Gruppo Bper: Banca Cesare Ponti, accordo per la continuità e le tutele

3 - Fisac Cgil

 

Oggi, mercoledì 7 febbraio, organizzazioni sindacali del gruppo Bper Banca ed azienda hanno sottoscritto il verbale di accordo in materia di conferimento del ramo d’azienda “Wealth & Asset Management” da Bper Banca a Banca Cesare Ponti con conseguente evoluzione dell’assetto organizzativo del gruppo bancario.
Le trattative sono state indirizzate dalla volontà di garantire le migliori tutele possibili per le persone che, dal prossimo 19 febbraio, saranno cedute a Banca Cesare Ponti.
Nel corso della fase negoziale abbiamo disciplinato una serie di questioni che riteniamo determinanti per il sereno passaggio ed il governo dell’operazione e dei futuri assetti:

  • trattamenti economici: manterranno le stesse caratteristiche che hanno nel perimetro dell’attuale gruppo Bper Banca;
  • mobilità professionale e percorsi inquadramentali: si confermano gli impegni definiti dal verbale di accordo siglato il 23 dicembre dello scorso anno;
  • possibilità di sviluppo del percorso professionale “senza barriere” tra le due legal entity, con impegno dell’azienda a rendere noto a tutto il personale del gruppo le posizioni professionali che si dovessero rendere disponibili all’interno del perimetro Banca Cesare Ponti per consentire candidature interne. Questo aspetto permetterà soprattutto ai referenti Personal di poter ambire a diventare Private banker. Analogamente verranno gestite le richieste di prosecuzione del percorso professionale da Banca Cesare Ponti a Bper Banca;
  • formazione ed interventi per la riqualificazione professionale adeguati alla copertura dell’eventuale nuovo ruolo;
  • valutazione della prestazione: dovrà tener conto delle necessità formative, addestrative e di affiancamento, oltre che di eventuali disallineamenti organizzativi;
  • tutele per lavoratrici e lavoratori: impegnano l’azienda a confrontarsi con le organizzazioni sindacali per la gestione delle possibili ricadute che dovessero manifestarsi in caso di future evoluzioni dell’organizzazione o del controllo societario di Banca Cesare Ponti, oggi non prevedibili.

Questo accordo testimonia l’impegno costante delle organizzazioni sindacali del gruppo Bper Banca a favore della tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Mira alla salvaguardia delle condizioni lavorative e al presidio dei processi di cambiamento organizzativo. Nel prosieguo osserveremo con la massima attenzione l’avvio del nuovo assetto per verificare il rispetto dei capisaldi che stamane abbiamo definito.

COORDINAMENTI SINDACALI DI GRUPPO BPER BANCA
FABI – FIRST CISL – FISAC CGIL – UILCA – UNISIN




Licenziata per eccesso di smart working? La Cassazione dà torto all’azienda

Svolgere il lavoro da remoto costituisce giusta causa di licenziamento? La Cassazione fa chiarezza


Quando si tratta di lavorare, nessuno è entusiasta. A volte, però, ciò che pesa di più non è neppure lo svolgimento dell’attività in sé, ma il doversi spostare per raggiungere il luogo di lavoro. C’è chi, infatti, preferisce svolgere la propria prestazione da remoto. Proprio in merito al lavoro da remoto, è recentemente intervenuta un’ordinanza della Cassazione di cui vogliamo parlarvi. Si tratta dell’ordinanza n. 2761 del 30.01.2024.

La questione posta al vaglio della Suprema Corte è la seguente: il fatto che il dipendente lavori da remoto può costituire giusta causa di licenziamento?

Scopriamo insieme cosa hanno affermato in merito i giudici di Roma.

La vicenda all’esame della Corte riguardava la dipendente di una società cooperativa, licenziata dal datore di lavoro. In particolare, la dipendente aveva mansioni di supervisione e controllo dei cantieri nei quali la società espletava servizi di pulizia, e il licenziamento era stato intimato per i seguenti motivi:

  • sistematica violazione delle disposizioni aziendali in ordine all‘orario di lavoro;
  • svolgimento in modo incompleto e discontinuo della prestazione, con tanto di disbrigo di faccende personali durante l’orario di lavoro;
  • abuso della fiducia del datore di lavoro, approfittando della circostanza che non vi fosse un sistema di rilevazione automatica delle presenze, considerando che le mansioni assegnate prevedevano anche l’allontanamento dall’ufficio per effettuare i sopralluoghi sui cantieri.

Ad adire l’autorità giudiziaria era stata proprio la società, che si era vista rigettare, sia innanzi al Tribunale sia innanzi alla Corte d’appello di Bologna, la domanda volta ad accertare la legittimità del licenziamento intimato, che era stato quindi nei primi due gradi di giudizio ritenuto privo di giusta causa.
Di conseguenza, il datore di lavoro aveva proposto ricorso in Cassazione, rigettato però dalla Suprema Corte.

I giudici di legittimità, difatti, hanno ritenuto infondate le doglianze della società ricorrente, concordando con quanto invece affermato dalla Corte d’appello.

Inoltre, il giudice d’appello aveva sottolineato come anche dall’elenco fornito dalla società fosse chiaro che alcune mansioni prescindessero dalla presenza fisica, e non si poteva escludere che, nei giorni o ore contestati come di “assenza dal servizio”, fossero state svolte dalla lavoratrice proprio quelle attività.

In particolare, la dipendente, che svolgeva ruolo di coordinatrice, poteva anche tenere i contatti necessari per via telefonica, prescindendo alcune delle sue attività dalla presenza sul luogo di lavoro. Di conseguenza, non sussisteva giusta causa di licenziamento.
Secondo la pronuncia della Corte di merito, confermata dalla Cassazione, l‘addebito sarebbe stato fondato laddove la lavoratrice avesse invece fatto mancare il proprio apporto di risultato o laddove fosse stato possibile dimostrare che il suo tempo fosse stato dedicato ad attività diverse, non compatibili con quelle lavorative, in misura tale da escludere la prestazione oraria.

La dipendente, quindi, è uscita vittoriosa anche dal giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, che ha confermato che il licenziamento intimato dalla società fosse privo di giusta causa.

Fonte: Brocardi.it



La questione morale in un Paese alla deriva

Non possiamo non essere d’accordo con chi sostiene che i doveri generali dei cittadini verso lo stato siano principalmente tre:

  • il rispetto delle leggi e delle autorità
  • il dovere di pagare i tributi
  • il dovere di difesa della patria (da nemici interni o esterni).

E’ evidente che il non rispettare le leggi significa impedire la sicurezza e la prosperità dello Stato, poiché cessa il bene comune quando le azioni dei cittadini non sono più armonicamente coordinate a conseguire lo scopo sociale (automaticamente si deve rispetto anche alle autorità, cioè agli uffici che curano l’esecuzione delle leggi).

I tributi devono considerarsi come il corrispettivo dei vantaggi che tutti i cittadini ricavano dallo Stato; è necessario che ognuno paghi le imposte stabilite affinché l’autorità pubblica possa adempiere ai suoi uffici e provvedere a tutte le opere di pubblica utilità.

I cittadini hanno il dovere di intervenire alle elezioni e di scegliere i rappresentanti tra le persone competenti ed oneste, che abbiano voglia e tempo per consacrarsi all’amministrazione pubblica. Gli elettori politici devono accorrere alle urne e non coprire la propria pigrizia ed indifferenza con le solite parole che un voto più o meno non fa nulla; dovremmo tutti votare deputati persone che, per capacità, moralità e dignità civile siano degne di sedere nel Parlamento, persone, cioè, che mettono innanzi alle questioni di partito l’interesse dei cittadini e vogliono esercitare l’ufficio di deputato per il bene comune e non per ambizione o interesse personale; persone, quindi, che devono avere il coraggio civile di resistere alle beghe elettorali, di dare i loro voti a governi  meritevoli.
I deputati e senatori, che sono chiamati a discutere le leggi ed a regolare i grandi interessi materiali e morali della nazione, devono assiduamente intervenire alle sedute, ponderare i bisogni dello Stato, per vedere con quali mezzi il Parlamento possa provvedere, studiare le questioni e nelle discussioni esporre con franchezza la propria opinione, devono votare secondo la propria coscienza, mettendo da parte gli impicci di partito e gli interessi personali, non astenersi dalle votazioni in aula per non avere fastidi o per vigliaccheria. Chi non si sente capace di tanto dovrebbe avere la lealtà di rinunciare all’incarico, piuttosto che non esercitarlo ovvero esercitarlo in modo riprovevole. Il dovere di tutti i funzionari dello Stato, dal più alto al più umile, si riassume in questo: esercitare secondo coscienza le cariche dello Stato in maniera che sia raggiunto lo scopo per il quale la carica è stata loro affidata, ossia per il bene pubblico.

Purtroppo, prendiamo atto che il politico tende ad avere una doppia coscienza, una usata per giudicare le azioni private e l’altra per giudicare le azioni pubbliche. Si diventa non poco scrupolosi nell’adempimento di questioni private e non si guarda poi tanto per il sottile allorché si tratta di esercitare una carica pubblica, che essi oramai considerano più che altro come mezzo del proprio benessere. Questo per dire che ci si salva nella gestione domestica, ma si diventa pessimi cittadini nella gestione pubblica. Tutto deriva dalla cattiva educazione civile, per la quale non si considera che nell’uomo non si può separare la condizione di individuo da quella di cittadino e l’obbligo di perfezionare se stesso dal dovere di adoperarsi ugualmente al bene dei concittadini e dello Stato in generale.
Forse non sbaglia chi sostiene che possiamo additare il dovere d’ogni pubblico ufficiale allo Stato sostenendo che la carica pubblica è il modo pratico e concreto di adoperarsi per il bene della nazione. Sempre più spesso sentiamo parlare in Italia di questione morale dei partiti politici e di assenza di ogni morale da parte della gran parte dei nostri politici, con giudizi estremi carici di rabbia e di risentimento. Ma siamo sicuri di avere le idee chiare su questo delicato campo?

Forse la prima cosa da fare è riflettere su che cosa è (o dovrebbe essere) l’atto morale. Per cercare di avere una maggiore luce nella nostra mente,  proviamo a porci la seguente semplice domanda:  In che consiste l’atto morale?

Possiamo cominciare con l’osservare che le azioni materialmente prese, ossia considerate isolatamente (in se stesse) sono neutre: non sono né morali, né immorali; essi diventano tali in quanto si riferiscono ad altri individui ai quali possono giovare o nuocere. Quindi, la moralità di un’azione dipende, in primo luogo, dalla conformità ad un diritto altrui e, poiché il diritto, sia di un individuo sia di una società, in generale è protetto da una legge, possiamo affermare che la moralità dipende dalla conformità alla legge. Ma forse non basta solo una azione; probabilmente opera anche la volontà del soggetto operante.
In sostanza, affinché una azione possa dirsi morale o immorale è necessario che derivi dalla spontaneità dell’individuo (da una azione cosciente e volontaria): è l’intenzione che guida il soggetto ad operare. Quindi, a costituire l’atto morale entrano elementi oggettivi e soggettivi: l’elemento oggettivo è  indipendente dal soggetto ed è il rapporto tra l’azione e la legge della società civile; l’elemento soggettivo è la coscienza dell’opera. Entrambi sono necessari a costituire i fatti morali e da ciò nascono l’imputabilità della responsabilità dell’uomo. E’ imputabile una azione quando si deve ascrivere a chi l’ha commessa, quando, cioè è volontaria ed è volontaria quando l’uomo, avendo coscienza di ciò che opera, si determina a fare certi atti per conseguire un fine previsto e stabilito.
Tutto questo per poter affermare che uno degli elementi che costituiscono l’onestà di un atto è la conformità alla legge, la quale come regolatrice di costumi, chiameremo legge morale. Ora, è utile farsi una seconda domanda, ossia chiediamoci: ma, in che consiste la legge morale?

Il fine dell’uomo è il bene dell’individuo in armonia con il bene della società. L’uomo sente la necessità morale di governare le proprie azioni in maniera che ne derivino il bene proprio e il bene altrui. Quindi, ciò che si dice legge morale, noi lo possiamo definire come la necessità di governare le nostre azioni in maniera che il bene individuale sia in armonia con il bene degli altri. Da ciò deriva che la società umana deve difendersi da coloro i quali possono riuscire pericolosi all’esistenza ed al benessere sociale e ciò essa la fa punendo i colpevoli attraverso una Sanzione, la quale è un ufficio di repressione del reato. In pratica, la società si muove come ogni essere vivente, che guidato dall’istinto guida di conservazione si difende contro chi minaccia la propria esistenza.

E’ evidente che per avere la sanzione abbiamo la necessità delle leggi positive o civili, cioè di alcuni obblighi che l’autorità sociale impone al cittadino; obblighi i quali hanno per scopo di regolare le azioni di cittadini in maniera che ciascuno possa esercitare i propri diritti per il bene proprio e per il bene sociale. Come gli individui hanno costituito le famiglie, così le famiglie riunendosi insieme, per un interesse comune, hanno dato origine ad un’altra aggregazione che possiamo definire come la società civile, la quale è l’unione di più famiglie (e città) soggetta alla medesima autorità e regolata dalle stessi leggi.

La necessità della società civile è dimostrata dal bisogno dell’uomo, il quale ha riconosciuto che la famiglia non era sufficiente al perfezionamento umano e che la civiltà può essere solo il risultato dello sforzo comune di grandi consorzi, nei quali ciascuno, con mezzi differenti e coordinati, intente al bene comune (pensiamo alla divisione del lavoro). L’umanità si perfeziona quando in quei grandi consorzi, che si dicono società civile o politica, i cittadini attendono a cose diverse. Passiamo, ora, a porci una terza domanda, ossia, ci chiediamo: ma che cosa è la società civile?

Essa è un consorzio perenne di uomini, donne, famiglie e città che vivono sotto leggi comuni. Risalendo alle origini del genere umano, vediamo che: il bisogno della propagazione della specie ha costituito la società coniugale, la necessità di allevare la prole ha condotto l’uomo alla società domestica, poi, l’aumentare della famiglia e la molteplicità dei matrimoni, la necessità di dividere il lavoro nei terreni, hanno reso più complessi i consorzi umani che si sono raccolti in società patriarcale, in cui più famiglie vivevano insieme sotto la dipendenza della famiglia madre.
La società patriarcale era formata di soli parenti e gli uomini e le donne lavoravano per loro stessi, per i figli e per i nipoti, ma le esigenze di produzione di maggiori alimenti portarono alla formazione delle proprietà collettive su grandi estensioni di terreni, i quali venivano suddivisi e lavorati da varie famiglie, che si unirono in tribù. Queste tribù dovettero governarsi o per federazione di padri di famiglia, formando una specie di aristocrazia, o per mezzo di un capo supremo eletto tra i guerrieri più forti.
Dalle tribù è breve il passaggio alla nazione, che possiamo definire l’insieme di tutti quegli uomini che hanno in comune la lingua, le tradizioni e la patria (ossia, il territorio nel quale si svolge la vita della nazione). Alla società civile occorre un potere supremo, ossia, un’autorità sovrana a cui dovranno sottostare tutti i cittadini e questo potere si concretizza nel governo, il quale è il mezzo con il quale la società civile regola e garantisce l’esercizio della libertà dei cittadini.  Il governo deve limitarsi alle azioni civili, vale a dire agli atti dell’uomo come cittadino, senza intromettersi nelle azioni private, che non riguardano affatto la convivenza sociale.

Ciò che più importa per il retto funzionamento di un governo rappresentativo è che si determinino le attribuzioni di ciascuno dei tre poteri dello Stato in maniera che nessuno possa invadere il campo dell’altro.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti




Presentazione dei risultati raggiunti nel 2023 da AdER e AdE e prospettive future

3 - Fisac Cgil

“Ruolo scomodo ma necessario per il Paese”

Cosi è stata definita l’attività svolta da entrambe le Agenzie che nel corso del 2023 ha superato del 22% i risultati raggiunti nel 2022.
In particolare il totale del riscosso in Ader è stato superiore di 4 miliardi di euro rispetto al 2022, superando così anche i risultati raggiunti nel periodo ante pandemia.

E’ stato più volte sottolineato l’impegno profuso dal personale che con professionalità e dedizione ha consentito di raggiungere questi importantissimi risultati attraverso i quali è stato possibile recuperare risorse utili a favore di tutti i cittadini. A tutte le lavoratrici ed i lavoratori sono andati i ringraziamenti sia del Ministro Giorgetti che del Direttore Ruffini.
Il Direttore ha inoltre annunciato il piano triennale di assunzioni (2024-2026) che verrà attuato in Ader e che prevede l’ingresso di 1500 lavoratrici e lavoratori, accogliendo così favorevolmente le richieste più volte avanzate dalle scriventi Segreterie per far fronte alle crescenti e quotidiane difficoltà dei colleghi.

Cogliamo positivamente il segnale che oggi è arrivato al Settore e che ci consente di guardare al futuro con maggiore serenità.

Roma, 5 febbraio 2024

 

Le Segreterie del Settore della Riscossione




Si sblocca il bonus mamme. A chi spetta e in cosa consiste. E perché ci lascia perplessi.

Dopo vari intoppi nell’introduzione dello sgravio per le lavoratrici madri, in ultimo il mancato arrivo di una circolare Inps, ora il documento necessario è stato emanato.
L’ente previdenziale giovedì 1 febbraio ha pubblicato la circolare per rendere operativo il cosiddetto “bonus mamme” previsto dalla legge di Bilancio, che in via sperimentale per il 2024 prevede l’esonero contributivo fino a 3mila euro per le lavoratrici madri di due figli fino al decimo anno del più piccolo. Il ritardo nell’emanazione è stato provocato dalla necessità di alcune verifiche sulla base della normativa sulla privacy, per quanto riguarda l’opportunità di valutare un rapporto più diretto con le aziende accedendo ai codici fiscali dei dipendenti.

Dopo l’approfondimento sulla gestione del trattamento dei dati e un confronto con il Ministero del Lavoro, l’istituto ha quindi lavorato per la sburocratizzazione delle procedure: per agevolare l’accesso alla misura, si legge nella circolare, le lavoratrici assunte a tempo indeterminato possono comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero in argomento, rendendo noti al medesimo datore di lavoro il numero dei figli e i codici fiscali di due o tre figli. Con la comunicazione dei dati dal datore di lavoro all’INPS e i successivi controlli scatterà l’erogazione del bonus. La lavoratrice può anche comunicare direttamente all’Istituto le informazioni relative ai codici fiscali dei figli.

Il bonus era previsto già dal 1 gennaio, sebbene la norma sia stata approvata il 30 dicembre. A gennaio dunque le lavoratrici non hanno ricevuto in busta paga l’importo relativo, che arriva a un massimo di 250 euro al mese. Chi ne aveva diritto già dal primo mese dell’anno recupererà l’importo dovuto.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

IN COSA CONSISTE IL BONUS?

Tra le misure dedicate alla famiglia stanziate dal governo per il 2024 c’è anche il cosiddetto “bonus mamme“. Si tratta, più correttamente, di uno sconto totale – fino a 3mila euro annui – sui contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri dal secondo figlio in poi.

Il bonus mamme rappresenta una decontribuzione del 9,19% dello stipendio complessivo, corrispondente alla quota di contributi che la madre lavoratrice dovrebbe pagare per il contributo IVS nel settore privato e il contributo FAP nel settore pubblico.

Lo sconto viene riconosciuto alle mamme lavoratrici con almeno due figli, che sono dipendenti pubbliche o private e che sono titolari di contratto a tempo indeterminato (anche part-time).

Dal bonus sono così escluse le madri di un solo figlio (anche se disabile), le lavoratrici domestiche, le pensionate, le lavoratrici a tempo determinato, le libere professioniste, le disoccupate e anche le collaboratrici occasionali.

La durata del beneficio varia in base al numero di figli e alla loro età: per le madri con due figli, l’agevolazione spetta fino al compimento dei 10 anni da parte del figlio più piccolo e solo per il periodo di paga dall’1 gennaio al 31 dicembre 2024.

Per le mamme con tre o più figli, invece, il beneficio vale dal 2024 al 2026 fino a quando il figlio più piccolo raggiunge i 18 anni.

Si ricorda, infine, che tra le altre misure in sostegno della famiglia per il 2024 ci sono anche il mese di congedo parentale retribuito all’80% per i genitori e un ulteriore mese utilizzabile dalla madre o dal padre entro i 6 anni di vita del figlio, retribuito al 60%. È stato inoltre incrementato il fondo per gli asili nido a 240 milioni di euro.

Fonte: tg24.sky.it


LE CRITICITÀ 

LA MANCANZA DI COPERTURE

Dare un sostegno economico alle famiglie è sicuramente una decisione positiva. Ma se, come ha detto la Meloni, lo Stato paga i contributi previdenziali alle mamme per premiare il loro “importante contributo alla società”, questo vuol dire andare ad accollare ulteriori debiti all’INPS, che finiremo per pagare tutti sotto forma di tagli alle pensioni o aumenti dell’età pensionabile.

Se si vuole dare un sostegno alle famiglie bisogna prendere i soldi dove stanno: cioè nelle tasche degli evasori, che invece il governo corteggia in tutti i modi.

L’EFFETTIVA UTILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

La domanda che dovremmo porci è se questo bonus porterà un aumento delle nascite. Anche se il governo rifiuta di ammetterlo, il motivo del calo demografico è da ricercarsi nella precarietà e negli stipendi bassi: come può una coppia pensare di avere un figlio se ha grosse difficoltà a mettere un pasto in tavola?

Il bonus sembra andare in direzione opposta rispetto a questi problemi.
Vale solo per le lavoratrici a tempo indeterminato, nonostante le più deboli sul mercato del lavoro siano ovviamente le precarie, e riguarda una piccola minoranza delle occupate che in Italia sono al momento oltre 10 milioni. Stando alla relazione tecnica della legge di Bilancio le dipendenti private stabili con tre o più figli sono solo 110 mila. Quelle con due figli di cui uno sotto i 10 anni sono 569 mila.
Le lavoratrici con redditi sotto i 35 mila euro, va ricordato, già godono dell’esonero parziale del cuneo fiscale previsto per tutti i dipendenti, e quindi beneficeranno solo in parte del bonus.

MOSSA ELETTORALE?

Lo sgravio è di un solo anno per chi ha due figli, tre anni per le mamme che ne hanno tre o più. Sicuramente una durata insufficiente a spingere una coppia a fare un figlio in più. Volendo pensare male, non possiamo fare a meno di notare che viene varato nell’anno in cui si svolgono le elezioni europee.




Storica sentenza a Firenze su origine professionale stress lavoro-correlato

Dalla Corte d’appello riconosciuto la “costrizione lavorativa” come causa esclusiva di malattia professionale dopo ricorso dei legali del Patronato INCA CGIL


Un’importante sentenza apre la strada per il riconoscimento dell’origine professionale dello stress lavoro correlato. La pronuncia (n. 559 del 21 settembre 2023) è della Corte d’appello di Firenze che, accogliendo un ricorso promosso dai legali di Inca, ha infatti riconosciuto la “costrizione lavorativa” come causa esclusiva di malattia professionale. “Finalmente qualcosa si sta concretamente muovendo verso la giusta tutela di quella che la comunità scientifica ha iniziato a definire come la ‘malattia del secolo‘”, è il commento del Patronato della Cgil.

Gli ambienti di lavoro non sempre rispondono ai bisogni dei lavoratori in termini di benessere: molto spesso – spiega in una nota l’Inca – sono presenti fattori di pressione legati a un eccessivo carico e a ritmi insostenibili che, nel lungo termine, possono avere conseguenze negative sulla salute dei lavoratori”. Tra le problematiche maggiormente lamentate rientrano le malattie psicosomatiche, disturbi del sonno, ansia e depressione che causano disarmonia fra sé stessi e il proprio lavoro, conflitti fra il ruolo svolto in azienda e al di fuori di essa e un grado insufficiente di controllo sulla propria attività.

Alcuni dei rischi che si sono rivelati più nocivi per la salute psichica dei lavoratori sono rappresentati dalla intensità e da orari di lavoro, ma anche dalle condizioni ambientali (rumorosità, escursioni termiche, posture viziate ecc.); fattori che rappresentano un’altra importante sfida per la sicurezza e per la salute nei luoghi di lavoro. È importante sottolineare che la valutazione dello stress lavoro-correlato è parte integrante e fondamentale del Documento di valutazione dei rischi (dvr) e deve quindi essere effettuata da tutte le aziende che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. 81/2008.

Il caso esaminato in giudizio, spiegano da Inca Cgil, riguarda appunto un lavoratore della grande distribuzione (gdo) con ruolo dirigenziale da oltre 20 anni che, a seguito di reiterate vessazioni, pressioni e contestazioni disciplinari, messe in atto dai suoi superiori e protrattesi per oltre un anno, ha iniziato a manifestare disturbi psichici che lo hanno costretto a lunghi periodi di malattia. Da qui la decisione del lavoratore di rivolgersi all’Inca Cgil di Pisa per avviare la richiesta di riconoscimento del nesso causale; in fase amministrativa però, nonostante le evidenti condizioni di stress cui era stato sottoposto sul posto di lavoro, l’Inail ha ritenuto di dover rigettare la domanda. È stato pertanto necessario adire le vie legali e, grazie all’avvocato Marco Canapicchi, convenzionato con il patronato Inca Cgil, si è arrivati alla sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Pisa accoglieva le ragioni del lavoratore riconoscendo l’origine occupazionale della patologia.

Il dispositivo della sentenza è stato successivamente confermato anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Firenze che, poiché non è stato impugnato dall’Inail, ha reso definitivo il riconoscimento giudiziario.

Come Inca Cgil -commenta Sara Palazzoli del collegio di presidenza – riteniamo fondamentale questa sentenza che rappresenta un grande passo in avanti per l’emersione dello stress- lavorativo come causa di danno cronico alla salute. Quanto deciso dai giudici di merito di primo grado e secondo grado conferma che lo stress derivante dall’organizzazione del lavoro e dalle condizioni ambientali ad esso collegate hanno conseguenze negative per la salute dei lavoratori. Lo stress può anche influire sull’attenzione del lavoratore durante lo svolgimento delle sue mansioni e quindi aumentare il rischio di infortuni. I danni da lavoro che ne derivano sono ancora ampiamente sottostimati e spesso sono confusi con una qualsiasi malattia comune tutelata da Inps; il che espone i lavoratori ad affrontare enormi difficoltà per l’ottenimento delle tutele di Inail“, spiega ancora.

Noi, come Patronato ci adoperiamo – continua Palazzoli – affinché i lavoratori si rendano conto dell’importanza di attenzionare il loro benessere psicologico e in caso di necessità o di dubbi, occorre rivolgersi all’Inca Cgil che, con l’aiuto di medici specialisti convenzionati, è in grado di assicurare un’adeguata assistenza medico legale e legale, ed avviare l’eventuale percorso per il giusto riconoscimento del danno da parte di Inail”.

Su questo specifico tema, il Patronato Inca Cgil è da tempo impegnato e ha anche attivato una collaborazione con l’Università Cattolica di Roma per l’emersione dello stress lavoro-correlato, con il fine di mettere in campo la giusta tutela per chi si ammala di questa patologia, che pare essere un po’ ‘figlia del nostro tempo’.

 

Fonte: Adn Kronos