformato o un mentitore.

In realtà, gli effetti degli interventi di Renzi e soci sul lavoro sono anche peggiori di così. Scomponendo i dati si nota che, nel corso del 2015, i contratti a tempo indeterminato avevano compiuto una netta avanzata: quell’anno le assunzioni stabili hanno superato i due milioni. Il motivo è semplice: nel 2015 gli incentivi alle assunzioni hanno coperto il 100% dei contributi a carico dell’azienda. Quando però, nel 2016, lo sgravio è sceso al 40%, il rallentamento è stato netto: meno di 1,3 milioni di assunzioni stabili.

In sostanza, il governo ha sovvenzionato con 10 miliardi di euro assunzioni che ci sarebbero state comunque, mentre nel medio periodo il mercato del lavoro ha sfornato per la gran parte precariato. Dal 2019 (anno in cui, peraltro, l’aumento dei lavoratori dipendenti è stato minimo) non ha alcun senso analizzare il mercato del lavoro sotto la lente del Jobs Act: i molti pezzi persi per strada dalla legge renziana e le mille cose successe al mondo (Covid, guerre, sospensione del Patto di stabilità Ue, Pnrr, eccetera) lo rende un esercizio inutile a livello intellettuale, ancorché non si possa impedire a nessuno di fare propaganda di bassa lega.

Parlando più in generale, in letteratura è un fatto ormai scontato che la precarizzazione non migliori la qualità del mercato del lavoro e finisca per peggiorare anche la produttività. L’economista Andrea Roventini qualche giorno fa ha ricordato una serie di studi sul tema: una pubblicazione del Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, ha mostrato come questo tipo di riforme abbiano aumentato la volatilità e la disuguaglianza delle retribuzione, rallentando l’accumulo di capitale umano e contribuendo al rallentamento della produttività. Uno studio della Banca d’Italia ha analizzato la riforma dei contratti a termine approvata nel 2001 dal governo Berlusconi, concludendo che ha aumentato i rapporti precari senza far crescere l’occupazione, sfavorendo i giovani e facendo salire i profitti delle imprese.

Cambiare il mercato del lavoro, peraltro, ha conseguenze sulla vita tutta. Nel 2020 uno studio condotto da tre ricercatori ha mostrato come la maggiore incertezza del lavoro si sia tradotta in minore propensione delle donne ad avere figli: dall’indagine è emerso, in particolare, che le donne assunte dopo il Jobs Act, quindi senza il paracadute dell’articolo 18 in caso di licenziamento, prendevano i congedi di maternità con frequenza ben minore rispetto a quelle assunte prima di marzo 2015.

Riassumendo, e non prima di aver ribadito l’impossibilità di legare l’andamento del mercato del lavoro a una riforma dei contratti, non risulta che il Jobs Act abbia favorito una crescita dei posti stabili, mentre è oggettivo che abbia ridotto le tutele dei lavoratori fino a farle diventare del tutto insufficienti a proteggerne i diritti. Ecco perché, negli scorsi anni, è stato spesso e volentieri censurato nei tribunali, a partire dalla Corte costituzionale, e da altri organi di diritto internazionale come il Comitato europeo per i diritti sociali.

 

Articolo di Roberto Rotunno sul Fatto Quotidiano del 27 maggio 2024

 




Bper: MBO, ovvero Mantenere Bassi Oboli

Ripubblichiamo un articolo di 3 anni fa, assolutamente attuale dopo la corresponsione dei premi legati ai risultati presso Bper Banca.

Tutto quanto era stato scritto allora non può che essere integralmente confermato. Il meccanismo messo in piedi da Bper, oltre ad essere iniquo e contorto (praticamente nessuno, fino al momento della pubblicazione dei risultati, può capire con certezza se prenderà o meno il premio), appare anche fortemente aleatorio, tanto che basta un evento indipendente da lavoratori o lavoratrici, come l’impossibilità di collegarsi alla rete per problemi tecnici in corrispondenza del collocamento di un prodotto, per vanificare un anno di sforzi.

In definitiva, un meccanismo che produce molta più rabbia e frustrazione che voglia di impegnarsi maggiormente.

E’ questo l’obiettivo della banca?

BPER. MBO ovvero: Mantenere Bassi Oboli




Banca del Fucino: piattaforma di rinnovo CIA

In allegato la nostra piattaforma di rinnovo del Contratto Integrativo aziendale.
Riteniamo di aver formulato, insieme ai lavoratori, una proposta avanzata finalizzata, in primo luogo, al recupero del potere d’acquisto dei salari sempre più impoveriti e di una maggiore estensione e tutela delle garanzie per i lavoratori. In quest’ottica si pone la nostra richiesta di applicare le norme dello Statuto del 1970 a tutti i lavoratori, senza distinzioni tra assunti prima o dopo il 2015, andandosi ad allineare allo spirito del referendum che vede impegnata la CGIL in prima linea.
Da evidenziare il fatto che abbiamo anche inserito delle clausole di salvaguardia occupazionale sugli appalti, nonché l’impegno che intendiamo far assumere all’azienda a non finanziare imprese collegate direttamente o indirettamente all’industria di guerra, stanti i gravi conflitti in corso attualmente nel mondo.
C.A.C. Fisac – R.S.A. Uilca
Banca del Fucino S.p.A.
Gruppo Igea Banca
scarica la Piattaforma di Rinnovo CIA



Guide Fisac Cgil: responsabilità disciplinari e patrimoniali

Pubblichiamo la versione 2024 della guida, a cura di Alberto Massaia ed Enrica Crimi .

Ricordiamo che tutte le guide sono scaricabili dalla nostra sezione Guide e manuali

Scarica la guida 2024

Archivio giurisprudenza

ARTICOLI PUBBLICATI AD INTEGRAZIONE:




BCC: Trattativa per il rinnovo del CCNL Federcasse… eppur si muove!

Si è svolto venerdì 24 maggio il programmato incontro tra le Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali del settore e la Delegazione di Federcasse, in presenza delle Delegazioni di Gruppo, focalizzato sul rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale del Credito Cooperativo.

In apertura, Federcasse ha illustrato, sinteticamente, le materie sulle quali ha interesse a trattare senza però entrare nel merito dei due pilastri imprescindibili di questo rinnovo, parte economica e riduzione orario di lavoro ritenendo prematura una valutazione della portata complessiva di questo rinnovo contrattuale.

I temi contenuti in piattaforma e di loro interesse sono, in primis:

  • l’area contrattuale (contratti complementari, clausola sociale);
  • il FOCC (individuazione di iniziative per renderlo operativo);
  • sostegno alla genitorialità, l’inclusione, la parità di genere e la conciliazione dei tempi di vita lavoro;
  • l’organizzazione del lavoro (regolamentazione di un’indennità per la cassa automatica, banca del tempo solidale, apprendistato per alta formazione, tempi determinati) e gli strumenti di solidarietà.

Inoltre, Federcasse ha sottolineato l’importanza di individuare elementi normativi e innovativi necessari, secondo la propria visione, per contrastare la desertificazione bancaria, fenomeno che minaccia la presenza capillare degli istituti di Credito Cooperativo sul territorio.

Il capitolo sulla “partecipazione delle Lavoratrici e dei Lavoratori” è ritenuto, da Federcasse, di competenza delle singole Aziende e non del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.

Ancora troppi, quindi, i temi a cui mancano risposte chiare, seppur approvati da oltre il 99% delle Lavoratrici e dei Lavoratori.

Riteniamo comunque assolutamente indispensabile che tutti i profili trattati all’interno della piattaforma abbiano una loro naturale collocazione all’interno del contratto nazionale o dei futuri demandi al secondo livello negoziale.

In sintesi, il negoziato appare ancora lento nel suo sviluppo, senza troppi apprezzabili passi in avanti sui temi cruciali. Questa situazione appare fortemente in contrasto con la dichiarata volontà di giungere a una conclusione nei tempi congrui e stabiliti, auspicabilmente previsti per l’inizio dell’estate. 

Dal prossimo incontro, previsto per giovedì 30 maggio (a cui seguiranno quelli del 13, 25 e 28 giugno e 4 luglio), le Delegazioni cominceranno comunque a lavorare su elementi di maggior dettaglio per dare concretezza e conseguenza a questo percorso negoziale in linea con gli obiettivi di massima condivisi di un positivo e necessitato epilogo del negoziato.

Roma, 27 maggio 2024

 

Le Segreterie Nazionali
FABI FIRST-CISL FISAC-CGIL UGL Credito UILCA




Banche: attenzione a giovedì 30 maggio

Giovedì prossimo, 30 maggio, coincide con la festività del Corpus Domini, una delle festività soppresse che danno diritto ad altrettante giornate di permesso retribuito.

Ricordiamo che i permessi sono riconosciuti nel caso in cui le ex festività ricorrano in giorni per i quali è prevista la prestazione lavorativa ordinaria con diritto all’intero trattamento economico, escluse quindi le giornate coincidenti, ad esempio, con aspettative, congedi parentali non retribuiti, giornate di sospensione volontaria.

È importante evitare di usufruire di permessi non retribuiti durante queste ricorrenze per evitare di vedersi decurtare delle giornate di festività soppresse.

Ricordiamo le date delle festività soppresse che nel 2024 ricorrono in giornate lavorative.

  • martedì 19 marzo – San Giuseppe;
  • lunedì 13 maggio – Ascensione;
  • giovedì 30 maggio – Corpus Domini;
  • lunedì 4 novembre – Unità Nazionale.

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Festività soppresse anno 2024




BCC: contratto integrativo Gruppo ICCREA, la parola a lavoratrici e lavoratori


 

Le scriventi Organizzazioni Sindacali, in riferimento all’accordo sul Contratto Integrativo del Gruppo Iccrea sottoscritto il 19 aprile 2024, condividono la necessità di concludere con celerità il percorso assembleare per l’illustrazione e la votazione dell’ipotesi di accordo. Solo a conclusione ed esito positivo delle stesse, sarà possibile sciogliere la riserva prevista e rendere operative le norme migliorative dei temi negoziati.

A partire dal 27 maggio p.v., il Contratto Integrativo di Gruppo sarà presentato a lavoratrici e lavoratori per l’approvazione nelle assemblee. Di seguito, riportati in maniera sintetica, gli argomenti definiti nell’accordo:

  • ticket pasto;
  • welfare, assistenza sanitaria integrativa e fondo pensione;
  • mobilità territoriale e infragruppo;
  • valore della produttività aziendale;
  • disciplina del lavoro agile.

Con successiva comunicazione daremo indicazioni in merito al calendario delle assemblee.

 

Roma, 23 maggio 2024

 

LE DELEGAZIONI SINDACALI GBCI
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UGL CREDITO

 

Scarica il testo della ipotesi di accordo CIG BCC ICCREA 19 aprile 2024




BdM. Valutati da un algoritmo: quando i numeri contano più delle persone!

Come ogni anno è arrivato il momento in cui vengono portate alla conoscenza dei colleghi le valutazioni sull’operato dell’esercizio precedente e, mai come quest’anno, non sono mancate le sorprese!

Ci preme sottolineare, prima di raccontarvi le novità, che questo momento di confronto tra il responsabile ed il collaboratore dovrebbe rappresentare un’opportunità̀ per valutare, incoraggiare e sviluppare il contributo di ciascuno ed è dunque un elemento chiave per la valorizzazione delle persone, argomento che dovrebbe essere tanto caro all’Azienda, soprattutto se si tratta di un’azienda a partecipazione pubblica!

Ma quest’anno, grazie all’introduzione del tanto sbandierato “Performance management”, nuovo sistema di valutazione presentato al di fuori delle procedure ex CCNL ed adottato a fine 2023, ovvero al termine dell’anno di riferimento, e con obiettivi, addirittura, assegnati a gennaio 2024, il processo valutativo non è stato condotto diciamo in modo “lineare” perché il 75% della valutazione (si avete capito bene…il 75%!) è dipesa non dal giudizio espresso dal Responsabile della struttura ma dai famigerati “Deliverables”….ovvero dal raggiungimento di obiettivi di budget! Relegando quindi il giudizio del valutatore ad un mero 25% che nessun peso ha e può avere sull’esito finale della valutazione.

Riteniamo che chi lavora fianco a fianco con il collega valutato sappia molto bene qual è il suo valore, qual è il suo impegno e qual è il suo rendimento in un ambiente che, come abbiamo più volte denunciato, non aiuta l’organizzazione del lavoro. Nella nostra Banca invece si valuta il personale “leggendolo” solamente tramite un “algoritmo” che tiene conto degli scostamenti di determinati parametri dai budget assegnati: in pratica siamo valutati per i risultati e non per i mezzi, in piena violazione dell’Art.80 del CCNL che lo vieta espressamente, risultati che danno solo un’immagine limitata e parziale delle “persone”!

Ci chiediamo come sia possibile, in un Gruppo che si vanta di valorizzare le persone, standardizzare le valutazioni in questo modo basandole solo sui risultati e non sull’effettiva professionalità̀ dei colleghi, con possibili effetti negativi anche sul pagamento del sistema incentivante e sul premio aziendale. Sorvolando poi sul fatto che non sono stati rispettati i termini contrattuali che prevedono la consegna delle valutazione entro il primo quadrimestre dell’anno successivo.

Ricordiamo che il vigente CCNL prevede che la prestazione di lavoro subordinato sia una prestazione di mezzi e non un’obbligazione di risultato, e che il mancato raggiungimento degli obiettivi quantitativi commerciali, di per sé non può determinare una valutazione negativa e non costituisce inadempimento dei doveri contrattuali (Art. 80).

Consigliamo a tutti i colleghi, che ritengano di aver ricevuto un giudizio della valutazione professionale per il 2023 non rispondente alla prestazione svolta, di presentare ricorso alla direzione aziendale facendosi assistere dai rappresentanti sindacali aziendali.

Peraltro La nostra Azienda continua a macinare numeri assai soddisfacenti grazie allo straordinario impegno delle lavoratrici e dei lavoratori anche in questi primi mesi del 2024.
Nonostante ciò (speriamo di non dover dire “a causa di ciò”) né la nostra Direzione nè la Capogruppo danno ancora riscontro alle numerose istanze in sospeso ormai da mesi.

Bari/Orvieto, 23 Maggio 2024

 

ODC BDM BANCA
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN

RR.SS.AA. CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO
FABI FIRST/CISL FISAC/CGIL




Antitrust, sanzione di 2,5 milioni a Intesa Sanpaolo RBM Salute e di 1 milione a Previmedical

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per 2,5 milioni di euro Intesa Sanpaolo RBM Salute, compagnia assicurativa specializzata nell’assicurazione sanitaria, e per 1 milione di euro Previmedical Servizi per la Sanità Integrativa, provider di servizi cui è stata affidata la gestione e la liquidazione delle pratiche di sinistro. Le indagini sono state avviate a seguito delle segnalazioni da parte di numerosi consumatori e dei risultati dell’attività di vigilanza svolta dall’Ivass. Nel corso del procedimento si sono poi aggiunte ulteriori richieste di intervento da parte di consumatori che lamentavano le stesse criticità. Molti reclami sono arrivati da aderenti al fondo sanitario MetaSalute, che da solo raccoglie oltre un terzo del numero di assicurati ISP RBM.

“Il comportamento di Intesa Sanpaolo RBM Salute S.p.A. e di Previmedical Servizi per la Sanità Integrativa S.p.A. integra una pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 20, 24, 25, comma 1, lett. d), del Codice del Consumo, perché è stato accertato che hanno ostacolato l’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori, rendendo onerosa la fruizione delle prestazioni assicurative”, spiega in una nota l’Antitrust.

“In particolare – prosegue la nota – sono emersi problemi presso la centrale operativa di Previmedical (verificatisi alla fine del 2022) che hanno determinato – a partire dai primi mesi del 2023 – l’accumularsi di un numero molto alto di pratiche in attesa di evasione, in notevole ritardo rispetto ai tempi di liquidazione previsti dalle rispettive polizze sanitarie. Il ritardo accumulato ha provocato difficoltà anche nella gestione corrente delle richieste di prestazione successive con rallentamenti significativi rispetto alle previsioni contrattuali”.

“Inoltre, i problemi presso la centrale operativa hanno reso difficile per i consumatori entrare in contatto con il servizio di assistenza clienti. Si sono rilevate, inoltre, numerose incongruenze nell’applicazione concreta delle condizioni di polizza da parte di Previmedical, anche per la difficoltà di interpretare le prassi liquidative stabilite da Intesa Sanpaolo RBM Salute, che hanno avuto come conseguenza numerosi casi di errato rifiuto di autorizzazioni o di rimborsi a soggetti che ne avevano diritto, oppure la richiesta non necessaria di ulteriore documentazione”, aggiunge l’Antitrust.

L’Autorità ha specificato che “gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria hanno evidenziato infine la responsabilità di Intesa Sanpaolo RBM Salute S.p.A. nella mancata implementazione di un efficace sistema di controllo sull’attività di gestione dei sinistri da parte del proprio provider, in modo da prevenire e gestire eventuali criticità nella gestione delle polizze sanitarie e garantire ai propri assicurati un adeguato livello di servizio”.




Bper accelera sulla cura dimagrante: allo studio un piano da 6-700 esodi

L’ultimo piano da mille esodi volontari è stato varato alla fine del 2023 e dispiegherà i suoi effetti soprattutto quest’anno, ma prima ancora di chiuderlo il Gruppo Bper valuta di aprirne uno nuovo, che potrebbe coinvolgere altri 6-700 dipendenti.


 

Non si ferma la cura dimagrante della banca emiliana oggi guidata da Gianni Franco Papa, succeduto a Piero Montani lo scorso aprile. L’ultimo accordo con i sindacati Bper lo aveva siglato a fine 2023, quando al vertice c’era ancora Montani: mille esodi volontari supportati dal Fondo Esuberi che in larghissima parte si materializzeranno nel 2024, quando sono previste 900 uscite (il restante centinaio di dipendenti uscirà nel 2025).

A fronte di mille esodi, le sigle sindacali avevano ottenuto mezza assunzione per ciascun lavoratore prepensionato, più la stabilizzazione dei contratti a termine: 700 assunzioni in tutto, che ora i sindacati sperano siano implementate il prima possibile, visto che 900 esodi su mille si perfezioneranno già quest’anno, con inevitabili impatti sull’organizzazione del lavoro. Secondo indiscrezioni, Bper sarebbe intenzionata ad attivare un nuovo piano esodi a breve, che potrebbe essere già sul tavolo del consiglio di amministrazione previsto a fine mese.
L’opzione nasce dai numeri: a fine 2023, quando banca e sindacati hanno chiuso l’accordo sul primo piano, a fronte di mille esodi si sono registrate circa 1.600-1.700 domande da parte di dipendenti in possesso dei requisiti. Da qui l’ipotesi di coinvolgere in una nuova misura i 6-700 lavoratori in possesso dei requisiti per accedervi. Con il sindacato la trattativa potrebbe aprirsi entro l’estate: le organizzazioni dei lavoratori metteranno sul tavolo la contropartita nuove assunzioni, probabilmente nella misura di uno (esodo) a uno (assunto).

L’organico dell’istituto è in calo dal 2022. Al 31 dicembre 2023 i dipendenti del gruppo erano 20.224, 835 in meno rispetto ai 21.059 del 2022.
Se è vero che spesso i piani esodi delle banche sono bilanciati dalle assunzioni, altrettanto vero è che il saldo tra uscite e ingressi resta negativo e impatta sulla rete. Da tempo il sindacato lamenta il problema della desertificazione, presente soprattutto nei centri più piccoli.

 

Fonte: Estratto da un articolo di Gilda Ferrari pubblicato su Il Secolo XIX del 19/5/2024