Gruppo Bper: sotto pressione

3 - Fisac Cgil

29 marzo 2024

SOTTO PRESSIONE

 

Il CCNL rinnovato il 23 novembre scorso ha recepito al suo interno l’accordo sulle politiche commerciali del febbraio del 2017. Nel Gruppo BPER, proprio a seguito dell’intesa nazionale, è stato sottoscritto il 30 marzo 2022 uno degli accordi più avanzati del settore in tema di contrasto alle pressioni commerciali, che ha tra i suoi obiettivi quello di rendere esigibili i contenuti degli accordi sottoscritti, quello di chiarire gli ambiti di comportamento non consentiti e quello di valutare i comportamenti in violazione delle norme e degli accordi, con la finalità di rimuoverli attraverso opportuni provvedimenti aziendali (incluse le sanzioni disciplinari).

Ricordiamo quali sono i principali comportamenti non ammessi in base agli accordi e alle norme:

  • comunicazioni (effettuate con qualunque mezzo) irrispettose della dignità e della professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori o contenenti messaggi fuorvianti, intimidatori, offensivi, vessatori o elusivi degli accordi medesimi;
  • mancato rispetto del diritto alla disconnessione;
  • riunioni commerciali eccessive per numero e/o frequenza, convocate senza un adeguato preavviso e non rispettose degli orari contrattuali di chi è chiamato a partecipare.
  • monitoraggio o verifica dei dati commerciali attuati con modalità estemporanee e comunque non proceduralizzate;
  • misurazione dei tempi di contatto con la clientela (fisica o virtuale) al fine della valutazione o per controllo a livello individuale;
  • utilizzo di una reportistica per la rilevazione dei dati commerciali difforme da quella approntata centralmente e comunque diversa da quella indicata dagli accordi;
  • richiesta di dati previsionali riguardanti la vendita di prodotti alla clientela;
  • richiesta giornaliera del venduto scritta su moduli cartacei da consegnare ai coordinatori o ai direttori.

Il soprastante elenco è indicativo, anche se non esaustivo, di ciò che avviene e che invece non sarebbe consentito fare.
Tutte le segnalazioni provenienti dai territori sono oggetto di valutazione in sede di Commissione Paritetica, composta da delegati aziendali e sindacali e incaricata di discutere e valutare le segnalazioni provenienti dai colleghi, segnalazioni che comunque rimangono sempre anonime

La Commissione rappresenta un importante ambito e ha consentito, attraverso le partecipazione attiva delle colleghe e dei colleghi, di poter intervenire per correggere i comportamenti non conformi alla normativa individuati dalle Parti.

L’Azienda, a seguito della disamina delle segnalazioni, ha sovente riconosciuto la veridicità delle stesse ed ha conseguentemente fatto interventi finalizzati a ripristinare sui territori e nelle Aziende condotte coerenti con il rispetto degli accordi in tema di pressioni commerciali; talvolta ne abbiamo registrato gli effetti nell’immediatezza.

Nelle ultime settimane, in concomitanza con le ristrutturazioni organizzative e complice forse il clima di aspettativa sul futuro prossimo del Gruppo, abbiamo riscontrato l’intensificarsi di alcuni comportamenti indebiti che stanno incidendo sul quotidiano delle persone, che devono già confrontarsi tutti i giorni con gli effetti della riorganizzazione.

Così non va!
Un ambiente lavorativo “salubre” rappresenta la priorità di ogni collega.
Il protocollo siglato il 30 Marzo 2022 e le azioni intraprese per mezzo della Commissione avevano permesso di registrare effetti che facevano sperare in un cambiamento culturale che avrebbe giovato a tutti. Oggi invece il tema delle pressioni commerciali è uno dei problemi strutturali più rilevanti, da affrontare e risolvere con urgenza.

All’Azienda chiediamo di intervenire con la massima decisione per stigmatizzare e far cessare queste condotte, al fine di ristabilire delle politiche commerciali e un clima aziendale coerenti con gli accordi sottoscritti.

Invitiamo le colleghe e i colleghi a segnalarci prontamente ogni situazione di pressione commerciale o di illecito comportamento, per consentirci di sollecitare immediati interventi correttivi sulle specifiche realtà.
Ricordiamo le caselle su cui fare le segnalazioni:

 

COORDINAMENTI SINDACALI GRUPPO BPER
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN




Cgil e Uil, giovedì 11 aprile sciopero generale di 4 ore per tutti i settori privati

Cgil e Uil proclamano per tutti i settori privati 4 ore di sciopero generale per giovedì 11 aprile 2024 ed invitano tutte le lavoratrici e i lavoratori a aderire e a partecipare alle iniziative e mobilitazioni che saranno organizzate a livello territoriale.

GLI OBIETTIVI E LE RAGIONI DELLO SCIOPERO SONO:

 

1. ZERO MORTI SUL LAVORO

  • La salute e la sicurezza sul lavoro devono diventare un vincolo per poter esercitare l’attività d’impresa;
  • Cancellare le leggi che negli anni hanno reso il lavoro precario e frammentato;
  • Superare il subappalto a cascata e ripristinare la parità di trattamento economico e normativo per le lavoratrici e i lavoratori di tutti gli appalti pubblici e privati;
  • Rafforzare le attività di vigilanza e prevenzione incrementando le assunzioni nell’Ispettorato del Lavoro e nelle Aziende Sanitarie Locali;
  • Mai al lavoro senza un’adeguata formazione e diritto alla formazione continua per tutte le lavoratrici e i lavoratori;
  • Una vera patente a punti, per tutte le aziende e per tutti i settori, che blocchi le attività alle imprese che non rispettano le norme di sicurezza;
  • Diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere in tutti i luoghi di lavoro i propri Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza;
  • Obbligo delle imprese ad applicare i CCNL firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative ed al rispetto delle norme sulla sicurezza; quali condizioni per poter accedere a finanziamenti/incentivi pubblici.

 

2. PER UNA GIUSTA RIFORMA FISCALE

Lavoratori dipendenti e Pensionati pagano oltre il 90% del gettito IRPEF, mentre intere categorie economiche continuano a non pagare fino al 70% delle imposte dovute. L’evasione complessiva continua ad essere pari a 90 miliardi all’anno.

  • La delega che il governo sta applicando invece di combattere l’evasione fiscale e contributiva introduce nuove sanatorie, condoni e concordati. Non tassa gli extraprofitti, favorisce le rendite finanziare e immobiliari, il lavoro autonomo benestante e le grandi ricchezze; Questa impostazione del governo va contrastata ed invertita:
  • È necessario ridurre la tassazione sul lavoro dipendente ed i pensionati, tassare le rendite e contrastare l’evasione;
  • Promuovere così un fisco progressivo abolendo la flat tax, estendendo la base imponibile dell’IRPEF a tutti i redditi;
  • Indicizzare all’inflazione reale le detrazioni da lavoro e da pensione e detassare gli aumenti contrattuali;
  • Occorre andare a prendere le risorse dove sono per finanziare sanità istruzionenon autosufficienzadiritti sociali e investimenti pubblici.

 

3. PER UN NUOVO MODELLO SOCIALE E DI FARE IMPRESA

Vogliamo rimettere al centro delle politiche economiche e sociali del governo e delle Imprese il valore del lavoro a partire dal rinnovo dei CONTRATTI NAZIONALI e da una legge sulla rappresentanza, la centralità della salute e della persona, la qualità di un’occupazione stabile e non precaria, una seria riforma delle pensioni, il rilancio degli investimenti pubblici e privati per riconvertire e innovare il nostro sistema produttivo e puntare alla piena e buona occupazione a partire dal Mezzogiorno.

 

Scarica il volantino




Credito Cooperativo: definito il testo del nuovo Contratto CCB

3 - Fisac Cgil

Delegazione sindacale Gruppo Cassa Centrale Banca


 

Alle lavoratrici e lavoratori
delle BCC e delle Società
del Gruppo Cassa Centrale Banca
Loro sedi

Definito il testo del nuovo contratto integrativo del Gruppo Cassa Centrale Banca

L’accordo del 1° dicembre scorso impegnava Capogruppo e Delegazione sindacale di Gruppo a definire un testo coordinato del Contratto Integrativo di Gruppo che raccogliesse tutta la relativa normativa.

Dopo vari incontri tenutisi in sede tecnica, abbiamo definito il testo coordinato del Contratto Integrativo del Gruppo Cassa Centrale Banca, approvato nella giornata di ieri anche dalla Delegazione Datoriale.

Il testo armonizza gli accordi sottoscritti il 1° giugno e il 1° dicembre 2023 e contiene, facendone diventare parte integrante, i contratti integrativi di secondo livello stipulati con le Aziende del Gruppo e con le Federazioni locali e che continuano a trovare applicazione presso le diverse aziende e BCC già destinatarie, per le materie non trattate nel CIG.

Un risultato importante e non scontato perché fa “vivere” nel C.I.G. i contratti regionali previgenti, che rischiavano altrimenti di essere persi. Inoltre, con questo lavoro, abbiamo voluto raccogliere in un unico documento tutta la normativa applicata nel Gruppo, favorendone in tal modo la consultazione.

Rimaniamo a disposizione per qualsiasi chiarimento e salutiamo cordialmente.

Trento, 26 marzo 2024

 

LA DELEGAZIONE SINDACALE DI GRUPPO
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UGL CREDITO – UILCA

 

ALLEGATI:

 




La decontribuzione fa danni

Tutti i bonus e il cuneo fiscale aumentano il peso sul fronte tributario


 

Secondo quanto emerge dal Rapporto Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), tra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono rimasti sostanzialmente invariati con una crescita dell’1% a fronte del 32,5% in media registrato nell’Area OCSE, soprattutto per la bassa produttività del lavoro. Anche l’OCSE rileva che negli ultimi 30 anni l’Italia è l’unico Paese in cui si è avuta una perdita dei salari reali del 2,9%: nell’Est Europa le retribuzioni sono raddoppiate. E negli altri Paesi troviamo il +63% della Svezia, il +39% della Danimarca, il +33% della Germania , il +31% della Francia, il +25% di Belgio e Austria e perfino il +14% del Portogallo e il +6% della Spagna.

Che cosa si può fare per rimediare a questa perdita e migliorare le condizioni retributive dei lavoratori rendendole più appetibili rispetto al lavoro irregolare che riguarda circa 3,2 milioni (dato Istat) pari a circa 80 miliardi di compensi sottratti al fisco e all’Inps?
In primis ci dovrebbero pensare la parti sociali che, dopo l’abolizione della scala mobile nel 1992, hanno l’onere e il ruolo di mantenere il potere reale e di acquisto tramite i rinnovi contrattuali di primo e secondo livello. Invece da noi, per mettere più soldi in busta paga o ridurre il costo del lavoro e favore le assunzioni, vista anche la crisi della contrattualità, le forze sindacali e politiche hanno optato per mettere a carico della fiscalità (cioè dei pochi che pagano le tasse) questi oneri attraverso la riduzione del cuneo contributivo.
Per il 2024 di bonus ne sono previsti tantissimi: uno sgravio del 7% della contribuzione Ivs per i lavoratori con redditi fino a 25.000 € (1.923 €/mese per 12 mensilità) e del 6% per quelli con redditi inferiori ai fatidici 35.000 € (2.692 €/mese, tredicesima esclusa). E poi il 30% di sgravi contributivi al Sud ma solo fino al 30 giugno perché ritenuti aiuti di Stato dalla Commissione Europea, sgravi per le assunzioni di giovani (bonus giovani), bonus percettori dell’Adi (assegno di inclusione che ha sostituito il Reddito di Cittadinanza e il Sfl (supporto Formazione e Lavoro), bonus part-time e agevolazioni per le donne vittime di violenza, i disoccupato, le donne in generale e gli over 50; un numero elevato di sgravi che produce un mancato gettito per l’INPS di circa 15 miliardi.

Sulla decontribuzione Bankitalia ha dichiarato, nell’audizione sulla Legge di Bilancio, che: “Se il taglio del cuneo contributivo fosse reso permanente, tale riduzione degli oneri previdenziali a carico dei lavoratori modificherebbe il nesso tra contributi versati e benefici erogati alla base del sistema pensionistico contributivo, con conseguenze che andrebbero attentamente valutate”. In pratica lo Stato finge di incassare i contributi che invece vanno a favore di lavoratori e imprese, e poi tramite le tasse manda i soldi all’Inps per un costo annuale di oltre 24 miliardi, quasi l’intero deficit dell’Inps.

 

Estratti dall’articolo di Alberto Brambilla sul Corriere Economia del 25/3/2024




Avvio della trattativa per il rinnovo del CCNL del Credito Cooperativo

3 - Fisac Cgil

Si è tenuto nel pomeriggio di giovedì 21 marzo il primo incontro tra le Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali e la Delegazione Sindacale di Federcasse per l’avvio del negoziato di rinnovo del Ccnl, dopo l’invio della piattaforma il 1° marzo scorso, al termine della tornata assembleare che ha portato alla sua approvazione a larghissima maggioranza, con un consenso del 99%.

Le Organizzazioni Sindacali hanno illustrato le tematiche presenti in piattaforma con una visione complessiva sul senso di questo rinnovo contrattuale, che vuole proseguire il percorso di adeguamento ed innovazione iniziato nel 2019 e proseguito nel 2022, che deve trovare ora una fase di compimento per una cornice economica e normativa distintiva del settore ed al passo con i tempi.

Tra i principali temi e ambiti con i quali si avvierà il confronto negoziale con Federcasse si prevede:

  • rafforzamento dell’area contrattuale, anche attraverso l’avvio istituzionale degli enti bilaterali, per impiegare fin da subito le risorse disponibili a sostegno dell’occupazione, occupabilità e formazione;
  • adeguamento delle retribuzioni a fronte dell’erosione inflattiva degli stipendi ed in considerazione della maggiore produttività del settore, che ha registrato ragguardevoli risultati economici raggiunti anche al sostanziale contributo delle Lavoratrici e dei Lavoratori in anni di forte trasformazione del Credito Cooperativo;
  • organizzazione del lavoro, con la richiesta di riduzione dell’orario a 35 ore, e prosecuzione del confronto sugli inquadramenti dopo l’accordo del 2 agosto scorso, oltre ad una approfondita disamina sul lavoro agile e telelavoro;
  • forme di partecipazione da definire nell’ambito della contrattazione collettiva;
  • welfare, con rafforzamento della previdenza complementare, delle casse sanitarie, della LTC, anche in raccordo con le buone prassi e con le previsioni dei Gruppi;
  • area conciliazione tempi di vita e di lavoro, azioni sociali, valori Esg.

Una piattaforma targata Credito Cooperativo per un rinnovo di contratto su cui le Segreterie Nazionali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Ugl Credito e Uilca, unitariamente, esprimono la ferma volontà di avviare una fase di rinnovo contrattuale che dia risposte concrete ed esigibili in tempi rapidi a tutte le Lavoratrici ed i Lavoratori del nostro settore e ribadiscono la necessità di tenere separati e non sovrapposti i livelli contrattuali (CCNL e Contratti Integrativi).

Secondo la disponibilità datoriale, i prossimi incontri sono previsti a partire dall’indomani del primo Consiglio Nazionale di Federcasse utile del 19 aprile e sono pertanto stati agendati nelle giornate del 22 aprile, 7 maggio e 30 maggio. Dal prossimo incontro diventerà quindi del tutto evidente la volontà politica di controparte di sviluppare un percorso di rinnovo produttivo ed intensivo nel rispetto delle legittime attese e prerogative di tutte le Lavoratrici e i Lavoratori del settore. In tal senso confidiamo in una maggiore disponibilità di controparte nel proporre ulteriori date di incontro.

Roma, 21/03/2024

Le Segreterie Nazionali
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UGL CREDITO – UILCA




Che lavoro! A 6 milioni di dipendenti 11mila € l’anno

Quasi 6 milioni di lavoratori italiani guadagnano meno di 11 mila euro lordi all’anno. In pratica, un dipendente su tre porta a casa mediamente meno di 850 euro netti al mese. E se consideriamo la fascia che va fino a massimo 17 mila euro – quindi appena 1.200 netti mensili – contiamo altri due milioni di persone. Il tema del lavoro povero ha diverse sfaccettature. Negli ultimi mesi il dibattito si è concentrato sul problema del basso salario orario, ma questo non è l’unico e forse neppure il più grave. Ieri la Cgil ha diffuso nuove rielaborazioni di dati Inps nell’ambito della campagna contro il precariato lanciata nelle scorse settimane dal sindacato guidato da Maurizio Landini.

Il focus si concentra non sui salari orari ma sui redditi annui, che dipendono anche da quanto effettivamente le persone lavorano: per quanti mesi dell’anno o per quante ore alla settimana. Dai numeri emerge con chiarezza quello che nel nostro Paese sta comportando la sotto-occupazione, cioè l’eccesso di lavoretti, di part time involontario, di domanda di lavoro stagionale e a bassa specializzazione: un esercito di addetti con redditi insufficienti a una vita dignitosa. Ecco perché il motivo non è solo nei minimi salariali molto bassi di alcuni contratti collettivi, ma anche dalla scarsa intensità dei loro impieghi, molto discontinui.

Ricapitolando: oltre 2,4 milioni di lavoratori guadagnano meno di 5 mila euro annui. Di questi, 1,8 milioni – quindi la maggior parte – è retribuita per un periodo di massimo tre mesi. Ma attenzione perché abbiamo quasi 50 mila lavoratori che non superano i 5 mila euro pur essendo in servizio per tutto l’anno. Se estendiamo lo sguardo all’intera fascia sotto i 10 mila euro, abbiamo ben 324 mila persone che hanno guadagni sotto quella soglia pur essendo retribuiti per l’intero anno. Questo vuol dire che parliamo di persone che lavorano part time per tutto l’anno o che, pur avendo un full time, hanno stipendi miseri. Insomma, il lavoro povero è la sintesi di un misto di fattori: bassi salari e carriere spezzettate. Entrambi gli elementi sono ignorati dal governo, che ha deciso di non introdurre il salario minimo per legge e ha approvato nell’ultimo anno e mezzo una serie di provvedimenti che incentivano ulteriormente l’utilizzo di contratti precari da parte delle imprese. C’è sicuramente, sullo sfondo di questi numeri, pure l’effetto del lavoro irregolare, ma questo è difficile da quantificare e comunque non sminuisce il problema.

Il confronto tra Italia ed Europa resta impietoso. Da noi un dipendente a tempo pieno guadagna in media 31.500 euro all’anno, contro i 45.500 della Germania e i 41.700 della Francia. Se consideriamo i quasi 17 milioni di dipendenti italiani, la retribuzione media è di 22.839 euro lordi all’anno. Tra questi abbiamo 7,9 milioni di dipendenti discontinui e 2,2 milioni di part time per tutto l’anno. Tutti questi dati si riferiscono all’ultimo aggiornamento disponibile, del 2022. “La situazione non è certo migliorata nel 2023 – aggiunge Christian Ferrari, segretario confederale Cgil – anno in cui l’inflazione ha raggiunto il 5,9%, cumulandosi con quella dei due anni precedenti, raggiungendo un totale del 17,3%”.

Di fronte a questo scenario che spiega la scarsa solidità del nostro mercato del lavoro, il governo continua a rallegrarsi dei dati sull’occupazione. La ministra del Lavoro Marina Calderone parla di numeri “confortanti” e sventola continuamente i dati sulle assunzioni previste dalle imprese, ma come al solito si ignora la qualità di questi posti: secondo lo stesso bollettino Anpal-UnionCamere, che pure è una fonte molto cara a Calderone, a febbraio le imprese prevedevano quasi 408 mila entrate, ma solo il 20% a tempo indeterminato, più un altro 5% in apprendistato. Ben il 52% è a tempo determinato, un altro 10% in somministrazione, un altro 9% ancora con contratti di collaborazione.

Sono le forme contrattuali che contribuiscono a formare il precariato e a determinare i bassi redditi.

 

Articolo di Roberto Rotunno su “Il Fatto Quotidiano” del 17 marzo 2024




BdM Banca – Richiesta incontro urgente

3 - Fisac Cgil

 

A tutte le lavoratrici e lavoratori, rappresentiamo una richiesta di incontro per la trattazione di tematiche di particolare rilevanza.
Buon lavoro a tutte e tutti.

Segreteria di Coordinamento BdM
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN


 

Bari, 19/03/2024

Egr.Sig. Dott.
Franzon Claudio
Risorse Umane
BdM Banca Spa

Spettabile
Ufficio Relazioni Industriali
Gruppo MCC

e p.c.   Egr.Sig.
Dott. Carrus Cristiano
Amministratore delegato BdM Banca Spa

 

Oggetto: Richiesta di incontro urgente.

 

Le scriventi OO.SS. chiedono la convocazione urgente di un incontro in presenza con all’OdG la verifica dell’Accordo Aziendale 10/06/2020 e ss. (con particolare focus in materia di verifiche tecniche e riconsiderazione della ROL).

Le OO.SS. chiedono inoltre che, nel corso dell’incontro, vengano calendarizzate ulteriori convocazioni a cominciare dai seguenti argomenti:

  • impatti derivanti dalla riduzione di orario di lavoro settimanale come previsto dal nuovo CCNL;
  • conferma delle condizioni previste dall’art. 5 dell’Accordo del 31/10/2023;
  • chiarimenti sullo stato dell’arte in merito alle libertà sindacali e definizione di modalità tempistiche condivise da utilizzare per le convocazioni aziendali;
  • calendarizzazione di successivo/i incontro/i in materia di Smart Learning, Smart Working e Telelavoro, come da precedenti intese;
  • calendarizzazione di successivo/i incontro/i in materia di inquadramenti minimi per le figure professionali introdotte negli ultimi anni e di percorsi professionali meritocratici per tutto il personale di BDM Banca;
  • calendarizzazione di un incontro avente ad oggetto l’andamento della formazione finanziata e del ruolo operativo della Commissione Formazione.

Dato il carattere prioritario e urgente delle tematiche da affrontare, si richiede che l’incontro si tenga entro venerdì 22 marzo p.v.

Distinti saluti.

 

Segreterie di Coordinamento BdM
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN





Unipol: approvato l’accordo ponte CIA di Gruppo

3 - Fisac Cgil

21 marzo 2024

 

Care Colleghe e cari Colleghi,

siamo lieti di comunicarvi che, dopo aver avuto ancora una volta una significativa partecipazione alle Assemblee, abbiamo registrato una partecipazione ancora più importante al Referendum (votanti 6.577 su circa 8.400 dipendenti, pari al 78,2%), che ha decretato a larga maggioranza l’approvazione dell’Accordo ponte Cia Gruppo Unipol 2022-2024:

  • VOTI FAVOREVOLI: 5.494 (83,5%)
  • VOTI CONTRARI: 929 (14,1%)
  • ASTENUTI: 154 (2.3%)

Ringraziamo le tantissime colleghe e i tantissimi colleghi che hanno espresso liberamente il loro voto al Referendum, confermando la ritrovata vitalità e la voglia di partecipare e incidere sulle decisioni collettive.

Proseguiremo unitariamente sulla strada che stiamo tracciando insieme, ripartendo da una base più solida per l’azione sindacale futura e per i prossimi confronti.

Grazie a tutti, continueremo a lavorare per unire e per far valere le nostre ragioni, in modo che anche l’Azienda colga il senso di questa straordinaria partecipazione: il senso di appartenenza è fondato sul giusto riconoscimento per il lavoro svolto.

 

 

Le Rappresentanze Sindacali del Gruppo Unipol
First/CISL – Fisac/CGIL – FNA – SNFIA – Uilca/UIL




Banche: 28 miliardi di utili. Chi si spartisce il malloppo e il peso sulle famiglie

I numeri arrivano dai comunicati delle principali banche italiane quotate: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Mediobanca, Popolare di Sondrio e Credem hanno registrato nel corso del 2023 utili per 23 mld che salgono a circa 28 mld se si aggiungono i 1,85 mld di Iccrea e i 0,55 mld di Cassa Centrale Banca, i 1,3 mld della controllata bancaria italiana del Crédit Agricole e i 0,93 mld della Bnl, controllata bancaria italiana del gruppo Paribas.
Un boom di utili con un valore ben superiore (+ 87%) al già significativo risultato di 15 mld conseguito nel 2022. Visto l’impatto che questo settore ha sulla vita di tantissimi privati e imprese, con l’aiuto di Arturo Capasso (professore di Corporate Finance alla Luiss) e dell’ex dirigente bancario Francesco Tuccari, proviamo a capire come si è formato questo enorme profitto e chi sono i reali beneficiari.

Dove guadagnano le banche

Le banche guadagnano principalmente attraverso tre diverse attività. La prima è quella di intermediazione di denaro: riconoscono un interesse fisso a chi deposita soldi (interessi passivi) e fanno pagare a chi chiede prestiti un tasso base di riferimento (l’Euribor per i finanziamenti a tasso variabile e l’Irs per quelli a tasso fisso) a cui aggiungono un «sovraprezzo» che varia in misura direttamente proporzionale alla «rischiosità» dei soggetti finanziati (questi si chiamano interessi attivi). La differenza fra gli uni e gli altri è il «margine d’interesse».
La seconda attività riguarda le commissioni che incassano ogni qualvolta effettuano per conto del cliente il pagamento di una utenza, l’incasso di un assegno, dispongono un bonifico, spediscono l’estratto conto, sul prelievo di contante col bancomat, sulla gestione del conto corrente e sulla vendita dei prodotti finanziari (sui quali si fanno pagare i costi più alti d’Europa approfittando dell’ignoranza dei clienti).
La terza attività sono gli investimenti finanziari, dai quali le banche possono conseguire un utile o una perdita («Proventi finanziari»).

Mentre nel biennio 2020 -2021 il peso delle commissioni e dei proventi finanziari costituiva il 56% del totale dei ricavi, nel 2022-2023 è il «margine di interesse» a raggiungere la componente di maggior valore: quasi il 60%.

Cosa è successo?

Dalla sua costituzione la Bce ha posto fra i suoi obiettivi un livello di inflazione al 2%, considerato come il migliore per assicurare una crescita economica stimolante ma non drogata dall’andamento dei prezzi. A inizio 2022, dopo due anni di pandemia e a seguito dell’invasione dell’Ucraina con i rincari dell’energia, i prezzi sono esplosi.
Per contenerli, nel mese di luglio del 2022, la Bce ha innalzato il tasso di riferimento e, con 10 interventi successivi, lo ha portato nell’arco di soli 14 mesi dallo 0,5% al 4,50%. Il sistema bancario italiano ha applicato immediatamente questi rialzi, ma rivedendo solo i tassi applicati sui finanziamenti passati, fra il 2022 e il 2023, dal 2,13% al 4,76%. Gli interessi invece riconosciuti ai depositanti sono rimasti pressoché fermi fra lo 0,20 e lo 0,53%. Dai dati Abi solo nell’ultimo trimestre 2023 si è arrivati all’1,16%, si tratta però di una media ponderata che include anche gli interessi sui depositi vincolati e sulle obbligazioni bancarie. Va detto che ancora oggi molte grandi banche applicano sui deposti a vista lo 0,01%.

Eppure il comma 4 dell’art 118 della Legge bancaria dice espressamente: «Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente». La vigilanza non ha battuto ciglio. Forse perché il sistema bancario deve fronteggiare maggiori costi di funzionamento, e le esposizioni verso clienti che non sono in grado di rimborsare i loro debiti? I dati dimostrano che sia i primi che i secondi sono in calo.

 

Riduzione di sportelli e personale

Partiamo dai costi operativi: fra il 2013 e il 2023 le banche hanno ridotto del 37% il numero dei loro sportelli e di circa il 20% il numero dei loro dipendenti, passati da 310 mila a 261 mila. Solo negli ultimi due anni è stata registrata la chiusura di oltre 1.500 filiali: una media di due al giorno, con la conseguente contrazione degli organici. 50 mila impiegati mandati a casa in dieci anni. Secondo una stima delle Organizzazioni sindacali di settore, per il 2027 si prevede una riduzione di personale tra le 12 mila e le 14 mila unità.
Tradotto in termini di impatto sulla popolazione: ben 4,4 milioni di persone (il 7,5%) risiedono in comuni in cui non possono accedere fisicamente ai servizi bancari. Alla chiusura delle filiali fisiche e alla riduzione del personale non ha poi corrisposto la crescita dell’internet banking, in Italia utilizzato dal 51,5% della popolazione contro una media europea dl 64%. Per quel che riguarda i costi sofferti dalla industria bancaria, i cosiddetti crediti problematici sul totale dei crediti bancari, l’Npl Ratio lordo delle banche italiane nel 2023 è sceso al 3,1%, un livello di gran lunga inferiore alla soglia di sicurezza del 5% definita dall’Eba (l’Autorità di vigilanza bancaria europea). Ciò è avvenuto anche grazie alla cessione ai Fondi specializzati di circa 280 miliardi di crediti deteriorati. Tornando invece all’enorme incremento dei proventi, quale impatto ha avuto sulle famiglie?

 

Il peso sui mutui delle famiglie

In Italia a fine 2023, sulla base di dati elaborati da Bankitalia, circa 2,8 milioni di famiglie risultavano avere in essere un mutuo per acquisto casa a tasso fisso, mentre circa 1,6 milioni a tasso variabile. Secondo la stessa elaborazione, nel 2021 – ultimo anno per il quale si dispone di dati a livello territoriale – i mutui pesano sul reddito disponibile per circa il 32%. Il governatore della Banca d’Italia, in un suo recente intervento (Assiom Forex del 10 febbraio 2024), ha ricordato che nell’ultimo biennio l’aumento dei tassi applicati sui mutui a tasso variabile ha determinato una crescita della rata mensile del 50%, passata mediamente da 500 a 750 euro. Se si considera che nel nostro Paese lo stipendio netto medio di un dipendente oscilla fra i 1.400 ed i 1.600 euro (Istat 2023), il solo aumento della rata pesa per un ulteriore 17% sul reddito disponile, già eroso da un’inflazione all’8,1% nel 2022 e al 5,7% nel 2023. Un’altra conseguenza dell’innalzamento dei tassi dei finanziamenti è un calo del 9,8% nell’ultimo anno nell‘erogazione di nuovi mutui alle famiglie per l’acquisto della casa. Non a caso le compravendite di immobili su base annua si è ridotta del 16% (rilevazione Istat).

La tassa sugli extra-profitti

Lo straordinario incremento degli utili delle banche, dunque, non è dovuto a una crescita della loro efficienza e, per questo, è stato definito «extraprofitto». Il governo lo scorso agosto ha annunciato l’applicazione di una imposta straordinaria del 40% su quella parte del «margine di interesse» che va oltre il 10% in più della stessa voce relativa all’esercizio 2021. L’incasso previsto per le casse dello Stato era stimato in circa 3/4 miliardi, da destinare a misure di sostegno per i mutui delle famiglie in difficoltà, al rifinanziamento del fondo mutui prima casa giovani a tasso variabile e a un contributo per la riduzione delle tasse per famiglie e imprese. Le banche sono insorte e, in sede di approvazione definitiva della legge di Bilancio 2024, il governo ha concesso un’alternativa: se non volete dare questi soldi allo Stato potete metterli nella vostra cassaforte per rafforzare il patrimonio per un ammontare pari fino a 2,5 volte il prelievo calcolato. Le banche hanno aderito in massa. Va detto che oggi presentano livelli di patrimonializzazione ampiamente al di sopra dei requisiti minimi di vigilanza richiesti dal regolatore europeo.

Chi si spartisce il malloppo

Tirando le somme: i debitori hanno visto innalzare il costo del loro debito, i depositanti non hanno visto crescere i loro interessi se non nell’ultimo trimestre, in misura minima e solo su insistenza del cliente. I reali beneficiari della maggiore redditività delle banche sono gli azionisti che si divideranno il 60% di quei 28 miliardi, ovvero i grandi fondi d’investimento internazionali: BlackRock, Vanguard, Capital Group, Dimensional Fund Advisors, ma anche Allianz, Crédit Agricole, JP Morgan ecc. Dividendi accresciuti anche da una maggiore valorizzazione dei titoli azionari posseduti, visto che quasi tutte le maggiori banche hanno fatto grandi acquisti di azioni proprie, aumentandone pertanto il valore, che viene trasferito dagli stakeholder agli shareholder, con buona pace di tutte le teorie di «responsabilità sociale d’impresa». L’attività bancaria, va precisato, non è un’attività come le altre e per questo ha un trattamento particolare: quando si configurano danni collettivi interviene lo Stato. Infatti la collettività è andata in soccorso di Montepaschi, Veneto Banca, Popolare di Vicenza e di tutte le altre finite il liquidazione.
Ora che il sistema bancario vive un periodo di vacche grasse, con il benestare dello Stato, alla collettività restituisce nulla.

 

 




Le priorità del Governo: “revocate quell’onorificenza!”

Quali sono le priorità del Governo? Il lavoro? La pace? La sanità? La Scuola? No. Per qualche settimana la priorità è stato il Maresciallo Tito, pseudonimo con cui è passato alla storia Josip Broz.

Facciamo subito chiarezza: la figura di Tito non è sicuramente da prendere ad esempio. Durante la seconda guerra mondiale guidò la lotta partigiana che portò la Jugoslavia a liberarsi dall’invasione nazifascista (ed è bene ricordare che gli invasori non erano solo i Tedeschi, ma anche i fascisti Italiani che, in quanto a brutalità, non furono da meno). Dopo la guerra diventò presidente della Federazione Jugoslavia, dapprima come repubblica socialista soggetta al controllo all’Unione Sovietica, con la quale ruppe nel 1948. Tito trasformò la Repubblica Jugoslava in una dittatura, dura e spietata con gli oppositori. Una dittatura che non sopravvisse alla sua morte, avvenuta nel 1980, con la successiva dissoluzione della Jugoslavia avvenuta attraverso 10 anni di guerre sanguinarie tra i vari territori.

Nel 1969, durante una visita di Stato in Italia, Tito ricevette l’onorificenza di Cavaliere di Gran Cordone della Repubblica Italiana.

Fatto questo breve ripasso di storia, veniamo all’attualità. A partire dal 2004 è stata istituita in Italia la Giornata del Ricordo, a memoria degli orrendi eccidi delle foibe. In merito alle ragioni che portarono all’istituzione di questa giornata abbiamo riportato la spiegazione del prof. Alessandro Barbero in questo articolo:

La verità sulle foibe

Si tratta di una ricorrenza tragica, che merita di essere ricordata, ma che finisce per essere strumentalizzata dai partiti di destra che ne fanno una specie di contraltare rispetto alla festa del 25 aprile, che così non è più il giorno della Liberazione dal nazifascismo, trasformandosi nel giorno di “E allora le foibe?”

E cosa inventarsi, all’approssimarsi del 20° anniversario dall’istituzione della Giornata del Ricordo, per accentuare l’effetto propagandistico di questa ricorrenza? Qualcuno si è ricordato che Tito era il capo di quei partigiani che, per rappresaglia contro le atrocità degli invasori nazifasciste (dettaglio che di solito viene trascurato quando si rievoca questo che resta, comunque, un crimine di guerra), decisero di sfogarsi contro la popolazione inerme di lingua italiana: per questo bisognava assolutamente togliergli l’onorificenza conferitagli dalla Repubblica Italiana. Trascurando un piccolo dettaglio: Tito è morto da 44 anni.

Eppure questo obiettivo era talmente stringente da dedicargli non uno, ma ben tre disegni di legge. Che sono stati discussi, prima di arrivare alla Camera, presso la Costituzione Affari Costituzionali.
Il tema è stato oggetto di diverse riunioni, tra la pressione dei rappresentanti del Governo e le resistenze dell’opposizione, che portavano argomenti come: “Non si può riscrivere la storia. Parliamo di un’onorificenza di 55 anni fa” oppure “Allora togliamo anche a Mussolini il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia”. Posizioni totalmente incompatibili che, a quanto si apprende dalle cronache parlamentari, hanno portato a liti furibonde tra gli esponenti dei vari partiti.
Una situazione senza via d’uscita.

Alla fine, a riportare un minimo di buon senso ci ha pensato il Quirinale, pubblicando sul suo sito questa precisazione. In un riquadro, in neretto, è riportato quanto avrebbe dovuto essere scontato fin dal primo momento:

Le onorificenze sono legate alla esistenza in vita dell’insignito e decadono con la sua morte.

Quindi tutto è bene quel che finisce bene: fine delle ostilità, abbiamo scherzato, va bene così.

A parte una domanda che ci frulla nella testa: ma davvero paghiamo dei parlamentari per perdere settimane con questioni così spudoratamente inconsistenti e inutili?