Spegniamo quel cellulare!

“Non ce la faccio più: VOI del Sindacato dovete fare qualcosa!”

(Sul VOI torneremo più avanti).

Sempre più spesso ci sentiamo rivolgere richieste accorate simili a questa da parte di lavoratrici e lavoratori esasperati da pressioni commerciali ogni giorno più pesanti e invasive.
Sappiamo quanto la questione incida sulla qualità di vita delle persone, contribuendo anche a minare la loro autostima a causa di atteggiamenti studiati ad arte per sminuirle e farle sentire inadeguate se non raggiungono obiettivi sempre più “sfidanti”.

Questi comportamenti sono difficili da contrastare con i mezzi a nostra disposizione, anche se con molto impegno riusciamo ad arginarli. E qualche volta otteniamo risultati positivi.
È il caso del diritto alla disconnessione, che siamo riusciti a vederci riconosciuto dalle Banche. E non è stata una conquista facile.

Sono sempre più numerosi i lavoratori e le lavoratrici che vengono dotati di smartphone aziendali. E sappiamo che spesso i nostri superiori, presi dall’ansia da prestazione (o, più prosaicamente, dal timore di vedersi sfuggire i loro ricchi premi), non si preoccupano di mandare messaggi o email a qualsiasi ora del giorno, e magari anche nel fine settimana.

Non riusciamo ad impedirgli di mandarli, ma abbiamo tutto il diritto di non leggerli se non una volta rientrati al lavoro.

L’Art. 44 del CCNL ABI prevede infatti quanto segue:

Fuori dell’orario di lavoro e nei casi di legittimi titoli di assenza non è richiesto alla lavoratrice/lavoratore l’accesso e connessione al sistema informativo aziendale; la lavoratrice/lavoratore potrà disattivare i propri dispositivi di connessione evitando così la ricezione di comunicazioni aziendali. L’eventuale ricezione di comunicazioni aziendali nelle predette situazioni temporali non vincola la lavoratrice/lavoratore ad attivarsi prima della prevista ripresa dell’attività lavorativa. Restano ferme eventuali specifiche esigenze.

Tradotto in termini pratici: quando si esce dal lavoro il telefonino aziendale si può spegnere. Ed è molto, molto importante che venga effettivamente spento.

Per spiegare le ragioni per cui è così importante, cominciamo ad esaminare i motivi per cui spesso il telefono rimane acceso 24 ore al giorno.

 

E SE ARRIVA UNA COMUNICAZIONE URGENTE?
Per quanto si tenda a farci credere il contrario, per nostra fortuna nel nostro lavoro non esistono urgenze (ad eccezione di fatti davvero eccezionali come i terremoti degli ultimi anni o il lockdown per il Covid). Non abbiamo incendi da spegnere, né malati gravi da curare. Qualunque comunicazione dovesse partire di venerdì sera può essere tranquillamente letta il lunedì mattina, senza che questo danneggi nessuno.

 

SE SCATTA L’ALLARME E MI CHIAMANO PER ANDARE IN FILIALE?
E’ bene fare chiarezza su questo punto. I Titolari di filiale, o i loro vice, non hanno alcun obbligo di rispondere a telefonate fuori orario, né sono tenuti a recarsi in filiale in caso di problemi tecnici, a meno che non ci sia una specifica richiesta di reperibilità da parte aziendale. E se questo avviene, la reperibilità prevede il pagamento di un’indennità mensile ed una turnazione: nessuno può essere reperibile 365 giorni all’anno. Quindi il Titolare di filiale ed il suo vice hanno tutto il diritto, garantito dal CCNL, di spegnere il telefonino aziendale e non essere raggiungibili in caso di chiamate per problemi tecnici. Spetta alla Banca attrezzare una task force di tecnici pronti ad intervenire, con reperibilità adeguatamente retribuita.

 

SE IO SPENGO IL TELEFONINO IN SERATA, POI LA MATTINA DOPO LO RIACCENDO E DEVO LEGGERE TUTTE INSIEME LE COMUNICAZIONI ARRIVATE NEL FRATTEMPO. CHE CI GUADAGNO?
La serata. O il fine settimana. O i giorni di vacanza. Ci guadagno qualche ora di serenità, da dedicare alla famiglia, agli amici o alle cose che mi piacciono, potendomi permettere una pausa durante la quale le ansie legate al lavoro vengono temporaneamente dimenticate.
Non è un guadagno importante?

 

IN FONDO SI TRATTA DI UNA MIA SCELTA. PERCHE’ NON POSSO TENERLO COMUNQUE ACCESO?
E qui arriviamo al VOI citato nella frase iniziale. Ottenere il riconoscimento di un diritto, come quello alla disconnessione, non è mai facile. Ma, soprattutto, un diritto non è mai acquisito per sempre. E l’unico modo per mantenerlo è esercitarlo. Ecco perché non avvalersi dell’opportunità prevista nel contratto finisce col togliere valore a quella conquista, e toglie forza e legittimazione al Sindacato in vista di future lotte.
Perché un concetto dev’essere chiaro: il Sindacato non è un soggetto estraneo. E’ fatto da lavoratori e lavoratrici che rappresentano altri lavoratori, e altre lavoratrici. E sono loro, con i loro comportamenti, a decidere se dare forza al Sindacato, e quanta forza dargli. Non si può rivolgersi al sindacato dandogli del Voi: NOI dobbiamo fare qualcosa. Tutti insieme.
Per questo motivo la scelta di non esercitare un diritto che si è conquistato non riguarda la singola persona, ma tutte le lavoratrici e i lavoratori interessati.

 

E quindi: spegniamo quel cellulare!
Facciamolo per noi. Ma anche per tutte le persone che lavorano con noi.




Piattaforma CCNL BCC: Abruzzo e Molise approvano all’unamità

Si sono concluse le assemblee nelle BCC di Abruzzo e Molise, dedicate all’illustrazione e alla votazione della piattaforma contenente le richieste da presentare alla controparte per il rinnovo del CCNL.

Particolarmente significativo il dato della partecipazione alle assemblee: a prendervi parte sono stati 371 lavoratori e lavoratrici, pari a quasi il 79% del totale.

Le assemblee hanno visto le nostre regioni esprimersi con voto unanime a favore delle proposte illustrate dalle OOSS. A questo punto, una volta completate le assemblee in tutta Italia, la piattaforma diventerà l’elenco ufficiale delle rivendicazioni da presentare alla controparte e potranno entrare nel vivo le trattative per il rinnovo del CCNL.

Vi terremo informati degli sviluppi.

 


Qui trovi l’elenco delle assemblee effettuate

BCC: il calendario delle assemblee per la piattaforma del CCNL




CCNL ABI: concluse le assemblee in Abruzzo e Molise.

12 assemblee di piazza, oltre 1.300 partecipanti, voti favorevoli al 99,55%


 

Si è concluso il giro di assemblee per la consultazione dei lavoratori del settore ABI in merito all’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCL ABI sottoscritta lo scorso 23 novembre.

Le assemblee svoltesi nelle nostra due regioni hanno dato una risposta molto forte: il contratto ha ricevuto il 99,55% di voti favorevoli ed uno 0,45% di voti contrari.

A breve si concluderanno le ultime assemblee in corso su tutto il territorio nazionale. Se, come pare scontato, il voto nazionale confermerà l’andamento di quello locale, si potrà sciogliere la riserva e il nuovo contratto diventerà pienamente operativo.


 

Qui trovi l’elenco delle assemblee effettuate

Al via le assemblee per l’approvazione del contratto ABI. Tutte le date




Ex Tercas, nuovi rimborsi in arrivo

Continuano le sentenze favorevoli agli azionisti che hanno perso i loro risparmi a causa della vendita con modalità ingannevoli di azioni dell’ex Tercas. L’ultima decisione del Tribunale di Teramo estende anche agli eredi il diritto al risarcimento.

Se n’è occupato il TG3 Abruzzo in questo servizio andato in onda il 22/3/2024, nel quale interviene anche il Segretario Regionale Fisac Abruzzo Molise, Luca Copersini.

 




Un Governo miope di fronte alla disoccupazione strutturale

Se ci chiediamo perché la produzione del 2023 è molto più alta di quella realizzata nel 1923 possiamo con facilità rispondere sostenendo che oggi noi possiamo produrre molto di più, perché abbiamo a nostra disposizione più capitale reale, più persone, più fonti di energia e, soprattutto, una tecnologia avanzata ed una divisione del lavoro settoriale ed internazionale evoluta. Negli ultimi cento anni, non vi è stato solo un accrescimento quantitativo dei fattori di produzione, ma principalmente un miglioramento qualitativo. Non vi è dubbio che oggi abbiamo a nostra disposizione beni capitali molto sofisticati, perché il progresso tecnologico si è in parte concretizzato nella creazione di nuove specie di beni, sia di consumo, che di produzione (pensiamo, ad esempio, ai robot ed alle intelligenze artificiali).

Ora la capacità produttiva di un paese dipende in generale dalla quantità e dalla qualità dei fattori di produzione, dal grado di divisione del lavoro, dal livello della conoscenza tecnologica e della sua applicazione. La quantità di lavoro disponibile è influenzata dalla crescita della popolazione ed esso rappresenta un fattore di offerta nella misura in cui concorre a determinare la capacità produttiva.  Purtroppo, nel processo di crescita non conta solo la quantità, ma anche la qualità del lavoro; questo significa che l’evoluzione della istruzione e della formazione professionale può essere considerata, dal punto di vista economico, come un grande investimento in capitale umano, e questa è la politica da seguire per costituire uno dei metodi più efficaci per assicurare la crescita del reddito nazionale nel lungo periodo. E’ evidente che il progresso tecnico si riferisce alle modificazioni che hanno luogo nell’utilizzazione dei fattori di produzione (ossia il lavoro ed il capitale) che permettono di ottenere una maggiore produzione oraria per addetto; occorre, però, aggiungere che il progresso tecnico genera miglioramenti qualitativi oltre che quantitativi, come risulta evidente se consideriamo il grande numero di prodotti nuovi che sono stati creati.

Ora, quanto abbiamo appena messo in chiaro, ci consente di giungere ad una definizione più ampia di progresso tecnico intendendo per esso tutte le innovazioni che portano ad una modificazione dei modi e dei tempi di produzione. Da qui deriva la necessità di esaminare con particolare attenzione i rapporti che intercorrono tra il progresso tecnico e il livello di occupazione. Ricordiamo con interesse che nel quadro teorico sviluppato da Carlo Marx il progresso tecnico avrebbe prodotto una elevata disoccupazione, ossia la progressiva sostituzione di capitale (più produttivo grazie allo sviluppo tecnologico) al lavoro e avrebbe, secondo Marx, provocato il licenziamento di un numero sempre maggiore di lavoratori. A questo proposito, anche per comprendere meglio quanto accade oggi intorno a noi, bisogna imparare a saper distinguere tra questo tipo di disoccupazione (quella attuale che a noi interessa) e la disoccupazione ciclica, per capirci quella di cui amava parlare l’economista John Maynard Keynes. Ora, nel caso della disoccupazione ciclica l’insufficienza della domanda aggregata provoca sicuramente la sotto occupazione dei fattori produttivi (lavoro e capitale), ma, nel caso che si verifica nei nostri giorni con la presenza di un capitale tecnologicamente avanzato, la disoccupazione è causata dal licenziamento della manodopera dovuto proprio al progresso tecnico (si tratta, in termini economici, di una modificazione che ha luogo dal lato dell’offerta e che produce disoccupazione). Questa disoccupazione, che possiamo chiamare tecnologica, è un caso particolare di disoccupazione strutturale, che si manifesta violentemente nel nostro paese. La previsione di Marx secondo la quale il capitalismo, sotto la influenza del progresso tecnico, avrebbe comportato una diffusa disoccupazione non si era completamente realizzata nei secoli passati, in quanto il progresso tecnico, pur realizzando la riduzione della manodopera (e in altri casi la riduzione del capitale), con la produzione di nuovi beni capitali era riuscito, in una economia non globalizzata, ad assorbire una maggiore domanda di lavoro nel processo produttivo.  Ma oggi esplodono nuovi problemi (occupazionali) che derivano dalla riconversione e dalla presenza di una disoccupazione strutturale, in particolare in alcune regioni del mondo (come nel Mezzogiorno di Italia).

Comprendiamo che spesso fare una distinzione tra gli aspetti congiunturali e quelli strutturali non è facile, infatti non sempre è possibile tracciare un confine effettivo ma un buon Governo, per essere tale, dovrebbe prendere piena consapevolezza di questa sventura sociale che ha colpito il nostro paese, per prendere gli opportuni provvedimenti. In sostanza, in politica economica è necessario saper riconoscere gli aspetti congiunturali e strutturali per attuare i provvedimenti più efficaci. Un buon Governo, ripetiamo,  deve distinguere il tipo di disoccupazione con cui abbiamo a che fare oggi e non parlare di disoccupazione keynesiana che, ribadiamo, ha origine da una insufficienza della domanda aggregata.  Per dirla tecnicamente:  nel caso di cui noi ci dobbiamo interessare, l’accumulazione non è un evento capace di occupare tutti i lavoratori, perché tutto ciò che avviene non è causato da una domanda fluttuante, ma, deriva da un disequilibrio dal lato dell’offerta, con una disoccupazione che non è di tipo congiunturale, ma di tipo strutturale. Questo significa che in generale l’adozione di una politica del lavoro capace di attenuare le ripercussioni negative del progresso tecnico sull’occupazione richiede una visione di lungo periodo, particolarmente attenta alla evoluzione strutturale del sistema economico e la creazione di capitale associata all’industrializzazione attraverso le partecipazioni statali (aziende di Stato). E’ questa la giusta soluzione per ristabilire l’equilibrio sul mercato del lavoro e per assorbire le grandi quantità di lavoro inoccupato presenti nel paese. Siamo convinti che il male della disoccupazione congiunturale possa essere curato con vecchie ricette, come quelle che prevedevano un aumento della spesa pubblica con esecuzione di lavori pubblici (spesso improduttivi) da parte dell’amministrazione pubblica, per rimettere in circuito fattori di produzione stagnanti ma, nello stesso tempo siamo consapevoli che per affrontare il problema della disoccupazione strutturale occorre richiedere  una politica più orientata, che non miri tanto all’aumento delle spese ma, piuttosto alla eliminazione delle strozzature del sistema produttivo attraverso una politica selettiva di reindustrializzazione con aziende pubbliche.

In conclusione, non possiamo esimerci dal far presente che l’andamento della produzione nazionale, ossia l’aumento del PIL, non si riflette necessariamente in un aumento o in una diminuzione del benessere degli individui; noi siamo convinti che il benessere dipenda dal livello di soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi. Per esprimerci in maniera più chiara utilizziamo un banale esempio: se prendiamo in esame la scelta sempre più diffusa di aumentare la produzione lavorando il sabato e la domenica, in questo caso possiamo sostenere che l’incremento produttivo così realizzato costituisce solo un incremento nella produzione economica ma, per la nostra valutazione, avremo una crescita inferiore rispetto alla scelta di avere due giorni di vacanza in più, in quanto per noi il lavorare il sabato e la domenica riduce il benessere dei lavoratori e, quindi, della collettività. Questo per dire che, anche se in generale la produzione nazionale pro-capite è assunta come unico criterio per misurare la crescita, non bisogna attribuire a questo criterio un valore assoluto. A maggiore conferma, si considerino le ripercussioni negative sull’ambiente derivante dall’incremento delle produzioni; nell’ottica del benessere è infatti necessario esaminare anche le diseconomie esterne connesse all’incremento della produzione, come l’inquinamento dei fiumi, dovuto agli scarichi industriali, l’inquinamento atmosferico, il rumore e  la distruzione della natura in genere.

 

Antonello Pesolillo
Presidente Assemblea Generale Fisac Chieti 

 




C’è un clima di tensione che assomiglia a una strategia

Profonda preoccupazione e sconcerto”, le parole del rettore di Pisa Riccardo Zucchi interpretano benissimo il sentimento generale di fronte alle cariche della polizia contro un corteo di studenti giovanissimi che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza. E il direttore della Normale e la direttrice del Sant’Anna offrono, nel loro comunicato congiunto, l’unico possibile giudizio politico, affermando “che l’uso della violenza sia inammissibile di fronte alla pacifica manifestazione delle idee”.

La domanda è: perché? Dopo che cose assai simili sono successe alla Sapienza di Roma e nel campus universitario di Torino, è sempre più difficile credere che si tratti di una casuale catena di errori da parte di singole questure. Se si aggiungono le pessime dichiarazioni di ministri (come Casellati o Santanchè), che invece di condannare la repressione condannano i repressi, il quadro che ne esce è piuttosto fosco.

Chi ha interesse a incendiare le piazze italiane con un uso della violenza di Stato palesemente irresponsabile? O il ministro dell’Interno si assume la responsabilità di spezzare questa catena, o sarà legittimo credere che sia proprio il governo a volersi avvantaggiare di un clima di tensione che assomiglia sempre più a una strategia. La matrice ideologica del governo, e il fatto che la presidente del Consiglio si accinga a una campagna referendaria in cui chiederà di fatto pieni poteri per abbattere il sistema di garanzie democratiche della Costituzione antifascista non lasciano per nulla tranquilli.

Io davvero non vorrei unire i puntini tra la sproporzionata violenza della polizia in piazza e il progetto politico di Fratelli d’Italia, perché ne verrebbe fuori un’immagine terribile: ma se le cose continuano così, quei puntini si uniranno da soli.

 

Articolo di Tommaso Montanari sul Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2024




Come il governo ci sta rubando le pensioni

Uno degli argomenti che hanno portato la coalizione attualmente al governo a raccogliere voti determinanti per vincere le elezioni è lo sbandierato impegno al superamento della Legge Fornero. Fra le promesse quella di permettere a tutti di andare in pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi.

Cos’è rimasto in realtà di quelle promesse? A sentire i TG sono stati fatti grandi cambiamenti nel comparto previdenziale. E questo purtroppo è vero. Solo che siamo andati in direzione opposta a quanto era stato promesso.

Esaminiamo nel dettaglio come i provvedimenti adottati stiano cambiando in peggio le prospettive di chi è già in pensione e di chi aspira ad andarci in un futuro più o meno lontano.

 

QUOTA 103

Si tratta di un’opzione per andare in pensione in anticipo rispetto alla Legge Fornero, a patto di aver raggiunto i 62 anni di età e i 41 di contributi (quindi la somma dei due dati dà appunto 103). E’ l’evoluzione della quota 100, istituita nel 2019 proprio con la pretesa di superare la Legge Fornero. La norma si è poi evoluta in quota 102 e successivamente in quota 103. L’agevolazione scadeva il 31/12/2023, ma il governo l’ha prorogata estendendola al 2024.

Quindi una buona notizia? Lo sarebbe se non fosse che non si è trattato di una proroga, ma di un qualcosa di decisamente penalizzante rispetto alla preesistente quota 103. E questo il governo non si è preso la premura di spiegarlo.

In che modo è peggiorata?

  • Modalità di calcolo: dal 2024 il calcolo della pensione per chi aderirà a “Quota 103” sarà fatto interamente con il metodo contributivo, perdendo quindi la quota retributiva, decisamente più favorevole, relativa ai contributi versati fino al 1995. Questo comporta una riduzione della pensione mensile che può arrivare fino al 30-35% dell’importo complessivo.
  • Allungamento delle finestre d’uscita: le finestre mobili sono un escamotage introdotto per tardare il pagamento della pensione rispetto al momento dell’effettiva maturazione del diritto. Se fino al 2023 erano di 3 mesi per i lavoratori privati e di 6 mesi per i lavoratori pubblici, adesso i periodi diventano di 6 mesi per i privati e 9 mesi per i  pubblici. Un bancario che vuole accedere a quota 103 (ammesso che gli convenga) dovrà pertanto lavorare almeno per 41 anni e 6 mesi ed aver raggiunto almeno l’età di 62 anni e 6 mesi: in pratica una Quota 104 mascherata da Quota 103.
  • L’importo massimo della pensione: per chi aderirà a quota 103 è previsto che l’assegno pensionistico mensile non possa essere superiore a 4 volte il trattamento minimo (per il 2024 pari a 2.270 euro lordo). E questo per un bancario equiparrebbe a veder vanificati anni di versamenti contributivi.

OPZIONE DONNA

E’ un’opzione per il pensionamento anticipato riservata alle donne che al 31/12/2023 abbiano totalizzato almeno 35 anni di contributi e 61 di età. Il conteggio viene effettuato interamente con il metodo contributivo: questo comporta, considerando l’età anticipata rispetto alle opzioni della Legge Fornero, una penalizzazione molto pesante per le lavoratrici che dovessero farvi ricorso.
In effetti i limiti di età e di anzianità contributiva indicati sono da maggiorare in modo significativo per effetto delle finestre: 12 mesi per le lavoratrici dipendenti, 18 per le autonome.

In che modo è peggiorata?

  • Limitazione requisiti: il governo ha limitato l’accesso a Opzione Donna a casistiche molto specifiche, escludendo tutte le lavoratrici che non presentano i requisiti richiesti:
    • caregiver
    • invalide dal 74%
    • licenziate o dipendenti aziende con tavolo di crisi aperto

Il requisito anagrafico viene scontato di un anno per ciascun figlio con un massimo di due anni.
Entro il 31.12.2023, le lavoratrici caregivers e invalide almeno al 74%, possono accedere al trattamento pensionistico con la maturazione di 35 anni di contribuzione e l’età anagrafica di:

  • 61 anni se senza figli
  • 60 anni se con 1 figlio
  • 59 anni se con 2 o più figli

Le lavoratrici licenziate o dipendenti da aziende in crisi, devono aver perfezionato 35 anni di contribuzione e 59 anni di età, indipendentemente dal numero dei figli.

La Cgil calcola che, a seguito delle penalizzazioni nel calcolo e dei requisiti previsti, nel 2024 saranno solo 250 le donne che riusciranno ad utilizzare questa opzione. Che quindi è stata sostanzialmente abrogata, nonostante sia formalmente prorogata.

 

APE SOCIALE

L’Ape sociale è una forma di anticipo pensionistico. Consiste in un’indennità che spetta fino al conseguimento dei requisiti di età e di contribuzione necessari alla pensione di vecchiaia, destinata ad alcune categorie di lavoratrici e lavoratori che si trovano in particolari condizioni.

  • invalidi 74%, caregiver, disoccupati con almeno 30 anni di contribuzione
  • lavoratori addetti a mansioni gravose con almeno 36 anni di contribuzione
  • lavoratori edili e ceramisti con almeno 32 anni di contribuzione

Per le donne un anno in meno di contribuzione per ogni figlio, con riduzione massima di 2 anni.

In che modo è peggiorata?

  • Innalzamento età minima: l’età minima per acedere all’Ape Sociale viene elevato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.

 

PENSIONE ANTICIPATA

E’ forse il simbolo delle promesse mancate da parte della Lega e di Salvini, che prometteva il superamento della Legge Fornero attraverso l’introduzione di “Quota 41” per tutti. In realtà le soglie previste dalla Legge Fornero non sono state modificate, saranno anzi peggiorate a partire dal prossimo anno.

In che modo è peggiorata?

  • Ripristino adeguamento all’aspettativa di vita: la norma prevede che i requisiti di anzianità contributiva attualmente prevista, pari a 41 anni e 10 mesi per le donne e un anno in più per gli uomini, debbano annualmente essere aggiornati adeguandoli all’aumento della vita media calcolato dall’ISTAT. Il governo Conte 1 sospese questo meccanismo fino al 31/12/2026. Il governo Meloni ha previsto che l’adeguamento torni ad essere calcolato a partire dal 2025. Tradotto in termini pratici, già dall’anno prossimo dobbiamo aspettarci un allungamento dei termini per la pensione anticipata.

 

ASSUNTI A PARTIRE DAL 1/1/1996

Parliamo di persone che lavorano ormai da oltre 25 anni, quindi non si può più riferirsi a loro come “giovani”. Sono quelli che nel nostro sistema pensionistico sono i più penalizzati, con la pensione calcolata interamente col metodo contributivo.

I requisiti anagrafici per ottenere la pensione sono i seguenti:

  • Pensione di vecchiaia: 67 anni di età con 20 mesi di contributi. E’ possibile accedervi solo se si è maturata una pensione pari almeno all’assegno sociale (€ 534,41 nel 2024).
  • Limite massimo per restare al lavoro: 71 anni di età con almeno 5 anni di contribuzione.
  • Pensione anticipata: 64 anni di età con almeno 20 anni di contribuzione. E’ possibile accedervi solo se si è maturata una pensione pari a 3 volte l’assegno sociale (per il 2024 € 1.603,23)

In che modo è peggiorata?

  • Aumento soglia contributiva minima: nel 2023 si poteva accedere alla pensione anticipata con un importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Nel 2024 tale soglia è stata portata a 3 volte l’assegno sociale. Considerando che per chi non ha avuto versamenti continuativi e contratti full time per tutta la sua vita lavorativa l’importo di € 1.603,23 lordi non è così semplice da raggiungere, si tratta per tante persone di un aumento mascherato dell’ età pensionabile. La soglia resta a 2,8 volte l’assegno minimo per le donne con un figlio, scende a 2,6 volte per le mamme di due o più figli.
  • Adeguamento all’aspettativa di vita: anche per le pensioni calcolate con il metodo contributivo si introduce l’adeguamento all’aspettativa di vita per il requisito dei 20 anni di contribuzione.

Per comprendere le storture di questo meccanismo, che sarebbe stato importante correggere, facciamo un esempio.

Un dirigente d’azienda, con retribuzione mensile di € 5.000, lavorando solo 20 anni arriverà all’età di 64 anni a maturare una pensione di € 1.650 mensili. Essendo superiore alla soglia di € 1.603,23 potrà scegliere di andare in pensione.
Una persona addetta alle pulizie, che lavora per 40 anni con contratto part-time, a 67 anni avrà maturato una pensione di € 360 mensili. Non avendo raggiunto la soglia minima, dovrà lavorare fino ai 71 anni. Se dovesse morire prima di tale età, i suoi contributi saranno perduti: di fatto avrà fatto solidarietà a favore del manager che prendeva € 5.000.

 

PENSIONE DIPENDENTI PUBBLICI

Vengono riviste le modalità di calcolo della quota retributiva, relativamente alle pensioni anticipate di tutti coloro che alla data del 31/12/1995 avevano una contribuzione inferiore ai 15 anni. La misura si applica a coloro che effettuano i versamenti nelle seguenti gestioni:

  • CPDEL, enti locali,
  • CPS, sanitari,
  • CPI, insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate,
  • CPUG, ufficiali giudiziari.

Le nuove modalità di calcolo non si applicano a chi va in pensione per il raggiungimento del limite di età previsto dalla legge o dai regolamenti degli enti di appartenenza. Non si applicano a chi ha maturato i requisiti per la pensione anticipata al 31/12/2023, anche se sceglie di uscire più tardi.

In che modo è peggiorata?

  • Revisione tabelle: le nuove modalità di calcolo comportano tagli che possono arrivare fino al 20% dell’assegno pensionistico: si stima che un medico che ha iniziato a lavorare nel 1992 e percepisce uno stipendio lordo di € 50.000 possa arrivare a perdere fino a € 850 al mese.
  • Allungamento (di fatto) dei requisiti pensionistici: la norma prevede, solo per gli infermieri, la possibilità di ritardare l’uscita dal lavoro per avere uno “sconto” sul taglio. Per ogni mese di posticipo rispetto alla possibile uscita con pensionamento anticipato, la decurtazione verrà ridotta di 1/36°. Restando 3 anni in più al lavoro si azzerano i tagli.
    In definitiva, chi aveva promesso quota 41 per tutti, di fatto ha portato una specifica categoria alla quota 46.

Sebbene questa novità riguardi al momento il solo settore pubblico, l’ipotesi che in un prossimo futuro il governo possa pensare ad estendere il provvedimento anche ai lavoratori privati è tutt’altro che remota.

Già adesso ci vengono segnalati casi di bancari o bancarie con precedente contribuzione presso la P.A., che scoprono alla vigilia del pensionamento che la loro pensione subirà una decurtazione inattesa.
Consigliamo a chi si trovasse in questa situazione di rivolgersi ad un patronato Inca per verificare l’ammontare della loro pensione prima di accedere ad esodi incentivati.

 

INDICIZZAZIONE PENSIONI IN ESSERE

All’inizio dell’anno gli organi di stampa istituzionali hanno salutato con grande enfasi l’aumento delle pensioni per tutti, presentandolo come una generosa concessione del governo. In realtà, soprattutto in periodi di alta inflazione, è indispensabile che l’ammontare delle pensioni si adegui per evitare di ridurre la capacità di spesa dei pensionati.

Un adeguamento inferiore al tasso di inflazione equivale a sfilare i soldi dalle tasche delle persone che vivono di pensione.

E questo è esattamente ciò che il governo ha fatto.

In che modo è peggiorata?

  • Adeguamenti inferiori al costo della vita: l’adeguamento all’inflazione è stato mantenuto solo per i livelli più bassi (fino a € 2.271,76). Per i redditi più alti l’ammontare viene progressivamente decurtato. Per una pensione lorda superiore a € 2.839 (soglia che più o meno riguarda i lavoratori che escono dal settore bancario) l’adeguamento si riduce al 53% dell’effettivo aumento del costo della vita: come dire che ogni anno avranno qualche problema in più a riempire il carrello della spesa.
    La seguente tabella riepiloga le percentuali di effettivo recupero del costo della vita

Questo è il provvedimento più pesante tra quelli adottati dal governo: si tratta di un taglio sulle pensioni di oltre 3,5 miliardi per il solo 2024, interamente a spese dei pensionati, passato totalmente sotto silenzio da parte degli organi di stampa. Si calcola che in 10 anni il risparmio per le casse dello Stato sarà superiore ai 60 miliardi.

Lo ripetiamo: sono soldi che non arriveranno ai pensionati attuali e a quelli che usciranno nel frattempo.

 

PER CONCLUDERE

Abbiamo un governo privo di visione, che mentre toglie i sussidi ai più poveri va avanti a base di regali per guadagnare voti: taglio tasse alle partite IVA, sconti agli evasori, bonus a pioggia sgravi contributivi a volontà, anche per gli agricoltori e per chiunque possa rivelarsi utile per guadagnare consensi.

Abbiamo parlato di regali, ma in realtà questi favori hanno un costo, e lo paghiamo tutti noi. Ecco perché hanno bisogno di togliere 3 miliardi e mezzo ai pensionati: per premiare chi non paga o per permettere agli imprenditori di pagare la flat tax al 15%. In questo il governo Meloni non si è distaccato dalla pessima tradizione che la politica porta avanti da anni: considerare le pensioni una sorta di bancomat al quale attingere.
Si tratta di un modello economico e sociale che la CGIL rifiuta con forza, e contro il quale siamo più volte scesi in piazza, purtroppo con scarsissimo seguito nel settore bancario.

Speriamo che questi numeri servano a capire quale sia la posta in gioco, e a favorire un risveglio delle coscienze.




La Fisac AdER ora è anche su Facebook

La Fisac Cgil Agenzia delle Entrate–Riscossione entra nel mondo dei social.

Nasce la pagina Facebook Fisac Cgil Riscossione – fb.me/fisaccgilriscossione – con l’obiettivo di comunicare e diffondere notizie, informazioni, campagne e approfondimenti utili per le lavoratrici e i lavoratori del settore.

Un’iniziativa nata per avviare un dialogo sempre più diretto con le lavoratrici e i lavoratori, per saperne sempre di più sulla Fisac e sulla Cgil, per essere sempre di più dalla tua parte, anche in dimensione digitale.

Clicca ‘Mi Piace’ e segui la pagina Fisac Cgil Riscossione per rimanere aggiornato.




Morire sul lavoro, la scena del delitto perfetto

Una bomba”.

Alcuni testimoni raccontano di aver sentito una deflagrazione nitida e potente. C’è chi giura di aver avvertito la terra tremare per qualche istante. Qualcuno grida, altri scappano. Chi in macchina accelera per evitare di essere travolto dalla nube di polvere. Poi il silenzio, subito interrotto dalle urla strazianti sotto le macerie. A quel punto il rumore diventa caotico. Da lì a poco sovrastato dal suono delle sirene di ambulanze e vigili del fuoco. Avanti e indietro.

Il vociare dei curiosi si fa sempre più invadente. “Che è successo?”. “Quanti erano?”. “Ma c’erano italiani?”. “Non si è salvato nessuno?”. “Che brutta fine, però”. Telecamere e telefonini affollano la scena del crimine illuminandola. Altro rumore. Sgommano auto. “Fate largo”. Volti cupi, costernati, provati davanti ai microfoni. “Una tragedia che si poteva evitare”. “Serve più prevenzione”. “Morti inaccettabili”. “La responsabilità è collettiva”. Tutti colpevoli, nessun colpevole.

Nel frattempo rimbalzano, confusi, i primi lanci d’agenzia. “Due vittime”. “Anzi tre”. “Ci sono feriti e dispersi”. “Non sappiamo ancora nulla di loro”. “Che contratto avevano?”. “Ma avevano un contratto?”. Dettagli per la diretta delle 10. Il cordoglio, intanto, da cittadino diventa nazionale. “Non si può morire sul lavoro”: l’intero arco costituzionale si ritrova unito attorno ai cadaveri senza ancora un nome. A parole, come sempre, tutti bravi.

Bentornati sul luogo del delitto perfetto. Plasticamente ricostruito nell’orrore di un tranquillo venerdì italiano. Oggi Firenze, domani chissà. Tutto così maledettamente prevedibile. Tutto così dannatamente ipocrita. Perché le lacrime dell’ennesima strage degli innocenti si asciugheranno presto sotto il sole e le macerie del prossimo appalto al massimo ribasso. E di nuovo altri caroselli, commiati, telecamere. E di nuovo altri numeri per aggiornare la media insanguinata della dignità umana.

 

Fonte: collettiva.it




Unipol incorpora UnipolSai

Il gruppo Unipol ha approvato un progetto di razionalizzazione societaria «da realizzarsi mediante la fusione per incorporazione di UnipolSai in Unipol Gruppo». Nell’ambito dell’operazione, si legge in una nota, è previsto il lancio di un’offerta pubblica di acquisto volontaria totalitaria di Unipol su UnipolSai al prezzo di di 2,7 euro ad azione.

Il progetto prevede la fusione per incorporazione in Unipol di UnipolSai Assicurazioni, nonché di Unipol Finance S.r.l., UnipolPart I S.p.A. e Unipol Investment S.p.A., società interamente partecipate da Unipol che detengono partecipazioni in UnipolSai, con un rapporto di cambio determinato dai cda di Unipol e UnipolSai in 3 azioni Unipol per ogni 10 azioni UnipolSai.

All’esito dell’operazione Unipol Gruppo assumerà la denominazione di Unipol Assicurazioni. Il corrispettivo dell’Opa incorpora un premio pari al 12,6% rispetto al prezzo ufficiale delle azioni UnipolSai alla data del 15 febbraio 2024 e del 16,3% rispetto alla media aritmetica ponderata dei prezzi ufficiali registrati da UnipolSai negli ultimi sei mesi.
L’offerta, che verrà finanziata da Unipol con risorse proprie, riguarderà massime 417.386.600 azioni UnipolSai, pari al 14,75% del capitale sociale, e il corrispettivo sarà ’cum dividendo’, ossia inclusivo delle cedole relative ad eventuali dividendi distribuiti da UnipolSai.

Per gli azionisti che non volessero concorrere alla fusione ci sarà la possibilità di esercitare il recesso a 5,27 euro ad azione.

L’operazione, spiega Unipol, si pone gli obiettivi di «razionalizzare la struttura societaria del Gruppo Unipol, semplificando nel contempo i processi decisionali di direzione unitaria e governo del gruppo stesso. La società risultante dalla fusione sarà una delle principali compagnie assicurative italiane, quotata nei mercati regolamentati, che rivestirà anche il ruolo di capogruppo del gruppo Unipol, in linea con le migliori practice nazionali e internazionali e con le aspettative del mercato». Inoltre l’operazione contribuirà a «ottimizzare il profilo di cassa e di funding di Unipol Gruppo», a «conseguire alcune sinergie di costo connesse all’ottimizzazione delle strutture centrali e delle relative attività» e a «ottimizzare la solida posizione di solvibilità di gruppo, anche in chiave prospettica».

I conti di Unipol

Il cda del gruppo Unipol ha inoltre dato il via libera ai conti del 2023, chiusi con un risultato netto consolidato a 1,331 miliardi di euro (da 866 milioni nell’anno precedente, +53,7%). Il risultato, si legge in una nota, risente positivamente per 267 milioni di euro del “badwill” iscritto per effetto del consolidamento della partecipazione nella Popolare di Sondrio (in seguito all’acquisizione di una quota del 10,2% della banca, che ha portato la partecipazione complessiva del gruppo al 19,7%). Il risultato netto, escludendo tale partita straordinaria, è pari a 1,064 miliardi.

Cresce inoltre la raccolta diretta assicurativa a 15,1 miliardi di euro (+10,4% rispetto al 2022), con Danni a 8,7 miliardi di euro (+4,2%) e Vita a 6,4 miliardi di euro (+20,0%). Il combined ratio a fine 2023 è pari al 98,2% (dal 98,6% di settembre 2023), mentre l’indice di solvibilità, sempre alla fine dell’anno scorso, risulta al 200% (in linea con il valore al 31 dicembre 2022) e tiene conto dei dividendi attesi e del consolidamento della Banca Popolare di Sondrio.Sale, infine, il dividendo a 0,38 euro per azione (per un “dividend yield” al 6,6%) contro gli 0,37 euro nel 2022. Quanto al futuro, si stima «un andamento reddituale della gestione consolidata per l’anno in corso in linea con gli obiettivi fissati nel Piano Strategico 2022-2024».

«Chiuso un percorso»

«Questa operazione chiude, anche fisicamente, un percorso iniziato più di 10 anni fa, iniziato nel 2012 con l’acquisizione di FondiariaSai e tutte le operazioni successive che sono intervenute in questi anni». Così il presidente del gruppo Unipol, Carlo Cimbri, presentando l’opa su UnipolSai. «Chi c’era all’epoca ricorderà una struttura molto più complessa e articolata» e ora si arriva «all’ultimo tassello di questo progetto» con «una semplificazione attesa dal mercato».

«Mps non è nei programmi di Bper»

A proposito del risiko bancario, Cimbri ha affermato che «Mps non è nei programmi di Bper». Secondo il manager «Bper ha un suo programma che sta andando avanti, noi non abbiamo avuto interlocuzioni di questo tipo, per quanto ci compete neanche Bper non ha avuto interlocuzioni di questo tipo con Mps che peraltro sta conseguendo nella sua veste stand alone sotto la guida di Luigi (Lovaglio, ceo di Mps, ndr) degli ottimi risultati».

 

«Difenderemo Bper e Sondrio»

«Senza fare il processo alle intenzioni, faremo le nostre mosse, se dovesse servire, e penso che saranno sufficienti». Così Cimbri, a chi gli chiedeva quali reazioni se dovessero arrivare offerte ostili su Bper o sulla Popolare di Sondrio. Visto che su questi due istituti, aggiunge, «stiamo investendo, ci attrezziamo affinché il governo di queste banche rimanga in un ambito di sfera di collaborazioni con noi, piuttosto che di altri gruppi bancari».

Fonte: Il Sole 24 Ore